78- In terra promessa

P.O.V.
Ian

L'agitazione di Bjorn per questo piano rispecchia il sovrapporsi dei miei pensieri, in un continuo crescendo.
Non dovevo accettare, è una pessima idea.
Ma la biondina non ha voluto scendere a compromessi e ha preteso la sua momentanea libertà, in cambio della soluzione ai miei immortali problemi.

Spero solo di non pentirmene ...
Ma già lo faccio rimanendo ad analizzare il sorriso con il quale giunge fino a noi.
Tutta questa felicità non deve essere passata inosservata neppure a Monty, in totale discordanza con il costante umore cupo che affligge le sue giornate.
Qualcuno potrebbe pensare all'improvviso soddisfacimento ottenuto dalla vita e tratto dall'assenza di William. Qualcuno che non sono io. Qualcuno che non li ha visti scopare e godere sotto i propri occhi.

Rivolgo a terra i colpevoli di un simile gesto per evitare che il disgusto possa essere letto dietro la perpetua schermatura cornea che offrono, privando l'aiutante della giornata del suo spirito collaborativo, sostituendolo ad un'altro altamente più turbolento.

<Buongiorno!> Saluta entrambi alla distanza di pochi passi.

<Buongiorno signorina Dafne>, si procura di risponderle Bjorn con gentilezza, alla stregua di uno chaperone.

<Sei pronta?> Chiedo invece io, e la differenza di queste due intonazione si sente.

Dafne si arresta sul posto, colpita ancora una volta dalla mia freddezza.
Non dovrebbe disperare, oggi avremo entrambi ciò che vogliamo: lei la sua illusione ed io le mie certezze.

<C'è un problema>, ci informa Bjorn che per pochi istanti ci aveva lasciati da soli.

<Ovvero?> Domando spiegazioni, e l'astrazione da lui mostrata si giustifica nella risposta seguente.

<La moto non parte>, ci informa, ed io sollevo gli occhi al cielo, vinto dalla comicità.

<Ma certo>

Certo ...

Dovevo immaginarlo dal momento che il piano prevedeva la fuga mia e di Dafne in sella a una moto d'epoca, appartenuta al nonno di Bjorn, con tanto di tubo di scappamento in grado di inquinare l'intero mondo alla sola accensione.
Si, dovevo immaginarlo, ma quali sarebbero state le alternative?

Non mi rimangono più molti soldi, l'operazione di Caleb ha preso in se gran parte delle mie quote e con quelle che restano devo procurarmi i pasti che l'hotel non mi offre. Non sarebbe stato facile. Avremmo potuto prenotare un servizio di taxi ma sicuramente avremmo dato nell'occhio, anche se con una moto appartenuta allo scorso secolo il risultato non sarebbe stato tanto diverso.

Vorrei avere altra liquidità per comprare una macchina mia e muovermi senza la costante presenza di Monty, ma è aberrante quanto questo intero mondo giri intorno alla contabilità.

Per avere bisogna guadagnare. Per guadagnare, in questo assurdo circolo, bisogna sbagliare. Vendere la morte in tutti i recipienti che riescono ad imprigionarla, alcol, droghe, armi e spacciarli per oggetti utili.
L'anima costa il prezzo che pesa ed il bisogno di conservazione chiede di frazionarla senza venderla intera, così da avere più respiro, tra un baratto e l'altro.

Non ci resta che una sola scelta, e fissando il dolce viso della biondina capisco che le sia venuta la stessa idea.
E non sembra felice.

<No, scordatelo!>

<Sono solo tre chilometri...>

<Non monterai su Alhena>

<L'ho già fatto, ricordi?>

<Non con me sopra>

<È l'unica alternativa>, constata Bjorn dandomi ragione ed io muovo una mano nella sua direzione, evidenziandone l'onestà.

Dafne assottiglia gli occhi, stringendosi le mani al petto.

<Gli altri cavalli?>

<Tutti fuori, dal veterinario per i controlli>

<Giornata giusta>, le sento sibilare, e non mi trattengo dalla provocazione.

<Come scusa?> Domando, porgendo un'orecchio al suo ascolto mentre anche le mie di braccia si intrecciano contro il petto.

Gesto naturale, ma c'è chi crede che sia un linguaggio del corpo, come una chiusura di fronte agli occhi dell'interlocutore.
Può darsi, può essere che con Dafne ci stia provando, alle volte in maniera innaturale, alle volte meno ma devo per forza. Devo farlo, togliendo i piedi da questa brutta storia per non rimanere coinvolto, il problema è che non sempre lei me lo consente, anzi, sono più le volte in cui non lo fa rispetto a quelle in grado di sancire la mia vittoria, ma poco importa, non sarà lei a raggiungere il suo obbiettivo perché l'uso della cavalla è un altro punto a mio favore e Dafne non può suo malgrado sottrarsi.

<D'accordo! Ma tengo io le redini>, minaccia puntandomi il dito contro, ed io rido della comicità di questa scena.

<Fai pure, tanto non le so portare>, dico e a queste parole il suo sguardo mi trafigge, obbligandomi a morire.

Si, Dafne, sono salito su Alhena senza saperla guidare. È stato un rischioso ma lei aveva paura ... dovevo lasciarla soffrire?

Sono sicuro di no, ma non lo ammetterebbe mai, mentre arrabbiata e affatto convinta delle sue azioni afferra le redini della sua cavalla, arrivando fino a noi.

Rimango fermo con lo sguardo mentre con un gesto fluido le vedo compiere il rituale. Un attimo dopo siede fiera sulla schiena dell'animale.

<Avanti, sali>, dice senza guardarmi e tenendo gli occhi puntati verso l'indefinito orizzonte.

<Bjorn sai che cosa fare se Monty viene qui. Giustifica la mia presenza con la Sokolov, digli che dovevo parlarle di scommesse, Lee ci punta molto. Per quanto riguarda lei invece usa la scusa che trovi, è solo uscita ad allenarsi con la cavalla>, mi assicuro di riferire all'unico amico che sono riuscito ad avere in questo buco di inferno, e subito dopo questi annuisce.

<Certo Ian, non preoccuparti>

<Bene>

Sistemata questa faccenda torno ad Alhena.
Lo sguardo della sua padrona e il suo corpo sono ancora stazionati fieri e dritti al pari di un'eretta statua. Il muso dell'animale invece si convince della mia presenza, voltandosi a fissarmi, ed io lo accarezzo con una mano e un sorriso, provocando il sospiro di Dafne poco prima di salire in sella, in maniera direi egregia essendo sempre stato destinato dalla vita a percorrere le strade solo sui miei propri passi.

Non sbaglio, montando in un attimo e finendo dietro Dafne, straordinariamente vicino.

Alle sue spalle sorrido del contatto mentre lei sembra a disagio, ma non è ancora niente.
Sono tentato di posare le mani sui suoi fianchi per mantenermi stabile.
Potrei realmente farlo, e ci sto pensando quando la voce di Bjorn torna tra di noi.

<Sfortunatamente stamattina scalpitava. Da giorni non siete passata a trovarla e nessuno l'ha cavalcata, signorina. Era tanto agitata che ho dovuto farle fare gli esercizi mattutini per stancarla>

<Vuoi dire che non posso andare a galoppo?>

Aveva precedentemente deciso di uccidermi?

Al galoppo in due voleva dire morte certa per il secondo passeggero. Intuisco giusto adesso l'accondiscendenza delle sue scelte.

Bjorn scuote la testa in segno di negazione.

<Solo a trotto, o al passo>

<D'accordo, ma ci impiegheremo più tempo>

<Quanto?> Chiedo.

<Un quarto d'ora>, mi risponde preparata, ed io sollevo le spalle nonostante non possa vedermi, avvertendo ancora il calore della sua pelle a distanza ravvicinata.

<Va bene>

Un quarto d'ora non è troppo, più o meno il tempo impiegato nell'andata anche dal vecchio rottame, se la pazza non decide di spingere il cavallo verso l'estremo confine della sua fisica resistenza, ma non credo possa essere possible, lo ama troppo.

Mi domando la ragione.

<D'accordo, allora partiamo. Ci vediamo dopo, Bjorn>

<A dopo signorina Dafne. Ian..>, saluta ed io inchino il capo ricambiandolo il momentaneo addio giusto il tempo concesso dalla biondina, prima di far ruotare la cavalla nella direzione corretta.

Bella mossa, ma un po' troppo azzardata.

Siamo finiti ancora più vicini ed il mio petto adesso è contro la sua schiena.

Osservo la bionda coda che si era procurata a fare per tenere raccolti i capelli evitando di darmi fastidio, ma portando quindi scoperto il collo, innocente vittima della mia vista che intrappola il suo pallore.

Anche il profumo fresco della sua pelle mi raggiunge, in una tortura mentale e fisica che solo per oggi sono costretto ad accettare, in maniera decisamente troppo naturale per apparire giusta ma non vi soffermo il pensiero.

Siamo stazionari, le mani di Dafne intrecciate alle redini non impartiscono ordini.
Sorrido con ancora più aperta provocazione quasi sperando che si volti e mi mostri l'espressione che il suo viso ospita, sentendo tornare la tentazione di aggiungere le mani ma il contatto con la sua pelle significa troppo. La renderebbe reale, ed è l'ultima cosa che nella mia mente deve essere.

Porto le braccia indietro, afferrandomi alla sella senza allontanarmi con il corpo del più piccolo millimetro dal suo, ed il sorriso piega la pronuncia persino delle mie parole quando poco dopo torno a rivolgermi a lei in un richiamo.

<Partiamo?>

Scossa dal mio tono pare riprendersi. In uno schiocco da vita alle redini e Alhena è costretta a subire l'altalenante ritmo della sua anima, vivendo delle conseguenze.

Può essere interessante, penso sommariamente non appena il nostro viaggio inaugura il suo inizio percorrendo una tratta stabilita verso cui ci addentriamo.

Sotto il rumore degli zoccoli mossi a un leggero galoppo del quale il corpo non subisce conseguenze, evitando di essere sballottato agli estremi laterali. La stalla si allontana sempre di più facendoci avvicinare a piccoli passi al nostro obbiettivo, scomparendo come la visione nella riduzione del focale di una lente.

La presa intorno alla sella alle mie spalle, sostenuta da una sola mano, è salda e a lei mi mantengo mentre il paesaggio cambia le sue forme intorno, avvicinandoci al sentiero di alberi posto al fine di inoltrarci verso la foresta, o separarci da essa, ma deve essere la via più breve, quindi la sola da percorrere.

Velocemente Dafne passa al setaccio l'intorno, indirizzando Alhena verso il giusto sentiero, permettendole di rallentare i passi. Comprendo il suo bisogno di allontanarsi in fretta dal casolare ma noto anche il sorriso che le si è dipinto in viso al seguito di questa veloce cavalcata, e avanzo una constatazione nel silenzio dell'ambiente.

<Ti manca>

<Che cosa?>

<Cavalcare>

Incassa il mio appunto, nascondendomi il viso e tornando così alla strada di fronte. <Si, molto>

<Sei brava. Alla gara avresti battuto i concorrenti sul tempo>, se non fosse stato per quel fucile ad alta precisione che ti veniva puntato contro.

<Si, avrei vinto, proprio come ti avevo detto>

<Se ricordi, secondo i patti, non avresti dovuto neanche gareggiare. Weeky ha corso un tempo di sei  secondi e trenta, te lo sei dimenticata?>

<Ti ho già spiegato la motivazione delle mie scelte>

Si, ma puntualmente ogni volta, tramite discussione, finiamo a quel giorno.
Forse perché ancora non sono riuscito a spiegarmi appieno l'irreale ricordo che conserva, intrappolando in se stesso un carattere femminile inconcepibile ed un modo di farsi giustizia inafferrabile.

In ogni caso ancora una volta accantono l'argomento per evitare polemiche in un futuro prossimo.

<Come va la caviglia?>

<Monty non mi avrebbe permesso di uscire se non fosse guarita, o uno dei suoi uomini per quello che importa>

<Vieni trattata con guanti di velluto>

<Non da te>, constata facendomi sorridere ma anche tacere, per lunghi attimi.

<Come sai della sua casa di campagna?>

<Ho sentito un giorno lui e Richard parlarne>

<A che proposito?>

Dolcemente si stringe nelle spalle, mostrandomi la sua confusione. <Non saprei, ma me ne sono ricordata>

Il silenzio torna ad essere interrotto solo dal cinguettio degli uccelli intorno prima che anche lei mi porga la sua domanda.

<Tu che cosa speri di trovare?>

<Risposte>

<A che cosa?>

Rido dentro di me, non volendo dargliela vinta.
<Beh, biondina, a delle domande>

<Detesto che tu mi chiami così>

Preferisci "Angelo"?

Mi accosto al suo orecchio, respirando il suo profumo in maniera involontaria. <Vuoi che ti chiami per nome?>

La lentezza delle sue risposte a ogni provocazione mi arresta sempre dinanzi la nascita di infiniti pensieri.

<Io lo faccio>

<Mi dispiace ma preferisco usare "biondina">

Di fronte a me, nascosta dai sospiri delle ciocche dei suoi capelli intrappolati nella coda, la sua bocca sussurra uno "stronzo" che non mi sfugge, senza riuscire a divertirmi ma raggiungendomi come un semplice dato di fatto.
Non sono in grado di essere altro in una situazione simile.

La nostra cavalcata subisce un'accelerazione di trotto capace di bruciare in meno tempo l'incolmabile distanza da percorrere. Serro le dita intorno alla mia presa mentre penso a ciò che ci aspetta una volta arrivati, vedendo in loop nella mia mente l'incontro avuto con William e il suo sorriso di provocazione.
Dafne mi sta portando nel luogo dove lui vuole che vada, e sono stato io a chiederle di farlo.

Sostenuto il ritmo per dei minuti Alhena è costretta a riposare, passeggiando ad andatura lenta tra questi bassi rami di alberi e lungo il percorso i miei occhi non posso fare a meno di posarsi sul corpo di Dafne, mio malgrado.

Scendono lungo la schiena, accarezzandole la curva dei fianchi.

Sono attratto da lei, ma è una cosa solo carnale con cui ho fatto i conti in quel mio risveglio tormentato dai sogni. Non posso non notare la sua bellezza come il cartellino di proprietà privata, ma oltre a questo niente altro.
Il suo calore è un conforto che ha sfocio nella provocazione per cui non me ne privo.

Accantonando questi pensieri ragiono su quanto questa invernale giornata sia particolarmente calda, motivo per il quale Dafne indossa una semplice camicia bianca solazzante e semitrasparente, con sotto una canotta, a contrasto con i jeans scuri, e questo vestiario mi permette di intravedere la pelle privata dal cotone e celata appena da quella membrana sottile che la copre, scoprendo il piccolo cerchio di nei che già dal nostro primo incontro ho avuto il piacere di notare.

Lo osservo con attenzione, studiando la sua composizione sferica di luna piena, ed il ricordo del suo compleanno, legato alla spiegazione del quadro della madre, mi torna in testa, rimembrando alla mente il ruolo della luna e del marinaio.
Ma c'è dell'altro, queste macchie ricordando anche una costellazione. Stelle, ancora una volta. Persino la sua pelle le contiene.

<Di cosa è morta tua madre?> Le chiedo, poco prima di pentirmene.

Il suo corpo si irrigidisce di colpo a una domanda simile.

<Un tumore al cervello, era molto malata>

<La mia lo aveva nel sangue. Per un primo periodo nemmeno ce ne siamo resi conto>, pronuncio in un rammarico, e per alcuni secondi, forse vittima della sorpresa, riesco a zittirla.

<Vivi con tuo padre?>

<Si>

<Dove?>

Il South Side torna nella mia mente, come una meta irraggiungibile.

<Lontano da qui>, insieme a una famiglia che non prevede legami di sangue.
Megan, Caleb, Nicolas, Kevin, Celine, Joseph, Nicole ... Wendy ... sono tutto quello che ho, nonostante ciò che ci è capitato.

<Hai qualcuno oltre a Richard e William?> Puoi salvarti una volta uscita dalla loro casa?
La sua testa si muove in un lento no, pieno di tristezza. <E tuo padre?>

<Era un soldato. La guerra se lo è preso>
Orfana. E sola. Il pensiero va all'infanzia dei suoi undici anni e all'incontro con William. Il loro attaccamento, che vede da collante una comune solitudine, può essere spiegato solo tramite l'infantilità degli anni, ma è impossibile che sia voluta rimanere per propria volontà al suo fianco. E' da pazzi e non ne comprendo la ragione. Non è colpevole quanto si crede, non è pura come il suo viso lascia a intendere e allora cos'è?
Forse solo una donna affogata nei propri errori, senza rendersene conto.

Allontano gli occhi dalla sue pelle e dal cerchio creato dai nei, vincolandoli al susseguirsi dei tronchi intorno a noi.

Quasi desidero scendere da Alhena, ma la meta prevista è ancora troppo lontana, e poi quattro occhi sono meglio di due, pur trattandosi dei suoi, pericolosi al limite dell'immaginario.

<Richard era imparentato con tuo padre? In che rapporto è la vostra famiglia, avete per caso vissuto come lui nella povertà?>

Potrebbe essere la domanda da un milione, cifra accessibile per questa famiglia stregata dai lussi ma forse non ancora del tutto ottenibile, a causa dei vuoti che lascia.

<Si, erano fratelli, e Richard il maggiore dei tre, mio padre invece aveva il ruolo di mezzo>

<E l'altro fratello? Il più piccolo>

<Non so niente di lui, ma probabilmente devono essere in brutti rapporti. Non si è mai fatto presente alla villa>

Immagazzino quelle informazioni nella memoria, collocandole nel puzzle mentale delle informazioni che ho relative al mio datore di lavoro. Non sono molte ma stanno iniziando a collegarsi tra di loro, con mio sommo piacere ed estrema curiosità.

<E no, non sono mai stata povera, ma la mia famiglia era molto umile e non si concedeva molti vizi. Credo che sia una bella cosa la semplicità>

Non mi riesce difficile constatare che non stia mentendo. I fiori, le stelle ... cose importanti ma di poco conto, immateriali quasi, ma a cui lei tiene con una dedizione assoluta, eccezione fatta per questa cavalla!, che immateriale non è affatto ma viene curata con costante attenzione, non venendo privata dell'amore.

<Eravate solo tu e i tuoi genitori?>

<Si ... la casa era molto vuota alla loro morte>

<E' stato in quel momento che Richard ti ha accolta?> Indago ancora per mettere le radici all'origine della sua storia, con interesse ed inevitabile curiosità di riuscire a comprenderla a fondo.

<Sapevo dell'esistenza dei miei zii ma non li avevo mai incontrati. Anni dopo la morte di mio padre, quando seguì mia madre ed io rimasi sola, due settimane dopo l'ultima morte Richard comparve sulla porta della mia casa. Mi offrì un rifugio sicuro e una famiglia, per questo accettai. Avevo solo sei anni. Andai a vivere nella loro casa e entrai a far parte della loro vita. Può sembrare ridicolo o assurdo, conoscendo l'uomo che mostra essere, ma Richard mi ha cresciuta con tutta l'attenzione possibile di questo mondo. Si è reso partecipe delle mie giornate, ascoltava le maestre della mia scuola, cercava di intuire cosa non andasse in me quando da piccola mi chiudevo nel mutismo ... E' stato un padre, ed io non posso non ringraziarlo per avermi cresciuta>

Probabilmente è il discorso più lungo che mi ha rivolto fino ad ora. Decisamente il più importante perché la riguarda. Non avevo compreso fino a che punto arrivasse la sua ammirazione per lui, e il suono di queste parole si scontra con le emozioni provate quella notte, passata tra le mie braccia, ubriaca.

<Quella notte non sembrava tu gli fossi grata. Eri arrabbiata e volevi fuggire>, le ricordo l'istante dopo, mentre Alhena procede con calma lasciando scorrere la nostra conversazione.

<Era venuto nella mia stanza. Il rapporto che abbiamo è complicato da descrivere e so bene quanto possa essere un uomo assurdo e inspiegabilmente severo, lo sono tutti gli uomini di potere, e conosco anche il loro modo di comandare. Non amo quel lato della sua vita, anzi non lo apprezzo affatto, è un sopruso, ma sono stata cresciuta anche da quelle stesse leggi e alle volte non mi riesce difficile comprenderle.>

<Questo discorso vale anche per William?>

Potrebbe andarmi contro, arrabbiarsi per questa mia specie di fissa, ma oggi, contro il respiro del vento Dafne ha deciso di aprirsi, e si concede la libertà di parola, forse sperando che il mio disprezzo possa calare al seguito, e mia sventura sento già che lo fa. E' difficile tutto questo da digerire o da comprendere, ma è plausibile visto dagli occhi di una persona che ha vissuto quella vita.

<Si, vale anche per William. Ti ho detto che non amo i mafiosi, e che quindi non amo gli uomini in grado di sovrastare gli altri con il proprio potere, ma si tratta di affari, ed io non vengo mai coinvolta. All'interno delle mura di casa entrambi sono persone diverse, William in particolare ... a volte è diverso. Gli anni hanno modificato sempre più il cuore di Richard spingendolo alla cattiveria, ma non hanno del tutto preso quello di William>

<Mi riesce difficile da credere ...>

<E' così!> Si convince voltando la testa verso di me alle sue spalle, ed io ho pena di quelle parole espresse con insolita sincerità.

<No, non lo è, ma non te ne sei resa ancora conto, o se lo hai fatto non vuoi scenderci a patti. Vuoi farmi credere che per te sia William che Richard hanno una doppia vita, ma le persone non vivono se non mosse dal loro stesso carattere. Sono solo in due, due menti e quattro mani, solitamente sporcate di ordine e sangue. Wiliam è un assassino, e di certo non più l'uomo che amavi. Ne hai avuto la certezza solo per un attimo, per questo volevi fuggire via ed hai affogato tutti i tuoi brutti pensieri in una bottiglia di whisky>

<Ti sbagli>

<No, non lo faccio. Parlavi con sincerità fino a poco fa, perché non puoi ammetterlo a te stessa?>

<Perché vorrebbe dire che è tutto perduto, che ...>, esala, ancora occhi negli occhi nei miei prima di voltarsi e sottrarmisi.

<Che cosa, Dafne?>

<Che sono stata cresciuta anche io solo dall'odio>

Non può pensarlo davvero, e pure lo crede. Ed io cosa posso fare? E' la prima volta che parliamo sinceramente e non ho la mente abbastanza libera, ricolma da queste nuove informazioni, per andarle contro totalmente o dire ciò che vorrei, ma riesco ad articolare una piccola frase.

<Non puoi crederlo. Sei stata presa sotto la sua ala a sei anni, avevi già il tuo carattere, te lo hanno dato i tuoi genitori>

<E se non fosse bastato? Io li capisco, Ian ... io, alle volte, li capisco ... ed è questo a farmi paura>

Le sue parole cadono in un oblio senza fondo rispecchiandosi in un eco all'interno della mia testa. In questa giornata piena di luce, a contatto con i corpi e le voci, ci stiamo aprendo più di quanto lo ritenessi possibile, e da un lato mi sconcerta la spontaneità di un simile evento.

<Le persone dicono che gli assomiglio. Gli uomini che incontro, i clienti, Richard stesso vede una similitudine tra di noi, e anche io ho paura perché ogni giorno che passa la sento più mia>

<Per quale motivo?>

<Credo ci sia del rancore, in sottofondo. Qualcosa alimenta, o ha alimentato, me e lui allo stesso modo. Non voglio scoprirlo>

<Non vuoi diventare come lui>

<Non voglio macchiarmi delle vite degli altri. Richard Lee è salito su di un trono grazie ad azioni precise che hanno reso la sua scalata al successo molto più spianata. Non voglio fare lo stesso>

Anche se qualcosa, ancora, mi sfugge. L'evento che è stato in grado di consentirgli una simile ascesa, il ricordo scatenante di tutto. E devo comprenderlo per riuscire a distruggerlo.
Penso a questo mentre ricordo le sue parole, la mentalità di questa donna da poco divenuta più chiara. Anche lei spera in qualcosa, conta di salvare William, forse riuscendo così a redimere se stessa e non è un rapporto facile. Capisco che le grate della sua cella è stata lei stessa ad erigerle, intrappolandosi in un gioco senza soluzione che non le permetterà mai di vincere.

Come pensa di uscire da una trappola simile?

<Monty era già presente dodici anni fa, quando sei stata presa nella loro casa?>

<Si, molto più di Richard. Per colpa degli affari lui non c'era mai, e Monty, in sua assenza, presenziava al mio fianco come una sorta di tutore. Tra me e William corrono nove anni, e mentre giocavo in giardino con Monty come sola compagnia ricordo che lo vedevo dentro casa, chino sui libri>

<Quindi non sai dire, o non consoci, a che data risalga l'amicizia di Richard e Monty>

<No, non ne ho idea>

<Ma mi hai detto che non vanno d'accordo>

<Più di una volta li ho sentiti litigare. Monty è un' uomo troppo impulsivo, non ragiona sulle conseguenze delle proprie azioni, è "il braccio operante", e quando la mano vuole prendere il ruolo che spetta al cervello non riceve che brutte sfuriate. Sembra che Richard lo disprezzi quando si comporta così>, afferma, tenendo ancora le redini di Alhena, sollecitando il suo passo.

Da dietro le spesse lenti di Monty, leggendo la trama con i suoi occhi, il rapporto con Lee sembrava impossibile da scalfire, ma ecco una crepa offerta, e a donarmela è niente meno che Dafne. Damien aveva ragione, lei è a conoscenza di molte cose, anche se non di tutto. Mi da modo di credere che ci sia la possibilità di batterli, un giorno, con le giuste armi, la più corretta mira.

<Si, sono molto diversi ...>

Alhena china il capo ancora più verso terra, accompagnata nella traversata dalle nostre voci che non la smettono di cercarsi dopo piccoli silenzi.

<Tu invece cosa mi dici della Sokolov?> Se ne esce in una domanda impertinente per quanto non voglia farlo trasparire. Ripristina però così il mio divertimento, oltre che il mio sorriso, mentre mi spingo con attenzione verso il pericolo del confronto.

<Che cosa, sulla Sokolov?>

<E' una donna molto bella>

Si, e per molti versi le somiglia. La loro caparbietà si esprime sotto concetti diversi, ma riesce a manifestarsi ugualmente come una forza, nonostante alle volte regni anche la fragilità nel cuore di Dafne, sentimento che non ho scorto nell'animo della russa, guidata dal suo spirito di vendetta, ma che forse può essere presente, nascosto in un cantone per non essere ferito.

Noto adesso anche la loro somiglianza nei tratti, ma si tratta di piccole sottigliezze che marcano la mia idea di similitudine, come la linea dura, alle volte sprezzante, di bocca e occhi, o la rigida compattezza della loro schiena. La corporatura è totalmente diversa ed esalta l'altezza, e snellezza, di Illiya, portando a questa sorta di gelosia la ragazza che ho tra le braccia, ma non ha niente da invidiare.

L'immagine di lei nuda ricompare nella mia testa.

Niente.

<Lo è>

Non mi chiede se ci sono andato a letto, come invece ha precedentemente fatto la russa nei nostri confronti, forse perché il nostro incontro, fin troppo ravvicinato, si è fatto presente anche nella mente della bionda, spingendosi ad allontanare dalla mente questo nostro discorso fino al termine della tratta.

<Dista ancora molto?>

<Siamo quasi arrivati>

Non mente. L'ultima parte del tragitto la percorriamo in un veloce trotto sopra la schiena di Alhena. Imparo a stare in equilibrio sollevandomi leggermente dalla sella come fa anche Dafne, scoprendo l'emancipazione, accarezzata dal vento tra i nostri capelli, nella sua chioma, di Alhena mentre ci porta lontano, sforzando i muscoli dei suoi arti perfetti, sfregando solo per alcuni istanti gli zoccoli contro il terreno.

Capisco perché le piaccia tanto.
Effettivamente, capito il trucco, con una buona dose di coraggio e pazienza mi piacerebbe imparare. Forse un giorno, quando tutto sarà finito. Forse allora ... ma probabilmente non saremo sotto la stessa bandiera.

Nella resa dei conti io e Dafne ci troveremo su sponde opposte. Non devo dimenticarmelo.
Le sue parole non hanno modificato niente della realtà, la situazione è rimasta invariata per quanto, stranamente, più concepibile.

<Il posto è questo>, mi informa a un tratto la sua voce non appena il cavallo si arresta ai piedi di una salita. Sollevo la testa puntando gli occhi nella direzione impartita dai suoi e resto senza fiato dinanzi a questa proprietà.
Quale eccesso, macchiato di bellezza.

Le redini di Alhena prendono la funzione di corda non appena entrambi scendiamo da lei, vincolandola ad un piccolo palo, impiantato forse apposta nel terreno.
Scalare il confine risulta particolarmente facile. La verde rete ce lo concede facendoci mettere piede sul pendente terreno collinare, tagliato da lunghe file di ulivi.

Prestando attenzione all'intorno mi assicuro di confermare l'apparente assenza di personale indesiderato, e accertatomi di questo continuo a procedere. Siamo soli nell'intera tenuta.

Dafne e io raggiungiamo un gazebo in legno decorato da edera e rampicati dal quale è visibile, essendo il punto massimo del colle, l'intera tenuta, desertica e vuota, se non fosse per gli alberi che ne impreziosiscono la terra.
Istantaneamente stringo lo sguardo indirizzando l'occhio verso un'obbiettivo lontano, la candida pelle di Alhena, unica presenza.

<Non capisco. Non c'è niente, solo questa tettoia e gli ulivi>, ragiono ad alta voce, ma Dafne non risponde. Ragiona come me tentando di trovare una soluzione a tutto questo.

William deve avermi mandato qui per un motivo, ma quale?
E' stato troppo semplice accedere, sospetto che si tratti di un'imbroglio per coglierci in flagrante .. ma non ci sono telecamere e nessuno nel raggio di miglia, dunque è un altro il motivo.

Ripenso alla nostra conversazione, mentre Dafne si guarda intorno.

<Sono alberi molto vecchi>

<Te ne intendi?>

<Mi occupo più delle piante, ricordi la serra? Questi alberi sembrano avere tutti la stessa età, anche se ce ne è uno più alto, lo vedi? Significa che è più vecchio>

Fiancheggiati dal pianoforte le domande di William si erano rivolte al mio rapporto con suo padre, allo sgabuzzino dove conserva i suoi cimeli, e infine allo scampato incidente in auto.

<Vuol dire che è stato piantato per primo?> Chiedo distrattamente, e la vedo annuire.

<Si, molto prima. Anni precedenti all'intera piantagione>

"Sei a conoscenza della sua tenuta di campagna? Monty possiede una distesa di ulivi e vigneti. Prova a farci un salto, dista solo tre chilometri da qui, è un gran bel posto. Ci sono molti segreti sepolti in quella terra".

La sua voce fa da eco e un dubbio mi assale, facendomi stringere lo stomaco in una morsa.

<Solo quell'albero?>

<Si, solo quello>

Mi osservo intorno, individuando una pala. La afferro e Dafne mi guarda confusa.

<Seguimi>

Esegue l'ordine rimanendo alla distanza di pochi metri mentre scendo lungo la collina giungendo fino all'ulivo da lei indicato.

Non vi è altro intorno, ma i segreti sono sepolti nella terra, quindi non può esserci altra soluzione. Devono trovarsi al di sotto del terreno.

Inizio a scavare con forza, senza criterio, riempiendo l'intorno di buche. Vado avanti per molto nel silenzio di lei quando, privo di fiato, non sollevo gli occhi contro il tronco dell'albero.
Una piccola "W" è incisa nella corteccia, ed io la osservo con rimprovero, di rimando.

Aveva pensato a tutto.
Arrogante bastardo.

Procedo nello scavare, stavolta guidato da quell'indicazione in grado di offrirmi qualche certezza.

La buca si fa profonda, almeno mezzo metro, quando scorgo qualcosa.
Il ferro della pala batte contro un materiale diverso dalla semplice terra,'dunque continuo a scostare le umide zolle, scoprendo la realtà celata, finché non è evidente sotto i nostri occhi.

Dafne porta entrambe le mani alla bocca trattenendo un sussulto e dalla nostra differenza di altezza, calato in questa buca, riesco a vederle gli occhi inumidirsi di lacrime.
Davanti a noi abbiamo lo scheletro piccolo probabilmente di bambino, con un ciondolo dorato al collo come unica testimonianza di verità.

Mi chino ad afferrarlo, rimanendo per un attimo immobile dinanzi alle vuote orbite di quelle ossa. Lo pulisco quindi dal rimasuglio della terra, voltandolo sottosopra, e trovo in uno stile corsivo il nome appartenente a questo macabro tesoro.

Violet.

Lascio andare la catena e risalgo, facendo pressione con le braccia per fuggire da questo feretro, e una volta tornato in piedi resto alla destra di Dafne, ancora muta e ferma dinanzi al ricordo della bambina.

Afferro il telefono con la mano che mi trema, componendo il numero di Damien. Risponde al terzo squillo.

<Pronto>

<Ho trovato il modo per incastrare Monty. Ti inoltro la mia posizione, sono in una delle sue proprietà. Avverti la polizia ... c'è lo scheletro di una bambina>

<Arriviamo subito>

Chiudo la telefonata e mi procuro di svolgere l'incarichi promessi. Rialzando lo sguardo però precipito nuovamente nella visione dello scheletro di Violet e l'idea che possa nascondere molto altro giunge alla mia mente come un fulmine, trafiggendomi sul posto.

Mi rivolgo a Dafne rendendomi conto solo adesso di come abbia assistito a una simile conversazione.

Ricambia con la sua confusione ed un fondo di certezza, appesantito nello sguardo non appena riprendo a parlarle.

<Dobbiamo tornare alla villa. Adesso>, le comando, con un tono che prego basti a farle capire che non è il momento di fare domande o di mostrarsi nemici.
Tramortita esegue, ed io la seguo passo dopo passo, tornando su Alhena e ripercorrendo l'intero tragitto, al galoppo stavolta, bruciando in velocità il tempo.

Con una mano stretto alla sella cerco, tramite l'altra, la chiave dorata nella tasca in alto del giubbotto in jeans.

Arrivati alla stalla prendiamo un taxi dettando velocemente l'indicazione del traguardo all'autista.
Per tutto il tempo la biondina non emette fiato, ma non ho modo di occuparmi di lei.
Lascio che mi segua al piano superiore non appena varchiamo l'entrata.

La chiave d'oro è stretta nella mia mano destra. Dafne è alle mie spalle. La porta dello sgabuzzino di fronte. E un oceano di segreti si mostra nell'attesa pazienza del nostro arrivo, rimanendo vincolato dalle quattro pareti che da tempo lo imprigionano ma che adesso stanno per essere spalancate.

P.O.V.
William

Appoggiato con una spalla a questo muro privo di intonaco analizzo la scena con placido piacere.
L'uomo che cerco sta parlando con Carlail, proprio di fronte alla centrale di polizia.

Si sbilancia in segnaletiche di gesti che mi fanno ridere, ricordando la somiglianza con un ricordo perso nel tempo. Questo ardore, questo desiderio ... da anni non lo vedevo impresso in un corpo, avendo continuato a camminare tra una folla di gente stanca, grigia e noiosa, servita però a rendere indimenticabile la sua cromia.

E adesso desiderio riaverla sotto il mio controllo, proprio come un tempo.

Carlail si mobilita, spinto da un cupo ideale di riuscita e forse personale rivincita, abbandonando l'uomo che per tutta la vita ha vissuto in una solitudine auto imposta. Tediosa quotidianità volenterosa di essere spezzata solo dal palliativo di un'amore patetico, inaccettabile.

Mi faccio più vicino alle sue spalle in questo vicolo cupo e grigio che esalta la sua luminosa anima, con pozzanghere di acque raccolte e topi provenienti dalle foglie. Lo raggiungo e solo in questo momento si accorge di me.

<Ciao Damien>, lo saluto, poco prima di estrarre il revolver dalla fondina, ruotandolo per impugnare la canna. Sollevo l'arma e colpisco la sua nuca in un attimo.

Tramortito il corpo dell'uomo cade a terra, scontrandosi con il viso contro l'asfalto.

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