67- Il mulino al tramonto
"Vorrei che fossimo farfalle e vivessimo tre soli giorni d'estate – tre giorni così, con te, sarebbero più colmi di delizie di quante ne potrebbero contenere cinquanta anni di vita ordinaria"
John Keats
P.O.V.
Megan
Vorrei trovare una scusa plausibile ma so bene non esistere. L'umore e la stanchezza non giocano mai bene le loro carte lasciando il posto al destino affinché comandi il giudizio, e una promessa fatta è legge, sentenza imprescindibile che mi obbliga a mantenere fede al giuramento di un impegno promesso molte settimane prima, appartenenti a una vita nella quale ero solita sorridere.
Ora di lei non rimangono che ricordi, e il suo memoriale non è altro che un sordo fischio di silenzio, quell'insostenibile stato mentale nella quale è imprigionata la mente, priva di pensieri e pulsioni ad animarla per tenerla in vita.
Non è rimasto niente da quel vuoto, o almeno all'apparenza.
Forse al di sotto di quel prolungato suono continuo vi è ancora altro, ma risulta intimorito e rannicchiato carponi al di sotto del raggio laser che produce rumore, e non ha abbastanza coraggio per uscire allo scoperto.
Lo lascio continuare a vivere nel suo nascondiglio, certa di preferire l'assenza di emozioni e ricordi rispetto a una confusione generale in grado di sradicarmi il cuore.
Se ancora è rimasto intero dopo la visita fatta in ospedale due giorni fa.
<Allora Megan? Che mi dici, verrai?>
La fiducia negli occhi di Meredith destabilizza maggiormente la mia incertezza, incline al rifiuto.
<E' un'occasione molto importante, vorrei che foste tutti presenti>, prosegue febbricitante nell'attesa, e alle sue spalle mia madre annuisce comprensiva, dandole man forte.
<Ma certamente, il matrimonio si festeggia una volta sola e deve essere tutto perfetto, prove comprese>
<Mi hanno detto che hanno avuto problemi con i bouquet>
<E per questo sei qui, hai fatto bene! Ci penserà la mia Megan a tutto, anche se sarebbe venuta comunque come ospite della tua serata preparatoria>
<Davvero Megan puoi riuscirci?>
Ulteriore speranza mal riposta, dovrebbe chiedere a un'altra persona, afferma la me ingenua dentro la mia testa, ma la ventenne sa bene cosa sia meglio fare, e da tempo ha compreso il peso dei doveri legati agli obblighi.
I problemi che ho sono personali, e questo, oltre che essere un favore, è anche lavoro. È fiducia e io non posso tradirla.
<Ma certo, Meredith, vedrò cosa riesco a fare>
Si lascia andare a un urletto felice che mi fa sorridere sinceramente.
<Che bello! Sono così felice, Megan, ti ringrazio tanto. Ti sei occupata di questo matrimonio fin nei minimi dettagli>
<E' stato un piacere>
<Non potevi non presenziare a questa serata di prova>
<E in cosa consiste per la precisione?>
<Dovremo verificare che tutto sia stato preparato nel modo giusto. Assaggeremo i menù, proveremo i balli, posizioneremo i segnaposti, e ovviamente ci occuperemo del bouquet>
<Orchidee bianche non è vero?>
<Per la verità ... ne vorrei due. Uno di orchidee e uno di calle>
Spalanco appena gli occhi non capendo la differenziazione dei due gusti.
<E cosa te ne fai di due bouquet ragazza? Lo sai vero che ti sposi solo con un uomo?>, chiede confusa come me mia madre, ma Meredith appare divertita.
<Certo che me ne ricordo, ma per favore toglietemi questo capriccio. Alternerò i due bouquet>
<Sei strana, ragazza, lasciatelo dire da una vecchia donna. E' proprio vero che i poveri impazziscono ed eccedono in momenti di festa>, continua a commentare mia madre, prendendo a girovagare per la casa.
<E' il solo momento che abbiamo per concederci qualche lusso, no? Lasciatecelo fare>
<Ma certo, me ne occuperò io>, prometto, perché questa donna è riuscita a prendersi la sua felicità ed io la rispetto per questo. Può chiedere tutto quello che vuole ed io lo esaudirò, mio malgrado.
C'è inoltre da considerare la possibilità che questa serata sia in grado di distrarmi dai problemi, come ha fatto il lavoro per due giorni interi nei quali mi sono buttata a capofitto non appena ho saputo che Caleb era uscito dall'ospedale.
Da quel momento in poi il rientro a casa si è sempre svolto in un cerimoniale di silenzio ritardato fino all'inverosimile, fino ad orari assurdi, sia per cena quanto che per pranzo, tanto che ieri notte, presa dalla paura e dalla tristezza di mettere piede su quel pianerottolo e forse, nell'eventualità, incontrare lui, fare i conti con i suoi occhi, con le parole che gli ho sentito pronunciare, sono rimasta nel negozio di Laura a pensare, finendo per addormentarmi con le cesoie per i fiori in mano e seduta sullo sgabello alto con la testa abbandonata sopra il braccio steso sul tavolo.
In quella posa sono stata ritrovata, ma il mio capo si è rivelato comprensivo avendo capito che qualcosa non andava, e non ha avanzato domande.
Mi ha permesso di andarmene con addosso vergogna e ulteriore stanchezza alle luci del mezzo mattino, al fine di riappacificarmi con il mio letto e dormire sonni più tranquilli.
Anche se non lo erano stati.
Questa serata quindi può mettere momentanei punti di sospensione in un concetto intriso di dolore, per quanto odi le pause avendole sempre considerate inutili e codarde, ma alle volte necessarie al fine di preservare se stessi, principalmente dagli altri.
Il buon gusto è sempre stato una dote per Meredith, la bellissima dama trentenne vissuta si tra le nostre strade ma avente un gusto da ricca ereditiera e donna di classe perfettamente dimostrabile tramite questi eleganti decori in avorio e il ricamo delle tovaglie, tutto rintracciabile a basso costo ma di ottima qualità.
Confesso a me stessa la perfetta riuscita del suo progetto, l'amore messo in ogni più piccolo particolare, come tanto adori fare, nonostante veda qualche pizzico di coraggio apparire nell'organizzazione del tutto, piccola caratteristica che pensavo le mancasse, ma a quanto pare devo essermi sbagliata, o la persona che l'ha aiutata a chiudere questa bella cornice deve sapere il fatto suo.
Deposito con precisione il centrotavola di fiori al numero 23 della sala, alzando la testa solo per verificare la correttezza del nostro schema organizzativo e la presenza degli altri ragazzi. Joseph ha appena fatto il suo ingresso, e al seguito Nicole.
Senza dire una sola parola studio i loro sorrisi intuendo quanto forse possa esserci stato del tenero tra di loro, felice che anche la mia migliore amica si sia presa il suo giusto finale. Se lo merita, e lo penso sul serio. Ha il diritto di essere felice, come tutti loro.
Celine invece si palesa con un bellissimo viso allegro, e senza notare altri si dirige subito in direzione di Meredith, forse per domandarle i compiti da svolgere, ed in un angolo appartate quelle due si mettono a parlare, riuscendo a ridere nei loro discorsi.
Noto tutto con distacco, le risate della mia amica, il modo che ha Meredith di abbandonarsi all'allegria, l'organizzazione a due adottata da Nicole e Jospeh nel fare tutto quanto mentre dall'altro lato della sala sono sola, con il capo chino ad accarezzare la morbida consistenza dei petali dei fiori appena deposti. Il loro colore bianco rispecchia quello dello smalto che nella noia, in un pomeriggio, sono arrivata a mettere con lenta cura, nel silenzio della casa, e gli occhi si calamitano senza senso verso quella somiglianza, ancora privi volontariamente di pensieri.
Potrei solo soffrire, altrimenti.
<Ragazzi, scusatemi, ma mi ha appena detto uno dei camerieri che il cibo è pronto. Ci mettiamo a tavola?>, chiede Meredith arrestando il gruppo di lavoro organizzato tra di noi. Tutti si bloccano e con loro anche io, subendo la veloce conferma della loro testa e della loro voce per poi finire in un posto assegnato a tavola.
<Kevin non è ancora arrivato?>, domanda Meredith in direzione di Celine guardandosi poi intorno.
La mia amica sembra ugualmente confusa e anche lievemente preoccupata ma non lo lascia troppo a intendere.
<Sono sicura che sarà qui a momenti, possiamo iniziare però>
<D'accordo, allora avanti, cominciamo dagli antipasti>
Nicole seduta di fronte a me nota per tutta la durata dell'assaggio la mia poca propensione al cibo presente sulla forchetta, i giochi fatti nello smuovere i pezzi senza realmente masticarli e senza rendermi conto fin da subito della sua attenzione.
Sollevati gli occhi e trovata lei, il suo giudizio niente affatto inclemente, costringo la posata a intrappolare nella sua dentatura una piccola parte dell'antipasto. Da qualche parte ho letto che i cinesi mangiano con le bacchette perché portano rispetto verso il proprio pasto, e l'azione dell'infilzarlo viene considerato un gesto di cattiveria insana che li costringe a un rito più riflessivo e pieno di rispetto. Nell'accoltellare questo piccolo pezzo è così che mi sento, trafitta io stessa da un dolore inimmaginabile che tento in tutti i modi di non rivelare, essendo sottoposta alla sua indagine.
Non avanza domande ma forse le tiene da parte per dopo, per il momento in cui non ci sarà un metro a dividerci e potremo tornare a parlare in confidenza, senza altre orecchie in ascolto. Spero non lo faccia, non saprei da dover partire.
<Il cibo è vi è piaciuto? Che ne pensate del menù?>, domanda Meredith al termine. Si volta verso Celine alla sua destra che annuisce.
<Tutto molto buono! Approvo!>
<Molto buono davvero, Meredith, mi dovrai allungare il nome dello chef>, commenta Nicole allontanando l'attenzione da me.
<Sfortunatamente è molto caro, ma per una volta penso proprio ne valga la pena>
<Senza dubbio>
<Perfetto allora questa è fatta! Avanti con l'organizzazione dei posti, e dopo proviamo le musiche>
Ci alziamo tutti in contemporanea recuperando i segnaposto e andando a posizionarli secondo i comandi veloci di Meredith che sembra incline alle cose ben più importanti.
<Meredith, ti ho portato i bouquet>, la informo tendendole la busta dove sono presenti le composizioni.
Ho impiegato tutto il pomeriggio a prepararle, arricchendole di fiori rari e di ogni più piccola caratteristica, come so bene avrebbe fatto lei.
<Ti ringrazio di cuore Megan! Puoi darli a Celine, è vicina alla porta di sala>
<D'accordo>
Cammino in direzione della mia amica, informandola dei fiori e lei mi suggerisce di posarli in un punto specifico dietro alle casse e le luci. Eseguo il consiglio e nel farlo noto l'arrivo trafelato di Kevin dall'ingresso dove Celine lo attendeva.
Studio con la coda dell'occhio il modo con cui si parlano, gli occhi fugaci di lui provati a intrappolare dalle mani di lei contro le sue guance ma si rivelano non essere abbastanza perché, per scacciare via quella specie di preoccupazione inconcepibile, occorrono delle parole, ma sono troppo lontane per risultare udibili. Vedo il loro modo di respirarsi vicino, di perdersi l'uno negli occhi dell'altro e una stilettata arriva a trafiggersi al centro del petto.
Era inevitabile, vedendo loro due, sapendo l'amore che provano, gli anni che si portano addosso e il sentimento che ancora non sembra essere svanito. Come hanno fatto a farlo sopravvivere così? Devono senza dubbio avere un segreto, per ogni situazione possibile, dal momento che anche Kevin sembra essere tornato alla normalità e tranquillo, adesso, lanciando uno sguardo al resto della sala.
Torno eretta e recupero la mia postazione, distanziandomi abbastanza da loro due così da non soffrire delle mancanze a cui questa vita mi ha costretto, e nel tornare indietro sento dire a Meredith qualcosa in merito ai balli.
La musica parte, iniziando la sua playlist con un suono di accoglienza, il benvenuto agli invitati probabilmente in attesa del pasto. Dura poco, viene sostituito presto da altri balli, e tutti insieme muovono la testa ascoltando il ritmo che sembra funzionare nel rimbalzare contro i tessuti utilizzati nell'allestimento, i tavoli, le sedie, e soprattutto la pista da ballo che, dopo aver saltato due canzoni fin troppo note, viene occupata da una sorridente Meredith, spinta dal suo uomo a rompere le danze e mostrare una bellissima anteprima della loro primo danza.
Partono applausi di incoraggiamento nel nostro gruppi, fischi di approvazione e sospiri felici.
Io sorrido della coppia più strana e felice del South Side in previsione di un giorno ancora più propizio, per poi rimanere ferma ad osservare coppie di persone seguire, sotto incoraggiamento, la guida dei due festeggiati.
Vincolo gli occhi per terra per sfuggire a questa beffa del destino, alla denigrante conseguenza di essere maggiormente notata da un pretendente che con coraggio si fa avanti, tendendomi solitario la mano per partire a danzare.
Eseguiamo i lenti passi, cerco di staccare la testa così da non dovermi più preoccupare, e per qualche attimo mi riesce, tra le braccia di questo ragazzo che sembra avere un viso noto, senza dubbio povero quanto il nostro, ci riesco. Ma è solo una pia illusione perché l'attimo dopo, al seguito di un giravolta, i miei occhi vedono qualcosa, notano qualcosa sui quali si focalizzano sempre, con precisa attenzione nonostante la guardia sia abbassata, ed io torno a non avere scampo.
Caleb è in piedi a un lato della pista, le braccia conserte e uno sguardo impossibile da definire, immobile, a bocca chiusa e occhi neutrali. Una perfetta e odiosa statua che non riesco a tradurre nemmeno mentre lo fisso negli occhi.
<Perdonami, amore, mi rifaccio il giorno delle nozze, promesso>, sento dire dallo sposo a Meredith, poco prima di essere convocato dal capo cameriere per tornare in sala a confermare il menù.
Meredith appare tranquilla tra di noi, ma il gentile cavaliere, che a un tratto ricordo essere un vecchio amico di infanzia della sposa, si rivolge a me, avanzando una nobile richiesta.
<Ti dispiace se vado da lei?>
<Ma certo che no! Vai pure, non preoccuparti>, lo rassicuro, nonostante venga privata dal mio scudo proprio ora che c'è Caleb presente.
<Ma di che cosa parli Gunter? Non si lascia mai una dama da sola, ed io ho un mucchio di affari da sbrigare>, corre ai ripari lei ma ne io ne lui sentiamo storie. <Beh, allora se è così ...>
Temo e anticipo la sua mossa, ma ormai l'ha compiuta ed ogni mio pensiero diviene ritardo.
Caleb guidato dalla mano della futura sposa arriva dinanzi a me e mi fissa negli occhi, mentre Meredith con un sorriso recupera la spalla di Gunter e riparte a volteggiare.
<Buon ballo!>, commenta divertita, quasi ci facesse un piacere.
Sto per andarmene da questa pista quando la mano di lui mi ferma, bloccandomi per un braccio.
<Che cosa pensi di fare?>
<Meredith mi ha chiesto di portare i bouquet. L'ho fatto, ora me ne vado>
Risulta incredibilmente difficile tornare a parlargli dopo tutte queste ore passate in sua assenza nel timore di rivederlo. La gola è secca ed il cuore impaurito corre come un pazzo nel petto ... ma gli occhi sono curiosi e da soli si sollevano per studiare il suo viso e vedere più da vicino il suo umore.
Che anche lui stia male tanto quanto me?
Ci siamo lasciati, ma abbiamo sbagliato entrambi. Possiamo rimediare, fare a menda dei nostri errori e ripartire ... ma per un attimo mi sono dimenticata di essere proprio io, a detta di lui, l'errore. Dunque non c'è niente da rimediare. Ci casco sempre, ogni volta che lo rivedo. Credo ancora a noi, come se fosse la prima volta.
Quanto sono patetica.
<Si tratta solo di un ballo. Non importa che scappi via>
Questo suo tono arrabbiato di parlare ... dovrei essere io a rivolgermi a lui così e non il contrario. Dopo aver sentito quello che ha detto, il modo con cui mi ha definita in presenza di Ian e la sintesi affatto corretta del nostro rapporto ... eppure è lui, nonostante la maschera facciale, a rivolgermi con una simile simpatia, tanto da farmi desiderare di urlare, proprio qui, come una matta, al centro della sala, al solo fine di potermi completamente sfogare e vomitare i demoni presenti nel mio animo, così da esorcizzare tutte le conseguenze future.
Non emetto un solo fiato però. Non protesto, torno di fronte a lui. Sollevo la mano e lascio che queste note ci circondino redendosi sottofondo alla nostra lenta danza, eseguita con i corpi vicini ma i cuori distanti, in un principio di salvaguardia.
Se è questo il modo con cui preferisce vivere ...
Il ballo rallenta, sempre di più, portandoci a muoverci intorno semplicemente, incuranti dei passi da eseguire, mentre le altre coppie sono cadute nel loro idillio fatto di sussurri e sorrisi divertiti, di risate celate e di complicità che trasuda dagli occhi di Joseph e Nicole, da quelli di Celine e Kevin, e in un moto di amicizia anche da quelli di Meredith e Gunter, lasciando soli ai nostri il compito di evitarsi.
Sono incentrata a livello visivo su tutto il resto, ma le sensazioni percepite sono dovute interamente a lui. Il suo respiro vicino al mio orecchio, la sua mano fredda che stringe la mia, il suo profumo di dopobarba tornato a serpeggiare nell'aria, il suo torace che alle volte sfiora il mio petto in maniera del tutto involontaria.
Come ha potuto definire tutto questo un errore? Noi non lo siamo, è l'ultima cosa che siamo e mi fa a pezzi pensare che lo creda.
Potremo funzionare così bene se solo dessimo retta ai nostri cuori invece che al nostro orgoglio.
Ero disposta a metterlo da parte, se solo non fossi stata sola.
Lo sono ancora, disposta?
Con la coda dell'occhio noto la sua mano, contenente la mia e tesa a direzionare il ballo, abbassarsi sempre di più e a un tratto tremare.
La osservo confusa per poi rendermi conto che si tratta della sinistra, esattamente la parte del corpo ferita dai danni della pistola.
Tento di abbandonare la presa ma lui mi intrappola.
<Non vuoi proprio finirlo questo ballo>
<Sei stanco. La mano ti trema>
<Non è niente>
<Non dovresti sforzati>
<E tu non dovresti preoccuparti per me>
<Già, non mi compete più vero?>
La domanda esce arresa dalle mie labbra e lo spinge a un richiamo: con più forza serra la sua mano sulla mia e attirandomi a se mi costringe a fissarlo molto, molto più da vicino.
Il cuore adesso dichiara la resa incondizionata. Non può resistere sotto questi verdi occhi.
<Smettila>
<Ti infastidisce anche il mio umorismo adesso?>
<Erano solo le tue bugie a infastidirmi>
<Che strano, potrei dire lo stesso>, lo rimbecco, e a questa risposta stringe gli occhi assumendo uno sguardo più minaccioso e senza dubbio intimidatorio. Vorrebbe impedirmi di proseguire, per non fare una scenata in mezzo ai nostri amici, ma persino io non voglio averla, solo che non riesco a tacere sotto il suo assurdo giudizio. <Solo che, al contrario mio nei tuoi riguardi, non era solo questo per te, non è vero?>
<Di che cosa stai parlando?>
<Due giorni fa sono venuta in ospedale, volevo sapere come stavi. Ti ho sentito parlare con Ian su di noi. Su di me> Con la dovuta forza rialzo il viso che la timidezza e l'inadeguato senso di impotenza mi aveva spinto ad abbassare fino a terra, per poter tornare a fissarlo dritto negli occhi. <Sono solo un problema, non è così?>
Ispira con forza tra i denti serrando le mascelle al seguito di questa mia ultima domanda.
<Ero arrabbiato>
<Quando non lo sei?>
<Perché sei andata da lui invece di affrontare con me i nostri problemi?>
<Vuoi dire perché ho chiesto consolazione al mio amico dopo che l'uomo con cui stavo mi ha lasciata? Perché non sono tornata in ginocchio da te?>, domando e nel chiederlo il coraggio torna a bussare alla mia porta, interrompendo il suono del raggio laser nella mia testa che teneva a bada tutti gli altri problemi e liberando tutti quei prigionieri fa tornare a scorrere il rattrappito sangue all'interno delle mie rotte vene.
Caleb ... per quanto mi uccida, mi riporta ogni volta alla vita.
<Perché ero convinta di non essere stata l'unica ad aver commesso degli sbagli, e lo sono ancora>
<C'è una differenza tra i tuoi e i miei>
<Eccome se c'è. C'è differenza nell'amore che ci ha smosso. Io non ti avrei mai definito un errore, nonostante tutta la rabbia del mondo>
<Mi hai paragonato a William>
<Sapevo di ferirti, volevo allontanarmi da te in quel momento>
<E' proprio questo che non funziona tra di noi>
<Lo pensi sul serio? Sono più le cose che non funzionano di quelle che lo fanno?>
Il suo sguardo corre a perdersi nel confine della stanza ed io devo comandare ancora il mio malandato cuore affinché smetta di confidare nel suo perdono.
Devo smettere di crederci. Di essere l'unica a potersi inginocchiare. Smettere e basta, ma come posso riuscirci quando Meredith mi ha messo tra le mani la mia tortura e mi ha permesso di sentire nuovamente i battiti del suo cuore?
La sua mano ancora sollevata trema, ed io devo allontanarmi con gli occhi e mordermi un labbro per evitargli di vedermi piangere. Immagino i tessuti muscolari tranciati dal bisturi per ottenere quel bossolo di ottone, poi i fili chirurgici ricucire la ferita ristabilendo la loro normale funzione con qualche piccola conseguenza quale questo tremolio e la precoce stanchezza, e non posso non tornare a rivederlo sdraiato su quel tavolo operatorio. Ma devo resistere. Almeno fino al termine di questa infinita canzone, al seguito del quale potrò correre via con la scusa di un patetico finale.
Posso riuscirci?
Sento dall'alto il suo volto cercarmi, con insistenza, prova a leggere il mio sguardo, ma io glielo vieto chiudendo per alcuni istanti gli occhi, e sento la sua mano afferrarmi il mento.
Scappo dalla sua presa tornando rivolta su di un lato, sempre più a pezzi al seguito della sua mancanza, con la voce e le corde vocali maggiormente afone e rotte da incontrollabili brividi, impossibili da poter comandare.
<C'è differenza tra mettersi sulle orme di un pazzo senza alcun supporto e farlo da dietro una scrivania, seguendo dei casi>, prosegue trafiggendomi con la sua voce, pensando di potermi convincere con queste sue parole. <Megan guardami! C'è differenza ... tra il parlare faccia a faccia con uno psicopatico killer e seguire indizi in grado di incastrarlo. Lo capisci? Capisci come mi sono sentito quando ho scoperto che parlavi con lui in tutta tranquillità?> Mordo un labbro, perché davvero non riesco a rispondere. La stanchezza di questi giorni mi cade tutta addosso, facendo calare la tensione e la paura, trasformandoli in pianto. <Megan guardami ...>, supplica, e non capisce quanto la sua voce possa essere una tortura per me,<... ti prego>
<Pensavo che saresti morto>, gemo, con le lacrime che adesso non possono più limitarsi di far capolino dai miei occhi correndomi lungo il viso. Il timbro risulta ancora più spezzato e malinconico di quanto credessi possibile ma non posso farci niente ormai. <Credevo ... che saresti morto, su quel tavolo operatorio al mio fianco>
E non ci sono più barriere ad imporre qualsiasi tipo di sentimento. Ogni cosa viene spazzata via risalendo all'origine di tutto questo dolore, alla paura primordiale che ancora non sono riuscita a superare: la visione della sua anima che lentamente sfuggiva via dalle mie mani.
Le lacrime scorrono ancora, inarrestabili. Provo a strapparle alla vita con il dorso di una mano ma è tutto inutile, i sussulti mi attraversano e prego che nessuno dei nostri amici lo noti perché non avrei ulteriore forza per esprimermi, nessun ulteriore coraggio, più niente. Il fiume, avendo rotto la diga, ha spazzato via tutto, e adesso mi lascia nel pieno di una tempesta.
Percepisco la sua mano abbandonare la stretta che ci univa per poi rafforzarsi sul mio polso, e l'attimo dopo portarmi via.
Prego che questa nostra fuga non ci serva per parlare ancora, di noi, del modo con cui ci siamo lasciati, dei motivi per i quali è stato spinto ad abbandonarmi perché non potrei resistere ulteriormente.
Caleb aumenta il passo e nel roseo tramonto esterno a questa sala si avvicina sempre di più al casolare in pietra a cavallo delle due sponde del fiume presente, avente probabilmente l'ottocentesca funzione di mulino, ed entra trascinandomi con se all'interno di questo spazio con tre pareti e l'unica vetrata con vista sul fiume da quale filtra l'arancio colore del cielo, riflesso sull'acqua.
L'unico movimento permesso è la rotazione del mio corpo nella sua direzione prima che le sue labbra tornino contro le mie, dopo una vita.
Chiudo gli occhi lasciandomi trascinare via da questo bacio che mi sta accostando ad una parete, facendomi al contempo toccare il soffitto della volta celeste, e faccio correre nei suoi capelli le mie mani per poterlo stringere a me.
Non ho più fiato ma non mi importa, non ci provo nemmeno ad allontanare le nostre labbra avendo dentro di me la paura che una volta distanziate se ne vadano per sempre.
Senza allontanarci quindi sento le sue mani tornare a cercarmi. Scivolano sulle curve del mio corpo, e poi si occupano di sollevare l'orlo della mia maglietta, sfilandomela via.
Non sono sicura che questa sia la cosa più giusta, ma ne ho maledettamente bisogno. Ho bisogno di Caleb, in un modo radicato fin nel profondo, ho bisogno che mi porti via con se, che mi trascini lontano, che mi faccia smettere di pensare assuefacendomi con il suo calore e il desiderio che ancora prova ... perché il mio non se ne è affatto andato.
Per questo gli permetto di correre fino ai jeans e togliermeli, procurandomi nel frattempo di fargli avere lo stesso trattamento, ma non ho modo di arrivare alla cinta dei suoi pantaloni perché d'un tratto sono nuda, e Caleb è in ginocchio dinanzi a me.
La sua bocca torna a perdersi tra le mie gambe, la sua lingua parte a fare razzia ed io in un attimo sono un terreno pieno di scosse e brividi inarrestabili e continui. Con gli occhi chiusi tengo i capelli di Caleb stretti in una mano mentre con l'altra gli sfioro il viso e ciò che mi è concesso, le sue spalle, la sua fronte, la sua pelle, il suo calore ... Con un gesto brusco Caleb mi apre ancora di più le gambe, spingendomi ad appoggiare entrambe le cosce sui suoi avambracci, mentre con le mani mi tiene stretto il sedere, comandandomi.
Sono una marionetta dei suoi passionali gesti, del languore con il quale mi conquista e del desiderio con il quale mi sovrasta.
La schiena scorre sempre più in alto creando attrito con la parete nel ridiscendere, mentre la sua lingua scava affondo, strappandomi un urlo.
Ritenendolo sufficiente per il momento si solleva in piedi senza alcuno sforzo mantenendomi nella stretta, e con una mano, fissandomi negli occhi, si sbottona i jeans.
Con la bocca martoriata dai suoi attacchi, con il corpo teso nella sua direzione aspetto il sopraggiungere di quella ultima mossa, quella scelta di sentirci nuovamente completi.
Cala di poco jeans e boxer, quanto basta per tornare a farsi nuovamente vicino sostenendo il mio peso con una mano, accostandomi al muro, mentre l'altra si perde nello stringermi il collo, accarezzarmi la guancia, quando nell'istante dopo sento la sua punta appoggiarsi su di me, al di sotto del mio sesso suscitando la mia supplica, ma è solo fissandomi dritto negli occhi qualche istante dopo che Caleb fa la sua mossa.
Con un colpo di reni torna dentro di me ed io per qualche istanti mi dono la cecità, stringendolo tra le mie gambe.
Le mie mani ancora perse nei suoi capelli sentono il suo viso avvicinarsi nascondendosi nel mio collo, respirando il mio profumo, come un animale tornato nel suo letargo.
Anche io sono nuovamente intera, come non lo ero da tempo, come posso esserlo solo cuore contro cuore con lui.
Aprendo appena gli occhi cerco i suoi mentre inizia a spingere, e non li allontano mai troppo. Ogni sua mossa di reni mi spedisce in un altro mondo, ogni sguardo che mi dedica mi procura fitte al ventre e al cuore.
Il suo corpo mi venera. Con le sue mani, con questa sua lentezza finché non è volontariamente troppo.
Gemo stringendolo ancora di più tra le gambe non appena arriva più in fondo, e quello che voglio dire è troppo grande per poter mentire, troppo forte per essere tenuto dentro in un momento simile quindi lo lascio sfuggire via, vivere lontano in questo mondo che per dei minuti può riuscire a farlo felice.
<Io ti amo>, sussurro ai suoi occhi, al suo cuore, sapendo che è questo ciò che mi dona dopo una litigata simile ed una frattura del genere, cercando forse di curare i gesti con carezze lenitive.
I suoi occhi si infiammano ed il suo corpo si blocca, quando d'un tratto mi domanda: <E secondo te io non lo faccio?>
Torna a spingere con un colpo di reni, sprofondando dentro di me mentre mi tiene fermo il mento, fissandomi con gli occhi socchiusi.
<Ti amo da morire, Megan. Da morire>
Scivola via il cuore dal petto e a un tratto tutto questo non basta.
I suoi colpi si fanno più serrati. Non bastano.
Le labbra mordono la mia carne. Non basta.
Le sue mani mi stringono, fino a lasciarmi i segni. Non. Mi. Basta.
Quello che cerco è ancora più su, all'apice dello splendore, nell'irraggiungibile punto che solo il suo cuore mi può donare.
Con una mossa mi allontana dalla parete e scivola via da me lasciandomi in piedi a tremare di assenza e freddo.
Recupera i miei abiti e li sposta più lontano, togliendo anche i suoi jeans per fargli fare la stessa fine e poi mi incita a sdraiarmi con pochi gesti a pancia in giù, proprio su quel tappeto formato dai vestiti, e l'attimo dopo il calore del suo corpo riprende a farmi compagnia.
Sento le sue labbra scendere lungo la mia spina dorsale arrivando fino alle mie natiche dove lascia un debole morso. Poi le sue dita riappaiono colpendo a uncino il punto che più le bramava, per il quale mi contorco di piacere e dolore, bagnandomi dei colori del tramonto.
Con il respiro affrettato torna a sdraiarsi su di me, e lentamente a far parte nuovamente del mio corpo.
Quando riprende a spingere la sensazione è celestiale, il mio corpo è teso in risposta a ogni sua provocazione, a queste labbra che torturano posandosi con dolci baci in ogni punto del corpo, a queste mani che non abbandonano mai i miei fianchi, stringendomi così forte da farmi bene e male insieme ma poco importa quando conosco il desiderio a guidarle.
Manca solo una cosa, più di qualunque altra.
<Caleb ... è bellissimo, ma ... ti prego, non così>, gemo in risposta ai suoi colpi e alle mie spalle Caleb si abbassa ancora di più, portando il suo petto contro la mia schiena per poter udire meglio quello che ho da dire.
<Cone allora?>
<Ho bisogno di vederti, ti prego>
Alle mie parole lo sento gemere debolmente e alla fine cedere. Si sfila ancora da me voltandomi su di un lato, ma prima farmi stendere in modo rude fa tornare la bocca sul mio sesso togliendomi il respiro.
Intrappolo un grido quando la sua mano si posa sulla mia pancia tenendomi ferma mentre da dietro Caleb sprofonda la lingua ancora più affondo, rendendo famelica la bocca, la mano, la sensualità quando si prende tutto quello che sono più che felice di cedergli con un tale ardore da farmi montare l'orgasmo rapidamente.
Sono sulla sua soglia quando la mia schiena recupera il contatto con il terreno, gli occhi si rivedono persi nei suoi e il suo sesso recupera il proprio posto all'interno del mio corpo.
Pochi colpi, precisi, il corpo che si incurva ad arte e non ho le forze per resistergli: il piacere bussa prepotentemente e lo lascio entrare, prendere pieno possesso di me arricciandomi le dita dei piedi e delle mani, portandomi a emettere un grido a pochi centimetri dalle sue labbra.
Caleb ....
Affondo le unghie nella sua carne e mi lascio andare godendo di noi mentre vengo scossa fin nel profondo.
Con debolezza apro leggermente gli occhi trovandolo fermo a fissarmi.
La sua bocca torna a scendere lungo il mio collo, intrappola uno dei capezzoli suscitandomi un'ulteriore brivido e ricambio la carezza scivolando con i palmi aperti lungo la sua schiena, accogliendo a pieno il movimento che la smuove mentre arcua alla perfezione i fianchi facendo ripartire il nostro corpo a corpo in maniera bellissima quanto estenuante.
Gli serve così poco per incendiarmi, avendo aggravato il nostro contatto dalla costretta distanza.
Poco dopo, distrutta, torno nuovamente a toccare l'apice e anche questa volta sono sola.
<Caleb ... vieni con me ... per favore>
<Non voglio>
Spalanco gli occhi ferita da una risposta simile.
È come ricevere uno schiaffo in pieno viso ma l'attimo dopo ne comprendo il motivo, e tutta la rabbia scivola via come obbligo lui stesso a fare, uscendo da me per costringerlo a stendersi.
Per tutto il tempo continua a fissarmi, ed io con una mano accarezzo la linea dei suoi addominali, vincolandolo ai miei occhi.
<Quindi questo è il tuo modo di ringraziarmi per quello che ho fatto, non è vero?>
Quella che credevo essere una vittoria non si è rivelata altro che una resa ed io la voglio sconfiggere, abbattendola nel suo momento di massima fragilità, forse barando ma al fine di un benessere comune.
Come ha potuto pensare che potesse bastarmi?
<Non hai avuto modo di dirmi niente prima di adesso in merito alla trasfusione quindi lo stai facendo ora>
E non vuoi venire perché io ti ho ferito.
Ma sono in grado di rimediare ai miei errori. Sono in grado e lo farò, perché ho provato cosa significa vivere senza il suo amore, e non credo di volermene privare.
Sollevo una mano accarezzando il suo sesso prima di posarvi la bocca, lasciandovi un debole bacio.
Lo sento trattenere un gemito, ma non mi potrà resistere per molto.
Approfondisco il tocco finché non lo sento tremare e gli vedo stringere le mani. A quel punto mi sollevo e mettendomi a cavalcioni su di lui con dolcezza torno ad afferrarlo in una mano in modo da rimettermelo dentro. La sensazione di ritrovata pienezza permette al corpo di riacquistare il dovuto calore, e a lui mi abbandono mentre torno a spingere contro il suo corpo.
La posizione consente affondi profondi, mosse in grado di togliermi il respiro e per tutto il tempo non allontano gli occhi dai suoi.
Rimanendo immobile prova a farsi strumento del mio piacere ma io non voglio godere d'egoismo, rivoglio il suo cuore, desiderando di poterlo in qualche modo curare.
Per questo motivo rallento i miei movimenti rimanendo quasi ferma in alcuni tratti, per poi ripartire, presa da un'individuale quanto comunque desiderio, cavalcandolo velocemente, amando il corpo che mi era stato negato.
I miei occhi sono calamitati dai suoi, per poi scendere con l'attenzione verso le sue labbra rendendomi conto che per tutto il tempo, eccezione fatta per il nostro ingresso, non mi ha mai baciata, e non è una cosa che fa solitamente.
Facciamo l'amore congiungendo sempre le nostre labbra collimando i respiri, quindi l'essersi negato il privilegio nella riconciliazione ha un significato e spero solo che non si tratti di ennesima vendetta.
Fatto sta che mi abbasso, raggiungendo la sua bocca.
Il verde scuro dal basso mi esamina per poi socchiudersi vinto dalla mia vicinanza, conquistato forse dal modo con cui torno a baciarlo dopo tutto questo tempo.
Di colpo il suo fiato si spezza, diventa per più pesante. Negli istanti seguenti le sue mani tornando ad accarezzarmi oltre che stringermi e mi percorrono l'arcuata della schiena mentre sono stesa su di lui.
Continuo a muovermi con più forza stavolta, sentendo i capezzoli inturgiditi urtarsi contro il suo torace al quale arrivo con la bocca dopo aver lasciato lievi baci, alternati a piccoli morsi, dalle sue labbra scendendo lungo il collo, soffermandomi su una sua clavicola, scendendo sempre più giù, fino, inevitabilmente, posare la bocca sulla ferita della pallottola, paurosamente vicina al battito del suo cuore.
Caleb geme senza controllo e affondate le dita nei miei capelli mi attira nuovamente al suo viso, avanzando un bacio infuocato che per qualche secondo mi fa perdere il ritmo, facendomi faticare nel riottenerlo.
Ecco che lo sento rispondere, muoversi sotto di me tenendomi ancora dietro la testa ed è bellissimo, troppo. Il mio piano mi si è rivoltato contro ed ora mi trovo vittima della trappola tesa, ma penso di essere riuscita a catturare anche la mia preda, nel corso della pesca.
Anzi ne sono certa.
Ancora di più quando lo sento digrignare i denti con un gemito cupo reclamandomi con una passione senza eguali.
Ricambio i suoi baci sentendomi svenire a un certo punto, e la magia è nel sentirlo venire nello stesso istante.
Affondo le mani nei suoi capelli avvicinandolo mentre le sue braccia sono corse ad avvolgermi, stringermi a loro nel massimo della forza.
Ed insieme raggiamo un unico e inimitabile orgasmo.
Un dono che si sono offerti i nostri cuori corteggiandosi e che adesso veleggia nel nostro accalorato respiro, in grado di scontrarsi solamente contro la pelle dell'altro.
Mi era così mancato.
<Non dirmi più una cosa simile, nemmeno se sei ferita, Megan>, gli sento sussurrare dopo lunghi minuti di assoluto silenzio, e l'oggetto di quella richiesta, la fatidica frase, mi rimbomba in mente provocandomi uno straordinario fastidio.
"Non ho altro compito che quello di svuotarti le palle, qui"
È stata lei a bloccarlo, ed io sono la sua risentita generatrice, disgustata dalla creatura partorita.
<Non avrei voluto dirlo nemmeno allora, mi dispiace>, confesso contro il suo collo. La mano di lui si alza afferrandomi il mento per obbligarmi a fissarlo.
<Non è mai solo sesso tra di noi. Quello che ti offro non é solo il mio corpo per quanto lui desideri congiungersi al tuo>, mi dice a voce sempre più bassa, correndo con quel verde lungo tutto il mio viso. <Io ti amo, da sempre e questo non potrà cambiare>
Desiderando tornare a lenire questo dolore poso il palmo della mano contro la sua guancia mentre sono stesa al suo fianco e dolcemente lascio la mia bocca congiungersi nuovamente alla sua, con il cielo al di fuori dalla finestra che tramuta i suoi abiti vestendosi di un colore notturno, abbandonando il rossore del tramonto.
Ascolto il battito del suo cuore mentre restiamo seduti petto contro schiena, con un suo braccio corso a stringermi sotto il seno e il gomito dall'altro abbandonato sul ginocchio della gamba piegata, all'interno della quale sono io, cullata dal calore.
Volto la testa di poco per poter creare maggiore attrito contro il suo corpo e poi ruoto la testa mostrandogli il mio sorriso, sottoponendolo così alla sua perlustrazione attenta e neutrale, tanto bella da poter stregarmi.
Finalmente posso ritornare a respirare, e forse si, anche ad essere felice.
<Gli altri si chiederanno che fine abbiamo fatto>
<Non te ne andare>
<Caleb, è arrivata sera>
<Penseranno che siamo tornati a casa insieme, non provare ad alzarti>, minaccia a voce bassa con un tono calmo. Mi arrendo così cedendo alla sua richiesta mentre lo sento avvicinarsi al mio collo posandovi un bacio.
<È un posto magnifico, sarà una cerimonia perfetta>, commento rimanendo stregata dalla vista offerta da questa finestra del nostro paradiso.
Lui non commenta e nel silenzio, dinanzi a noi, una farfalla passa leggera svolazzando nell'aria dell'aperta campagna, percorrendo in diagonale l'altezza di questo vetro, fino a sparire.
<Che cosa guardi?>, domanda al mio orecchio avendo notato i miei occhi salire senza più in alto, incoraggiandole l'ascesa.
<Una farfalla. Da piccola credevo fosse una leggenda quando mia madre mi raccontava che se tocchi le ali di una di loro le impedisci per sempre di volare, perché la violi nella sua fragilità, privandola di quella polvere magica di cui è provvista, ma ho scoperto che non mi mentiva>
<E cosa hai pensato allora?>
<Che sono insetti molto belli, ma tragici e particolarmente delicati>
<Nient'altro?>
<Alla precarietà della loro vita, e alla bellezza della loro natura>
<Le disegnavi costantemente sui libri di scuola>
<Volevo fuggire via>
<Anche io volevo farlo. E trovarti mentre desideravi lo stesso non faceva che incoraggiarmi>
<Non pensi sia in qualche modo triste la loro vita?>
<Niente affatto. Sono normali insetti ai quali è stato offerto il dono prezioso della polvere. In qualche modo la loro precarietà è stata ricambiata da qualcosa che nessuno potrà mai avere. Nemmeno al seguito della loro morte>
Ascolto le sue parole ben intuendo il messaggio che celano mentre sono persa nello sguardo fisso dei suoi occhi.
<Siamo poveri, Megan, ma immensamente ricchi di qualcosa che loro bramano avere, e che non ci possono togliere. In compenso, però, possono privarci di molto altro, tra cui la vita, facendo terminare per sempre il nostro volo.
Siamo precari proprio come le farfalle, e loro sono i bambini cattivi che si divertono a catturarci nei pomeriggi di noia>
Inclinando la testa sfiora le mie labbra con le sue, nutrendosi del mio respiro prima di tornare a parlare.
<Quello che non hanno capito però è che la nostra polvere sulle loro mani non funziona.
Si aziona solo su di noi, rendendoci i soli in grado di volare.
Forse, presto, si accorgeranno di non riuscirci a intrappolare e smetteranno di ucciderci, ma passeranno decenni di anni, e noi potremmo non essere più qui. Nessuna farfalla sopravvive tanto a lungo>
<Desidero una vita felice, Caleb, ma mi bastano anche pochi momenti, piccoli istanti passati insieme per essere appagata. Non voglio altro>
<Nemmeno io voglio altro>
<Non importa la cattiveria dei bambini>, confesso, e a quelle parole lui si rifugia ancora più in me, cercando il mio battito tra il collo e la spalla.
<Vedi di non correre però più loro incontro>
<Se tu mi prometti che d'ora in poi non mi arriverai più a mentire>
<Te lo prometto, Megan, basta bugie>
<Basta bugie>
<Solo un altro pizzico della nostra polvere>, sussurra sulla mia pelle stringendomi adesso il corpo nudo contro il suo, con entrambe e le braccia. <Ancora qualche altra briciola preziosa del tuo dolce amore>
Cedo chiudendo gli occhi, tendendo le ali accompagnata da lui per raggiungerlo in quota fino all'epicentro del nostro volo sincronizzato.
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