54- Verità a galla

P.O.V.
Megan

Sento come se il cuore mi fosse stato strappato via dal centro del petto.

Non la smetto di camminare, su e giù, nel corridoio di questo patetico ospedale, con i vestiti, le mani, sporchi del suo sangue.

Le lacrime non smettono di scendere. Tento di respirare facendole con una mano andare via, mentre la scena del suo arrivo in barella si ripete come un loop infinito all'interno della mia testa.

<Ferito d'arma da fuoco, presto! Portatelo subito in sala 15>

<Dottore la prego, mi dica come sta la supplico>

Quasi mi piego dal dolore nel domandarlo, e nel venire allontanata da una delle infermiere dalla mano dell'uomo che amo, e che non avevo smesso di stringere da quando lo avevo visto.

<Non possiamo dirlo con certezza, sa il suo gruppo sanguigno? Ne abbiamo bisogno per la trasfusione>

<No, ma suo fratello donava mensilmente il sangue proprio in questo ospedale. Si chiamava Francis Dowson>

<La ringrazio, le faremo sapere il prima possibile. Attenda qui>

Indica con la mano la poltrona della sala d'attesa in una premura che possono insegnare solo ai medici, in situazioni del genere, per calmare anche i pazienti che non sono sotto i ferri ma io scorgo comunque la sua fretta di correre in sala, e non posso sentirmi sollevata, in alcun modo.

Le mani, sulle gambe, tremano.

Vorrei trovare un modo di frenarle.

Al pari delle lacrime.

Ma quando sollevo lo sguardo e vedo lui quella che è acqua salata diviene inevitabile fuoco.

<Tu ... tu, sei ancora qui!>

<Megan, ti posso spiegare>

<Che cosa centri in questa storia Damien?! Perché hai portato Caleb fin qui? Cosa sono quei colpi di pistola?>

<Megan ...>

<E perché sei ancora nel South Side? Dovevi essertene andato, mi avevi promesso che l'avresti fatto!>

<Megan, ti prego ...>

Persino il suo viso è deformato dal pianto e quell'emozione mi sconcerta più di una qualsiasi spiegazione.

<Io non sapevo dove fosse, l'ho cercato e trovato così>

<Perché? Perché?>

<Non posso dirtelo Megan, noi ...>

Noi? NOI?

Tento di ferirlo in tutti i modi ma un'infermiera mi allontana avendo assistito alla nostra lite e mi costringe a camminare lontano dall'oggetto della mia ira.

<Va tutto bene qui?>, chiede ma nessuno dei due risponde perché no, no non va bene per niente, ed io non ho più la forza per dirlo.

Quando siamo soli, ed il mio sguardo non riesce a percorre i suoi vestiti intrisi del sangue di Caleb, vengo raggiunta dalle sue parole, a malapena sussurrate.

<Mi dispiace piccola Megan, non avrei voluto niente di tutto questo. Non avrei mai voluto che Caleb si facesse del male ...>

E posso credergli, ma la domanda del perché rimane, e lui non mi offre risposta. Percependo il mio silenzio è costretto ad andarsene via, voltandomi le spalle afflitto, senza aver modo di ribattere.

Le dita ansiose passano ad intrecciare il nero cordone della collana che ho appesa al collo in un gesto frenetico, dato dall'ansia.

La collana del vetro verde levigato dal mare che Caleb mi aveva dato in dono quel giorno, e che adesso è appesa al mio collo in una delle peggiori torture, mio doloroso e onnipresente monito.

"Lo so che arriveremmo a ferirci, un giorno".

Trattengo una nuova ondata di lacrime, certa della sofferenza attuale che provo e che era inevitabile mi raggiungesse con questo contraccolpo, con questa forza.

Concitati un sentiero di passi pare raggiungermi. Immagino una delle infermiere correre nelle sue scarpette di gomma, oppure mia madre venirmi a supportare in un momento simile, i miei amici, dunque è l'ennesimo motivo di sorpresa scorgere questo volto dimenticato nel corso del tempo.

<Rachel?>

La Rachel dei miei ricordi, con i capelli tagliati corti e biondi, vestita con la divisa della polizia, si accorge di me solo nel mio richiamo e spalanca gli occhi, sorpresa di trovarmi anche se non quanto me di vedere lei.

<L'hanno portato dentro? Come sta?>

Come sta?
Come sta il mio uomo?
Come sta con un proiettile piantato in corpo per un motivo che non so?
Vuoi sapere come sta lui?
Che te ne interessa, davvero lo conosci? E da quanto poi? Perché lo fai?

Perché ... perché indossi la divisa della polizia ed io ho il sentore di dover tremare?

<Il guardiano del porto ha sentito i colpi di una sparatoria, ha chiamato subito noi. Carlail non poteva saperlo che sarebbe andato la, nessuno di noi poteva altrimenti ti giuro che avrei cercato di impedirglielo, con tutte le mie forze>

<Carlail?>, tremo, pronunciando quel nome con manifestato dolore.

<È vero, lui e Caleb hanno litigato da quando Caleb ha scoperto chi ha ucciso suo fratello, e che Carlail aveva insabbiato tutto ma si parla di una vita fa! Il capo era giovane, ed estremamente impaurito da forze del genere. Non devi dubitare di lui, vuole bene a Caleb per cui, come me, gli avrebbe impedito in tutti i modi di andare>

<Al porto...>, sussurro in un tremore che mi rende fuori di me, <... chi era presente?>

Chi ha sparato il colpo e da quale pistola?

<Richard Lee. Caleb è arrivato fino a lui, lo voleva incastrare>

E tutto questo mi porta al definitivo collasso.
Quello strappo che sentivo al centro del cuore si spalanca come una voragine e mi assorbe, nascondendomi nel suo profondo ed intenso nero dal quale non so riemergere.

Per tutto questo tempo io e Caleb abbiamo partecipato allo stesso gioco.
Parlavamo nascondendoci indicibili segreti al fine di non far stare l'altro male e credo davvero di aver fatto la cosa giusta a non rivelargli di William, ma allora perché sento tutto così maledettamente sbagliato al mio interno? Quanto può essere forte questo dolore se mi porta fino a urlare? Mentre all'esterno rimango una statua di sale, impossibile da decifrare.

Ed è così che sono rimasta, perfettamente immobile su questa sedia d'attesa ad osservare Rachel, la cara Rachel dal viso buono, i tratti femminili, il cuore puro, nella sua perfetta divisa da poliziotta, quel lavoro che tanto Caleb brama e che al momento lo porta a lottare tra la vita e la morte, lasciando me qui fuori in attesa, ad aspettare che nuovamente il fato lo riporti a me, e che non sia tanto crudele da strapparmelo nuovamente dalla presa delle mani.

P.O.V.
Ian

I corridoi sono asettici e tutti uguali, con una striscia di colore, all'altezza di mezzo metro, che permette di far seguire il profilo dell'uscita da questo labirinto di pastello colore, di sedie imbottite, di camici chiari, di penne e di silenzi nei quali mi sembra di esplodere.

<Mi scusi, sa dirmi il reparto per le ferite da fuoco?>

<Secondo piano sulla destra, signore, rimanga nella sala d'attesa>, si procura di rivelarmi una delle infermiere dopo il mio stato di fermo, probabilmente scorgendo il desiderio di raggiungere mio fratello steso sotto i ferri.

<La ringrazio>

Secondo piano a destra. Una fila infinita di scale che salgo, di gradini che monto due a due, fino ad arrivare alla meta, questo pianerottolo dove Megan aspetta, seduta composta e con uno sguardo perso, le mani unite tra loro, ed il corpo rigido, affatto naturale.

Sto per raggiungerla quando noto di fronte a lei anche la scomoda presenza di Rachel, in vestiti da lavoro.
O meglio la divisa.
Segno che Megan deve aver saputo tutto di Caleb.
Necessariamente non vuol dire che abbia scoperto me, ma forse è una questione di tempo prima che ogni più infimo stratagemma adottato venga portato in superficie, mostrando la sua natura.

Mi chino in ginocchio, arrivando fino a Megan e le afferro le mani, tentando di richiamarla con le carezze.
Il suo sguardo rimane perso però, mi costringere ad aggiungere la voce.

<Megan ... Megan, sono io, Ian>

<Ian>, sussurra, ed ecco una lacrima fuggire via nella tratta.

<Si, sono qui ...>, confesso sentendomi l'animo a pezzi dinanzi al suo dolore ed ecco che la mia principessa ribelle torna a fissarmi.
Scorge il mio viso, i miei tratti, il mio profilo, e lo passa sotto l'indagine delle sue mani, con Rachel alle mie spalle che non la smette di fissarci, ma non mi interessa mentre continuo ad offrirmi come cura al suo dolore.

<Come sta?>

<I medici non ci fanno sapere niente, è dentro da quasi sei ore>

Per un'intervento del genere sei ore non sono tante, dovremmo avere pazienza, ma cerco comunque un modo per poter risolvere la situazione.

<Aspettami qui d'accordo? Vedo cosa riesco a scoprire>

<Ian!>

Essendomi alzato la sua mano è tesa a stringere un mio braccio. Dal basso Megan mi guarda dal suo oceano di agonia ed io non posso non ricambiarla, ma devo farmi forza, per lei, per Caleb, nonostante senta la paura accartocciarmi le vene come la peggiore delle torture, nonostante sappia che c'è mio fratello lì, steso sotto la conoscenza di un altro uomo, uomo come noi.

Ma devo essere più forte, perché è questo che mi si richiede. Devo essere più forte per loro due.

<Torno subito, va bene? Non scappo. Arrivo subito>, prometto riuscendo a lasciarle persino un sorriso e a quella vista finalmente la ribelle si rianima.
Il viso si distende e nonostante regni ancora la tensione la mia presenza riesce a stemperarla.

Uno dei dottori esce dalle porte di chirurgia, e prima che Megan possa parlargli estirpando informazioni tento di farlo io.

<Dottore, come sta Caleb Dowson, il ferito d'arma da fuoco?>

<È un'operazione lenta, lei è un parente?>

No ... no non c'è nessun parente qui per lui.

<Sono un suo amico>

<Mi dispiace parlarle in questo momento di una cosa del genere ma mi sembra abbastanza tranquillo da informarla, scusi se posso apparire indelicato ma è una questione seria>

<Mi dica pure>

<Il suo amico non ha la polizza assicurativa>

Certo ... certo che non ce l'ha, chi di noi ne tiene una?

Per poco non rido dal nervosismo di questa situazione.

<L'intervento è considerevolmente dispendioso quindi senza una polizza ...>

<Pagherò io le cure>, ci tengo ad informarlo, e l'uomo mi guarda con confusione.

<Possiede la dovuta somma?>

<Immagino di sì>

Pagherò le cure di Caleb con i soldi di Richard. Non c'è ironia maggiore.

Mi dispiace Lorelan ma per il momento la tua liberazione dovrà aspettare.

<Perfetto, allora mi scusi ma avrebbe delle carte da firmare>

<Ma certo ...>

<Dottore!> Megan corre fino a noi, accortasi della presenza dell'uomo.
Il suo fiato non ha ritmo, ed il viso è cianotico forse per essersi alzata tanto in fretta dalla sedia senza aver mangiato.
Analizzo la sua condizione, mentre lei si preoccupa di quella di Caleb. <Come sta?>

<Per il momento l'operazione sta procedendo bene, ma il sangue per le trasfusioni sta per finire, abbiamo richiesto altre sacche, ma ci vorrà del tempo prima che arrivino>

<Non avete trovato le donazioni di Francis?>

<Il sangue del ragazzo non era compatibile>

<Che cosa?>

Spalanco gli occhi, dinanzi a questa informazione.

<Mi scusi, come è possibile? Sono fratelli>

<Probabilmente non dello stesso padre. Mi spiace, ma i risultati parlano chiaro>

<Può fare un test per vedere se il mio invece lo può essere?>, domanda Megan avvicinandosi sempre di più, con invadenza.

<Si tratta di un gran quantitativo di sangue da donare, signorina, e nel caso lo fosse dovrebbe fare la trasfusione direttamente dalla sala operatoria>

<Ne prenda quanto gliene serva>

<Mi segua>

Arresto il braccio di Megan, prima che possa procedere oltre.

<Prima hai bisogno di mangiare>

<Non è detto che lo sia, fammi fare il test>

<Non mi importa, sei pallida e tremi. Devi mangiare qualcosa, altrimenti sverrai e non sarai di alcun aiuto>

Sorride posando una mano sulla mia, come a tranquillizzarmi, ma non mi rende tranquillo per niente.

<Signorina, è pronta?>

<La raggiungo subito>

<Anche io, analizzi pure il mio>, esclamo, mantenendo ferma la mano su quella di Megan.
Il dottore sorride, afferrata la cartella.

<Uno alla volta eroi, chi lo avrebbe detto che quel ragazzo pazzo avesse amici tanto coraggiosi?>

Chi lo avrebbe detto?, è così.
Anche se è lui, da sempre, il più forte tra tutti noi.

P.O.V.
Nicolas

Sorrido alla bella risata di Lorelan, seduta al mio fianco a godersi questa vaschetta di gelato.
Non c'è andata leggera: tre gusti, tutti quanti da bambina, portandomi a prenderla in giro anche se, candidamente, sono stato ignorato.

Ora siamo fermi su questa panchina a ridere, con una sua gamba divertita a compiere la sua altalena e a dondolare nel nulla il piede essendosi sovrapposta alla mia, perché dai nostri discorsi totalmente casuali era riemerso il ricordo della scorsa sera, ed era stato inevitabile non farlo.

Direi proprio che sono riuscito a superarmi, e persino con poco.
Il SaPlaya non aveva avuto una serata più assurda e divertente di quella.
Le ragazze mi avevano amato, ed ero persino riuscito a far divertire una certa Natalie, avendo al tempo stesso avuto dalla mia la fortuna di non dover fare a metà del mio tempo anche con la padrona di casa, quella sera assente.
Un gran colpo di culo, come si suol dire, che mi aveva portato a creare fastidiosi rumori con vari strumenti all'interno del locale.

Hulk non aveva gradito, come del resto i disturbati clienti ma poco importa.

Lorelan, accompagnata da uno sgrazioso uomo, seduto al bancone con lei a bere cocktail forniti dal caro Joffrey, mi aveva sorriso ed era stato sufficiente.

Per poi passare ad un eccessiva risata quando, vista da lontano la mano di lui accarezzarle la coscia, irrigidendola per giunta, ero riuscito a notarlo, avevo preso la tromba e suonato con tutto il fiato in corpo un'unica e assordate nota nella sua direzione.

Era stato l'apice della serata, un momento che aveva divertito anche me.

<Come già detto, sei un pazzo>

<Perché dici così, fata?>, le domando, mentre mi godo la sua carezza occupata aggiustarmi una ciocca di capelli scivolatami sugli occhi.

<Perché ti sei fatto beffe della mafia e ci hai fatto ridere di lei. Solo i matti lo fanno, o le persone con un grande coraggio>, confessa, e quelle parole mi fanno sorridere mentre sento di ricevere una dolce carezza, non sul viso, ma proprio sopra al cuore.

<Mi consideri coraggioso?>

<Mh mh, un leone>, torna a prendermi in giro, ma nelle sue parole c'è un fondo di verità ed io l'ho scorto, quindi che continui pure il suo patetico tentativo di demoralizzarmi, non può riuscirci, quando è proprio lei ad esaltarmi tanto.

<Sai invece cosa penso io di te?>

<Oltre che sono tanto forte da abbattere i muri che il tuo cervello complessato erige?>

<Che sei bellissima>

<Sul serio?> Ed ecco che l'ironia corre via, lasciando il posto alla sua perfetta incertezza.

<Si, sul serio. E che non dovresti spaventarti quando un uomo ti elogia o ritrarti, non credergli ... perché il tuo viso ed il tuo cuore necessitano delle migliori cure>, ammetto a lei e a me stesso, ricambiando il suo gesto di conforto, lasciandole una carezza in viso, solo per compiacermi del fatto che tutte le ore passate insieme, le parole che ci siamo detti, non la portano affatto a ritrarsi, non con me, non con quell'uomo divertente e idiota che l'altra sera l'ha fatta ridere suonando melodie inascoltabili. <Intendiamoci, mi sta più che bene che tu non ti conceda. Sia mai, ho trovato l'oro, una ragazza, presa sotto ricatto come prostituta, che non cede e non lascia che altri prendano il suo corpo ti classifica come il pesce dalle squame d'oro, non cambiare questo lato ... ma al tempo stesso non chiuderti quando sei con me>

<Come dovrei essere?>

Faccio una battuta ironica e rispondo aperta?
Idiota che sono, non in questo momento, non quando mi trovo a non desiderare solo e unicamente il suo corpo.

<Semplicemente te stessa. Mi piaci per questo>

<Stai guadagnando tanti punti, lo sai, arrogante?>, mi chiede, portandomi fino alle labbra, tramite il suo cucchiaino, un piccolo assaggio del suo gelato.
Scuoto il capo, in segno di negazione.
Lei si fa sorridente. Ma io mi ostino a volermi negare, allontanando poi la sua mano.

<Non lì voglio i tuoi gusti da infante>, la beffeggio, e colpita solleva entrambe le sopracciglia, divertita.

<Ah è così eh?>

E come la più peccaminosa scena di uno, o più, dei peccati capitali, la gola e la lussuria, Lorelan fa compiere alla paletta il breve volo in grado di condurla fino alle sue labbra, dentro le quali scompare, in un'arricciatura di gusto che non mi è indifferente.

Sollevo gli occhi da quell'accattivante situazione, e dentro le iridi devo avere le fiamme dell'inferno perché per alcuni secondi, in un sorriso, Lorelan si ostina a non parlare, per poi mandare il suo colpo a segno, rialzando gli occhi, prendendosi il punto finale.

<Nemmeno ora?>, mi chiede, e Dio solo sa la voglia che avrei adesso di gustarmi quel sapore, interno alla sua bocca.
Ma mi trattengo.
Perché le ho fatto una promessa.
Arriverò a baciarla la volta in cui riuscirò a stupirla.
Non voglio niente di meno da noi.
Pura passione e perfezione di due cuori che stanno dannatamente bene insieme.

<Sei brava a provocare>

<Chi ti dice che sappia fare solo quello?>

<Lorelan ... la mia pazienza arriva solo fino ad un sottile punto, e tu ci stai già marciando sopra con i piedi>

<Mi diverte>

<Lo vedo>

<E a te?>

<Solo un poco>

<Vuoi di più?>

<Me lo prenderò quel di più>

<Arrogante>

<Fata>

<È questo il mio soprannome ora?>, domanda allontanandosi di un poco giusto per tornare a vedermi negli occhi. Ed io espiro, solo per un momento.

<Ti calza meglio seduttrice in situazioni come questa, però una fata è ciò che sei, con il tuo corpicino sottile e sempre elegante, snella e con l'ombretto blu pieno di brillanti. Credi che non l'abbia notato?>

<Lo metto appena>, confessa più a se stessa che a me.

<Ti guardo sempre da molto vicino, sai?>

<Quanto vicino?>

<Quanto vuoi che lo sia?>, domando per spirito di conoscenza, facendomi lentamente avanti.

Lorelan guarda lo spazio che ci separa, poi i miei occhi, e non protesta.

<Molto vicino>

<Quanto?>, espiro, ormai a un centimetro dalle sue labbra.

Lorelan chiude gli occhi, non mi risponde ed il mio cuore arriva a volare.
Persino ora indossa quell'ombretto che tanto le valorizza gli occhi e le illumina tramite i brillanti il viso.

È una fata anche per i suoi tratti.
Per il semplice dato di fatto che la sua bellezza può essere solo considerata idealizzata, ed impossibile da creare, per quanto sia qui, dinanzi a me, e me ne mostri l'incantesimo.

Potrò arrivare dove vorrà, non avrà che da chiedere, ma forse per noi adesso è ancora troppo presto per questo contatto.

Ma non mi privo di un'altra carezza: in un solo piccolo gesto passo la punta del mio naso contro la sua, e riesco di nuovo, in maniera incredibile, a farla ridere. Poi l'arresto, lasciando nuovamente, proprio in quel punto un debole, piccolo bacio.

Lorelan si ferma, ed in attesa aspetta la mia successiva mossa.

Non ha vinto nel nostro gioco, anche se il pensiero di tale vittoria è quanto ci può essere di più lontano al momento.

Ho voglia di baciarla ma non lo farò.

Quello che farò sarà assaporare il profumo dato dal suo collo e scorrere le mie labbra su di esso, proprio come adesso, per poi avanzare una semplice domanda che contiene sfortunatamente la chiave del mistero.

<Che cosa ti è successo Lorelan per non farti più avere fiducia verso gli uomini?>

E come immaginavo lei sul momento tace.

<Non vale con te>

<Non mi consideri uomo?>

<Nicolas ...>

<Parlami Lorelan ... dimmi che ti è successo>

<Non posso>

<Perché?>

<Perché provo vergogna>

<Non dovresti averne, sono io, puoi dirmi tutto>

<È proprio perché sei tu che la provo>

<Che significa?>

Tento di allontanarmi per scorgere il suo volto dietro quelle parole, ma lei me lo vieta, posandomi una mano sulla nuca e attraendomi a se, lasciandomi dimorare nel dolce profumo tra il suo collo e la spalla, per fare in modo che non possa vederla, trovarla, scoprirla dinanzi alla sua fragilità, proprio come non voleva che facessi quando mi sono presentato al SaPlaya.

Ma è successo, ora come allora sono qui, ed ho bisogno che lei si apra con me per permettermi di amarla come merita.

<Sento qualcosa per te, Nicolas, e non mi capitava da tempo.
Non voglio deluderti>

Sorrido contro la sua pelle, nonostante l'amarezza delle sue parole, e la lascio continuare a parlare.

<Ti sei fatto strada prepotentemente, da vero arrogante, non mi hai dato modo di impedirtelo e adesso ... sei arrivato più a fondo di quanto credevo di poterti concedere. Stai iniziando a piacermi, Nicolas, seriamente, ma questa storia non ha futuro>

A quell'ultime parole il terrore mi assale.

<Perché dici questo?>

Immagino sopra di me cadere le sue dolci lacrime, ed infatti ecco il suo respiro che si spezza, il torace che inevitabilmente, nonostante non me lo voglia far vedere, risulta scosso da un leggero pianto.
Mi fa a pezzi, con così poco ....

<Perché sono rotta>, mi dice, ed ora io non ho più alcun motivo di dover rimanere nascosto qui.

Mi faccio forza, mi allontano da lei e non appena lo faccio Lorelan rifugge dal mio sguardo ma non le permetto di scappare via.
Ho bisogno che mi guardi per capire fino in fondo quello che le sto per dire.

<Lorelan guardami>

<No ...>

<Guardami>

Non alzo la voce perché non sono quel tipo che dimostra la sua rabbia con così poco e perché con lei non potrei.
Lorelan ubbidisce con uno sguardo acquoso che tenta di scorgermi oltre il proprio dolore.

<Non sei rotta. Sei perfetta>

<Non puoi dirlo, tu non mi conosci>

<Ti sbagli>, le dico.
Avendo circondato il suo viso con le mani mi riesce facile asciugarle le lacrime, curarla con la mia dolcezza e farla desistere.

<Io non conosco il motivo della tua reticenza, ma tutto il resto si. Ho imparato a farlo parlando con te, scherzando insieme ... conosco la donna che sei e mi piace, mi piaci, quindi non provare più a dire una cosa del genere perché è una bugia e perché il solo il fatto che lo pensi mi fa soffrire.
Possiamo funzionare insieme, lasciami provare.
Se ne uscirò distrutto potrai dire di avermelo detto>

<Come fai ad essere tanto sicuro di te?>

<A quanto pare sei tu a non aver imparato ancora a conoscermi ... ma ti darò il tempo per farlo. Non sono mai sicuro di me, ma stavolta sono sicuro di noi, quindi direi che questo possa bastare>

Sono riuscito a colpirla, non ho dubbi. Lorelan mi crede e finalmente, finalmente, sembra ascoltarmi.

<Allora che fai? Ti tiri indietro?>, le domando, giusto per avere anche pure una minima conferma.

<Mai>, mi dice, e finalmente riesco a sorridere sincero.

Poso la fronte sulla sua, esaurito dalla testardaggine che dimostra in un grafico costante ma che tanto mi piace.

Veramente, veramente tanto.

<Bene. Direi che siamo d'accordo>

<E così non sei sicuro di te?>

<Quasi mai>, confesso e lei ride di me, consapevole di essere la più temeraria tra noi due.

Il telefono squilla, richiamando la mia attenzione.

<Scusami un attimo>, le chiedo, per poi vederla tornare al suo gelato mentre io accosto il telefono all'orecchio.

<Nicole, dimmi tutto>

Al nome della migliore amica vedo le orecchie di Lorelan drizzarsi come quelle di un cartone animato.

Rido di lei prima che mi accorga del silenzio proveniente dall'altra parte.

<Nic?>, domando, e lei finalmente torna a parlare.

<Hanno sparato a Caleb>

Il telefono rimane contro l'orecchio mentre io precipito, in caduta libera.

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