50- La luna e il marinaio

P.O.V.
Ian

Il sole di questo giovedì mattina mi raggiunge dalle finestre, costringendo il mio corpo ad alzarsi in piedi mezz'ora prima della sveglia.

Casa Lee è un dolce incubo che mi accompagna nelle prime ore e che si manifesta con i peggiori connotati dinanzi la mia indifferenza, quel palese fastidio che mi porto addosso nel dover fare affari assieme a gente del genere, nell'aver capito che forse, probabilmente, persino loro mi tengono sotto controllo.
Persino Richard può non fidarsi realmente di me, comandato da Monty o da altri dei suoi.
L'incontro con Kevin deve esserne la prova, forse avendo giustamente da parte loro immaginato un legame di amicizia tra due membri del South Side o altrimenti avendone tangibili prove.
Non ritengo che gente del genere sia veramente disposta a credermi, senza prima avermi tenuto sotto controllo, dunque ritengo di dover possedere la giusta indifferenza, d'ora in avanti.

Supero il portone di entrata, finalmente in assenza di Monty essendo in una specie di pauroso libero arbitrio, ed arrivo dinanzi alla famosa porta: quello studio di richieste impensabili che sancisce ordini alla mia vita.

<Avanti>

Avanzo secondo quanto mi viene richiesto, entrando con limitato pudore e venendo accolto dal quotidiano quanto probabilmente falso entusiasmo del mio capo.

<Ian, benvenuto, a cosa devo l'onore?>

La domanda mi disorienta, vengo qui a un solo scopo.
<Sono venuto per l'assegnazione dei miei nuovi ordini>

<Ma non ve ne sono. Hai fatto anche troppo fino ad ora adesso riposati>

La frase mi fa tremare, e chiedere in quale momento io possa avere sbagliato, immaginando l'attimo in cui, data la schiena a questa stanza, mi troverò con un proiettile di William impiantato nella nuca, una volta e per sempre.

<Non capisco, signore>

<Ma oggi è il grande giorno!>, commenta aprendo le mani alla stanza.

Aggrotto la fronte in attesa di delucidazioni.

<La festa, Ian, il compleanno del nostro caro familiare, la stessa in cui tu e la Sokolov siete invitati ... perché ti sei ricordato di invitarla, non è vero?>

<Si è offerta lei>

<Molto meglio allora, vi attendiamo stasera>

Annuisco distrattamente, ricevendolo come un congedo. Uscendo sospiro, affatto pronto ad una serata del genere.

Dall'interno di questa lussuriosa macchina la Somolov mi osserva divertita. Sono passate delle ore, si appresta il turno della notte e noi due siamo chiusi dentro questa scatola, con guidatore annesso, tipico della gente ricca.
Non mi era mai stato concesso di usufruirne dunque il merito deve andare alla mia presente accompagnatrice, trattata come una regina da queste sottospecie di persone per cui lavoro.
Me ne compiaccio ricevendone il giusto timore: essere una regina per il diavolo in persona non ti classifica come la migliore delle anime. Questa ereditiera russa deve avere un passato niente male di cui i soli dossier di Damien non mi permettono di venirne a completa conoscenza.
Un poco me ne rammarico.

<Sei molto bello stasera, lo smoking ti dona>, mi lusinga nel suo accento russo e dietro i suoi soffici capelli color castano chiaro, lucenti al pari dell'oro per merito della luce dei lampioni che filtra all'interno della macchina.
Le rendo la sincerità.

<Pure tu sei molto bella. La pelliccia?>, domando notando l'assenza del suo tipico accessorio ad evidenziare con più chiarezza la sua magrezza ed il pallore della pelle. Al contempo però anche la sua femminilità.

Si stringe nelle spalle senza voler donarvi alcun penso, rispondendomi solo:<l'ho lasciata a casa>, con una chiara intenzione di intenti, posti a non volermi accennare niente altro.

Scorrendo gli occhi noto la bellezza dei suoi orecchini color dell'oro e al tempo stesso la ricchezza che le impreziosisce l'abito. Illiya Sokolov è una donna volenterosa verso il costantemente sfoggio della sua importanza, desiderosa di non passare inosservata ed altamente eccentrica, spigliata, audacie come molte volte ha manifestato essere sfocando precise stoccate premendo dalla faretra le giuste frecce in grado di colpire la mia pelle e farla a pezzi.

Da un lato riesco ad apprezzare il suo candore: immersa nella mafia e negli affari sporchi e non si permette di negare niente, non si nasconde decidendo anzi di esporsi, certa di non poterne rimanere in alcun modo scalfita. Dunque alle sue spalle devono esserci per forza squadra potenti in grado di proteggerla da ogni imprevedibile eventualità. Rappresenta un bersaglio troppo alto , oltre che l'apice di tutta la mia peccaminosa curiosità.

<Ti stai cibando>, le sento dire e per un primo momento non mi sembra di capire. Poi intuisco che la frase è in riferimento al mio sguardo e all'attenzione che le ho prestato, per cui anche io non tento in alcun modo di negare.

<Perché sei voluta venire con me stasera, Illiya Sokolov?>

<Lo domandi solo nel desiderio di farmi ripetere quanto mi piaci?>

<Non credo davvero di piacerti, penso che ci sia dell'altro>

Sorride divertita, giocando con un ciondolo pendente dal suo lobo, facendo tentennare persino la sua risposta.

<Parlami Illiya, puoi dirmi ciò che vuoi>

<Volevo entrare in quella casa>, confessa, ed io aggrotto la fronte senza riuscire a capire.

<Perché?>

<Io e Richard Lee abbiamo un conto in sospeso>

<Di che genere?> Tace, non vuole rispondere. Passo oltre all'ennesimo dubbio in ballo. <Lui lo sa?>

<Non se ne ricorda, ma molto tempo fa mi ha portato via una cosa veramente importante>

<Che cosa, Illiya?>

Mi spinge alla pazzia, non vuole rispondermi. Sorride ed affoga nel mare del suo mutismo, senza desiderare emerge affatto.

<Sei della polizia?>

<Che cosa?>, se la ride del mio patetico tentativo di indagine.

<Se non è così dimmi che cosa ti ha strappato>

<La vita>

Taccio, cercando di decifrare un messaggio simile.
A che cosa può riferirsi? Nessuno le può togliere la vita, lei è qui, al mio fianco, respira, sta con me. Che cosa le può essere successo di tanto grave?

<Vuoi vendicarti?>

Il suo viso scavato si posa sul poggiatesta, rivolgendomi a me, per poi far uscire dalla bocca un tono di voce certo, incurante dell'autista presente, al contrario di quanto faccia io, mantenendo quello di mia appartenenza il più possibile basso.

<È vero che mi piaci, Ian. Non dubitarlo. Questa è una delle poche cose sincere che abbia detto in tutta la mia vita>

<Anche tu mi piaci>, ammetto sulla sua lunghezza d'onda, e la risposta, avendone catturato l'intesa, è un'espressione dolce di semplice affetto.

La considero una donna forte e interessante, mi incuriosisce, per quanto sia egocentrica e spigliata, spudorata e probabilmente cruenta come a solo una donna del suo calibro è richiesto di essere.
Va bene così, in un certo senso è giusto che lo sia, non potevo richiedere accompagnatrice migliore, e me ne rendo conto una volta raggiunta la residenza della festa, illuminata in ogni sua parte.

Esco dalla vettura e faccio il giro, tendendole la mano.
La mia complice l'accetta ed insieme percorriamo il lungo sentiero di velluto rosso disteso ad indicare il portone d'entrata.

<Monty>, saluto, raggiungo l'ingresso e trovandolo sulla soglia, in attesa. Lui non ricambia e la mia dama si sporge a fare altrettanto.

<Buonasera Monty>

<Buonasera>, commenta, infastidito forse a non essere chiamato con il suo cognome. Non che lo conosca, ma la dama al mio fianco probabilmente dovrebbe.

Entriamo nella sala, e veniamo accolti da un'inevitabile e vistoso sfarzo. I decori accecano. I lampadari in perfetto stile retrò rappresentato l'unico rammendo di un'epoca passata poiché il resto è stato disposto con grande e moderno stile, persino l'apparecchiatura dei tavoli, la pista da ballo, l'orchestra, i ballerini d'opera e i camerieri, schierati in fila.

Uno di loro serve calici di champagne, ne ordino due, servendo a Illiya il proprio, gustandocelo a fianco.

<Illiya Sokolov, quale piacevole onore averla qui con noi!>, esordisce uno degli invitati, e lei da gentil dama sporge la mano al fine di venire lodata in un bacio.

<L'onore è tutto mio sergente, posso presentarle il mio accompagnatore? Ian, questo è il Caporale Maggiore Scelto della nostra brigata russa, il signor Salomon Rendy>

<Nome americano>, commento stringe lui la mano.

<Ci sono molti americani che combattono per la signorina Sokolov>

<Sul serio?>

<Tanto stupito Ian? Non annoiamo il mio accompagnatore con certe storie, sergente, altrimenti non vorrà più smettere di sapere>

<Agli ordini, signora>, commenta lui divertito, rispettando il suo volere.

<Ho anche io qualcuno da presentarti>, commento al suo orecchio non appena il soldato abbandona il campo.
La russa si fa curiosa dunque io incito il mio caro amico a farsi avanti.
<L'ultima volta non avete avuto modo di conoscerci. Illiya Sokolov, ti presento uno dei miei amici più fidati, Bjorn>, commento dando una pacca sulla spalla al mio giovane scudiero.

<Bjorn come?>

<Bjorn e basta signora, molto piacere>

<Il piacere è tutto mio, Bjorn>

<Siete molto bella>

<E tu molto dolce, rispetto ad altri>

Punzecchia nella mia direzione ma non ci faccio caso perché altri invitati si introducono fra di noi.
Discorsi che mi annoiano a morte si instaurano in un dibattito acceso, e nessuno di loro riesce ad arginare qualche mia curiosità su questa ragazza, dunque mi scivolano addosso, trascinandomi in un lieve torpore dal quale solo la vista di una determinata persona mi desta.

William entra nella stanza accompagnato dai suoi due fedeli scagnozzi.
Si muove come la bestia che è, osservando rapace la stanza, arrivando a me forse troppo tardi perché una figura ben più importante della sua oscura il suo ingresso, arrivando più vicino di quanto gli sia stato realmente richiesto.

<Dal vivo siete persino più bella che nei racconti, Illiya Sokolov. Posso affermare, senza destare troppo scalpore, che è un'onore avervi tra noi?>

Richard Lee ci ha raggiunti ed il suo arrivo ha separato le acque degli ammiratori della giovane russa, dividendoli in due macrogruppi, ma lei se ne finge onorata e come a pochi altri tende la mano in attesa del formale bacio, venendo presto graziata di un tale dono.

<L'onore è mio, nel poter essere qui>

Lo credo bene dopo tutto ciò che mi ha detto in macchina, dunque alla richiesta di Richard, ricordando le parole di lei, non posso far altro che cedere, e farmi da parte.

<Ian ti dispiace se prendo da parte la tua dama? Non ti annoierai, sono presenti persone che vogliono conoscerti. Ho parlato di te a molti di loro>

<Non si preoccupi signore, è tutta vostra>

E lei non può che accettare di buon grado venendo accolta sotto il suo braccio. Insieme iniziano a passeggiare per la stanza mentre William da lontano li guarda, prima di tornare a me, e poi scomparire in qualche anfratto della casa, seguito da un gruppo di gentiluomini con i quali, penso, sia costretto a portar avanti degli affari.

Il signor Lee non mentiva, separatomi dalla protezione di lei gli invitati accorrono come mosche sul miele per conoscermi, per la maggiore donne attempate e arricchite da perle ma anche distinti signori coinvolti negli affari.
Riesco persino a conoscere qualche altro membro della famiglia, intuendo quanto i caratteri alle volte possono essere congeniti.

Un'ora e mezzo dopo sono saturo di chiacchiere, le voci degli invitati si sovrappongono in frasi scomposte all'interno della mia testa costringendomi a cercare silenzio altrove, per non venirne sopraffatto.

Inizio a camminare, perdendomi all'interno dei corridoi cupi e dispersivi della casa che difinirei un labirinto, in grado di disorientarmi e allontanarmi dal clima di festa fino a spingermi verso il cuore di quest'enorme palazzo dove suoni e rumori non sono affatto percettibili.

Il buio mi circonda finché una finestra non permette l'ingresso della pallida luce lunare, e la visione di un'enorme tela affissa al muro dinanzi al quale staziona una pallida ragazza, dai capelli color dell'oro.

Stregato da quella vista blocco i miei passi, intanto la dolcezza delle sue nude spalle così come dalla sua immobilità di statua dinanzi a quei colori impervi, rappresentativi di una notte oscura sull'orizzonte di uno scuro mare.
Una barca lotta contro respiro di vento che l'arte è stata in grado di rappresentare solo attraverso l'arricciatura di quelle candide vele, mentre la luna piena sovrasta su di lei, donando una pallida e inquietante calma dinanzi all'inevitabile disastro.

È un dipinto molto triste e comunicativo, forte sia nei colori che nei tratti per essere appeso in un contesto del genere, ricco semplicemente di ritratti a carboncino o paesaggi verdi collinari, perfettamente delineati secondo regola d'arte e privi di rotture, ma la ragazza lo guarda affascinata rimanendo immobile, con le braccia stese lungo i fianchi, vestita di una flebile veste di colore bianco.

Al pari del dipinto di luna.

Inclino la testa osservando con attenzione le sue forme mio malgrado peccaminose e la sua piccola statura, i capelli mossi color del grano lasciati liberi sulle spalle in una perfetta scalatura di taglio ed infine le sue mani, fini e molto piccole, le braccia nude, le spalle scoperte ed i piccoli nei presenti e raggruppati in una specie di cerchio, sulla spalla sinistra.

Osservo la sua arte, mentre lei continua a rimanere immobile dinanzi a questo quadro e mi domando cosa possa stregarla tanto da lasciarla immobile a godere della sua magia, quale segreto possa essere a me tanto inaccessibile ... ma forse non posso scoprirlo, forse i miei occhi non sono in grado di vedere con la giusta delicatezza ed emotività a confronto con i suoi, ancora a me inaccessibili, distanti.

<È davvero un bel dipinto. Il pittore che l'ha ideato deve essere molto famoso>, esordisco, mettendo paura al suo credo di solitudine e spingendola quindi a voltarsi.

Il suo viso si manifesta, e il fiato mi si spezza assorbendone la bellezza. Pura e semplice linearità di tratti, simile ad un perfetto connubio di geni, che mi destabilizza.
E come immaginavo gli occhi sono il colpo di grazia, uniti alla sua bocca, poiché decantano una purezza inimmaginabile ed un confine dolce, affatto ostile, sia di bambina quanto di giovane donna, persa ad osservarmi con più tranquillità.

<Mi perdoni, credevo di essere sola>

<Non volevo spaventarla>

<Non si preoccupi, è passata>

<Era così immersa a studiare questo quadro che non si è affatto accorta di me>, noto ad alta voce con stupore, facendo nascere brevemente, in un angolo delle sue labbra, un sorriso.

<Lo ha fatto mia madre, e non era un'artista tanto famosa>, ammette in difetto, tornando a fissarlo mettendosi di lato, in modo da non isolarmi e continuare a scrutarlo.

<È molto bello>

<Lo credo anche io>

<Significa qualcosa, in particolare?>

<Per me è un ricordo, anche se mia madre era solita dare una lettura diversa, quando lo spiegava>

Mi accosto con piccoli passi, facendomi lievemente più vicino a quella dea aggraziata.

<Ovvero?>

<La credeva una storia d'amore, avente come protagonisti i due elementi presenti>

<La luna e la nave>

<Più precisamente la luna e il marinaio della nave. Non era solita dire quale dei due fosse cosa, per lei l'amore era plurivoco, medesimo tra persone dello stesso genere o di età diverse, verso un figlio da parte della madre o di un anziano per la natura e l'arte.
Per lei amare non comprendeva leggi o regole fisse. La considerava una cosa spontanea, inevitabile, lo stesso sentimento che la luna e il marinaio provano l'una per l'altro>

<Perché ha scelto dei soggetti simili?>

<Aveva molte spiegazioni per questo, in parte la storia della luna era legata alla sua vita, mio padre la chiese in sposa sotto un cielo stellato, ma lei dava sempre un significato più profondo, allegorico.
Le vede le onde del mare? Sono agitate solo nello scontro con il legno della nave, impervie, mentre all'orizzonte risultano molto più calme, piatte. Simboleggiano i problemi, considerati insipidi solo una volta costretti ad affrontarli, mentre nel futuro risiede la speranza di una pace, data dall'orizzonte.
Se nota, tra le acque ci sono anche dei sassi che sporgono, scogli arenati, a simboleggiare ostacoli. Ma la luna fa da guida e permette al marinaio di vederli e virare>

<Dunque la luna è solo un consigliere attento?>

<Il più innamorato, che veglia sull'altra persona affinché non si faccia del male>

<E cosa fa il marinaio per lei?>

<Intona delle canzoni. Le maree sono influenzate da lei, con la sua voce calma le acque e tranquillizza la luna, così da passare insieme una fantastica notte l'uno in osservazione dell'altra>

<È una storia molto bella, adoro sentir cantare, la voce di un altro mette a tacere i continui pensieri>

<Eppure è la luna stessa a creare la marea, il suo dolore dato dalla distanza sovrasta come un grido il canto del marinaio>

<Ma l'orizzonte è piatto, giusto?>

Mi sorride, voltandosi.

<Si, l'orizzonte è piatto>

<Ed ancora immerso nella notte>

Dunque posso continuare ad amarsi per le ore restanti.

Raddrizzo la testa allontanandomi con gli occhi dal racconto di quel quadro, soffermandomi a chiedere di lei e della sua presenza qui.

<Perché non sei alla festa?>

<Non gradisco certe cerimonie. Tu da cosa scappi?>

<Dalle domande, e dalle troppe voci>

Gradisco maggiormente questo veloce cambiamento dal "lei" al "tu", nello specifico la rende più aggraziata per quanto meno formale, attenta nel porgere le domande.

<Che cosa ti chiedono?>

<Cose riguardanti il mio lavoro>

<Quale lavoro?>

<È una domanda che lo riguarda pure questa>, costato sorridendo, cogliendo la bionda con un piede in fallo.

<Se ti infastidisce allora non rispondermi>

<Sono un'allibratore>

<Di che tipo?>

<Faccio scommesse sui cavalli>

Il suo viso muta. Da allegro diviene ad un tratto serio, forse triste.

<Sul serio?>

<Si>, confermo, aggrottando la fronte per capirne il problema. Non faccio niente di male. Raccolgo semplici puntate permettendo alla gente di arrischiarsi, in che cosa la danneggia?

<Come ti chiami?>, domanda dura, ed io immagino che adesso la carta della fuga non possa più considerarsi disponibile.

<Ian, e tu?>

Udendo la risposta, la bionda da segno di conoscermi, qualcuno le deve aver parlato, perché d'un tratto si volta facendo calare una maschera di pura freddezza e tenta di andarsene da questo corridoio ma una mia mano l'arresta, trattenendola.

<Lasciami>, sibila in una bassa richiesta di libertà, fissandomi negli occhi con quello che mi sembra essere puro odio.

<Si può sapere quale è il problema?>, domando.

<Tu sei il problema>

<Perché dici questo?>

<Lavori per Richard Lee non è così?>

Esito, non volendole quasi rispondere. Ma poi sono costretto a farlo. Il mio viso le comunica già più del dovuto, portandola di nuovo alla soglia di una fuga ma io le vieto ancora di andarsene.

<Te lo ripeto: lasciami>

<Chi sei?>

<Che ti importa?>

<Voglio il tuo nome, subito>, ordino, più forte di lei quando si tratta di contrattare o imporre la propria forza, e questo viso innocente si costringe all'odio mentre mi sussurra parole del tutto inaspettate.

<Mi chiamo Dafne, e a causa delle tua stupide scommesse non potrò gareggia con il mio cavallo alla gara di questa stagione, o alle prossime future>

Dafne.
Con la mano sto stringendo il braccio di Dafne.
Dafne. La donna di William. Sua cugina. La cavallerizza di Alhena. E non posso non maledire Damien di non avermi fornito una sua foto.
Le voci erano vere: è incredibilmente bella e persino stranamente audace, l'avrei ritenuta una docile sottomessa ma poco importa perché devo allontanarmi subito, una ragazza del genere porta solo guai, come ho già avuto modo di constatare.

<Non potevi comunque partecipare, sono stati già fatti i pronostici e il tuo cavallo non possiede le giuste competenze di gara>

<Non sai niente di quello che posso o non posso fare, ne tantomeno conosci la mia cavalla! È veloce ed ha le carte in regola, temete solo possa vincere, distruggendo la vostra torre di carta>

<So bene quanto Alhena possa essere veloce e quanto risulti più docile della padrona che la comanda>

<Che intendi dire?>, si informa quindi, rallentando dolcemente lo sforzo esercitato nel braccio, al fine di scappare.

<Giravano voci all'ippodromo in merito alla poca propensione della tua giumenta a farsi ammaestrare ma io non ho avuto simili problemi>

<Hai montato la mia cavalla?>, domanda, per quanto già conosca la risposta. I suoi occhi lanciano lampi e adesso, di propria volontà, si fa ancora più vicina a me, osservandomi sempre con maggiore odio.

<Fuori c'era il temporale e lei era molto agitata. Qualche carezza e poi si è lasciata comandare come la migliore della allieve>, la esagero e provoco, anche se non troppo di entrambi i punti, divertito dall'odio che sembra rivolgermi, tanto diverso dalla calma con cui ho fatto conoscenza.
Questo piccolo corpo di ragazza è tutto fuorché meno fragile, e constatarlo mi getta in una strana stato di sorpresa.

<Non ne avevi alcun diritto!>

<Bjorn era via, nella stalla ero da solo>

<Non dovevi cavalcarla, per nessun motivo>

<La dovevo lasciare ad agitarsi? Rassegnati, con me era tranquilla come non era successo con i cavallerizzi precedenti. Alhena ha fiducia in me, prova ad imitarla>

<Non vedo perché dovrei>

<Lavoro per i Lee, a quanto ne so siete una famiglia, anche piuttosto unita, a giudicare dalle voci>

<Qualsiasi cosa tu creda di sapere di me sappi che ti sbagli. Nessuno persona, eccetto una, è arrivata veramente a conoscermi, e tu non sei lei>

<Oh, puoi girarci>, commento divertito dinanzi al suo sconcerto e alla confusione. <Sono quanto di più lontano possa esserci da William Devis e presto arriverai a scoprirlo>, confesso avvicinandomi ancora, bevendo parte del suo respiro.

<Non mi sembri tanto diverso, provi il suo stesso odio>, commenta osservando i miei occhi ed una frase del genere riesce a distruggermi.
Resto in piedi però sotto la sua attenzione ma lascio che il suo braccio abbandoni la stretta imposta.

<Ma non mi riferivo a lui poco fa. Stavo parlando di mia madre>

Stupito mi lascio sconfiggere, in tutto, e le permetto di andare via, non prima di sentirle sussurrare però una frase di ennesima vittoria:

<Goditi la mia festa, grazie per i tuoi sinceri auguri>

E detto questo, in un disprezzo, mi abbandona definitivamente lasciandomi in piedi tra la finestra e il quadro.

La osservo stretta nel suo vestito bianco andarsene nel buio illuminato dal raggio lunare del corridoio, prima di essere macchiata di una dorata luce elettrica, tornando alla sala, e qualche istante dopo la seguo, percorrendo i suoi passi.

Il salone da ballo mi trova, accogliendomi con le sue danze e tra tutte le persone scorgo l'elegante profilo della Sokolov al di sopra di tutti, dunque verso lei mi dirigo, afferrandola per una mano.

<Ian, Che sta succedendo?>

<Voglio andarmene>

<Perché?>

<Per stanotte ho retto anche troppo>, confesso e nella ritirata, con le mani unite a quelle della giovane russa scorgo d'un tratto il viso di Dafne, affiancato a quello di William e Richard al di sopra di un palco, che sprezzate fa scorrere gli occhi sulla presa che ci tiene legati. Poi lungo di lei, concludendo nel torturare me, nella sua privazione di parole mentre, con il microfono acceso ed un bicchiere in mano, Richard proclama a gran voce un brindisi, facendo alzare i calici.

Sotto quella specie di costellazioni di vetri e bolle passiamo io e la mia giovane dama, raggiungendo la porta in un respiro e tornando alla macchina.
Ancora non capisce cosa stia accadendo ma poco importa, ha già avuto il suo confronto con Richard, possa bastarle come vendetta l'averlo tenuto appeso al filo dell'adorazione, in attesa delle sue impreziosite parole.

<Ian si può sapere dove mi stai portando?>, domanda mentre al contempo torno a parlare.

<Vattene>, sibilo in direzione dell'autista che a un tratto scompare dietro mio ordine.
Costringo la Sokolov a salire e a non avanzare ulteriori domande perché per stasera i dubbi nella mia testa iniziano a sovrapporsi, le parole fanno confusione con pezzi di altre frasi ed i problemi vengono a galla, troppo privi di anima per albergare su di un fondo sabbioso.

Ciò di cui ho bisogno è guidare per un paio d'ore, senza una meta, senza pensieri, senza strane voci che mi spintonano dentro ma nell'uscire dalla proprietà, sollevando gli occhi al limite del parabrezza scorgo la luna piena ad illuminarmi la tratta, e ciò mi porta a chiedermi quanto veramente la luna possa amare il capitano, se lo tortura così, e quanto lui stesso possa ricambiare, assuefacendola in un coro di voci.

Non è amore ma semplice imbroglio, la sola manipolazione che riesco a cogliere, non c'è un sentimento puro.
Nessuno sarebbe così pazzo da essere libero protagonista di una storia del genere, nemmeno un capitano ubriaco, nemmeno la luna piena nella sua rotazione di faccia, nemmeno ... una pallida ragazza dai capelli color del grano, corsa a rifugiarsi tra le braccia del suo squallido carceriere per sfuggire da una verità fastidiosa.

Nessuno è tanto pazzo eppure io ho creduto di poter entrare a far parte della mafia mentre Dafne invece è rinchiusa tra le sbarre di un'amore macabro credendo fosse al tempo stesso la chiave in grado di liberarla.

Non potrai mai essere libera come credi, cara Dafne, ti verranno ancora impartiti ordini, mentre io non potrò far altro che sperare che nei miei non salti fuori la richiesta di uccidere un mio amico e macchiarmi del suo sangue, perché potrei morire persino io vendendo sulle mie mani, non potendo privarmi di una tale colpa.

Nessuno è tanto pazzo ... eppure continuo a sentire quel canto di libertà incastrato tra il cemento dei miei palazzi, la voce di Megan che ne intona le note, il sorriso di Wendy che continua a chiedermi di crederci, per lei, per il futuro che verrà, per non farle pensare di essere fuggito dinanzi a un problema ma avendolo invece affrontato di petto.

La pazzia forse è divenuta la mia amica più cara, per quanto non riesca a capire quale dei due soggetti essere, se la luna agitata intenta a smuovere le maree o il marinaio pieno di attenzioni nel non voler far incagliare la stiva della propria nave tra gli scogli e guadagnarsi la morte.
Non sono in grado di cantare eppure credo di essere il secondo dei due, pronto all'azione ed incline all'imbroglio per quanto resti un mistero inferno alla mia vita l'identità della pallida luna posta nel cielo, avente il solo compito di guidarmi.

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