6- Per te e per me
"No Ian ti prego non mi costringere! Non lo so fare"
"Ma te lo insegno io, forza lasciati andare, appoggiati a me", e mentre lo dice, notando la mia arrendevolezza, posa una mano sulla mia schiena, accostandomi al suo corpo.
Siamo in camera sua, probabilmente una delle più luminose di tutto il quartiere, tanto da rivelare in tutta la sua grandezza la mia goffaggine. Mi maledico per aver tirato fuori l'argomento.
"Non essere così tesa"
"Non sono tesa"
"Mi stai stritolando la mano"
"E tu mi stai stringendo troppo"
"È così che bisogna stare"
"In apnea?"
Alza gli occhi verso il soffitto della stanza, infastidito e arreso. "Vuoi per una volta lasciarti andare e affidarti a me?" Sbuffo, pensando di farlo già fin troppo per i miei canoni.
"Ti decidi a far partire la musica?"
"Prima devi imparare a contare i passi"
Si ... mi vuole insegnare a ballare. Un lento, per la precisione, credo si tratti del valzer.
"Si parte così..." nemmeno capisco cosa sta facendo, e in men che non si dica gli pesto un piede. Mi guarda male.
"Ma perché ci tieni tanto? È solo un ballo"
"Si tratta di fiducia"
"Che cosa? Ci credi sul serio?"
"Si, quindi torna qui", senza accorgermene mi ero fatta distante, lasciandogli le mani. Nemmeno mi ha detto come fa a conoscere un ballo simile. Chissà dove l'ha visto fare.
"Devi solo seguire quello che faccio, registra i passi"
Se è davvero così importante per lui non mi resta che arrendermi e lasciarmi andare.
Mi conduce come se fossi una bambola di pezza, almeno per un primo momento, poi riesco a percepire il ritmo, le svolte, il gioco di piedi e incredibilmente, a un tratto, lo anticipo.
Il suo sorriso riesce a sciogliermi il cuore.
"Bravina" mi dice orgoglioso, e sono al settimo cielo.
Ci fissiamo negli occhi dei nostri quattordici anni, e iniziamo a perderci.
Nemmeno me ne rendo conto, ma un tratto non stiamo più danzando, seppure rimaniamo ancora in piedi con le mani avvinte.
"Ti sei pentita?"
"Del ballo?"
Scuote appena il capo.
"Di quello che è successo tra di noi ... al Burnett"
Tutto mi sarei aspettata che dicesse ... meno che questo. I suoi occhi marroni però sono seri, aspettandosi una risposta.
"No...." esalò sinceramente, poi decido di fargli un regalo che spero gli sia gradito: gli servo la verità. "È stato il mio primo bacio"
"Lo so"
Questo mi destabilizza. "Che vuoi dire?"
"Io e Caleb non ti abbiamo mai permesso di avere un ragazzo. Ogni volta che si avvicinavano riuscivamo a farli scappare via"
"Ma quali ragazzi? E da quando tu e Caleb andate d'accordo?"
"Quando si tratta di te lo siamo sempre, e credimi di ragazzi ce ne erano fin troppi, ma nessuno troppo coraggioso da scavalcarci"
"Mi avete chiuso in una sfera di vetro ... vuoi dirmi perché diamine l'avete fatto?"
"Leonard non ti meritava"
"Cosa? Leonard?! Ian!! Sai che ho una cotta per lui da quando avevo sei anni"
"Si lo so"
"E lo hai fatto andare via! Da Caleb me lo sarei aspettato ma da te ..."
"Che vuoi dire da Caleb me lo sarei aspettato? Non credi sia possibile che io tenga a te proprio come lui?"
"No è il contrario! Lui è sempre pronto a darmi contro mentre tu sei sempre dalla mia parte"
"Vantaggioso per te no?"
"Ma che stai dicendo?"
L'aria si fa tesa e lui con un sospiro profondo emesso per calmarsi, cerca di abbassare i toni.
"Solo che stavolta nemmeno io ero d'accordo. Leonard e tutti quei coglioni che ti venivano dietro non ti meritavano, altrimenti avrebbero lottato, nonostante noi"
"Nessuno però ha messo alla prova voi due"
"Credi davvero che non l'avremmo superata?"
Mi arrendo e avvicino la testa allo spazio tra il suo collo e la spalla, nel quale mi nascondo. La mano sulla mia schiena mi stringe ancora a se, in quell'approccio immobile di ballo.
"Vuoi baciarmi ancora?"
Sono costretta a tornare a fissarlo per restare al passo con i suoi cambi d'umore.
"Perché me lo chiedi?"
Alza le spalle e rifugge dai miei occhi. "Così ... per fare pratica"
"E a che mi serve se a trent'anni diventerò una monaca di clausura a causa vostra?" Ironizzo, scappo. I momenti importanti non fanno per me.
"Vuol dire che non proverai più a baciarmi?"
"Vorresti che lo facessi?"
"A me è piaciuto ..."
Anche a me, incredibilmente tanto.
Inconsciamente mi sono incantata sulle sue labbra, ricordandone la morbidezza, e il mio sguardo sembrerebbe una preghiera ... che lui esaudisce.
Accosta la bocca alla mia e mi bacia.
Sono impossibilitata a muovermi, sorretta solamente dalla presa che il mio pugno chiuso esercita stringendosi alla sua maglietta verde di cotone, assaporando il modo dolce con cui mi sfiora, per poi iniziare a reclamarmi.
Preme di più sulle mie labbra e le mie gambe tremano quando percepisco la sua lingua che mi invita a schiuderle per poter entrare. Non lo aveva fatto al giardino quindi non so come reagire, decidendo di usare lo stesso schema che per il ballo: mi lascio guidare, e poi lo supero.
Mi domando a quante ancora ha fatto provare quello che sto provando io adesso, nonostante mi senta ancora macchiata di goffaggine, nonostante provi ancora quel lieve imbarazzo, trattandosi di lui ... però sono a tre metri dal cielo, mi sta portando in alto, mai mi sarei mai aspettata tutto questo ... e forse niente sarebbe successo, se non avessimo giocato ad obbligo o verità con gli altri, ed io in un obbligo non mi fossi trovata con la bocca sulla sua. Forse il merito va anche a Nicolas e al suo modo di impicciarsi degli affare degli altri.
Con la mano ancora stretta alla sua camicia, lo rendo il più vicino possibile. Lo faccio mio, anche se solo per questi brevi attimi, anche se è solo la seconda volta che bacio un ragazzo, lo stesso, per di più, e mi stia lasciando completamente andare come mai nella mia vita ho fatto.
Mi piace baciarlo.
Mi piacciono le sue labbra.
Il tremore che mi corre nelle mani, che avverto sul suo corpo.
La dolcezza con cui mi accarezza una guancia, spostandomi i capelli dietro all'orecchio.
Ian mi fa bene. L'ho sempre saputo.
Un flebile respiro freddo mi sfiora le labbra bagnate quando lui si allontana da me.
E' stato un bacio dolcissimo, intimo fin nel profondo, e solo fissando il suo viso mi rendo conto di quanto ci ha scossi.
Le sue labbra sono incredibilmente rosse, il fiato è in un lieve affanno, e sembra tutto stropicciato dalle mie mani, che ingovernabili hanno fatto razzia del suo corpo.
E' bellissimo però, ed io incredibilmente in imbarazzo, vedendo quanto mi sia lasciata andare.
Ian sembra fissarmi con occhi nuovi ed incredibilmente luminosi, con un misto di sorpresa e forse, anche per lui, d'imbarazzo, ma lo scaccia via presto con un respiro profondo, passandosi una mano tra i capelli ad aggiustare il ciuffo, e mostrandomi un sorriso splendente a me dedicato.
"Devo dire che mi hai superato ... in tutto"
Non ha proprio pietà per il mio cuore.
Vorrei replicare ma ci sento incredibilmente in stallo, in un equilibrio troppo labile per le mie parole, preferisco tacere, vedere come va, che cosa ha intenzione di fare ... perché io non lo so.
"Forza usciamo, fuori è una bella giornata, dimmi dove vuoi andare"
Così è questa la via che hai scelto, Ian, vedremo se riusciremo a dimenticare.
Probabilmente io non ci riuscirò mai, ma a te il compito di provare.
Non so perché proprio questo ricordo sia riemerso dagli abissi della mia coscienza, ma stretta tra le sue braccia, con il viso nascosto sulla sua spalla, mi trovo a sorridere.
<Ehi voi due! Dove state andando?> ci ostacola una voce di bambina, acuta e stridula, per non dire imbronciata.
Ian si volta verso la rossa Wendy che con un piedino, a terra, mostra tutto il suo disappunto.
<Sto portando Meg a pranzo piccola, ci allontaniamo per un po'>
Ma lei non desiste, e con le braccia incrociate al petto non tenta nemmeno di nascondere la rabbia. <Ian ... fammi scendere, credo che non le piaccia vedermi con te> gli sussurro all'orecchio, dopo aver tentato senza successo di farlo da sola.
<Che sciocchezza, ha solo sei anni, come può essere tanto gelosa?>
<Beh ... a me a sei anni piaceva Leonard>
Volta la testa verso di me. <Leonard? Ma che ti torna a mente?>
Sei tu che me lo hai fatto ricordare ... anche se non direttamente.
<Facevo per dire, a me piaceva lui ... a lei potresti piacere tu>
<Di cosa state parlando adesso??>
Spalanco gli occhi, tentando di farlo ragionare e convincerlo della mia teoria, ma se è possibile riesce a stringermi ancora più forte.
<Niente Wendy ma adesso dobbiamo proprio andare. Giuro che dopo torno da te>
<Ti aspetto qui> lo minaccia con un broncio assurdo, riuscendo quasi a farmi ridere, e lui vedendola voltarsi fugge via con me, evitando un ulteriore interrogatorio.
<Sei stato tremendo>
<Ma se le ho promesso che tornavo>
<Le illudi tutte così le donne?>, domando tra il serio e il divertito.
<Ti ho mai illusa?>
<Intendevo quelle con cui stavi, o le avventure di una notte ...>
<In quelle è molto più esperto Caleb>
<Si ma stavamo parlando di te>
<Molla la presa principessa, non mi porto una ragazzina iperattiva dietro, per di più se polemica e innamorata di me, potresti ingelosirti e addio la mia giornata di relax>
<Che si articolerà come?>
<Nessuna anticipazione>
Arriviamo alla porta e come promesso, mi lascia andare. Ma quando la spalanca, rivelandomi quello che c'è dietro non posso che fingermi anche io imbronciata.
<Credevo di poterci arrivare con le mie gambe, senza farmi di nuovo portare da te. Così mi avevi detto>
<Quante polemiche, con la bici si fa prima quindi forza, siediti sul ferro davanti, al resto penso io>
<Ian ... hai lavorato tutto la mattina, possiamo andarci un'altra volta o più tardi>
<Grazie ma non sono stanco, quindi niente ti salva. Salta su e niente più polemiche>
Lascio stare per una volta, decido di fidarmi, seguendo il suoi movimenti. Fortuna che non ho una gonna o il vestito come ieri, ma dei semplici pantaloncini in jeans mediamente corti, abbinati a una banale maglietta bianca con delle scritte, il vento altrimenti non mi avrebbe risparmiata. Mi appoggio alla mia seduta, issandomi e tenendo la presa ai lati del mio corpo, mentre le braccia di Ian tornano a circondarmi, afferrando il manubrio, e poi si parte. L'aria ci arriva addosso ed ha il sapore dell'estate. Lancio un piccolo strillo quando lo sento imboccare a tutta velocità una discesa ed il buon umore ci circonda, il sole è alto nel cielo e colpisce con i suoi raggi. Inconsciamente mi appoggio al petto di Ian con la testa, chiudendo gli occhi, ed ecco la pace.
Mentre passiamo sento alcuni dei nostri conoscenti salutarci di sfuggita, tra cui anche la mamma di Nicole, ed è lui a ricambiarli velocemente, mentre io mi godo il sole.
Nemmeno mi accorgo che siamo d'un tratto fermi, probabilmente da minuti, non prima che la sua voce torni a sfiorarmi le orecchie.
<Principessa ... siamo arrivati>
E con questa frase apro gli occhi, trovandomi di fronte a un campo di papaveri. Spalanco la bocca senza sapere cosa dire. Non avevo mai visto niente di più bello.
<Come hai trovato questo posto?>
<Quasi per caso, qui a fianco c'è un cantiere da portare avanti. Per raggiungerlo ho sbagliato strada>
<Ian sono bellissimi>
<E i tuoi preferiti, soprattutto>
<Si, si hai ragione ... grazie> Grazie perché il ricordo di questa mattina è volato lontano, ed ora io non ho niente che mi pesi sul cuore.
Lui sorride senza rispondermi, poi lo vedo scendere dalla bici. Fisso incantata il campo di papaveri rossi mentre sembra una tovaglia a tutti gli effetti quella che sta aprendo ai margini della radura, posandovi sopra la mia busta del pranzo.
<Un pic nic!>
<Proprio così, davanti ai tuoi papaveri ma riparati dagli alberi, anche per tutto il giorno se vuoi, ma soprattutto ... > dalla tasca dei pantaloni gli vedo estrarre un piccolo oggetto metallico e delle cuffiette. <Con la musica>
<Lo hai riparato?>
<Proprio così, ma se riesci di nuovo a buttarlo in acqua giro che farai una brutta fine>
<Non puoi essere serio>
<Mai stato più serio di così>
<E come potrei riuscirci? Davanti c'è solo il campo>
<Si ma più in là c'è un torrente, dopo potremmo andarci>
<Dio ma questo posto è la pace dei sensi!>
<Dici?>, domanda, distribuendo il cibo dalla busta di casa.
<Ma sì, certo, sembra di essere in un altro mondo, lontano miglia e miglia dal South Side!>
Tiene gli occhi bassi, lo fa sempre, prima di pronunciare delle parole piene di incertezza. "Potremmo tornarci, ogni sera, potrebbe diventare un'abitudine"
<Un nuovo Burnett?> lo prendo in giro, e lui alza le spalle.
<Quel posto sta diventando troppo affollato>
Mordo lentamente una piccola parte di uno dei panini preparati, riflettendo su quella frase.
<Non direi, visto che Kevin tra poco andrà via ... riuscirai a venire in tempo per la festa?>
<Il cantiere chiude alle otto ... il tempo di una doccia e sarò da voi>
<Mi mancherà incredibilmente, non averlo più nel gruppo sarà un duro colpo>
<Sei sempre stata legata a lui>, commenta, riflettendo sul passato.
<Ricordi che lo prendevamo in giro quando uscivamo tutti insieme? E' sempre stato il più grande e il più responsabile, aveva sempre il compito di tenerci d'occhio tutti ... e teneva una pazienza infinita. Faceva sempre caso a come ci sentivamo, non si faceva sfuggire niente, ed è inutile che lo neghi è stato il confidente di tutti noi!> Ride, e allontana ancora gli occhi, imbarazzato. <Non potevi cambiare d'umore che lui lo notava, e le volte in cui mi spiegava le cose, mentre studiavamo, era estremamente rilassato, non lasciava mai intravedere quanto tempo rubassi alla sua carriera e al suo studio, voleva che imparassi da lui e dai libri il più possibile. Se ci ripenso adesso quei momenti mi fanno sorridere. Come quando lui e Celine si misero insieme, ti ricordi? Lui sempre stato maestro della situazione, lei costantemente subordinata e confusionaria ... ci affrontarono di petto per dirci che si erano fidanzati. Mi sembrò la scelta più giusta ... sono fatti per stare insieme, supereranno di certo anche la distanza>
<Ne sono certo anche io, Kevin non è una persona che molla tanto facilmente ... mancherà terribilmente anche a me>
Lo vedo perdersi nei ricordi, di fronte a questo campo di papaveri, e mi concedo di fare lo stesso ripensando al nostro amico, alle risate, alle sue certezze, ai suoi consigli, al suo modo di richiamare l'attenzione, posandoti una mano sulla spalla, gesto che gli è costato tante imitazioni da parti di tutti noi, e non posso non pensare che chiunque del nostro gruppo lo abbia un po' invidiato e continui a farlo, continuerà a farlo, nonostante tutti i chilometri a separarci. Senza il nostro sostegno probabilmente ognuno di noi vacillerà, ma di sicuro in questo modo impareremo a crescere, ne sono certa.
Sorrido terminato il pranzo decidendo di stendermi al sole, ad occhi chiusi, per goderne appieno, lasciando scivolare le ore. Anche Ian esegue i miei stessi passaggi, e nel corso del pomeriggio solo una volta la sua voce interrompe il cinguettio degli uccelli, al seguito del risveglio dal mio breve sonno, chiedendo se volessi una cuffia per ascoltare la musica, cosa che per altro accetto e ci porta a stare ancora più vicini, spalla a spalla. Poi il caldo diviene insopportabile, e la pelle si ustiona al di sotto di quel calore.
<Raggiungiamo il torrente>, mi propone al mio fianco, ed io non esito ad accettare. Pochi passi, pochi metri, e ci si presenta davanti, con i suoi massi e l'acqua cristallina, a tratti profonda. C'è pure una piccola cascata, creata dal declino di alcuni massi.
<Forza, andiamo in acqua>
<Ma sei matto? Siamo alla fine di marzo, sarà gelida>
<Non fare la guastafeste Meg, forza buttati>
<Non ci penso nemmeno!>
<Devo farlo io?>
Si avvicina pericolosamente, a passo felpato, come se fosse un leone ed io la gazzella su cui deve affondare i denti. Arretro tanto da raggiungere le nostre cose, e per sbaglio urto l'ipod lasciato sulla coperta, e questi cade giù, fino ad essere bloccato da un masso a due centimetri dall'acqua.
Osservo con timore la presenza di fronte a me, trovandola divertito, lievemente arrabbiata, specie quando pronuncia la mia sentenza: <E va bene, l'hai voluto tu>
<Ian no!>
Non sente ragioni, mi afferra, e subito dopo mi butta nel torrente senza farmi prendere fiato. Boccheggio tornando in superficie e parte una vera lotta che già mi vede in svantaggio.
<Sembri ancora più bassa e piccola con quella faccia arrabbiata> Ci credo che ho l'espressione di una furia greca, gli occhi mi bruciano per via dell'acqua, nonostante non ci dovesse essere il sale, tutto perché lo zotico ha agito d'attacco, senza darmi modo di difendermi. <E va bene Meg, me ne sto qui fermo. Tu però prenditi la tua vendetta in fretta e vedi di non farmi troppo male. Vorrei comunque avere dei figli con te, in futuro>
<Quanto sei deficiente>, gli dico prima di attaccarlo. Voglio agganciarmi a lui per potergli far perdere l'equilibrio così da cadere rovinosamente in acqua, ma riesco solo per la prima parte, ritrovandomi come un koala attaccato ad un albero, incapace di insistere con il mio peso, affinché il mio albero si infletta.
Scoppia in una risata catartica. <Si può sapere che vuoi fare? Sei uno scricciolo, così non mi butterai mai giù>
<E allora cadi da solo e dammi la mia vendetta>, sibilo piena di una rabbia troppo macchiata dal divertimento. Lui mi osserva attentamente, mantenendo su un mezzo sorriso.
<Ai tuoi ordini, principessa>
Si lascia andare, trascinandomi con se, facendomi assaporare la mia rivalsa.
Quando usciamo ci accorgiamo di essere fradici, dalla testa ai piedi, non si sono risparmiati nemmeno i capelli, così spetta al sole delle sei e a quel leggero vento estivo inaridire i nostri abiti, rimasti sui nostri corpi per tutto il tempo della battaglia. Stesa accanto a quei fiori sfioro una farfalla volatami accanto, proseguendo la sua salita, fino al cielo.
Una volta asciutti torniamo alla bicicletta abbandonata sul fianco dell'albero sotto il quale ci siamo protetti nel corso del pranzo, ma prima di salire Ian afferra un fiore e me lo incastra su di un orecchio.
Fissa la sua opera, me, questo momento, per dei lunghi attimi mentre io focalizzo lui, con il tramonto alle spalle, la maglietta stropicciata, mentre mi guarda negli occhi serenamente, avvinto dalla pace.
Il ritorno in bici si rivela più breve dell'andata e in un attimo siamo sotto il portone di casa mia, mal ridotto e logoro. Scendo, notando subito che lui non fa altrettanto.
<Una promessa è una promessa no? Devo tornare da Wendy, tra poco finisce il catechismo con il reverendo, la porto a casa>
<Le fai fare un giro sulla bici? Chissà come si divertirà con tutti i suoi riccioli rossi al vento>
<Tu ti sei divertita?>
<Moltissimo Ian, sono stata bene ... ma con te sto bene sempre, lo sai>
<Vale lo stesso>
Mi faccio più vicina e lo vedo seguirmi con gli occhi mentre mi accosto a lui, e gli poso un piccolo bacio sulla guancia, involontariamente vicino all'angolo delle labbra. Lui resta immobile e io lo stesso, incapace di fare quell'ulteriore passo.
Da quel pomeriggio dei nostri quattordici anni non ci siamo più baciati, non ne abbiamo più parlato, per questo motivo in biblioteca mi sono sconvolta tanto, non me lo aspettavo, ed ora non posso ripetere quel gesto, perché non ne sono capace. Non mi riesce facile, da sempre, e so che lui lo capisce, anche se oggi per qualche assurdo motivo non tenta nemmeno di farmi evadere da quest'imbarazzo, come molte altre volte, non corre via, lascia a me la scelta ... sembra quasi che mi stia spingendo a fare qualcosa, ma ancora non so di che si tratta ...
<Avanti corri da lei. A nessuna donna piace aspettare, indipendentemente dall'età>
Sono a pochi passi dalla porta dopo aver messo abbastanza distanza tra di noi da poterlo vedere per intero: annuisce, passandosi una mano sopra i jeans, tesi sulle gambe nella posa in cui è messo, con un piede sul pedale, a tirare la catena.
<Nemmeno agli uomini, Megan. Mai>
Il cuore batte nel petto in un tumulto. Si riferisce a quel bacio mancato? Che cosa si sta aspettando? Le parole di Nicolas mi urlano dentro, dopo aver detto parlato di Caleb e Ian, come miei amici.
Prova a dirlo a loro.
Prova a dirlo a loro.
Prova a dirlo a loro.
<A domani Meg>
<A domani Ian ...>
Un'ultima occhiata e poi posa il piede sull'altro pedale, e fugge via, tirandosi dietro i miei occhi, i miei pensieri, i miei battiti, lasciandomi da sola nella confusione più totale.
Cerco a stento le chiavi infilandole nella toppa in maniera distratta, e non noto i gradini, non noto la muffa sul soffitto entrando, salgo e basta le scale passivamente, in una teca di cristallo che mi isola dal fuori, finché non arrivo al mio piano, di fronte alla mia porta, e sento delle voci concitate raggiungermi da su.
<Stai attento! Così finisce che lo fai cadere!>
<Cristo Nicole, è messo male!>
<Lo aiutiamo una volta in casa, sicuro che sua madre non c'è?>
<Dentro è tutto vuoto, deve essere uscita stamattina>
<Dio Joseph afferralo da sotto le spalle, non riesco più a trascinarlo, devo aprire la porta>
<Lasciatemi stare ... posso farcela da solo>
La teca mi si rompe tutto intorno, il vetro mi si frantuma tra le mani ed il corpo acquisisce conoscenza, correndo su per le scale. Una sola rampa, un piano, prima di vedere i miei amici Nicole e Joseph bloccarsi di fronte a quel portone, colpevoli nell'aver attirato l'attenzione, mentre sorreggono Caleb che nemmeno mi fissa ... con il volto parzialmente tumefatto e pieno ... di sangue.
Qualcosa si rompe anche all'interno del mio corpo mozzandomi il respiro, e sono certa di non poter continuare in questo modo, non su di questa giostra.
Perché non resisto oltre.
Un attimo prima sono alta nel cielo della mia estate, sopra un campo di papaveri, ma basta niente, basta poco e sotto i piedi torna la polvere del South Side, a ricordarmi che non posso volare via, non troppo lontano, perché questo è il dolore a cui appartengo, questa ... la mia vita.
Ian e Megan
Caleb
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