7- Comandato dai tuoi fili
I miei due amici hanno gli occhi spalancati, sorpresi di trovarmi qui, mentre tengono sulle loro spalle, rispettivamente a testa, un braccio di lui, ed io non esito oltre. Afferro il mazzo delle chiavi recuperando la sua, e mi occupo del portone lasciandoli passare. Tremo, mentre tento di aprirlo, ma per fortuna ci riesco e una volta in casa sua mi guardo velocemente intorno, per accertarmi che veramente non ci sia nessuno.
<Megan ... noi...> inizia Joseph ma io non lo lascio continuare.
<Andate, posso cavarmela>
<Meg!> esclama Nicole, spazientita, ma so la verità: lui non accetterebbe mai il loro aiuto, o la loro pietà. Non accetta nemmeno la mia ma ormai sono diventata brava a non rivelargliela.
<Non sono niente, solo due graffi>, rispondo come risponderebbe lui per farli uscire da qui, ma aspetto che la voce smetta di tremarmi per poter continuare. <Ho la cassetta del pronto soccorso e l'acqua ossigenata ... posso riuscirci da sola>
Meg annuisce, seppur stringendo le labbra in un dissenso. <Va bene, come preferisci allora>
<Ma Nicole!>
<Andiamo Joseph, abbiamo fatto la nostra, adesso tocca a lei>
<E va bene! Come volete voi!> gira i tacchi e si volta per primo senza discutere ancora, e lei lo segue, lanciandomi uno sguardo apprensivo. Poi la porta si chiude.
Caleb è appoggiato con una spalla e la testa al muro del corridoio d'entrata, vestito di un nero sporcato di sangue, colante dalla faccia.
<Non ho bisogno nemmeno di te. Puoi andartene>
<Nemmeno se mi pregassi>
<Vuoi proprio sentirtelo dire eh? Non. Ti. Voglio. Qui> scandisce le ultime parole, giusto per ferirmi. Non mi importa, lo faccia a pezzi il mio cuore. Si tratta di una delle sue solite barriere, e io sono troppo stanca per combatterla.
<Cosa c'è? Sei masochista? Ti piace sentirti rifiutata?>
Vado alla ricerca della cassetta che provvidenzialmente ho lasciato nel suo bagno, e la trovo sotto il lavandino. La sua mano mi blocca il polso, ruotandomi verso di se.
<Dico seriamente, vattene da casa mia>
<Quindi è così che funziona? Ti metti a dare ordini adesso? Entri in casa mia, ci mangi, ci dormi, ti ci lavi ed ora io non posso restare qui nemmeno per un minuto?> quasi lo urlo in modo da sfogare la mia rabbia, ma lui sembra non starmi a sentire.
Mi sfiora il fiore posato ancora sopra il mio orecchio e scende con gli occhi fino al mio volto.
<Dove sei stata?>
<Non risponderò a questa domanda>
<Allora vattene, non mi servi>
<Seriamente Caleb?>
Si trascina per la parete andandosene. <Si seriamente>
<Neanche ti reggi in piedi, cosa credi di fare? Quelle ferite vanno curate>
<Chi sei, mia madre? Fai la crocerossina a Ian, lui si che ha tanto bisogno delle tue attenzioni>
Vedo solo rosso. La testa mi scoppia.
<No, non sono tua madre, ma vorrei tanto che tu ne avessi avuta una vera che non ti trattasse come uno straccio da terra perché così sapresti cosa vuol dire prendersi veramente cura di qualcuno, e mi lasceresti fare!>
<Come prego?> si volta lentamente lanciando fiamme.
<Hai capito bene, tu non sai cosa vuol dire prendersi cura perché se così fosse saresti stato in grado di prevederlo!> Ormai ho raggiunto il punto di non ritorno, non riesco più a ragionare. <Se tu avessi parlato anche solo una volta di problemi con lui prima che te lo ammazzassero sapresti cosa vuol dire amare! Tu non cerchi confronto ma prevaricazione, allontani tutti credendo di farcela sempre da solo, perché gli altri non sono alla tua altezza mentre continui la tua estenuante corsa verso l'apice di una montagna di problemi che ti sei costruito da solo, sulle spalle degli altri! Sei solo rabbia, odio, e un terreno tanto arido da non far crescere nemmeno quel germoglio di bontà che mi darebbe la speranza un giorno di vederti diverso! Non sei in grado di amare, perché nessuno ti ha mai amato!>
Le corde vocali mi fanno male da quanto la mia voce è salita di tono, ma niente sarà paragonabile a quello che sento subito dopo, all'altezza della nuca, all'altezza del petto, quando la sua mano mi afferra il collo, schiantandomi con le spalle alla parete, fino a farsi più vicino di un respiro al mio volto, gli occhi verdi assurdamente glaciali.
<Se tanto mi disprezzi ...> parla a voce bassa, un timbro che mi intimorisce, più di quando lo sento urlare <... perché sei ancora in casa mia? Qual è il tuo piano ragazzina? Ian è rimasto sul pianerottolo? E' con lui che eri? Resti qua dentro perché vuoi lasciarlo fuori a immaginare cosa sta succedendo in queste quattro mura?>
Le sue mani corrono lungo il mio corpo, provocandomi brividi di freddo.
<Se è così hai sbagliato approccio, l'immaginazione è pericolosa e crudele ma ancora di più lo sono le certezze. Posso scoparti qui in piedi, su questa parete, con tutti i vestiti ancora addosso, e farti emettere dei gemiti capaci di raggiungere le sue orecchie, quelle del vicinato, per far sapere a tutti che stai godendo di me, mentre mi tieni dentro ... di questo mostro senza cuore capace solo di prendersi il tuo corpo, esentando la tua mente, ma che ha trovato una belva persino più malvagia di lui che gioca con i cuori della gente, sbranandoli a morsi, facendosi scorrere il sangue lungo le mani ...>
Raggiunge il mio seno, racchiudendolo a coppa, incendiandomi. I suoi occhi verdi seguono ogni mia espressione, mentre obbligo il mio corpo traditore a non rispondere, ferito dalle sue parole.
<Te la fai con entrambi?>
Un pugnale che colpisce in pieno al centro del mio petto, battendo la mia freccia intrisa di veleno. Delle mani viscide e nere che afferrano la massa informe delle mie paure, delle mie incertezze, portandole a galla.
La mia di mano, ignobile, testarda, che corre ad attaccare, e che si schianta sul suo volto, già in parte ferito.
Nemmeno gli ho chiesto cosa è successo, ho subito attaccato, senza curarmi dell'occhio nero ma non ancora gonfio, del taglio sulla sua guancia destra, del labbro spaccato ... ma lui non è stato da meno.
Lo schiocco del mio colpo risuona in quel piccolo bagno, e la sua testa si volta di conseguenza, al seguito.
Rimane immobile in quella posa per un tempo infinito, e è lento il movimento che lo porta da me. Sono incastrata dal suo corpo contro la parete fredda delle mattonelle, non ho via di scampo alla furia che scorgo ... e che gli bagna il dolce verde dei suoi occhi, intenti ad uccidermi. Di colpo il tempo si affretta, facendomi perdere la partenza delle sue mani.
Corrono al bottone dei miei jeans aprendolo e subito dopo si occupano della cerniera, che una volta giù, permette il cedimento al seguito della sua forza, in prossimità dell'orlo, dei miei pantaloncini, lasciandoli cadere a terra. In un attimo mi trovo con addosso solo gli slip e la maglia leggera di flanella, ma non posso fare niente perché le sue mani mi hanno afferrato le cosce, costringendole a cingergli la vita.
Mi viene da piangere, riesco a urlare: <Caleb no!>, sperando che questo lo porti da me, ma so già che non sarà possibile perché con le mie parole l'ho ferito troppo nel profondo. Adesso vuole dimostrarmi che veramente non è in grado di amare, e che è capace di colpirmi più a fondo di quanto io sarò mai in grado di fare con lui.
Le lacrime mi scorrono mentre sento che si slaccia la cintura, protesto e scalpito in tutti i modi, impedendogli di ferirmi: perché non posso perdere la mia verginità così, con lui in questo stato, penetrata dalla rabbia, piuttosto che dall'amore.
L'altra sua mano riesce a superare lo strato di stoffa a coprirmi il seno, e quando sento la sua pelle raggiungere la mia vorrei uccidermi, in un qualsiasi modo, perché non provo ribrezzo. Al contrario, non percependo un'imposta forza, il mio corpo reagisce da traditore, ma non voglio che lui se ne accorga più di quanto fa già, sentendo contro il suo palmo il mio capezzolo rigido dalle sue attenzioni.
Chiudo le mani in dei pugni che corrono a focalizzarsi contro il suo petto, cercando di allontanarlo il più possibile da me, mentre le lacrime mi scorrono ancora come fiumi lungo il volto, tanto da impedirmi anche la vista ... Però lui si stanca presto, e finito di trafficare con la cintura usa la mano libera per bloccare i miei colpi, e portarmi le mani al di sopra della testa. Incredibilmente esposta alla sua volontà, ma non ancora completamente: la destra lascia il mio seno e mi afferra il mento, tirandomi ancora più vicina al suo volto.
Non può prendersi tutto così.
Non può guadagnarsi le nostre prime volte macchiandole di odio.
Non può volere anche il nostro primo bacio.
Se mi bacia adesso non glielo perdonerò mai. Se posa le sue labbra contro le mie, marchiandomi con la sua lingua, dopo tutte quelle volte che ci siamo andati tanto vicini ma ci siamo astenuti, tutto il nostro passato si chiuderà qui. Non mi avrà mai, se non per questa volta in questo mal illuminato bagno, se non ora che tenta di prendere il predominio sul mio corpo con la forza mentre provo in tutti i modi a non lasciargli niente del mio cuore, affinché non mi distrugga.
<Ti sei decisa adesso ... a voler andare via?> pronuncia, e quella frase mi riporta a terra, mi riporta di fronte alla sua barriera. Quello che ho visto al di là mi ha fatto paura, ma ora sono tornata dalla giusta parte di questo muro, e posso ancora graffiarlo con le unghie.
<Non mi muoverò da qui. Se avermi così è quello che vuoi allora fallo, non mi darai che ragione quando dico che non sei in grado di amare. Ne me, né tanto meno te stesso>
Rimaniamo immobili.
Le mie gambe ancora gli circondano la vita.
Le sue mani sono occupate a stringere le mie in alto, e a tenermi fermo il mento.
Contro la stoffa, sento i capezzoli tirare, il corpo flettersi involontariamente per abbracciare il suo.
Eppure combatto con tutta me stessa per mantenere quell'espressione sicura assunta dai miei occhi, svuotati dalle lacrime. Lotto affinché anche lui desista e mi lasci andare ma so già che lo farà, perché io sono solo una piccola bugiarda in cerca di attenzioni: lui ama, incredibilmente tanto.
Ama sua madre, e in un modo contorto come è solo il suo mondo so che quel sentimento è ricambiato, ama me, in un modo suo, nostro, tanto da farci infuriare e ferirci quasi fino a morire, e amava troppo il fratello, altrimenti non avrebbe sofferto fino a questo punto ... altrimenti non saremo arrivati fino a questo.
Le mie mano tornano libere e riescono ad allontanarsi dalla parete mentre le mie gambe sono sollecitata a scendere dai suoi fianchi, tutto mentre mi guarda negli occhi che adesso sono ... diversi, di nuovo miei, di nuovo senza scudi e fragili, come so che è la sua anima.
Una volta libero vuole voltarmi le spalle, ma non glielo permetto. Sarei una ragazzina senza colonna vertebrale se gli impedissi ancora una volta di scappare da me, dopo tutto quello che mi ha fatto, ed io non lo sono: io lotto per le mie idee, per il mio cuore, per la mia vita. Per quello in cui credo, e credo, credo da sempre, in lui.
<Voglio sapere chi ti ha fatto quei lividi>
<Megan ... come puoi ...>
<Parlami>
<Non voglio farlo, non adesso>
<Caleb ...>
<Cazzo Meg guardati! Come puoi chiedermelo ora? Come puoi chiedermelo ancora?!>
Mi fisso il corpo seminudo e noto sulle mie gambe il segno evidente delle sue mani. Lui sembra nauseato ma a me non interessa, e glielo dico apertamente.
<A me si!> risponde, <A me si dal momento che ci facciamo solo del male, sempre!>, respira, un respiro rotto, mentre non riesce nemmeno più a guardarmi per lunghi istanti in faccia. Forse perché anche lì ci sono segni del suo passaggio.
<Come può non interessarti? Questo tuo carattere ... mi fa impazzire, riesce a mandarmi fuori di testa, ogni volta. Bastava solo che tu te ne andassi da quella porta e invece mi porti sempre a reagire, a farti male>
<Sono stati altri stavolta a farne a te, e voglio sapere chi sono>
Scuote la testa e mi si avvicina, sfiorandomi con il naso la guancia.
<Non te lo dirò adesso> soffia a voce bassa, <ma se veramente mi vuoi ... se ti interessi a me ... allora resta. Ti prego resta e non andartene via. Te lo chiedo questa volta, non l'ho fatto mai, ma dopo oggi ... Dopo questo ho bisogno di sapere se ancora una volta sei abbastanza forte da rimanere con un mostro come me>
<Tu non sei un mostro>
<Allora rimani e dimostramelo. Io vivo tirato dai tuoi fili, Meg. Credo in ciò che mi dici, per questo reagisco quando mi fai del male, ma se ... se mi dimostri che non è vero allora io ci crederò. Basta che me lo dimostri Meg ... dimostramelo e io ci crederò> sussurra sul mio collo, dove lascia un schiera di lenti baci, uno di seguito all'altro, senza malizia, che sembrano più un modo per tentare di guarirmi che per incendiarmi, ma non posso impedirmi di farlo.
Non dopo il modo con cui mi ha toccata, non dopo che il corpo risente ancora del suo passaggio.
<Caleb ...> sospiro, chiudendo gli occhi godendomi i suoi baci, ma non voglio essere sola su questa nuvola. Voglio dimostrargli ciò che mi richiede, voglio fargli capire che è amato e che è in grado di amare, che non è uscito distrutto da quella morte, che il germoglio che ho screditato vive da sempre dentro di lui ed è un bellissimo fiore.
Per questo, vietandomi di far altro per non soffrirne io stessa, mi decido e bacio le sue ferite, sfioro il profilo caldo dei suoi tagli, spazzo via il dolore, e lo riporto a me, per sentirmi meno sola, perché sono maledettamente, incorreggibilmente egoista e lo voglio con me, non gli permetterò di scappare, di farsi del male, di soffrire, perché non se lo merita.
Conoscevo un bambino pieno di allegria, che sorrideva dall'altro lato di un marciapiede, in un modo tutto buffo che me lo faceva analizzare, poi il mondo si è messo in mezzo, e aveva tolto a quel bambino la felicità. Voglio ridargliela e riavere il mio bambino, perché dopo anni so per certo di non poterne stare senza.
Sfioro tutte le sue ferite, evitando quella del labbro, e torno con gli occhi ai suoi, velati da delle lacrime.
<Adesso curerò questi tagli come avrei già dovuto fare quando hai superato la porta di questa casa, ti cucinerò cena e dopo, se vorrai, parlerai con me, riguardo agli aggressori. E spero che tu lo faccia perché non sopporto quando mi nascondi le cose>
<Megan io ...>, poso un dito, senza emettere troppa pressione, sul suo labbro spaccato.
<Non adesso, adesso mi occupo delle ferite. Dopo parliamo>
Ed è così che faccio, mantengo tutte le mie promesse. Lavo persino i suoi vestiti, specie la sua maglia, e mi fermo di fronte al lavandino, immobile alla vista del sangue che macchia la trasparenza dell'acqua. Tutto questo avvolta in altri suoi vestiti, recuperati dall'armadio. Non ha sopportato di vedermi mezza nuda, piena dei suoi segnali, non mi ha lasciato recuperare i jeans corti e mi ha preceduta con quei nuovi abiti, che ho accettato senza protestare.
Adesso però abbiamo terminato di cenare, siamo di fronte a una tavola sgombra senza più niente da fare, senza piatti da pulire o altre mansioni da svolgere che occupassero il tempo per ritardare quell'istante.
<Si chiama William, il capo dei figli di papà. Sono tornati all'officina, volevano dare una lezione. Io non ero ancora arrivato perché non ero di turno, hanno trovato solo Joseph, ma era me che cercavano così lo hanno lasciato perdere e si sono occupati del resto. Hanno distrutto tutto quello che avevano a tiro, causando dei danni consistenti all'attività, per poi passare a me, non appena mi sono affacciato sulla scena.
Il capo non c'era, quel William non era presente, c'erano solo i suoi scagnozzi, ma è il nome di lui che mi hanno sputato in faccia andando via.
Non torneranno tanto presto perché hanno degli affari urgenti da sbrigare, a detta loro: io credo che sia perché nessuno può fare ciò che vuole, nemmeno i ricchi, fino a un certo limite, e se avessero continuato ad attirare l'attenzione qualche ... poliziotto ... sarebbe venuto a cercarli. E forse li avrebbe messi nei guai>
Mi ero immaginata tutto questo. Rimango impassibile mentre aspetto il resto.
<C'è altro?>
<Il capo mi ha licenziato. Attiravo troppi guai e ha preferito tagliare il problema alla radice, nonostante sia una vita che lo conosco e sapesse quanto mi servissero quei soldi>
<Vieni da me>
<Come?>
<Vieni da me, al ristornate, a servire ai tavoli. Nino cercava nuovi camerieri per la stagione. Vieni da me e non farti più vedere in un'officina>
<Equivarrebbe al nascondersi> ringhia.
<No significherebbe mettersi in salvo, almeno finché la situazione non si farà più tranquilla. Dimmi che ti sta bene, e già da domani mattina chiederò a Nino se puoi servire a pranzo> attendo per parecchio prima di vederlo annuire. Sorrido felice e mi alzo da tavola per poter spegnere il gas e chiudere tutto.
<Megan ... io volevo chiederti scusa, per ciò che ho detto su Ian, e su di te. Non volevo mancarti di rispetto io non pensavo ...<
<Va bene, Caleb non importa, lo so già> ma lui non si ferma, non qui.
<La verità è che invidio il rapporto che avete, da sempre ... crescendo mi sembravate due gemelli, a fare sempre insieme le stesse cose, a muoversi con gli stessi passi, a coltivare le stesse passioni, la stessa curiosità, e mi chiedevo se ci fosse mai stato un modo per me di entrare in quell'intreccio che vi teneva stretti, senza apparire ... di troppo, visto che ero così diverso e ... agli antipodi, di tutto ciò che vi poteva interessare>
<Ci sei riuscito Caleb, sia io che Ian ti vogliamo bene, e so che anche tu ne vuoi a lui. Non hai niente di cui farti perdonare>
L'imbarazzo cattura il momento quando per la prima volta, finita la cena passata insieme, non so cosa fare, in piedi nella sua cucina, per niente riparata al suo sguardo dalle pareti della mia casa, dalle mie faccende che mi permettevano di girare come una trottola.
<Vuoi restare?>
<Ho sveglia presto domani mattina, devo andare al ristorante già alle sette perché apre il bar e ...>
<Resta. Non mi importa della sveglia. Resta con me>
<Qui?>
<Mia madre non torna, è andata da dei parenti, non ti farà scenate>
Sorrido mentre mi passa davanti un recente ricordo. <La mia ti ha visto scappare via come un ladro>
<Dovevo andarmene, Kevin voleva che lo raggiungessi in città>
<Cosa dovevi fare?>
<Si era dimenticato le slide della lezione, ed ero il solo oltre lui a poter prendere una macchina e arrivare in città>
<Un ultima azione non propriamente autorizzata prima del tuo definitivo licenziamento> ci scherzo su, e riesco a farlo sorridere.
<Più o meno, si>
<Va bene allora ... Ti aspetto di la>
<Tua madre è ancora a lavoro?>
<Si perché?>
<Così l'avverto che stasera non rientri>
Non capisco cosa intende, finché non tira fuori un cellulare. <Che cosa? E quello quando l'hai comprato?>
<Ce l'ho da un po' mi serviva per lavoro>
<E non mi hai detto niente? Da qui> apro il palmo della mano una volta arrivata nuovamente al suo fianco. Le sue labbra si arricciano divertite. Possibile che sia sempre così la nostra giornata? Prima a litigare e la sera a ridere, a sorriderci, come due deficienti?
<Sicura di volerlo fare?>, chiede allungandomelo.
<Troverò i numeri delle troiette da una botta e via salvati in rubrica come tizia uno, due, tre e via dicendo?> Non mi risponde ma continua a sorridere, aspettando che lo faccia da sola. Forse non voglio. <Ad ogni modo non so neanche come si accende questo coso, quindi riprenditelo pure, ti aspetto di là>
Arrivata nella sua stanza mi metto dentro il letto in un baleno, per voler chiudere questa giornata il più in fretta possibile, ma non riesco ad addormentarmi, troppi pensieri, ed esorcizzato Caleb rimane sempre il fantasma di William a volteggiarmi intorno. Non posso rivelare che è venuto persino da me al ristorante, ciò che posso fare è pregare che non lo faccia più, perché Caleb sarà lì con me, a lavorare al mio fianco.
Il letto si inarca sotto il suo peso, forse crede che stia dormendo. Rimango ferma nella mia posizione ad occhi chiusi continuando a farglielo credere, e lo sento avvicinarsi. Le sue braccia nude mi circondano, il suo petto batte contro la mia schiena, e lui mi stringe a se, forte, come a voler scacciare la paura. Le sue labbra sono perse tra i miei capelli sciolti e un attimo dopo premute sulla mia testa, a lasciarmi un debole bacio.
Con quello mi addormento, ed è un rimedio abbastanza potente da spazzare via tutte le preoccupazioni del giorno.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top