46- Vecchi e nuovi scenari

P.O.V.
Caleb

Azioni, contratti, certificati firmati per eseguire i blitz, ritagli di giornale, qualche foto sbiadita ma nulla di più. Mio fratello non aveva conservato altro nell'archivio in merito al suo caso, o se anche avesse provato a farlo quelle prove erano magicamente scomparse prima di arrivare a me, forse per mano dello stesso agente che lo aveva tradito o forse proprio per conto del suo assassino.

Scavare ancora più a fondo non è stato facile, ma ci ho provato, continuando a sperare in un collegamento, un accesso per percorrere il ponte della memoria e riottenere quello che mi spetta di diritto, ovvero un'identità, un volto, un nome, la mano della persona che ha premuto il grilletto in direzione del suo cuore, tanto vicino da rendere scontato il suo tradimento.

Un nome mi vortica in testa ma ne temo le conseguenze, la mia avventatezza fino ad ora si era fatta da parte, probabilmente per troppo tempo tornando a esigere le dovute attenzioni e sollecitandomi con le sue unghie di bestia, facili da soddisfare. Eppure le sole in grado di provocarmi la soluzione, al pari dell'istinto.

E deve essere un caso, il destino o la sua semplice paura a spingere l'oggetto dei miei pensieri sulla soglia di questo posto a malapena illuminato, ricolmo di cartelle erette su scompartimenti in alluminio di pericolanti scaffali dietro cui lo spio con paziente attesa.

<Lo sai vero che gli straordinari non ti vengono pagati? Esci da questo posto, avanti, prendere una boccata d'aria ti farà bene>

Le sue continue visite, la sua preoccupazione, il suo tentativo di controllo ... 

Il silenzio è una categorica imposizione così potente da far tremare la sua controllata e amichevole sicurezza, lasciando spazio al dubbio.

<Caleb?>

<Ormai ho capito, Ryan. Conosco l'uomo che ha tradito mio fratello, ma non immaginavo fosse tanto vicino ...>, sussurro allontanando la mia attenzione dalle carte solo per vedere ciò che provocano le mie parole ovvero un leggero pallore e poi la sua vile e lenta retrocessione.

La sedia per poco non cade quando in un colpo la spingo indietro in modo da alzarmi e corrergli incontro.
Si tratta di un attimo, uno solo, e poi le mie mani si scoprono già intorno alla sua giugulare mentre lo tengo fissato ad una delle pareti che la sua sempre innalzata guardia non aveva valutato come trappola.
Ora è alla mia mercé e sembra quasi totalmente privo di fiato. Sicuramente nudo e spoglio della grinta oltre che da una macchia di bugia.

<Sei tu il traditore Ryan. Tu, il migliore amico di mio fratello ...>

<Caleb...>

<Cenavi a casa nostra, dividevi il nostro cibo, ascoltavi gli elogi di mio fratello, la sua venerazione per te ... ma tutto questo non ti bastava, essere secondo a lui non ti bastava>

<Caleb, posso spiegarti, lasciami parlare ...>

<Non avrei mai creduto che arrivassi ad ucciderlo>

<Non l'ho fatto! Non ho ucciso tuo fratello, Caleb!>, esordisce in un gemito dovuto alla mia stretta sempre più serrata.

<Ma lo hai tradito, non è vero?>

<Non come credi tu>

<C'è un altro modo per farlo?>, domando saturo di queste ridicole risposte.
Carlail, Damien, Ryan, tutti loro hanno affermato di averlo tradito ma nessuno si è preso la propria colpa.
E a me spetta solo il ridicolo compito di espiare azioni mai raccontate simili ad inneschi, micce di una bomba che hanno aiutato a far esplodere.

<Parla>, sibilo, lasciando di colpo il gancio delle mie mani attorno al suo collo e facendolo così tornare con i piedi stabili a terra, in modo che abbia la possibilità di confessare pari allo zenit dei miei occhi.

<È vero l'ho tradito, ma l'ho fatto senza volerlo, ti giuro. Ammiravo tuo fratello, noi ...>

Socchiudo gli occhi in attesa, emettendo quasi un ringhio rabbioso.

<Noi?>

<Ci amavamo, Caleb>

E a questa risposta l'immobilità mi trafigge come una freccia costringendomi al silenzio.

<Provo vergogna dal giorno della sua morte e non c'è stata ora che non rimpiangessi ciò che avevo fatto>

<Che cosa hai fatto, Ryan?>

Lo sgomento è visibile a chiare lettere sul suo viso, accompagnato dal timore nel rendere una risposta.

<Ho aperto le porte di questa centrale a l'uomo che l'ha tradito e gli ho permesso di arrivare fino a lui>

<Chi è quest'uomo?>

<Non posso dirtelo, ancora non ne ho la forza ma puoi scoprirlo. Carlail tiene il dossier originale del caso nel primo scompartimento della sua scrivania, non devi aver trovato molto per ora ma lì dentro ci sono tutte le risposte che cerchi.
Non riesco a rivelarti più di questo, mi dispiace>

Provo pena per la sua sofferenza, disgusto per la sua fragilità e non riesco a trovare l'uomo a cui mio fratello può aver donato il cuore.
Cosa era affascinante della sua goffaggine e della mancanza di virilità? Dove si nasconde adesso la conferma di un'eccentrica esaltazione dell'uomo caparbio e senza scrupoli, sfrontato, allegro e intelligente, che tante volte ho udito rimbombare?
Cosa realmente era presente dentro questo corpo?

Rifletto su quanto una morte può arrivare veramente a cambiare il cuore di un uomo, senza però aver intaccato troppo il mio, già indifferente e munito di scetticismo per tutto il periodo condiviso di vita e quindi per pena, semplice disgusto, abbandono la metà di quest'uomo e mi dirigo verso l'ufficio di Rachel.

I miei spostamenti non passano inosservati dai gruppi di agenti in piedi o seduti dietro gli schermi dei computer mentre sfogliano documenti, rispondono al telefono in una sovrapposizione di voci, puliscono le armi ma io non ne sono affatto toccato ed in poco più di un minuto apro la porta a vetri del suo ufficio per poi richiuderla alle mie spalle, intrappolando la sua sorpresa.

<Caleb ...>

<Ho bisogno di una mano, Rachel>

Nuvole tempestose le passano di fronte agli occhi.
<Hai trovato qualcosa?>

<Non ancora ma ho scoperto come farlo>

È una ragazza intelligente, lo capisce da sola, scopre il perché della mia richiesta e cede arrendevolmente.

<Non posso trattenere Carlail per molto>

<Quanto basta, per favore. Ho una ricetrasmittente, puoi farmi sapere non appena si fa troppo vicino>

<Perché credi che una semplice richiesta non basti? Voleva bene a tuo fratello, se solo provassi ...>

<Non mi fido più, Rachel> Damien mi aveva anticipato di non farlo. <Quell'uomo sta mentendo da anni insabbiando la sua morte, devo capire il perché>

Attendo per poi vederla annuire e una volta in piedi lisciarsi le pieghe della gonna a tubino nera, facendo scintillare il diamante attorno l'anulare.
Poso una mano sulla maniglia e dal suo ufficio usciamo insieme, prima di separarci drasticamente.

Pedone di un gioco di scacchi, Carlail si erige nella sua statura con fierezza, posizionatosi al centro della stanza mentre è intento a impartire ordini e revisionare particolari casi. Sento la voce di Rachel invitarlo nel proprio ufficio e la sua cedere, consentendomi la via libera per poter avanzare.

Il silenzio che mi raggiunge è figlio del mutismo dell'archivio, mia prigione da ore, giorni, e mi accoglie con pudore, rivelandomi attraverso il filtro delle tapparelle in plastica, accostate ai vetri, il profilo sconosciuto della stanza e la residenza dei mobili. Il predominio della scrivania, sul resto.

Corro e lei, provando a smascherare i suoi segreti. Le mani corrono, da sole, all'interno di ogni anfratto, scompartimento, divisorio, cassetto rivelato facendo razzia del suo legno.
Il cuore a mille ordina agli occhi di non allontanarsi troppo dalla porta dinanzi finché le dita non trovano qualcosa, la semplice e marroncina carta dei dossier con stampato in neretto e in caratteri scuri di macchina il nome di mio fratello, su di un lato.

Avvicino la sedia al tavolo, poso il dossier su di esso ... ed apro lo scrigno di Pandora, rimanendo accecato dalla sua luce.

Predatori gli occhi scorrono voraci, seguendo la linea fine in inchiostro di un'intera vita fino ad arrivare ad un cognome, collegato a delle foto.

Storco il collo in un tic che Meg nominerebbe di nervosismo e faccio scorrere l'attenzione sullo sviluppo di quelle pellicole, trovando file di divise e volti poco noti, a eccezione di tre profili, schierati uno a fianco all'altro.

Esiste un termine per descrivere la presenza di macchie riscontrate nel negativo di una fotografia analogica, causate dall'erronea temperatura dei prodotti chimici usati nella camera oscura, ma io non lo conosco, avendo saputo della sua presenza solo tramite la lettura di uno dei libri che Meg si era portata a casa dall'oratorio un pomeriggio di tanti, quindi non saprei ben descrivere l'inadeguatezza di quel volto noto e traditore, se non lo associo al disgusto.
La fotografia è in bianco e nero ma poco importa.
Non servono i colori per distinguere la sua personalità.

Francis è al centro, in questo ritratto che ritrae solo loro tre di fronte alla caserma, vestiti di tutto punto nelle loro divise e Ryan occupa la destra del suo fianco mentre a sinistra altri non c'è che la bestia, l'uomo che vorrei uccidere ed estirpare da quest'immortale rimembranza, oltre che dalla mia vita.

Con orgoglio ed il mento alto, il cappello perfettamente posato, le mani intrecciate dietro la schiena ed il petto ampio, con un sorriso sottile ed i piedi separati e distanti William si mostra senza scrupoli all'obbiettivo, divertito dal suo stesso gioco.

Ed ogni pezzo del puzzle corre al proprio posto.

La reticenza di Carlail nel voler far risuonare nei microfoni della stampa la rivelazione di quel famoso nome, accompagnandolo alla macchia di un loro errore, come al contempo la falsa pista, le mezze verità, lo sconcerto, la paura. Ogni cosa, eccetto una sola. E quella risiede in una semplice domanda rivolta a me stesso: come può Francis essersi fidato?

Perché adesso so di chi era la mano che ha premuto il grilletto, e ne conosco persino le motivazioni, i traffici illeciti, i complotti, i casini della famiglia Lee, ed è per questo che la divisa su di lui non mi arriva che come l'ennesima provocazione, un monito alla cecità che deve aver colpito tutti, in un posto simile.

Mi alzo di scatto con la cartella in una mano ed il pugno stretto nell'altra, ed apro la porta, diretto verso l'ufficio di Rachel.

I passi sulla moquette per assurdo rimbombano ad ogni metro acquisito, rintronano come in un sottofondo attirando schiere di sguardi ma sono talmente inutili e aberranti che non mi distraggono dalla meta, facendomi raggiungere il traguardo.

Un divisorio troppo semplice da far arretrare, una sorpresa di cui potersi nutrire quando, spalancato l'ufficio di Rachel, trovo gli occhi di lei, seduta dietro la sua scrivania, e quelli di Carlail, in piedi di fronte, spalancati per l'eccessiva ira sfogata nei confronti dell'infisso, ma non me ne frega assolutamente niente.

Quello che provo è ribrezzo, per un uomo del genere.

Per la persona che un tempo avrei considerato come una specie di padre.

Avanzo senza ascoltare quei brevi sussulti di esclamazioni, e con il mio pugno raggiungo il viso di Carlail, facendo correre nell'aria un arco di sangue nella rotazione emessa dalla testa, prima di vedere il suo corpo riversarsi a terra, come la sua natura di vile verme lo obbliga a restare.

P.O.V.
Ian

Dovrei ritenermi fortunato nel potermi non considerare il giornaliero, e abitudinario, trastullo resosi cura alla noia di Monty, avendo ottenuto come edizione speciale la tutela vigile di Xavier, probabilmente in momentanea e solo per le poche ore che ci dividono dalla prossima giornata.

<Posso sapere di che si tratta questa volta? Pensavo di aver smesso con le consegne, ma la tua presenza mi fa credere il contrario>, do voce alla mia angoscia, mascherandola di curiosità.

<Non si tratta di una consegna>

<E allora di cosa?>

Tenendo il volante fermo e l'attenzione per le prossime parole ben innalzata, si cura di rendermi parte dei piani dopo un tempo paradossalmente infinito.

<Possiamo dire che per il momento sei un'allibratore a tempo perso. Non ha ancora avuto luogo la prima gara, e mancano ancora delle settimane quindi, avendo convinto la maggior parte dei nostri clienti a partecipare, dovrai tornare a fare il lavoro sporco per loro conto>

<Quanto sporco?>

<Niente di più di quello che ti viene solitamente richiesto. Devi convincere una persona a pagare, un vero osso duro. Solitamente è Monty a contrattare con lui ma ultimamente sembra non averne avuto i nervi, lasciandoti quindi il permesso di avanzare>

Almeno che non si tratti di un'ennesima prova delle molte da lui stesso imposte.

Monty dubita di me e me lo ha fatto intendere, non smetterà mai quindi mi domando quanto possa realmente contare una mia riuscita a confronto di un mio fallimento ma poi mi ricordo di Richard, dell'assurda e immotivata fiducia che pare rivolgermi gratuitamente, e capisco di non dover in alcun modo far calare il suo credo. Dunque tenterò, per quanto senta di non averne la forza.

<Come può sapere chi sono?>

<Non lo sa, tu glielo spiegherai. Puntualmente a quest'ora di lunedì uno dei nostri uomini si presenta alla sua porta a chiedere il pagamento, e se non è in casa lo aspetta nel rientro, sfidandolo in caparbietà. Come ti ho detto è un osso duro, incline a volersi ritirare dagli affari ma non ha ancora capito che un accordo con persone del genere viene firmato e impone catene all'anima, per il resto dei giorni. Vedi di ricordartelo, pure tu>

Non c'è giorno che passi che non me ne ricordi.
Troverò un modo per farlo capire persino a lui, se significa salvargli la vita.

Un'enorme palazzo intonacato di grigio avente tetto pari si mostra a noi non appena la macchina accosta, indicandomi l'entrata da percorrere.

<Sarò qui ad aspettarti, vedi di muoverti>, aggiunge prima che sia costretto a scendere e risolvere la cosa.
Annuisco distrattamente, sentendomi poi gridare alle spalle attraverso il finestrino abbassato il piano e l'appartamento da raggiungere.
Percorro le scale, in modo da riflettere, elaborare un discorso plausibile e cercare il giusto equilibrio interiore in grado di non far trasparire la stessa fame che un tempo persino io ho provato, che continuo a provare non avendo accettato mai i soldi che questo lavoro mi aveva allungato perché sporchi delle mani di Richard, tanto da guadagnarsi il mio disprezzo.
Dunque capisco quello che quest'uomo prova.
L'odio nel dover rendere conto a certa gente, l'accorgersi di aver sbagliato e il voler rimediare.

Salendo il mio pensiero va a Lorelan, la ragazza che associo al mio tacito grido di speranza. Spero di poterla tirare fuori dai guai, che questo lavoro mi permetta di fare almeno questo.
Un uso lecito dei soldi sporchi.
Uno "spreco" che mi farebbe stare bene.

Ma rendermi partecipe delle loro disgrazie non mi permette di vedere le cose con l'ottica richiesta, o tantomeno di superare la sfida imposta da Monty non tradendo così le speranze di Richard dunque assumo il distacco necessario alla riuscita, raggiunto il piano e l'appartamento, avendo suonato persino il campanello.

Dei rumori di passi che vengono incontro mi annunciano la presenza dell'uomo oltre questa barriera, anticipando il suo arrivo.

L'ingranaggio scatta ed io alzo gli occhi.
Trovando quelli di Kevin a fissarmi.

Resto immobile ed in silenzio tentando di capire dove risieda la logica in tutto questo.
Quale assurdo motivo mi abbia condotto fino alla porta di casa sua.
Temo persino di aver sbagliato.
Ma lo stupore annunciato solo alla mia vista, seguente alla placita rassegnazione di un atteggiamento afflitto e stanco, mi fanno credere che non sia così. Che Kevin, come mi ha detto persino Xavier, stesse veramente aspettando il suo creditore, e che in alcun modo pensasse di trovare me qui.
Posso dire che il pensiero è reciproco.

<Ian!? Che cosa ci fai qui? Vieni ... entra pure>, mi invita ma non prima di essersi affacciato oltre l'ingresso ed aver tentato di intercettare l'invito dei suoi sgraditi ospiti.
Non immaginando che uno di loro ... sia proprio io.

Non ho parole per esprimerlo dunque sono costretto a questo cammino verso il patibolo, tacendo ancora senza veramente desiderarlo e mi uccide la felicità, una volta rimasti veramente soli, che il suo sguardo sembra voler osteggiare.

Per tutta la mia vita Kevin era stato un personaggio a me scomodo.
Non l'ho mai veramente apprezzato, totalmente, come meritava, ben cosciente del legame stretto che lo unisce a Caleb.
Dalla mia ho sempre avuto Nicolas, che per appunto la mia apoteosi evita al pari di una malattia infettiva per cui ci siamo schierati sempre così, in parti, con Megan, e il nostro reciproco affetto, tra me e Caleb, a tenerci uniti. Nessun miglior collante, in grado di resistere alle assurde gelosie che tra di noi si manifestavano spontaneamente.
Dunque trovarmi qui ... non è affatto facile per me.
Non riesco ad approcciarmi con la delicatezza che vorrei.
Non riesco a comprendere fino in fondo cosa realmente sia successo.

Da quando fa affari con loro tanto da dover subire il pizzo di un pagamento di favori?
Perché non ha detto niente a nessuno di noi?

<Credevo fossi nel South Side insieme agli altri, ma mi fa piacere che ti sia venuta l'insana idea di fare un giro qui in città. Accomodati, posso offrirti da bere? Non ho molto ma direi che una birra ce la possiamo dividere>

<Sono io>, sussurro, e temo per un attimo di non essere stato udito. Ma Kevin ha sentito, forte e chiaro.

<Chi?>

<L'uomo di Monty, Kevin. Sono io>

E vedo come il mondo sembra cadergli addosso in macerie.
Il colpo tra di noi fa più frastuono di un cataclisma, più danni di una semplice bugia. Scomoda la frase si frappone tra di noi, togliendoci il fiato.

<Come è successo Kevin? Come sei riuscito a metterti in un simile guaio e fare affari con loro?>

<Non sei in una posizione tanto diversa, a quanto vedo>, sibila carico di banale fastidio che da sempre ha avuto nei miei confronti.

Da sempre. Da quando mi diceva che Megan non era la donna per me. Che avrei dovuto farmi da parte perché era Caleb a meritarla.
Lui non mi conosce, oggi come allora, non sa niente di come realmente sono.
Caleb lo sa, per questo, nonostante la nostra continua sfida, per Megan come per tutte le altre sfaccettature della nostra vita, io lo rispetto, gli voglio bene come so che me ne vuole lui, nonostante ci governi, a me più che ad altri, un'indomabile gelosia che ancora non ha raggiunto la resa dei conti.

Quindi se vuole fare a gara a disprezzo e sfacciataggine faccia pure, non mi interessa, ma devo scoprire cosa lo ha realmente coinvolto fin qui e per farlo devo provare a scoprirmi persino io, un poco.

<Non lavoro per loro, fa tutto parte di un piano elaborato da me e Caleb>

Oltre che da Damien, ma pronunciare persino il suo nome, tra queste pareti, fa tremare le fondamenta.

Il secondo nome di uomo che preferisce la presenza di Caleb alla mia.

<Dio, state collaborando?>

<Sapevi di lui?>

<Mi aveva raccontato. Non credevo lo facesse per davvero>

<Invece siamo qui, come te>

<La credevo la via più facile per uscire dal South Side e farmi una vita>, sorride malinconicamente, abbassando lo sguardo, <non mi sono mai sbagliato tanto>

Un silenzio ingestibile regna tra di noi, per lungo tempo alimentando pensieri e fila di discorsi inutili, assurdi formalismi che mi obbligo a mettere da parte, passando ai fatti.

<Ti mancano i soldi, Kevin? Mi stanno pagando, posso anticiparti quanto dovuto>

<No, li ho, anche io sto lavorando>

<Allora perché non paghi?>

Alza le spalle, intrecciando le braccia contro il petto in un gesto di protezione verso tutto quanto.
<Lo ritenevo un modo come un altro per non dar loro ciò che vogliono>

<Così però li farai incazzare ancora di più>

<Lo so, me ne rendo conto, si è trattato di un periodo, non so cosa mi sia preso. Ho rivisto Morisot e ho avuto voglia di lasciarmi tutto il prima possibile dietro le spalle>

<Hai un grosso debito da saldare. Se non te ne starai buono ad obbedire agli ordini finirai nella loro lista nera, e da quella nessuno potrà salvarti>

<È tutto partito con niente, un semplice anticipo>

<Non è mai niente, Kev, non con gente come loro. Stai attento va bene? E promettimi che salderai la somma>

Annuisce e a bassa voce mi promette in un sussurro, consentendomi di rilassarmi.
Xavier mi sta aspettando giù alla macchina ma ho ancora il tempo per una piccola domanda.

<Stavano tutto bene, in paese da noi?>

Finalmente torna il suo fastidioso sorriso.
Temevo per l'uomo adombrato fattosi vivo nei nostri discorsi ma ecco che il suo eccentrico carattere riesce a far breccia, rammentandosi delle proprie origini.

<Si, stanno tutti bene>

<Pensavi di tornare di nuovo, prima delle vacanze?>

<Ho promesso a Celine di farlo, e poi tra poco più di due settimane ci sarà il matrimonio di Meredith>

<Ricordo, la madre di Megan e lei hanno cucito l'abito>

<Sarebbe bello se persino tu venissi>

<Vedrò cosa posso fare, non mi è permesso molto spazio di manovra in questo nuovo lavoro>

A quelle parole ecco tornare la sua preoccupazione di amico più grande e parente acquisito.
<Giurami che starai attento>

<Solo se farai lo stesso. Ora però devo andare, mi ... aspettano, giù, alla macchina>, confesso retrocedendo come un peccatore dinanzi alla salvezza del Paradiso, troppo tentato di varcare quella soglia, tornare alla vita di un tempo, improvvisamente resasi distante.

Le serate al Brunett passate insieme, i pranzi al sacco con Megan nella pausa di lavoro, tutto troppo lontano, appartenente ad un'era precedente all'attuale in grado di provocare pizzicore di fastidiosi ed emotivi ricordi.

Kevin mi lascia andare, ed io abbandono le quattro stanze che è riuscito ad affittare continuando a fissarlo negli occhi e raccomandandogli il meglio, solo questo, perché di più non posso fare.

<La prossima volta torneremo insieme nel South Side>, prorompo con l'ultima finale promessa di questa serata.

L'ho sempre detestato, ma vedendo il suo sorriso il laccio intorno al cuore inietta nelle vene sangue dolce, affogando il fastidio dato dalla sua saccenza, ed eccolo tornare un semplice ragazzo di umili origini proprio come noi, e che semplicemente era stato tentato nel percorrere la via più semplice al fine di ottenere un risultato ma che adesso risulta pentito, ed incline al cambiamento.

Ed io? Che cosa sono diventato?
Uno spacciatore, un corriere, un'allibratore, una spalla per Xavier, per Richard, e cos'altro?
Mi sento imperfetto dinanzi al suo volto di ragazzo.

Ma ecco che giunge persino per me la consapevolezza di non essere altri che me stesso.
Un biondo ragazzo del South Side, cresciuto con mio padre in un piccolo appartamento da tre stanze, dismesso ed in continua, perpetua, decadenza, affiancato da un gruppo di amici e da Megan, da sempre alla mia destra, senza abbandonarmi mai.
Ancora lo stesso uomo che ha lavorato sotto il sole e non dimentica la fatica, abituato a guadagnarsi quanto gli spetta per poter vivere, senza sopravvivere, perché non sa accontentarsi.

Sono ancora io, Kevin mi ha permesso di scoprirlo, e forse è una delle poche cose buone che per me ha fatto in tutta la sua vita, seppur inconsapevolmente.

Mi basta. Mi consente di lasciarlo, tenendo nel cuore ciò che ci siamo detti, scommettendo sulla nostra riuscita.

Orami sono divenuto un maestro nell'azzardo per cui tanto vale rischiare e avanzare la propria premonizione, attendendo il bacio in fronte della Dea bendata e negando un suo possibile rifiuto, perché alle volte basta anche solo sperare.

Alle volte basta crederci, per poterci riuscire.

P.O.V.
Caleb

<Caleb aspetta! Lasciamo almeno spiegare, smetti di correre e ascoltami>

Il nostro piccolo paese è attento e nascosto, intento ad udire la preghiera di quest'uomo che da pochi minuti mi sta correndo dietro, ovvero da quando ho abbandonato come una furia la centrale di polizia, lasciando cartelle, prove e quant'altro al suo interno, arrendendomi a questa sporca legge.

Non mi fido di lui, quanto meno di Ryan e delle loro parole.

<Non c'è più niente da spiegare Carlail, continua a fare il tuo lavoro, vedi di salvarti la faccia che è la cosa che ti riesce meglio, a quanto pare>

<Ho sbagliato, ma erano anni difficili suo padre governava su tutto e tutti, e William aveva poco meno di tuo fratello, non lo conoscevo, non aveva ancora acquisito la sua fama per cui mi sono fidato>

Il ruolo della vittima non gli si addice eppure è quanto basta per permettergli di vedermi arrestare e addirittura voltare.

<Posso credere a questo, in fondo quanto avrà avuto William? Diciotto anni? Ma non mi importa, il nome di Richard Lee era già abbastanza famoso da convincerti a insabbiare questa storia senza mai dire la verità a nessuno, nemmeno a noi! La sua famiglia, che per anni è stata alla ricerca della verità!>

<Un tempo lo temevo, ma ora non più, per questo ti ho chiesto di lavorare con me, e di remare loro contro>

<E credi davvero che basti?>

L'esitazione vorrebbe fargli rispondere affermativamente alla mia domanda, ma per fortuna il buon senso prende il proprio posto all'interno del cervello.

<No, non lo farà mai, ma non posso cambiare gli errori del passato, posso solo lottare per non commetterli più in un prossimo futuro. Sono stato un sciocco. Te l'avrei detto. Ti ho permesso di far luce su quel caso volendo che tu lo scoprissi da solo, ancora una volta colpa della mia maledetta codardia, ma te l'ho permesso ed ho aspettato questo momento per molto tempo.
Non chiedo il tuo perdono perché so di non meritarmelo.
Quello di cui chiedo è la tua collaborazione. Ho bisogno di te per poter archiviare per sempre questo caso, ed andare avanti.
Non la pensi allo stesso modo?>

Taccio ascoltando seppure per poco il mio cuore che risponde affermativamente con un solo battito, ma la mia testa si aggiunge alla conversazione facendo notare che tutto questo non basta, e che occorrono ben altre parole, per potersi esprimere affinché niente possa venire dimenticato.

<Credevo che fosse come un padre per mio fratello. Lui le voleva bene e lei lo ha tradito.
Si ricordi questo.
Un brav'uomo ha riposto la propria fiducia in lei, e nessun errore gli è costato tanto. 
Rammenti quanto pesano certe azioni mentre compie il suo lavoro, e solo una volta che ci avrà fatto i conti sarà in grado di essere un buon poliziotto, perché avrà scoperto quel breve confine che divide noi dai criminali. È un attimo fare il passo nella direzione sbagliata.
Resti dalla giusta parte della linea>, sibilo, prima di incamminarmi nuovamente verso la centrale.

Non ho altre parole da dire, tantomeno più personali o piene di rabbia.
Tutto finisce qui, in un patetico scetticismo dato da anni di dolori nei quali ho imparato a far scivolare tutto quanto alle spalle fingendo che non potesse rimanere dentro me, così da salvarmi.
Patetico stratagemma che però ancora mi tiene in piedi e mi consente di camminare con fierezza verso questo covo di vipere e nido di serpenti, preservando ancora nel cuore un vecchio credo di legalità e giustizia a rischiarare il cammino dei miei passi.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top