75- Provocazione e dolore

P.O.V.
Ian

La sua pelle riluce di una patina di sudore mentre la mia l'accarezza, soffermandosi in punti specifici del suo essere, ed i nostri corpi divengono uno solo come il migliore dei contatti.

Tra le pallide lenzuola i suoi occhi adoranti seguono ogni mia mossa, ed i miei non li abbandonano.
Quel celeste, tanto diverso dal verde a cui avevo creduto appartenere, mi imprigiona con tutta la sua forza tenendomi avvinto a se, ma io non voglio affatto scappare. Quello che voglio è perdermi ancora più nel profondo, fino all'estremo confine della dannazione.

Un suo ansito mi spinge a guardarla, e lei come il migliore dei demoni ripete quel flebile abbandono consapevole che vi sono io di fronte a fissarla con aperta competizione, e non se ne fa un vincolo.

Chinando la testa la mia bocca trova la morbidezza delle sue labbra e si permette di accarezzarle arricciandosi in un bacio, mentre il mio corpo spinge, ancora più a fondo, all'interno del suo corpo.
Il suo calore mi conquista, vinto chiudo gli occhi e mi abbandono a lui senza provare ad arrestarmi, senza fuggirle via, e le sue unghie mi graffiano la schiena in una cupa protesta. Non mi ferisce, anzi, mi eccita, e tornando a fissarla il mio desiderio si centuplica.

<Ian ... ti prego>, mi supplica, forse di andare più veloce, forse di rallentare, non lo posso sapere perché non riesco a comprenderla, solo desiderarla, mio malgrado.

Afferro le sbarre di questa testiera, spingendo più a fondo dentro di lei fino a perdermi totalmente in un luogo che non ha più ragione, indefinito non conosce i confini ma preserva il suo stato di idillio a cui entrambi giungiamo in un sospiro, sentendo i nostri corpi decomporsi verso uno stato liquido, ingovernabili dalla ragione e ansanti nel loro calore che brucia menti e gesti, fino a renderci intangibili.

<Ian ... Ian>, geme, e la sua voce mi rimbomba dentro. I suoi occhi disperati e offuscati dal piacere mi leggono all'interno, mi cercano ed io non ho più scudi. Niente ulteriori parole con cui difendermi, solo il suo nome che mente e voce pronunciano disperatamente.

<Dafne ...>

Mi alzo a sedere di scatto precipitando nella luminosa stanza di questo hotel, con il cuore che batte a mille ed il corpo teso dal desiderio.

Passo una mano sul viso tentando di regolare il mio respiro, scacciando quelle peccaminose immagini dalla mia memoria.

Non posso credere a quello che è successo, ma il mio corpo sembra mostrarmi l'inevitabile prova.

Scosto le coperte e raggiungo il bagno togliendomi i vestiti. Apro il getto d'acqua regolandolo su una temperatura fredda e prima che il coraggio venga a mancare mi presento al di sotto di quella cascata tremando al contatto. Le mie mani si posano sulle piastrelle ed il mio sguardo si perde all'interno di quel colore. Inevitabile celeste chiaro. Poggio la fronte contro di esse, sfuggendo con il viso alle gelida corrente, e chiudo gli occhi alla ricerca di un principio di logica. Ma non c'è spiegazione o ragione a tutto questo. L'inconscio gestisce l'istinti, e forse, alimentando i sogni, anche gli inevitabili, quanto inconfessabili, desideri.

Il giorno illumina il verde giardino della villa Lee ricca, rispetto all'ultima mia visita, di inservienti accorsi da una parte all'altra per gestire la tosatura dell'erba e l'accoglienza degli ospiti, ma io li ignoro, spingendo il mio corpo a percorrere una strada sfortunatamente impressa nella mia memoria.
Mi domando quante volte ancora dovrò seguire il tracciato dei miei stessi passi. Le mie orme possono risultare quasi visibili su questo pavimento, venendo calpestate nei medesimi punti, fino ad arrestarsi di fronte allo studio del grande capo che adesso accoglie la mia richiesta di accesso con una voce altisonante.

<Avanti>

Afferro la maniglia e mi presento al cospetto del re.
Dalla sua scrivania in mogano scuro Richard mi sorride. Ha delle carte tra le mani e pensieri inaccessibili nella mente per quanto mi sembri più disposto in questa luminosa giornata a rendermene parte.

<Buongiorno Ian>

<Signore>

<Ti ho chiamato per avvertirti che tra pochi giorni ci sarà una nuova gara. Contatta tutti i nostri clienti, fai fare a loro le giuste puntate e vedi di arricchirci>

<D'accordo signore. Nient'altro?>

<Sarò via per un paio di giorni. L'aria in questa casa sta diventando insostenibile, non trovi?>

Eccome. Ma nemmeno provo a riferirlo.

<Un'ultima cosa: vorrei che anche la signorina Sokolov facesse la sua puntata. Ormai devi aver capito che a lei tengo molto, vedi di non deludermi>

<Aspira alla sua eredità?> Domando con impertinenza, ma Richard sembra lasciarmelo fare, divertito dal mio coraggio.

<Cerco sempre il guadagno, Ian, in ogni sua forma, e Illiya Sokolov è una miniera d'oro con delle bellissime chilometriche gambe che io non voglio veder fuggire via. Offrile dei giusti motivi per restare, e mi renderai particolarmente contento>

<Dove sta andando, signore?>

<Una cosa che devi sapere, ragazzo, dei piani alti è che le persone che vi soggiornano sono sempre state appoggiate da altre figure, particolarmente importanti. Come ogni anno vado a rendere loro grazie, garantendo che il governo che hanno contribuito a erigere si preserva forte e fiero, come non mai>

<Quali altre saranno le mie mansioni, oltre quelle dell'allibratore, in sua assenza?> Domando mentre Richard raduna tutti i suoi fogli racchiudendoli in una comoda ventiquattro ore, per poi voltarsi verso di me, pronto a partire.

<Ma nessun'altra! Ormai sei dei nostri, Ian. Sei un allibratore, un membro importante all'interno della nostra catena. Vedi di apprendere a fondo le nostre regole, tanto basta. Niente di più, niente di meno>

Analizzo una ad una le sue parole e abbasso gli occhi per sfuggire alla trappola dei suoi. Nel frattempo il mio capo recupera il suo cappotto e si appresta ad uscire di scena ma non prima che le mie parole lo arrestino sulla porta.

<Perché io?> Domando, a lui quanto a me stesso. <Perché ha accettato di avermi con sé?>

<Te l'ho già detto, mi pare, io e te ci assomigliamo. Forse ancora non lo vedi, ma è così. Siamo molto simili per quanto separati dal tempo. Mi rivedo nel tuo sguardo. Ma forse solo il tempo potrà mostrarci la persona che sei. Chissà se avremo la fortuna di constatarlo insieme. Sei un bravo ragazzo, Ian, non avrei potuto scegliere apprendista migliore>

Dovrebbero apparire come un conforto tali parole, avendo percepito la loro sincerità, ma sfortunatamente riescono a trasmettermi solo brividi, non essendo la prima volta che giungono alle mie orecchie.

Non è il solo ad aver costatato la nostra somiglianza. Molti altri si sono procurati di evidenziarla al mio cuore ferito e traumatizzato, ma la vera paura è sopraggiunta persino quando il mio intero essere ne ha preso di conto. Io e Richard Lee ci assomigliamo. Nella nostra fame siamo spiriti affini, ed io sono terrorizzato da questo demone che celato dorme al di sotto del mio strato di pelle, rifugiandosi nella placenta di una corazza che ancora non è stata scalfita da un trauma. Ma sento che ci vorrebbe così poco per raggiungerla. Solo un piccolo graffio per risvegliarla, e ciò mi pone in uno stato di allerta, mi fa credere ... che sia proprio il volere di Richard portarla alla vita.
Forse mi ha voluto per questa sola ragione: nè Monty nè suo figlio posso capire appieno la sua motivata solitudine, ma io si, io sono il solo a riuscirci, e l'essere tanto vicino nella mente a un simile mostro mi fa sentire sporco in egual modo.

Alle mie spalle la porta si chiude lasciandomi solo all'interno di questa stanza, nell'ufficio che forse, in un'altra vita, avrebbe potuto essere il mio.

Chiudo gli occhi sfuggendo a un pensiero simile, ed esco velocemente affacciandomi nel corridoio dove per poco non mi scontro con una figura più piccola, minuta e agguerrita, che dal basso mi osserva confusa.

Il fiato sfugge via mentre vengo sottoposto all'indagine degli occhi di Dafne, ed il sogno su di noi torna a bussare impetuoso contro le porte del mio animo, anelando di riprendere vita con tutto il suo peccato ma io lo intrappolo dietro un'espressione seria, ricordandomi solo il disgusto provato quel giorno.

Non sono stato io ad averla ma William, ed è per questo che adesso la biondina arriva ad arrossire.
E' imbarazzata ma non dovrebbe, probabilmente il loro genere di incontro è un evento che si svolge con normale routine, per quanto a me la sua frequenza, e  non dovrebbe interessarmi.

Apre appena la bocca per pronunciare una flebile parola ma non rilascia alcun suono e i miei occhi sono calamitati inevitabilmente verso quelle dischiuse labbra, rosee e morbide tanto quanto sono apparsi quel giorno i tesi capezzoli che la sua nudità mi ha mostrato, ed il calore torna ad incendiarmi le vene, ardendomi sotto la sua intensità.

Senza controllo i miei occhi scendono quindi anche lungo il resto della sua figura vestita di un abito viola pallido, ed il fiato mi si spezza nel rendermi conto che non indossa il reggiseno. Le sue forme sono chiaramente percettibili al di sotto della stoffa ed il suo spirito selvaggio alimenta il mio, che confuso e arrabbiato si interroga su quanto possa essere peccaminosa la sola vista del suo corpo. Dafne è bassa e magra tanto da risultare una bambina se non fosse per la maturità del suo viso, e delle forme che il suo corpo dona all'altezza dei fianchi, del petto, e delle gambe, tanto femminili da tramortire per la loro perfezione.

Prova nuovamente a parlarmi ma io non mi accingo all'ascolto.

Velocemente la supero ponendo quella visione alle mie spalle, mentre prego che il ricordo di questa vista non venga a perseguitarmi nel cuore della notte, procurandomi sogni che la mia mente non saprebbe giustificare.

P.O.V.
Dafne

Rimango immobile mentre lo vedo andare via, percependo ancora sulle labbra la frase che avrei voluto dirgli.

Il suo viso è parso così arrabbiato e freddo. Dall'alto della sua incomprensione Ian mi ha giudicata, mi impartisce la sua sentenza ed io tremo di colpa e timore una volta rimasta da sola, affranta dal suo giudizio tanto severo e pieno di odio perché io non lo possiedo.
Ricordo ancora la notte che mi ha protetta e nella mente preservo le sue parole.
Sotto le stelle Ian si è rivelato essere un altro uomo, più dolce e pieno d'attenzioni, la persona che non lo credevo essere ma che ora ha ottime carte per mostrarsi arrabbiata.

Per questo motivo sono esposta al suo vento gelido, tanto freddo da portare le mie braccia a intrecciarmisi intorno, per poter preservare quel poco di me che non è stato accarezzato dalla sua mano.

Serro le palpebre, cercando di proteggerlo, ma poco dopo le riapro per intrappolare ancora la sua immagine in lontananza. Gli occhi sono calamitati dalla sua figura tra la moltitudine di inservienti sparsi nel giardino, e non si allontanano da quelle spalle larghe che sembrano essere in grado di sorreggere i problemi dell'intero mondo, forse anche i miei, mentre quelle braccia che mi hanno stretta a se sembrano vietarsi di riconcedercelo.

Tento di non rimanere ferita da una simile freddezza, e costretta da me stessa allontano gli occhi dalla sua figura, tornando a fissare le campanule.

A fianco di questa finestra la pianta appare rigogliosa, il sole la illumina ... ma poi d'un tratto registro il cambiamento. Un petalo si stanca dalla corolla di un fiore e precipita raggiungendo il tavolo che per molto tempo lo ha sorretto, ed io osservo la sua inevitabile caduta, la sua morte come la peggiore delle sconfitte impossibile da prevedere, mentre quel piccolo frammento continua ad oscillare nel suo volo fino a privarsene per sempre, non possedendo più lo spirito del vento in grado di alimentarlo.

P.O.V.
Megan

Voglio credere che si tratti di un incubo. Che queste sirene blu e bianche non siano reali. Che questo nastro giallo e nero non vincoli nei suoi claustrofobici limiti un'area ristretta di queste scale.

Voglio credere ... che il nostro sogno non sia finito. Che i mostri non esistano. Che stiamo ancora ballano su di una pista che intona musica lenta.

Ma il grido di Celine non ha fine. Il suo pianto non conosce confine.

<Celine, ti prego, prova a respirare>, tenta di convincerla Nicole, ma il cuore di lei non la ascolta.

Piegata dal dolore si ribella in qualsiasi modo alla sua stretta, e il mio sguardo registra solo il colore del suo abito, le macchie che vi risiedono, macabre come il peccato.

<Cerca di concentrarti, Meg, non è così impossibile>, mi consiglia la voce di Kevin piegata in un sorriso, e all'interno di questa vuota stanza d'oratorio imito la sua gentilezza, fiera di esserne la preferita destinataria.

Tutto questo non può essere possibile, Kevin non può essersene andato ...

<Devi scegliere chi vuoi, altrimenti si troveranno entrambi a soffrire. Mi hai capito Meg? Chi ami?>, domanda con insistenza di fronte a una bollente tazza da the di questo bar, ed io non so rispondere alla sua domanda. Non l'ho mai saputo prima.

Risucchio l'aria all'interno del corpo come un fremito, ma non riesco ad ottenerle l'ossigeno.

<Ke .. tu vorresti un figlio da Celine?>

<Da Morisot? Certo ... certo che lo vorrei, vorrei una bambina che le somigli, o un figlio che mostri anche solo un minimo della sua assurda testardaggine contro cui ho lottato per una vita, ma non è il momento, adesso ...siamo distanti, ed io voglio esserci sempre, in ogni momento della gravidanza. Voglio essere la persona da chiamare alle tre di notte perché svegliandosi con la fame le è presa voglia di cioccolata, e non avendola in casa mi obbliga a comprargliela. Voglio tutto Meg, tutto>

Il contraccolpo di simili parole mi lascia senza fiato mentre l'urlo di Celine giunge alla sua fine. Il ricordo stringe il mio corpo in una morsa e d'improvviso sono obbligata a correre verso il bagno.

<Megan! Megan!> Urla la voce di Nicole richiamando l'attenzione su di me, ma come Morisot non le presto attenzione. Sollevo il coperchio del wc ed inevitabilmente vomito, ingovernabile nelle reazioni del mio corpo, e in quegli spasmi se ne vanno via ricordi di dolore, ingestibili rimembranze che il mio animo non sostiene.

Terminata la morsa retrocedo strisciando all'indietro per terra e asciugandomi la bocca con della carta. Arrivata a scontrarmi con il muro getto indietro la testa, ciondolandola contro la parete vinta dal dolore, gli occhi sollevati verso il soffitto che lasciano andare le lacrime mentre le orecchie odono le proteste nella stanza accanto di una moglie ferita, con un rosso abito da sposa.

<Mi aveva promesso una vita insieme, Nicole! Me lo aveva promesso!> Grida, e la mia amica tenta in tutti i modi di calmarla mentre io sono nascosta dietro questa parete, patetica nel non riuscire a portare consolazione, distrutta nello stesso modo nel profondo a causa di qualcosa che non sono riuscita a prevedere.

<Celine ...>, sussurra Joseph accorso sulla scena, e sento i passi veloci di lui raggiungerla.

<Lasciami stare>

<Celine, ti prego, ti prego ... prova a respirare>

<Me lo aveva promesso! E adesso è morto. E' morto!> Urla a gran voce facendo rimbalzare la sua protesta contro la divisa della polizia. Inclino la testa vedendo il sopraggiungere di Carlail sulla scena, proveniente dalle scale, e priva di forze lascio che i nostri sguardi si incontrino, l'istante prima che l'ispettore raggiunga la viva vittima.

<Signorina, deve raccontarci come è andata>

<E' signora, adesso>, nota Joseph con rammarico, e un sussulto di orrore smuove Celine in un singhiozzo.

Anche Caleb ci raggiunge, per quanto mi sia impossibile vederlo. Sento la sua voce, e a quel suono chiudo gli occhi.

<Ci penso io, Carlail>

<Sei sicuro?>

<E' una mia amica, ci penso io!>

<D'accordo ...>

<Celine ... guardami>, le ordina dolcemente, ed io me lo immagino dietro questa parete in ginocchio dinanzi a lei, con le mani tra le sue.

<No ...>

<Devi raccontarci cosa è successo, ti prego>

<Era sulle scale. Il suo corpo era steso ed aveva impiantato un cazzo di pugnale!>

Serro ancora le palpebre mentre la visione di quella scena si fa vivida nella mia mente.
La voce di Celine viene attutita dall'accostamento al petto di lui, e le parole di poco dopo risultano più tenui.

<Caleb, ti prego ... mi sembra di impazzire, è tutto un incubo. Dimmi che non è morto. Dimmi che non è andato via>

Ma lui non può farlo, perché l'ambulanza a piano terra non ha preso con se un ferito. Ha trascinato sulla barella la sacca nera di un morto, e quella visione era stata l'affronto peggiore che potessimo ricevere.

<Li incastreremo Celine, te lo prometto>

Con queste parole sono costretta anche io a rialzarmi da terra, spingendo il mio corpo tremante fino alla stanza accanto dove una fila di sguardi si solleva verso il mio ingresso, ed io mi unisco al gruppo dei miei amici. Attorno a Celine formiamo un'inevitabile cerchio al quale si unisce anche Nicolas accorso sulla scena, immobile per qualche istante ma poi subito parte di questa unione, e un'istante dopo siamo di nuovo stretti in un unico e sofferente abbraccio, quel legame avuto l'ultima volta con Kevin, e che adesso manifesta la sua presenza come il più duro dei colpi.

I poliziotti continuano a marciare indifferenti all'interno di questa casa, segnalando i punti in cui il sangue è presente, soffermandosi all'esterno sul pianerottolo, ma la nostra stretta è uno scudo che ci difende dal loro passo, isolandoci dal resto del mondo per lunghi istanti.

Il conforto offerto fa smettere Celine di piangere, riportandola tra di noi, e quando ci allontaniamo una mano rivestita da un guanto di pelle della polizia tende l'indizio di una carta, in direzione della nostra amica.

<Mi scusi, ma questo è stato trovato tra i vestiti dell'uomo. Non sono state ricavate impronte se non quelle della vittima quindi non sarà utile alle indagini. Si tratta di un discorso>

E Caleb riconosce la piegatura della carta e sbianca di colpo. Sia io che Celine lo notiamo e d'un tratto comprendiamo la sua natura.

È il testo scritto da Kevin per il matrimonio, lo stesso che non è riuscito a leggere a causa dell'emozione ma che si è preservato, imprigionato dall'inchiostro.

Celine lo afferra e il poliziotto si allontana, ma la carta rimane celata nella sua trama quando Morisot si rivolge a noi.

<Non so se sono pronta per leggerlo>

<Capirai da sola quando è il momento>, la conforta a voce bassa Nicole, cercando di consolare il suo inevitabile stato di shock, confortandola con una carezza leggera. <Adesso però dobbiamo togliere questo vestito e andare a casa>

<Non posso ...>

<Morisot>, la richiama, ma quel nome fa uscire un lampo di dolore dagli occhi di lei, e Nicole comprende il proprio errore. <Celine ... dobbiamo, la polizia ha bisogno di ricavare indizi>

<Non posso lasciarlo>

<Ora lui non è qui, Celine, ma possiamo raggiungerlo. Andremo insieme da lui, dopo che ti sarai cambiata questi abiti>, afferma ed io distrattamente vedo la mia amica annuire prima che un ulteriore piccolo foglio, ripiegato e in lontananza, in cucina, attiri il mio sguardo e mi richiami a se.

<D'accordo>, sussurra Celine, rimanendo immobile alle mie spalle mentre io raggiungo quella carta.

<Bene, forza, alziamoci e usciamo da qui ...>

I loro passi mi avvertono di quella piccola conquista ottenuta e l'allontanamento di Morisot da questo centro di dolore, poi le parole di Jospeh e Nicolas si mescolano tra loro mentre Caleb parla con due dei poliziotti, pregandoli di poter avere a carico il caso, non appena sarà necessario un interrogatorio.

Forse questi accettano sotto il giudizio del comandante capo, non posso saperlo, perché adesso sono giunta fino a questo punto d'attrazione e non riesco ad udire niente.

Il biglietto è ripiegato in due sotto il basamento di un bicchiere pieno d'acqua. Tremante afferro la carta rimasta vittima della circolare macchia del liquido contenuto e la dispiego nel disordine generale.
La grafia che mi raggiunge è uno schiaffo in pieno viso così come le parole che riporta.

"Il miglior bicchiere d'acqua di tutta la mia vita.
A presto, cameriera.
W.L.D."

In un pugno accartoccio quel foglio torturandolo nella stretta, e l'attimo dopo sto già correndo per le scale.
La voce di Caleb mi richiama ma è una supplica che non colgo. I passi di lui si sommano alle mie spalle a quelli dei miei amici rimasti, mentre scendo sempre più veloce fino al raggiungimento del piano terra, la strada, dove Carlail al quale in un'istante rubo l'arma dall'interno della fondina.

Tendo la pistola contro la sua nuca, e il gruppo di poliziotti intorno afferra la propria mentre il capo si volta, sollevando le mani.

<Abbassa l'arma!>

<Lascia la pistola subito!>

Mi ordinano diverse persone indivisa nel limitrofo intorno, ma dietro le mie lacrime non posso capire chi sono. Nel frattempo i passi alle mie spalle si sono arrestati, e tra i singhiozzi torno a sentire la voce di Caleb.

<Megan ... ti prego abbasso l'arma>, mi scongiura, rimanendo ancora inaccessibile alla mia vista, ferma sul capo della polizia.

<Non posso>, spiego, tenendo più stretta la pistola. <E' tutta colpa sua>

<Megan, per favore, lascia la pistola>, si aggiunge a quel coro di preghiera Nicolas, ma la sua richiesta non ha valore. Ancora meno ne ha quella di Carlail.

<Megan ...>

<NO!> Urlo contro di lui, e le lacrime mi abbandonano, schiarendo la visione della scena rendendola più nitida.

<La colpa è sua, avrebbe dovuto proteggerci. Avrebbe dovuto fare il suo lavoro fin dall'inizio risparmiandoci questo dolore>

<Non sono stato in grado, non sono riuscito a farlo ...>

<Mente, lei non ha voluto! Non si è impegnato minimante, non ha nemmeno pensato di provarci!>

Il popolo del South Side si è radunato intorno a questa patetica scena che vede ancora la polizia puntarmi infinite canne di pistole contro, e i miei amici supplicarmi di retrocedere, pentendomi della mia decisione, ma io non posso farlo, non posso perché io più di tutti avevo creduto in una speranza, io più di tutti avevo esaltato il valore della nostra supremazia e libertà, mentre adesso mi trovo con questo dedicato messaggio in una mano, destinato alla mia sola lettura essendo l'unica in grado di decifrarlo e capisco che William avrebbe potuto firmarsi nella sua interezza e non sarebbe servito a niente, non serve mai a niente.

Uno di questi proiettili intrappolati nel proprio ferro potrebbero partire da un momento all'altro nella mia direzione, pagato dai suoi soldi sporchi, e nonostante tenga stretta tra le mani la prova della sua colpevolezza apparirà inutile, anzi forse scomparirà del tutto dal mio freddo cadavere, perché William è in grado di fare anche questo, di togliere l'anima a un corpo già morto e disteso sull'asfalto, e Carlail glielo concede. Gli permette di fare qualsiasi cosa, senza mettersi di traverso.

<Perché non funziona niente in questa città? Perché dobbiamo vivere così?> Domando in un sussurro inutile mentre vedo le mie mani tremare stringendo l'arma. <Perché la polizia non fa niente? Perché non esiste la legge?!> Grido e la mia voce subisce un crescendo di tono fino a raggiungere l'ultima fila delle persone riunite intorno, obbligandoli a tenere il viso alto, direzionato verso le forze dell'ordine che non forniscono spiegazione, niente di niente.

La mia mano ancora trema, ma un'altra da dietro, conosciuta e dolce, la sovrasta, ponendosi al di sopra di lei e dell'arma, e a quel punto la voce di lui torna a sussurrarmi nell'orecchio, accarezzandomi con il suo tono il cuore finché quello, impaurito, non la smette di nascondersi.

<Se userai questa pistola sarai come tutti loro, e niente distinguerà te dai criminali>, mi avverte Caleb, e dolcemente mi costringe ad abbassare la linea di tiro della canna fino a terra. <Noi possiamo fare meglio, possiamo essere migliori>. Puntata ormai verso terra l'arma risulta inoffensiva nonostante mantenga la mia stretta, ma con un'ultima frase Caleb si procura di farmi abbandonare anche essa, allontanandomi per sempre dalla precisa mira della polizia. <Possiamo imparare dai loro errori. Possiamo ottenere giustizia>

Le lacrime tornano scuotendomi più forte di un terremoto e rendono incontrollabile il mio corpo, d'un tratto addolcito dal contatto con il suo. Le mie dita vengono sostituite da quelle di Caleb che si procurano di riprendere la pistola e rimettere la sicura tolta, per poi gettarla a terra, tra noi e Carlail.

Il suo corpo rimane dietro il mio e a lui mi appoggio compiendo un piccolo passo indietro, arrivando contro il suo torace. Poso una guancia sul suo petto, lontana dal suo viso, ed il mio sguardo bagnato di lacrime si sposta su un punto preciso della folla nella quale rivedo conosciuti occhi di un verde intenso, immobili nei miei.

Damien a braccia conserte si è reso spettatore della mia patetica scena ma non sembra giudicare il mio dolore.

In questo solo preciso istante rivedo nello sguardo del mio amico, di mio fratello, del mio compagno di giochi il sostegno e la complicità di un tempo, rivedo lui, e capisco il motivo per il quale non è riuscito ad andarsene, prendere le valigie e allontanarsi con la donna della sua vita verso l'idillio di una nuova.

L'amore per questo posto, vestito nei panni della speranza, nel suo corpo si è frantumato anni prima ed ora Damien convive con quei cocci rotti. Lotta con tutto se stesso per riuscire a riaverli insieme ma può essere stato tutto vano, può esserlo se solo i suoi occhi non si fossero alimentati vedendo lo spettacolo che gli avevano offerto i miei, facendo tornare il respiro di un ricordo disperso nel tempo.

Damien non se ne è mai andato, ma adesso è tornato ad essere quello di un tempo, ed il suo cuore non potrebbe essere più forte.

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