58- Ritorno alle origini
P.O.V.
Megan
L'unico sostegno che ricevo è il freddo tepore della parete non appena vi accosto le spalle, e non è affatto in grado di sorreggermi, confortarmi. Ogni cosa vortica in maniera straordinariamente lenta ed io non ho il tempo di rallentarla.
La osservo passare, rimango ferma all'ascolto di parole vuote, inutili, le sole che Lorelan è in grado di offrirmi non avendo scoperto niente, le uniche che i medici mi donano quando avanzo nel chiedere risposte, dopo un'attenta caccia alle domande.
Non sono mai arrivata ad odiare un posto quanto odio questo ospedale, con le sue pareti estremamente bianche, questi suoi piccoli decori tenui, gli spettrali infissi, i pallidi neon, le brutte notizie, il suono delle suole in gomma delle infermiere, mentre corrono da una parte all'altra tentando in qualche modo di rimediare.
Loro si affrettano, spinte dalla velocità, mentre io ricerco invece un'insolita calma, quel silenzio che è in grado di accogliermi e dura poco, solo un piccolo e minuscolo istante, prima che la valanga precipiti ancora al seguito della pioggia.
Lo vedo, lo intuisco.
Ian ha uno sguardo che gli ho visto in viso solo poche altre volte, mentre avanza verso di me. E' arrabbiato, ed io non sento di avere la forza per gestirlo ma lascio che avanzi, che mi vomiti addosso tutte le sue rancorose parole per scoprire cosa veramente lo preoccupi, se la distanza dalla sua casa e quindi la non informazione degli eventi che ci hanno spinti a questo lacrimoso epilogo o se, invece, semplicemente si tratta di puro e semplice odio verso la mia incapacità nel proteggere.
Caleb è steso in un letto di ospedale, ed io non sono riuscita a fare niente per evitarlo.
<Posso parlarti?>
Non immaginavo questo tono, così piatto, asettico ...
<Ma certo, che cosa c'è Ian?>
Poco prima la sua voce non mi aveva rivelato niente, ma una breve frattura mi fa scorgere cosa veramente sia nascosto dietro questa facciata, e la crepatura deve avergli provocato dolore: si morde un labbro, per provare a trattenerlo, tenta di respirare, cercare un equilibrio mentre io studio ogni fase del suo cambiamento ed il suo approccio di ritorno ad uno stato di equilibrio, insano e immotivato, che quasi arriva a farmi paura.
<Di cosa parlavate tu e Lorelan?>
<Di niente, di Nicolas>, invento, provando in qualche modo a rimediare ai miei danni, prima che vengano alla luce.
<Di Nicolas?>
<Si, è così>
<Non me la bevo, Megan. Sono stanco di bermi le tue stronzate>
Ed ecco che la sua maschera crolla totalmente, rivelandomi la realtà della sua anima, e adesso è la terra sotto ai miei piedi a infrangersi, aprendo un'inaspettata voragine che mi attira a se come un magnete, fino all'ingresso di quelle grosse fauci che vorrebbero risucchiarmi al loro interno, così da estinguermi.
<Cosa stai dicendo, Ian?>
<Vuoi la verità Meg? Vuoi sentirti dire la fottuta verità, proprio in mezzo a questo corridoio di ospedale?>
Voglio davvero che lo faccia? Le sue braccia sono tese, dispiegate ai lati, indicandomi la follia di questo posto che tanto detesto.
Ecco un altro motivo in più per arrivare ad odiarlo; i suoi occhi da ladro, con i quali fissa il nostro principio di litigio e si fa beffe di noi.
<Conosco la verità>, prosegue, avanzando affinché cada nella voragine, <so che stai facendo ricerche su William e usando Lorelan, prostituta del suo bordello, per ricavare informazioni, e la devi smettere. Hai capito? La devi smettere, non puoi vincere contro di loro, specie contro William>
Ero così ferita dal suo viso, prima di vedermi raggiungere dalla sua ipocrisia.
<Ma che ne sai tu, eh? Tu ti sei arreso! Sei scappato in un'altra città senza spiegarci niente!>, gli urlo contro, ma lui non pare smuoversi.
Sorride affinando i coltelli, pronto come non mai ad attaccarmi.
<Sai perché l'ho fatto? Perché so riconoscere la mia forza. So quando un nemico è troppo in alto per poter essere sfidato. Tu puoi dire di fare lo stesso?>
La sua arroganza non ha limiti ne confini. Perché devo pormene io? Perché dovrei rabbrividire dinanzi a quegli ipocriti impostori, ladri di vite altrui, perché dovrei soccombere? Perché fingere di essere la persona che non sono e abbassare il capo?
Io non lo faccio, mai. Non mi inchino dinanzi a un falso re. Non idolatro uomini in grado di togliere vite.
<Non accetto consigli dai codardi>
<Ripetilo>
<Sei un vigliacco>
<Perché?>
<Perché scappi>
<Sul serio?>
Si Ian, sul serio, scappi.
<Si, vigliacco>
<Io sarei un vigliacco? Sei tu la pazza, ma non te ne rendi conto?! Come puoi credere di andare contro gente del genere?! Torna con i piedi su questo mondo, Megan, non sei altro che una ragazzina del South Side, cosa credi? Che altri prima di te non c'abbiano provato?>
Possono averlo fatto. Possono averci provato in tanti ma non ci sono riusciti.
Io posso ancora farcela.
<Non l'hanno fatto perché il nostro mondo partorisce gente corrotta>
<Oh allora fortuna che abbiamo questa piccola eroina tra di noi! Ti rendi conto contro quale cazzo di bestia ti sei messa? Sai chi è William Lee?>
Se so chi è, mi domandi? Vorrei scoppiare a ridere. So chi è? E chi cazzo lo conosce, chi capisce un uomo, una bestia, del genere? Chi può riuscirci? Nessuno che possegga ad ogni modo un'anima. Non posso interpretarlo, dire di aver capito che persona è ma ci sono vicina, ci sono dannatamente vicina che mi allontana solo il tempo di un respiro.
<Lo sto scoprendo, non preoccuparti>, lo affronto, e forse le mie parole devono fargli paura perché il viso muta di espressione, divenendo preoccupato, ad un tratto.
<Devi smettere, allora. So che William è venuto da te, al ristorante. Due volte, di cui una era la festa in onore del South Side. E oltre a questo so anche che la terza è avvenuta nel suo locale, dentro il quale sei andata in una festa in maschera e hai trovato Lorelan, pregandola di diventare tua complice.
Ti chiederai come faccia a essere a conoscenza di tutto quanto, ma è semplice Megan le persone parlano, al ristorante, qui ... ho visto il modo con cui tu e Lorelan vi siete guardate, quindi ho chiesto spiegazioni, e non è stato difficile scoprire la verità. Sei sulle tracce di quell'uomo da tempo, e lui è sulle tue>
Abbassa la testa, e con se il tono della voce, precipitando in un dialogo interiore che esterna attraverso una specie di supplica.
<Lo sai ... che tutte le sue vittime sono donne? Le uccide dopo averci scopato, le strangola, le ferisce, le tortura ... ed ama chi di loro gli sa tenere testa. Megan ... tu gli hai tenuto testa tutte le volte ...>
<Ian, ti prego ... >, allungo una mano, per cercare di trattenerlo o quanto meno confortarlo, ma il gesto lo desta dal momentaneo incubo passato sotto i suoi occhi e lascia il passo alla rabbia, con la quale spalanca ogni porta interna al mio cuore.
<No! Ti rivolgo le stesse parole che ti ho sentito dire dopo che ti ho detto i motivi per cui volevo partire; pensi che mi basti? Credi che le tue cazzo di suppliche possano bastarmi Meg? Stai sfidando un assassino mettendoti in piedi davanti al suo mirino! Vuoi fare la fine di Caleb? Vuoi un bel buco al centro del petto? Stavolta però da parte del figlio, sai, si dice pure che non sbagli mai un colpo, puoi essere più fortunata>
<Non sa che lo sto cercando>
<Lo sa eccome, e gioca con te Megan! Vi siete parlati, gli hai tenuto testa, e quello non dimentica mai, puoi starne certa. Quindi vedi di capirlo una buona volta: stai lontano da William. Mi hai sentito? Giragli alla larga, smetti di parlargli e di andargli vicino! Non mettere più piede nel suo locale, o lo verrò a sapere. Mi hai capito Meg? Hai ascoltato le parole di questo vigliacco?>
No, non lo sto facendo più.
Ian precipita nel vuoto mentre i miei occhi vedono altro alle sue spalle.
Apro la bocca, tentando di riferirglielo ma non ci riesco, non ce la faccio mentre noto la figura di Caleb ergersi in piedi, accostandosi con una spalla a una parete. Il cuore minaccia una cruenta esplosione all'interno del mio petto, scalpita come un bambino dinanzi ad un pacchetto regalo e la felicità mi conquista, mi abbraccia, vedendo il ritorno del mio uomo fiero nei suoi passi, certo ... ed affatto felice di ciò che sta ascoltando.
Il mondo intorno prende tinte oscure, macchiandosi di buio. Il cuore nuovamente trema, ma ora è un coniglio impaurito corso a rifugiarsi nella propria tana. Parto alla sua ricerca, tentando di infondergli un minimo di coraggio ma è codardo, è corso a nascondersi per paura di venire ucciso.
Caleb non ha pietà o occhi mentre caccia, spara semplicemente alla sua preda, e quel coniglio, quel piccolo rimasuglio al centro del mio petto, è già stato intaccato molte volte, è ferito ed ormai in grado di perdere solo quelle poche gocce di sangue state negate all'altruismo, incline a voler donare persino quelle, in onore dell'amore, della speranza ... della certezza di riuscire a rivederlo in piedi come è ora, sano e salvo.
Dunque chiudo gli occhi permettendo a quell'animale braccato di nascondersi, affinché non possa prendere parte alla conversazione che sta per avvenire e si conservi per l'arrivo dell'alluvione che quel giorno allagherà la sua tana costringendolo a scalpitare in cerca d'aria, quell'unica soluzione che gli permetta di rimanere in vita, ancora altri anni.
<Sono tornato>
La sua voce roca, bassa, annuncia già l'arrivo di quel temporale, ed ogni porta dentro di me chiude i battenti vincolandosi con lucchetti. Ian non parla, lo osserva soltanto, accortosi della sua presenza e sporto verso lui.
Caleb fa lo stesso, in un tacito accordo del quale non sono partecipe così come del breve dialogo che va a instaurarsi tra i due.
<Sei in piedi, non dovresti>, nota Ian saettando i suoi occhi sulla sua figura, vestito degli abiti ospedalieri.
<Sto bene, non preoccuparti>
<Sul serio?>
Sono io a domandarlo. Piccola e stupida l'ultima porta non è riuscita a chiudersi, condannandomi per la sua audacia.
Quel verde smeraldo mi trafigge sul posto ed io tremo, vincolando per sempre con un lucchetto parole sgradite.
<Ian puoi lasciarci? Vorrei parlare con Megan>
<Non è questo il momento, sei convalescente, non dovresti nemmeno muoverti, io ho già ...>
<Ian!>, con uno scatto volge la testa in direzione dell'altro, ormai giunto al suo fianco a molti passi dinanzi a me. <Lasciaci parlare>
Parlare ...
Lasciaci urlare, Ian, permettigli di avere un coltello tra le mani e con quello uccidermi, o quantomeno ferirmi a fondo.
Non se ne rende conto? Tengo la stessa arma, e non ho affatto paura di utilizzarla.
<Va bene ... va bene, come vuoi>, gli sento appena dire mentre mi volge le spalle, senza tentare di ottenere un ultimo breve contatto tra di noi.
Per alcuni istante resta immobile, all'opposto, ma allo stesso fianco, di Caleb, che non ha smesso di osservarmi con odio, ma anche con molto altro che traditori i miei occhi ricercano assetati, rimanendo atrocemente delusi.
"Se hai bisogno di me chiamami, devo andare", sento appena dire a Ian in direzione dell'altro, prima che quest'ultimo annuisca e l'uomo che poco prima mi aveva urlato contro ci lasci soli, in un momentaneo silenzio che mi trafigge sul posto, obbligandomi ad essere immobile.
<Da quanto va avanti Meg?>, mi chiede la voce fredda e al tempo stesso dolce dell'uomo che amo. <Da quanto sei sulle tracce di William?>
<Fin dal principio, da quando ti ha picchiato in officina ed io mi sono trovata a guarire le tue ferite con della stupida acqua ossigenata>
Capisco che era questa la risposta che più temeva.
I suoi occhi si chiudono lentamente, ed io mi preparo al peggio, rimanendo all'ascolto delle magnifiche parole che pare promettermi.
<Non avresti dovuto curare quelle ferite, fin da allora. Non dovevi intrometterti>
Ed è magnifico che lo dica con così tanta spontaneità, quasi fosse del tutto pulito, un perfetto protagonista dell'azione.
<E tu da quanto mi menti? Quando sei entrato in polizia?>
Ci sono andata giù pesante e le fiamme nei suoi occhi paiono volermelo dire apertamente.
<Vuoi veramente parlare di bugie, Megan?>
<Eccome se voglio farlo>
Avanti Caleb, fatti sotto. Urlami addosso le paure che non sei in grado semplicemente di dire.
<E' un fottuto cecchino Megan! Un cazzo di psicopatico, ed ora scopro che ci parli tranquillamente! Ma sei normale? Vuoi pure uscirci insieme, vedere come va? Farvi un giretto in qualche parco, mano nella mano?>
<Non sono stata indiscreta>
<Mi riesce difficile crederlo>
<E' così, gli ho semplicemente tenuto testa>
Scuote la sua di testa, sconfitto dopo essersi avvicinato così tanto a me.
<Semplicemente, dici ... allora siamo tutti tranquilli, di certo il pazzo non se la prende>
<Vuoi sapere chi è realmente pieno di rabbia qui? Io. Sono un calderone in questo momento, Caleb, e tu continui a versare discorsi a vuoto!>
<Sono a vuoto?>, trafigge, con gli occhi, con la bocca.
<Lo sono eccome se non mi parli di quel maledetto distretto di polizia!>
<Sono entrato pochi giorni dopo averti detto che ci avrei pensato. Non ho resistito. La tentazione di superare mio fratello era troppo grande così mi sono presentato a quell'entrata, mi sono fatto forza e l'ho varcata, poi Carlail mi ha accolto e mi ha messo sulle tracce di questo vecchio caso. Sei contenta, adesso?>
<Lo sapevo che sarebbe finita così. Un proiettile, Caleb!>
Un fottuto proiettile.
Sorride in un modo che mi mette i brividi, e che adesso più che mai lo allontana dalla carezza della mia protezione.
<A quanto pare io e mio fratello siamo destinati a morire allo stesso modo. Cosa possiamo farci? Si tratta di destino>
La mia mano si muove da sola. Veloce corre a colpirlo dritto su una guancia ma lui la intercetta, bloccandola in una patetica stretta a mezz'aria con una forza che mi fa ricredere su una mia futura riuscita.
<Ammazza le donne, Megan>, mi sussurra con il suo fiato freddo sul viso, a un centimetro dal toccarlo. <Non sei un'immortale, sei una donna, sei umana, ed anche sufficientemente pazza da non accorgerti di quello che hai provocato>
<La tua ira?>
<Il suo fastidio!>
Abbandona la presa e la mia mano cade inanimata, congiungendosi con il mio fianco, ed è assurda questa discussione e la rassegnazione che regna sovrana su ogni parola. Non siamo mai stati così. Tanto arresi da non avere nemmeno la forza per parlarne. Mi terrorizza. Mi porta a credere che almeno lui, tra di noi, ritenga non esserci niente per cui lottare.
Per me esiste ancora. Vedo ancora noi, in questo patetico corridoio. L'amore che gli ho dato, che continuo a dargli quindi non mi arrendo.
Ogni cosa è in grado di sconfiggere quest'indifferenza che mi sta uccidendo sul posto, qualunque, specie il rancore e quel filo di delusione che mi sono costretta a sopprimere per non crollare in quella sala operatoria mentre gli accarezzavo la testa e pregavo, pregavo da brava atea, che andasse tutto bene, che lui potesse tornare.
Non smetterei di farlo, mai, se questo volesse dire ricongiungere i pezzi del mio cuore, continuo anche ora, lotto per riaverli nel solo modo che conosco, in momenti come questi.
Esterno ogni cosa, affinché non mi avveleni da dentro, dunque parlo, raccontandogli un altro punto di vista di questa patetica trama.
<Eri appena entrato in sala operatoria quando Rachel è venuta qui>, i suoi occhi mutano in una specie di patetica espressione di sorpresa, ed io ci gioco, esaurita al massimo da tutto questo. <Proprio così, Rachel, ma perché sei tanto stupito? Ti sembra strano che la donna ...>, la voce mi si secca. Maledetta, scappa in un altro luogo, la vince la codardia, ed io devo lottare per riaverla. <La donna a cui hai tolto la verginità, la tua prima donna ... sappia più cose della ragazza con cui al momento scopi, e menti?>
<Sei la ragazza che mi scopo?>
<Non ho altro ruolo che quello di svuotarti le palle, qui>
Annuisce lievemente, solo per alcuni momenti, dandomi pure ragione ... quando l'interruttore scatta e le sue mani mi precipitano addosso correndo al mio collo e ai miei polsi, attaccandomi nuovamente a questa parete, come ero rimasta pochi minuti fa.
<Hai solo questo ruolo, eh? Non sei altro. Ed io cosa sono? Un semplice burattino che usi quando ne hai più voglia?>
<Ti sfugge un concetto: il burattino non può vestire le parti del burattinaio>
<Smettila di dire stronzate! La sai la verità>
<Quale verità?>, chiedo ridendo, soffocata dalla sua stretta immobile, dal suo viso crudele, arso in una viva brace. <Che mi vuoi? Che mi aspetti da tredici anni? Quale di queste cose ha importanza quando decidi di beccarti il bossolo di una pallottola in pieno petto uccidendo entrambi?>
<Non sono morto>
<E sai perché? Perché ti ho donato il mio sangue. Ti ho donato pure la più piccola parte di me, e tu arrivi ancora a ferirmi!>
Tento di liberarmi dopo questo mio folle grido ma lui non me lo consente, facendosi ancora più vicino.
<Non le ho dette io quelle parole in grado di ferire, sai? Fai sempre tutto tu, solo tu. Decidi cosa è giusto, cosa è sbagliato, che strada seguire, cosa potermi dire, come poterlo fare ...>
<Tu invece non ci pensavi proprio eh? Te la godevi dietro una scrivania e dei fascicoli la tua vita, vivendo sempre nell'imbroglio>
<Sono stato incauto ma ho scoperto un nodo di traffico di Richard Lee. Potevo arrivare a sparargli ma non l'ho ucciso, mi sono bloccato. Non volevo farlo perché ho capito il mio errore, mentre tu reticente continui a sostenere di fare la cosa giusta, correndo dietro a quel pazzo!>
<Lasciamici correre allora! Non sarà peggio di te!>, urlo, e con questa frase riesco finalmente a liberarmi. Con una spinta lo spedisco più lontano.
Arretra, senza smettere di fissarmi, e mi pento l'attimo dopo di aver pronunciato simili parole.
<Che cosa?>
<Non avrei voluto dirlo, ho sbagliato>, sibilo, ma ad un tono talmente basso da apparire ridicolo.
<Tu mi paragoni a lui? Mi disprezzi tanto, adesso?>
Lo faccio? La rabbia, alle volte, mi porta a dire cose vere, per quanto macchiate di assurda falsità.
No, non lo faccio, non potrei mai. Caleb non è William, non è Richard. Non è nessuno di quegli uomini corrotti quando tenta in tutti i modi di batterli.
<Non lo faccio>, provo a dire, ma lui sembra non ascoltarmi.
<Vuoi sapere perché sono tanto sconvolto da questo, Megan? Perché ti voglio a mille metri di distanza da quell'uomo?>, mi domanda a un tratto, e nonostante la distanza vedo la rassegnazione prendere spazio nelle sue iridi, stregandomi nella loro ipnosi. Alza le spalle vinto, apre le mani, in segno di sconfitta, e lascia uscire le parole: <ha ucciso mio fratello. Ha venduto Francis conducendolo dritto dinanzi alla canna di quella pistola>
La bocca si spalanca appena, in cerca di respiro ed aria.
<Vuoi morire anche tu? Vuoi mostrarmi come ti starebbe bene un bel segno di pallottola proprio sopra il cuore?>, domanda, prima che la voce venga di nuovo incendiata dalla collera.
<Che cazzo vuoi ancora da me Megan? Si può sapere che cazzo vuoi?>
Che mi ami. Ho sempre voluto solo questo, il tuo cuore. Il tuo dolce carattere che permette agli altri di vivere e crescere nel migliore dei modi. Voglio il tuo sostegno, Caleb, voglio che siamo complici.
Credevo di averla solo pensata una frase del genere, ma la bocca ha permesso che fluttuasse nell'aria, in un respiro privo d'audacia, e lui vi risponde allo stesso modo.
<Non sarò complice del tuo omicidio. Puoi pure scordartelo Megan>
<Siete tutti così bravi, credete di avere la verità in tasca, saprete come andrà a finire>
<Vuoi giocare alla roulette russa con William, razza di pazza?>
<Ci sarebbe la stessa percentuale di vittoria>, rispondo solo per fargli intendere una piccola cosa che sembra essere a tutti loro sfuggita: William è uno psicopatico, si, è un assassino ed è anche, però, un ragazzo instabile, mentalmente quanto emotivamente, è una reazione chimica, e trovato il componente in grado di farlo esplodere possiamo innescare noi stessi la sua autodistruzione.
Perché non riuscirci? Perché anche solo non provare, e dimostrare di esserne in grado? Sono stanca di tutto questo, specie ora che mi sono accorta del guerriero che mi si è posto dinanzi, con lo scopo di prendersi i miei proiettili. Non voglio che sia lui a difendermi, veniamo dalla stessa vita. Dovremmo essere fianco a fianco ma a quanto pare è impossibile. Lui non capisce. Come può pensare di riuscire nello stesso ambito in cui dichiara la mia sconfitta? Mi considera tanto debole?
Non lo sono e non mi arrendo, mai. Dovrebbe saperlo.
<Non ci sono previsione future quando la partita è stata precedentemente truccata>, mi informa.
Taccio, ben capendo di essere dinanzi a un vicolo cieco, quest'immenso muro che non mi permetterà mai di scavalcare.
<A quanto pare non cambieremo mai, è così? Continueremo sempre a mentirci e credere di farlo per il bene, non pensi anche tu? Non siamo in grado di stare insieme come persone normali, non sappiamo ascoltarci ... mi chiedo quindi perché arriviamo sempre a litigare per capirlo>, prosegue.
Mordo il labbro inferiore, solo per riuscire a trattenere le lacrime.
Sta per imboccare una strada buia di cui ho tremendamente paura.
<Che cosa vuoi dire Caleb?>
<Che dovremmo separarci, almeno per un po'. Non siamo fatti per stare insieme>
Stavolta la lacrima corre via, ed io non riesco proprio a rallentarla.
Perché fa questo? Perché decide di farmi a pezzi così?
<E' un'altra delle tue sfide, non è vero?>, chiedo, maledicendomi non appena sento di aver rilasciato il suono della frattura della mia anima, colpo in canna che ha colpito quel coniglio da dentro la sua tana.
Un giorno ... mi aveva detto che il mio cuore, per lui, era come quello di un pettirosso.
Si sbagliava, il mio cuore è un coniglio. Non vola ma scappa, corre a più non posso, crede di essere al sicuro nel proprio privato prima che l'apertura a due buchi di un fucile non gli raggiunge la faccia, arrestandogli per sempre la corsa, in una conseguenza eterna.
<Vuoi che ci separiamo così che quando ti supplicherò di tornare insieme tu acconsentirai alla sola condizione di vedermi lontana da William. E' questo ciò a cui hai pensato?>
Non importa che risponda. Il suo viso riesce a farlo per lui ed io cado a pezzi.
<Come puoi? Mi costringi ad un dolore simile solo perché desideri rivedermi tornare in lacrime, con un pungo a battermi il petto per evidenziare la mia colpa, te ne accorgi? Di quanto questo sia masochista, depravato ... Godi del mio dolore nonostante io veda tu ne ricevi altrettanto, ed è con lui che mi uccidi, con il risultato che tutto questo ti porterà a subire, per il quale arriverò a invocare. Non mi importa niente di me stessa ma di te ... per te ... potrei arrivare a pregarti in ginocchio, supplicandoti misericordia>
Sostiene il mio sguardo tentando di non far trasparire la realtà delle sue intenzioni, ma quegli occhi mi parlano, avendo imparato a conoscermi, e mi confermano le idee, destinandomi all'inizio di questo eterno e lento supplizio al quale mi condanna.
<E sai perché lo faccio, Caleb? Perché tengo a noi. Ci vedo come più di uno sfogo, mentale e fisico, ci vedo più forti di tutto>
Per quanto ci piaccia farci a pezzi, in maniera lenta.
Ti sfido ad affermare lo stesso. Prova adesso ad aprirmi il tuo cuore, fai saltare il fondamentale principio su cui si basa il tuo rapporto al massacro, avanti, coraggio.
Non ne hai la forza? Vuoi resistermi, vuoi davvero che tutto questo accada?
Due piccole parole sono incastrate da tempo nella mia gola ed in un momento simile vorrebbero essere urlate, ma le trattengo per non sprecare la meravigliosa magica che sono in grado di donare, per impedirle di macchiarsi dell'ennesima prova della nostra paura. Non sono pronte a resistere a noi, a questi continui campi minati, a queste sfide ... ai suoi occhi più glaciali del più gelido inverno passato con vestiti logori e mal messi.
Mi domando, quindi, se risiedano anche nel suo corpo adesso. Se possono valere le stesse regole anche per lui, se veramente, come mi disse, la follia può arrivare a farlo inginocchiare, ma non lo scopriremo mai. Di certo non adesso, mentre mi osserva immobile, convinto di questo suo ennesimo errore dal quale non riesco a liberarlo.
<Immaginavo che per te non fosse così, ma va bene. In un rapporto c'è sempre uno tra i due che ama maggiormente, per questo non cederò. Se vuoi allontanarti d'accordo ... d'accordo, ci allontaneremo, ma se credi che arriverò a supplicare per il tuo ritorno ... sappi che questo non si realizzerà mai. Non chiederò favori ad un uomo tanto folle da volerci divisi per cui non mi vedrai perdere.
Continuerò a cercare informazioni su Wiliam e tu non potrai fare più niente per impedirmelo>
Non avrai più alcun privilegio per farlo. Hai rifiutato ogni cosa, per arrivare a questo.
Voltata di spalle al suo viso me ne vado percorrendo la direzione di questo osceno corridoio, in maniera lenta prima, poi rassegnata, mentre le lacrime sono tornate a scorrermi come fiumi, riempendomi di efelidi e cascate le guance, in una patetica uscita di scena che non gli permetto di ammirare.
Questa distruzione che porta al mio animo è una rovina e gli è negato l'accesso, non vedrà i risultati ottenuti, non si accorgerà di niente. Staremo sufficientemente lontani da impedire che accada. Sarà perfetto. Assurdo. Macabro. Non riuscirò a resistere.
Devo provare a farlo, ma non sono certa di farcela. Perché sono io quella che si sta lasciando corrompere dal dolore, sono io tra i due a non riuscire a trattenere un patetico singhiozzo che risuona nel vuoto corridoio arredato ad eco.
Sono io, nuovamente, la sola a non essere intoccabile.
Ridicolamente esposta agli eventi, ai traumi. A lui, ai prestigi che le sue belle mani compiono, le stesse che poco prima di un battito di queste bagnate ciglia mi accarezzavano in ogni parte del corpo, facendomi promesse che poi non sono state in grado di mantenere.
Siamo tornati indietro. Abbiamo percorso a ritroso la nostra vita ed eccoci nuovamente alle origini, ai suddetti blocchi di partenza dai quali far scattare il fischio di inizio.
Come finirà?
Cosa può succedere a tutti noi?
Lottiamo non per vincere ma per essere quanto meno amati.
Posso farcela? Correre fino alla fine, pensando di stare lasciando indietro un'enorme parte di me, senza cui probabilmente non posso affatto definirmi viva?
Quello che mi resta è provare, regolarizzare il respiro affinché mi permetta di raggiungere la meta, calcolare il tempo di ripresa, la conta dei passi. Rendermi intoccabile e inaccessibile come non sono mai riuscita ad essere.
Si apre un nuovo capitolo, e rido della mia sventura vedendo l'incipit di questa immacolata pagina, questo patetico inizio raccontare già della mia frattura, della lenta disgregazione che sta subendo il mio corpo nelle sue neonate righe.
Durerò al massimo poche altre pagine, prima di sparire in quel filo di nero inchiostro come una macchia eccessiva data dalla forza esercitata sulla punta di una penna stilografica, quella fastidiosa e nera lacrima che ti obbliga a strappare il foglio e ricominciare, provare a mascherare le frasi di vita dietro una schermata tutt'altro che limpida, ma quanto meno accettabile per gli occhi e il cuore del povero lettore che non vuole essere costretto a soffrire.
Così come non volevo io, prima di essere spinta verso la corrosione di questo ignobile quanto insensato sacrificio.
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