53- Denti e sangue di lupo

P.O.V.
Caleb

Fin da bambino amavo fissare lo scorrere del cielo.
Le nuvole, nella loro soffice natura zuccherina, immerse nell'azzurro color celeste pastellato di cielo, mi donavano la giusta calma a rimedio di un'ira che, a quel tempo, si cibava della mia anima come il peggiore dei demoni.
Restavo steso su di un prato a riflettere, sperare, di riuscire ad essere un uomo accettato da tutti, amato come non riuscivo mai a sentirmi di essere a causa di quella costante barriera che imponevo tra me e le persone.
Sotto il cielo di un pomeriggio Ian mi aveva trovato, invitandomi con lui a rendermi partecipe del divertimento fornito da un gioco. Mi aveva accolto, ed io, per un primo momento, non avevo esitato affatto ad odiarlo, invidiarlo, desideroso di volerlo ad ogni modo superare, battere.
Gli anni mi hanno fatto diventare uomo, hanno spazzato via, con varie tempeste, i semi di quel ridicolo sentimento eppure radici di fastidio e rabbia continuavano a nutrirsi della mia linfa, al di sotto di superfici di terra, proprio come sta accadendo adesso.

Quello che vedo è tempo sprecato dietro inutili fili di discorsi.
Sono passate delle ore e niente è riuscito a soddisfare il mio bisogno di sapere, di scoprire, cosa Damien nasconda e quale sia il suo passato con Richard. O tanto meno qualcosa riguardo a William, perché quello che la giustizia permette di sapere sono mezze verità, ed io sono stufo di loro.
Per conoscere bisogna macchiarci di errori, passare della parte sbagliata del campo minato, sostare sopra mine esplosive per scoprire come è destinata a finire, come avevano fatto tutti gli altri.
Tutti quegli sporchi traditori che si erano macchiati di colpe rendendo il passato inevitabile discordia.

Cosa voglio fare adesso? Voglio capire. Sapere. Ignorare ciò che è in grado di farmi male e percorrere sentieri non ancora tracciati e mai stati intrapresi, ma per farlo ho bisogno anche solo del più piccolo indizio, proveniente da queste infide carte.
Solo che adesso, persino a loro, io non credo. Nascondo trame di segreti, complotti di cui io sono allo scuro dunque mi allontano, stacco gli occhi dai loro imbrogli e tento di pensare.

Una sigaretta non può farmi male.
Se Megan mi vedesse invece potrebbe uccidermi.

La estraggo dal pacchetto e divertito me la passo sulle labbra.

Tenendomela in bocca recupero con una mano uno dei fogli e con l'altra cerco l'accendino nella tasca, ma dopo poco l'impresa risulta inutile, la rendo vana, poiché rimango calamitato dalla fila di parole in merito a Richard Lee, ed i suoi traffici. Viene citato il traffico di armi ma come può essere possibile? Un uomo del genere, venuto dal nulla, avente simili agganci. Come si è fatto strada? E come può nascondere le sue orme dopo il suo passaggio?

Orme ... ricordo il giorno in spiaggia con Megan quando l'ho scoperta a percorrere le mie. Aveva un viso così sereno, rilassato, bellissimo, brillava in una cornice di tramonto mentre mi raccontava la storia dei lupi ed il loro modo di muoversi in branco.

<Non lo sai come vivono i lupi? Quando devono muoversi in branco camminano in fila, calpestando sempre le impronte lasciate dall'Alpha, così il cacciatore che li cerca non potrà mai sapere il numero esatto del gruppo. Sono più al sicuro così>

Queste erano state le sue parole, ma per qualche insana ragione non riesco a farle scivolare via dal calderone della memoria?
Per quale motivo sto pensando ad un riflessione simile?
A questa strategia vincente, che permette ai lupi di non venire identificati ... l'Alpha, il sentiero, le scelte ... è tutto così metaforicamente paragonabile e ovvio, ma cosa mi sfugge, dove risiede il problema?

Il problema ... sono proprio le loro orme.
Non ve ne sono.
Non ci sono indizi che conducono a lui perché il suo passaggio avviene sempre dietro ad ombre secondarie.
La polizia non è riuscito a incastrarlo perché Richard si nasconde tra di loro negli affari, nei gruppi di persone, nelle loro azioni, tanto non lasciar distinguersi la sua mano.
Comanda, ordina, spazza via.
Ma in quale momento può essere da solo? Dove è necessaria la sua fisica presenza? Quale ordine non può essere delegato e impartito a William, o a Monty, suo braccio destro? Quale? Quale?

Osservo l'onda del suo commercio e la devastazione che porta. Analizzo la tratta. Scopro la meta.

Non può essere la droga. E' troppo semplice. Troppo banale. Da principiante. Che cosa possono essere?

Degli alcolici deve occuparsene William, visto che la casa chiusa di alto borgo appartiene a sua madre quindi ... che siano proprio le armi? Il loro pane quotidiano, il loro modo di imporsi esercitando violenza.
E' la violenza la loro arma. Il sopruso, l'imposizione.

Sfoglio le carte colto dall'illuminazione con la sigaretta ancora spenta, stretta nella presa della mia bocca, e con lei a farmi da accompagnatrice scavo affondo nel traffico delle indiziate, sorridendo nello scontrarmi con informazione nulle, sbagliate, contradditorie, capendo di essere probabilmente sulla giusta pista. William deve aver manomesso gli indizi mentre lavorava all'interno della polizia, dunque, in un eccesso di follia, mi cibo delle sue false piste, sperando di trovarne delle nuove.

Nel corso di questa ricerca però una piccola confezione marrone di carta fa capolino da sotto la montagna delle mie carte.
Riporta il nome di mio fratello, e un biglietto.

"So bene che quello che ho fatto non potrai mai essere perdonato, ma spero in qualche modo di poter rimediare ... Ryan"

Osservo con diffidenza quel messaggio, apro la busta e trovo appunti scritti a mano. La calligrafia è di mio fratello, il francobollo sulla carta totalmente sigillato.
Il suo amante deve averlo tenuto con insolita cura, avendo dalla sua la paura ad impedirgli di compiere quell'ultimo passo in grado di rompere il sigillo della centrale, ma io non ho dubbi e lo strappo, ben sapendo che quelle prove possono ritenersi le uniche a non essere state alterate.

L'interpretazione di quegli scritti è difficile, le date sono confuse, gli eventi incerti, ma riesco a scorgere un filo di trama a legarli: scovo quel cappio, e delle idee sopraggiungono, la mia mente si associa e riprende le fila dei pensieri di mio fratello, continuo il suo operato, riporto conclusioni impossibili a quel tempo da prevedere, perché se c'è un lato positivo dato dallo scorrere degli anni è l'innumerevole carico di prove e eventi rivelatesi agli occhi di un mondo che non ritenevano più preoccupante, tolta di mezzo la minaccia della giustizia nelle vesti di Francis, dunque aggiungo quei piccoli pezzi e ne metto di miei. Sovrappongo le nostre indagini, scopro le falsità dei rapporti timbrati e accessibili dall'archivio, scovo la mano di William negli affari più importanti, e per inerzia vado avanti così, percorrendo a ritroso tutto il passaggio che il suo macabro avvenire ha lasciato sparso all'interno di questi fascicoli, perché i lupi si proteggono l'uno con l'altro, e per quanto Wiliam Devis odi suo padre è costretto a lavorare sotto il suo volere costante, e difenderlo, perché la sua natura di suddito gli impone l'ubbidienza.

Penso inoltre al luogo di scambio, secondo una rete e maglia d'azione regionale, un posto nel quale passare inosservato e forse mantenere il carico delle armi, prima del commercio.

Potrei credere all'idea di un magazzino ma risulterebbe banale.
Richard Lee ha il fascino del ricco signore, ostenta la sua forte supremazia, ha lottato per costruirsi un'immagine chiara di se ... quindi non scarterebbe mai la corsa al rischio che un luogo accessibile consentirebbe.

Gioca con i nervi della polizia, si diverte a vederli tendere dalla tensione, ostenta la sua forza.

Deve trattarsi di un luogo isolato ma al tempo stesso comunemente accessibile, tanto da far irritare ogni persona sulle sue tracce.

Per assurdo il quadro diviene d'un tratto chiaro, significativo. Ho gli indizi che mi servono ed adesso finalmente, tra le mani, la verità.

Trovo l'accendino frugando nell'opposta tasca alla prima perlustrata, e nel buio dell'archivio innesco la sua fiamma, godendo del fumo di cui mi beneficia. Appoggio la nuca al poggiatesta, ed espiro nube di nicotina grigia.

Da lontano osservo quel foglio. Quelli indizi. La realtà.

Finalmente sono pronto per affrontarla.

Inspiro ed esprimo e tra i soffi di grigio fumo, seduto dinanzi a me, compare il fantasma di Francis.

Resto immobile osservandolo fumare, e tendere la testa verso il soffitto alto di questo mio nuovo ufficio, sommerso di fascicoli, di carte.

<Ti sei sistemato bene>, commenta, volgendosi divertito nella mia direzione come era solito fare.

<Dai veterani della centrale ho scoperto che anche tu passavi molto tempo qui>

<E' così ... mi aiutava a pensare>

<Anche a me, il silenzio mi fa riflettere>

La maglia nera che porta addosso risalta il suo pallore vitreo di intangibile rimembranza, ferendomi per la sua spietata schiettezza.
Mi era mancato. Non riesco a ricordarlo più nei miei sogni, non si affaccia nei miei ricordi, mentre risiede costante nelle frasi di un'in digerito dolore, sconveniente, come era solito essere.

<Non mi avevi mai parlato di Ryan>, faccio notare, riuscendo anche ad attirare i suoi occhi, verde chiaro.

<Non mi avevi mai confessato di Megan, eppure era così evidente ...>, commenta in un sorriso mentre riporta con due dita la sigaretta alle labbra, tenendo il palmo aperto in una sua vecchia abitudine che attraverso il mio odio e le mie continue infantili grida sono sempre e comunque arrivato a notare. <Devi essertelo ricordato. A cena non facevo altro che parlare di lui, delle sue gesta, del suo intuito ... mi esaltavo dei suoi onori e mi vantavo delle sue vittorie. Era un compagno perfetto, un amico perfetto>

<Ma ti ha tradito>

Colpito cede al mio sguardo, osservando il pavimento di questa grigia stanza. <Si, lo ha fatto, ma ho perdonato la sua ingenuità molto tempo fa.>

Rimango in silenzio aspettando che continui ma mio fratello tace, mantenendo i suoi segreti persino oltre l'aldilà. <Ho scoperto dove Lee effettua ogni mese il suo carico d'armi>

Francis si volta di scatto, forse vinto nella sfida del rispettivo intuito e mi osserva con timore, quasi ... supplicandomi.

<Non andare>

<Devo farlo>

<Caleb, non andare. Non muoverti da qui!>

<Si tratta di un molo, e lui lo raggiunge sempre da solo ...>

<Non è detto, sono solo indizi, non c'è niente di certo. Chiama qualcuno e non muoverti da qui. La polizia saprà incastrarlo>

<La polizia non può fare più niente ormai>

<Caleb ragione e ascoltami una buona volta!> Arrabbiato si alza in piedi, ma non riesce ad attirare il mio sguardo perché la sua rabbia è del tutto ingiustificata, mio fratello è già passato a miglior vita, ad essere morto. <Se tu andrai laggiù ... non saprò come fermarti>

<Non puoi>

<Ti prego non lo fare>

<E' tardi, Francis, per le raccomandazioni>, noto con rassegnazione, aspirando l'ultima piccola parte della mia sigaretta. Il fumo scivola via, correndo nell'aria, e scontrandosi con il suo fantasma ne sgretola l'immagine, trascinandolo con se in un posto intangibile e lontano verso il quale ormai non so raggiungerlo.


Il rumore dei gabbiani ristagna il suono nella salsedine del mare, evidenziando maggiormente il sapore portuale attraverso queste brevi raffiche di vento.
Un container mi protegge a fianco, come una finestra mi permette la vista dell'oceano, nascondendomi con la sua ombra alla trafiggente indagine del meridiano sole.

Tra le mani ho una semiautomatica, fredda più del ferro e della morte.
Non la so maneggiare. Quello che so fare è togliere la sicura e puntare. Non ho anni di esercizio nella mira, ma credo che per quella la vicinanza possa aiutarmi.

Nient'altro a disposizione che questo, ed una sola preghiera verso Megan, la sua voce che mi ricorda ancora una volta che cosa sia giusto fare.

<Alle volte capita che il branco venga attaccato, dai cacciatori o da altri lupi, quindi per proteggere il proprio compagno solitamente la femmina posa il suo viso proprio qui, di lato, sul collo dell'uomo. In questo modo nessuno può colpirlo alla giugulare, sai? Lo difende così. Restano fermi, mentre gli altri cercano un modo per attaccarli>

E' esattamente ciò che sto facendo, sto coprendo la giugulare alla donna che amo, al South Side che tanto odio e che ci lascia sconfitti, persi in un confine eterno di bugie, vasto tanto questo mare.
Questa è la verità, la vita ci ha reso poveri ma testardi, desiderosi nell'ottenere ciò che realmente ci spetta, la libertà, al pari del diritto di scelta, una vita, la nostra, da strappare dal palmo dei più potenti per averla vinta.

Quando è iniziato tutto questo? Se dovessi definire un preciso periodo non avrei alcun riferimento per collocarlo. Probabilmente questo mondo di soprusi è sempre stato presente, colpendo la generazione precedente, scavalcandola da esausta così da arrivare fino a noi, ma nascendo in un'epoca ben più lontana, indistinta negli anni, dalle più piccole cose impossibili da valutare, e che adesso forse riuscirà ad ottenere la propria fine.

La morte di un'era avverrà attraverso un altro oggetto di morte e supremazia, la conclusione di un perfetto ciclo di vita.

Sollevo gli occhi ed il cielo mi trova.
Le nuvole sono proprio qui in attesa, aspettandomi.
Il vento le fa muovere, arricciare nelle loro curve di fumo, volare libere, sotto questo stormo di gabbiano.

Stanno ballando. Intonano un canto. Viaggiano metri sopra di noi raggiungendo il sole senza mai, mai riuscire a bruciarsi.

Ed è quello che mi auguro di fare anche io, tornando con gli occhi al molo in attesa di una conferma a quella che sembra essere stata un'intuizione, guidata da una folle idea, ma ed ecco dei passi portati a raggiungere con lentezza il punto stabilito dalle mie indagini, ed ogni cosa prende forma al proprio posto.

Una figura compare nel mio raggio visivo, in piccole parti, fino ad essere completa, ed immobile con le mani nelle tasche, osservando lo stormire dei gabbiani.

I capelli di quest'uomo in piedi sono bianchi come la neve più candida, mentre il vestito è di un blu color della notte, spezzato da delle verticali linee sottili e grigie che questa distanza mi permette di vedere, ed ha un comportamento rilassato, nobile. Noto. Allontano la spalla dal container, facendo scattare la chiusura della pistola.

Il rumore lo destra, facendogli volgere la testa di lato, impedendomi comunque di vederlo in volto ma non ci sono dubbi: la descrizione, gli indizzi, la parzialità delle foto ... ogni cosa coincide con lui.
Davanti a me ... ho Richard Lee.

L'arma punta in automatica in direzione della sua schiena e a dividerla da essa ci sono pochi metri, quasi percorribili a piedi, in meno di un minuto, una distanza tale da rendermi impossibile sbagliare.

Ma comunque l'eventualità rimane.

Certo di aver fatto notare la mia presenza continuo ad avanzare, incurante del rumore prodotto dai miei passi.
L'arma rimane vigile come pure l'uomo che mi è di fronte, entrambi in grado di rubare sospiri alla morte, facendola propria.

<Tu non mi conosci>, confesso stancamente distrutto dalle indagini. <Ma io conosco te, signor Lee, quindi affinché tu sappia di chi è la mano che impugna questa pistola vedrò di presentarmi.
Mi chiamo Caleb Dowson, fratello del poliziotto Francis Dowson a cui il tuo ordine ha impartito la morte>

Udendo quelle parole, impercettibilmente noto la sua mano avvicinarsi alla taschina interna della giacca.

<Ah ah ... ti ho detto che ho una pistola, e che la sto puntando, quindi fai in modo che ti possa vedere le mani>

E' un ordine, e occorrono diversi minuti prima che lui possa eseguirlo. Apre i palmi vicino ai suoi fianchi, rendendo visibili le sue azioni.

<Ho aspettato questo momento per molti anni, ho dato la caccia a te ... per tutto questo tempo. La morte di mio fratello mi ha distrutto più dell'arma che lo ha ucciso, ma finalmente sta per ottenere il giusto riscatto. Voltati>

Stavolta all'ordine non obbedisce.

<Ho detto voltati!>, urlo tra le lacrime, facendo tremare di poco la pistola.

<Non posso farlo, Caleb>

Udire la voce di quest'assassino pronunciare il mio nome ... fa arrestare il mio pianto e spingere contro il petto un odioso senso di frustrazione.

<La sai usare? Non mi stupirei, sei veloce ad imparare>

<Ti ho detto di voltarti>

<Non lo farò>

<Allora dovrò spararti>

<Avanti ... che aspetti? sono qua>

Che cosa aspetto? Ridicolmente lo scopro.
La risposta è una confessione, la sola capace di mettere ordine nella mia testa, ed ho il sospetto che anche lui se ne renda conto perché si rifiuta di volermela offrire in dono, unico cimelio che avrei accettato volentieri.

Potrei sparagli e mettere fine a tutto questo, con il rischio però di incastrare di un reato non commesso un uomo innocente.

Innocente? Come può quest'uomo essere innocente? Davanti a me ho un trafficante d'armi, un istigatore alla prostituzione, un commerciante di droga ... ma tutto ciò basta a offrirgli la morte? E' la mia arma a dover ottenere la giustizia?

Non ne sono più sicuro eppure un tempo lo credevo fermamente, con tutta la possibile convinzione, lo credevo.

Mi ero fatto portatore di un peccato più grande, giustiziere di una morte falsamente risorta, avevo lottato, dentro di me, e poi alla centrare per poter scoprire la verità, solo per arrivare al momento di adesso, a questo confronto, ed accorgermi di non poter far niente dinanzi all'epilogo.

L'arma che posseggo non ha onore. Uccidere un uomo, specie alle spalle, non mi classifica nell'uomo che sono. Ciò in cui veramente, in cui per l'assurdo sto continuando a sperare, alla centrale di polizia, nel ricolmo scantinato pieno di scartoffie è che la giustizia possa un giorno veramente trionfare e che la legge possa averla vinta impartendo regole ben superiori di questi enormi uomini. In modo tale che l'uguaglianza ci possa esporre allo stesso giudizio. Forse sto immaginando troppo ma è quello che sogno.
Quest'arma non mi darà la gloria che cerco ne mi offrirà il finale che merito.
Ciò che voglio ottenere è la verità.

<Ha ucciso tuo figlio William mio fratello o sei stato tu? Parla>

Non lo fa. Continua a tacere dinanzi alla mia richiesta ben consapevole dei miei desideri reconditi.

E' in questo che la mafia è tanto esperta? Nello scoprire cosa realmente vuoi e farti lottare per ottenerlo?

Farti impazzire, piangere ... supplicare?

<Quell'arma è l'unica strada rimasta, Caleb. Sai bene che nessuna giustizia riuscirà a mettermi dietro le sbarre>

<Il carcere è il posto in cui stanno i colpevoli>

<Solo i più deboli di noi. I forti passeggiano indisturbati fuori, godendosi questa pacifica aria di mare>

Solleva il viso verso il sole, ormai completamente rivolto verso l'oceano, inalando a fondo la salsedine mentre quell'odore non fa altro che irritarmi la gola.

<Sei stato intelligente a trovarmi. Nessuno sapeva di questo posto, dovrei farti i miei complimenti. Solo una cosa è sfuggita alla tua attenzione ...>, nota, e la sa voce al termine di questa frase si abbassa di qualche tono. <... L'invito non era esteso pure a te>

<Chi va là?>

La voce del guardiano ci raggiunge e permette a Lee di scappare.
Parto ad inseguirlo, e nonostante la corsa un proiettile riesce ad abbandonare la mia arma, colpendolo di striscio ad una spalla. Il suo grido segue l'inevitabile frastuono, sovrastato poi dal rumore dei mercantili.

Nessuna fuga è mai stata meglio progettata. Lee si è nascosto nell'intricato labirinto di rete dei container, permettendogli per lunghi, assordanti istanti, di non poter essere visto, ma il sangue è una scia fastidiosa quanto evidente, tracciata per terra, e mi porta fino al suo nascondiglio.

Nelle orecchie non ho più alcun suono.
Penso a quando nei film, in un momento del genere sale alta la tensione, il silenzio arriva a farsi assordante e il protagonista è obbligato a avanzare, per portare al termine il suo scopo.

Ed è quello che faccio.
Avanzo mentre il cuore è un tamburo e l'arma ... per quanto la detesti .... è tesa dianzi a me ad offrirmi protezione.

Un'ombra mi passa davanti agli occhi, ma è solo per un attimo.

La scena si macchia del rosso scuro, marrone e grigio dei container e non mi lascia altra via da percorrere.

Nell'aria percepisco ancora l'odore dello sparo proveniente dalla mia pistola.
Mi chiedo, fissandola, come si possa arrivare a togliere una vita, quale forza di volontà possa spingere il cuore di un uomo a premere quel grilletto, infame, disumano come nient'altro.

Fino a che punto lui ed i suoi uomini sono arrivati a vendere l'anima al diavolo?

Come possono vivere così?

Stringo con forza l'arma, con rabbia, sentendo di starmi per immergere in un oscuro mare, accattivante, che per tutta la vita ha tentato di spingermi verso i suoi fondali. Verso quel mostro maligno che mi sento da sempre dentro. Quella cattiveria che mi porta a ferire, a stare male, che mi ha negato l'amore per tutto questo tempo.
Adesso risorge e nella sua fame vuole ottenere la carne di quest'uomo che, nel semplice camminare, perde sangue, e a niente è servito il venire a sapere che quel mostro, con il tempo, si è fatto cieco.
A niente servono le raccomandazioni, gli attimi di controllo, i respiri, i sorrisi ... in un momento come questo non è rimasto più niente se non la vendetta, ed un'insana fame che pretende di essere soddisfatta.

I container si fanno più stretti, i percorsi più fitti, ma odo il rumore dei suoi passi quindi non mi arrendo, sempre più vicino a lui.

Quello che accade poco dopo è un evento che avrei dovuto prevedere.

Una fine nemmeno troppo assurda da essere immaginata.

Richard Lee si è volto nella mia direzione, ed il buio dato dalle ombre di queste enormi casse gli copre il viso, celandomi la sua identità, ma non i suoi occhi di un deciso blu scuro, familiare, e la canna della pistola puntata verso di me.

Ho sempre pensato che il mondo fosse in grado di scorrerti davanti in momenti come questo.
Che le scene di vita passata potessero passare come diapositive sotto i tuoi occhi ricordandoti al tempo stesso amori e dolori ... ma la verità è che non rimane niente in un momento simile oltre che un assurdo motivo canoro di silenzio ed il pensiero di non essere affatto riuscito a vincere.

La sua mano preme con forza sul grilletto ed il proiettile fuoriesce ... e ciò che sento dopo è un'incredibile calore, all'interno dello sterno.
I miei occhi si aprono con più forza e dalla bocca esce un fiato spezzato ma più niente, nient'altro se non la pace.

Il mostro è stato addormentato e la sua fame è stata placata da un dente di lupo, affondato nella sua giugulare, mentre regna un pensiero di speranza di essere stato capace, comunque, di poter proteggere.

Ecco il viso della mia Megan ... lo vedo finalmente mentre sto per cadere verso terra.
È bellissima, come sempre, e mi sorride, in piedi in un tramonto di mare.
Ma non è da sola.
Con lei ci sono tutti i nostri amici.
Non è da sola.
Lo capisco, cadendo finalmente a terra.
Ian è al suo fianco e alle sue spalle è in piedi fiero Kevin, pronto a sorridermi, ma ci sono anche Nicole, Nicolas, Celine e persino Andrew, ci sono tutti, c'è mia madre che l'accoglie, la sua che mi osserva sorridente, persino forse Carlail, ognuno di loro, ed in un angolo, voltato di spalle vedo Damien, fermo ad osservare il mio addio.

Le nuvole sono ferme adesso in cielo, ed il vento si é calmato.
La musica ha smesso di suonare e la danza è arrestata.
Non c'è più alcun suono, solo una dolce voce di fratello che mi richiama da lontano.

È tempo di andare, Caleb. Siamo stati qui fin troppo.

Chiudo gli occhi, riuscendo a capirlo, e nel buio più nero tendo la mano a quella luce, camminando con lei palmo contro palmo, fino ad arrivare lontano, in un posto che possiamo raggiungere insieme e dove potremmo restare, fino alla fine dei nostri giorni.

P.O.V.
Ian

Dei colpi mi raggiungono alla porta di camera in un crescendo di tono. Non cessano, continuano disperati portandomi ad aprire e quello che vedo ... mi arresta il cuore al centro del petto.

Damien è sulla soglia della mia camera ed ha i vestiti, le mani ... piene di sangue, ed uno sguardo sconvolto, acceso da quelle che mi sembrano lacrime, un fiato velocizzato, il petto come il pomo d'Adamo destinato a fare su e giù, senza alcun freno.

<Damien! Cosa è successo, è tuo il sangue?>

Si limita solo a muovere la testa in un segno di un no, portandomi alla pazzia.

<Parla! Che cosa hai fatto?!>

<Ci ho provato, ci ho provato ma era troppo tardi ...>

<Che cosa hai provato a fare?>

<L'ho trovato e quando l'ho visto ... era steso a terra con un colpo di pallottola in petto, ho tentato di soccorrerlo, e l'ho caricato in macchina fino a portarlo all'ospedale, ma il suo cuore aveva smesso di battere.
Caleb ...>

Spalanco gli occhi in attesa che continui.

<... Caleb aveva smesso di respirare, l'hanno soccorso subito, adesso è in sala operatoria ma il proiettile ha perforato troppi organi. Richard Lee gli ha sparato un colpo ravvicinato>

E se solo potessero, cielo e terra si sostituirebbero nel loro asse, ruotano fino a farmi perdere l'orientamento ma non abbastanza da impedirmi di afferrare il giacchetto e sfuggire via da questo posto, correndo fino all'ospedale di città.

Spazio autrice

Ora Pedra_ puoi piangere.

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