4- Sul posto di lavoro

<Stracciato! Bambollotto, arrenditi all'evidenza, sei stato battuto, per ben due volte in una sera, dalla sottoscritta>

La voce festosa di Nicole rompe il collegamento nato tra me e quei verdi occhi, ridestandoci come da un torpore, e facendoci riassumere una posizione ortogonale alle sedie. Nel marasma generale, continuo ad osservare Caleb recuperare il proprio posto al tavolo, di fronte a me.

<Va bene biondina, per una volta lo ammetto, sei stata più brava>

Nicole si vanta riempiendosi di mosse che stregato Joseph osserva senza parole, divertito e con il manuale in procinto di cadergli dalle gambe, ormai dimenticato. Ian invece sembra rassegnato, trovatosi a mescolare di nuovo il mazzo di carte, agli antipodi di Nicole o di Celine che osserva il suo disegno con occhio fiero. Kevin riporta l'attenzione su di lei a cui vedo cambiare pagina, ma non prima avermi lanciato uno sguardo sorridendomi.

La ricambio, domandandomi quale lato di me abbia catturato, se quello ancorato al passato, schiacciato dal ricordo, oppure l'altro, stravolto dall'istante in cui Caleb è venuto a strapparmelo via, passandoselo sulle labbra.

Celin siede proprio accanto a lui che non sembra essersi accorto di quello scatto rubato. Nicolas invece mi guarda con occhi a mezz'asta.

<Caleb! Sei arrivato, finalmente, ci hai messo un sacco!>, esclama Andrew, staccando gli occhi dalle stelle.

<Scusate il ritardo>

<E perché ti scusi? Visto il graffio che hai sulla faccia e quel morso sul collo direi che possiamo immaginare tutti quello che eri a fare>

Arrossisco di colpo, pensando alla scena della vasca, al modo con cui miei di denti hanno lasciato quei segni, e spero tanto che con il buio il mio rossore non si veda. Ma non posso esserne certa perché sento più affilata la lama pesante del giudizio che Nicolas mi sta puntando alla gola.

Gli occhi di Ian mi cercano, una curva gentile nello sguardo.

<Vuoi giocare con noi Meg?>, domanda, mentre io osservo Caleb che non replica alla provocazione di Andrew, mantenendo invece lo sguardo basso, fumando la mia sigaretta.

<Posso fare un tiro?> chiede d'un tratto Nicolas, rivolgendoglisi. Questi afferra il pacchetto di sigarette dalla tasca, con mia sorpresa, e le tira sopra il tavolo con un gesto smaccato. L'accendino è ancora li.

Le labbra di Nicolas si trasformano in un ghigno. <Ma come? Non mi offri quella?> e con la testa indica la mia, stretta tra le dita di Caleb.

<E' finita>, gli sento rispondere, e la sua voce, con quel tono, assomiglia ad un avvertimento. Nicolas non si lascia intimidire e guardandolo negli occhi sfila una sigaretta dal pacchetto, se la posa sulle labbra e l'accende, portandosi poi indietro con le spalle per abbandonarsi sulla sedia.

Mi rendo conto che Ian attende ancora una mia risposta, e torno a lui che rivolto verso me sembra voler dare le spalle a quel teatrino.

<No, lascio i due campioni in gara a scontrarsi>, riesco a dire, finalmente.

Vedo il modo con cui valuta l'occasione, e colgo persino il momento nel quale lo raggiunge un'idea.

<Mi sa che abbandono, questo gioco mi ha stancato>

<Non sai perdere, mio caro>, commenta Nicole recuperando le carte. Sento puzza di trappola.

<Può essere> Aggrotto le sopracciglia tentando di capire, e nel contempo Ian si volta verso la mia direzione con una soddisfazione provata a celare agli altri, e ne capisco troppo tardi il motivo. Proprio mentre Nic sta distribuendo le carte. Solo per due.

Kevin sta dedicando attenzioni alla sua ragazza, una volta avvistata abbandonare l'album, lasciando così il tavolo di gioco ai veri campioni in carica.

Questi due perfidi calcolatori.

Che si sia trattato di una specie di rivincita?

Nicole e Nicolas sono rimasti soli.

La mia amica fulmina Ian con uno sguardo.

<Stai scherzando spero>

<Avevi così voglia di giocare contro uno della tua altezza, quindi avanti, Nicolas è il solo rimasto>

<Nemmeno fosse l'ultimo uomo della terra> sentenzia la biondina volgendosi verso il diretto interessato, poco prima di abbandonare la partita, ma è sempre lui a chiudere in bellezza, con una battuta nemmeno tanto celata.

<Un tempo non dicevi no, nanerottola. Proprio a niente>

Nicole spalanca gli occhi e, afferrata la prima cosa nella casa gliela tira contro, non colpendolo per poco. Giuro, avrei voluto farlo io.

Caleb continua a fumare la mia sigaretta, e quasi mi fulmina con gli occhi, mentre mi vede afferrarne un'altra. Non gli piace che lo faccia. E' ridicolo, visto che fuma anche lui. Così, quasi per sfida, recupero l'accendino dal tavolo e l'accendo. Nonostante la distanza, gli vedo assottigliare gli occhi.

<Ci venite alla mia festa dopodomani?>, si rivolge Kevin al gruppo, cercando un consenso generale che non tarda ad arrivare.

<Ma certo Kevin, chi se lo lascia sfuggire il tuo addio a questo inferno>

<Già, proprio una bella cosa>, borbotta Celin, allontanando la mano dall'intreccio creato sopra il tavolo con il fidanzato.

Kevin è il solo di noi ad aver ottenuto un vero posto in questa piramide sociale che ci ritrova alle fondamenta, pur non avendo conoscenze o i famosi agganci, ma solo con i propri sforzi, ed è di sicuro la persona che più invidio della nostra cerchia, probabilmente perché mi assomiglia, nei versi migliori del mio carattere, ed è riuscito a raggiungere una meta a me troppo lontana: la posizione ad assistente universitario è troppo, per chiunque di noi, ma non per lui. E adesso deve partire, si trasferisce in uno dei dormitorio offerti dalla sede ai tutor, con una rata minima da pagare e accessibile, dopo tutti quegli sforzi, anche se questo vorrà dire non essere più presente alle riunioni del giardino per due mesi, fino alle vacanze.

Celin non crede di poter resistere tanto ma io sono certa che ci riuscirà, è una ragazza forte, Kevin ha scelto bene. Così, per salutarlo, l'intero quartiere ha deciso di organizzargli una festa in onore, perché funziona così nella nostra grande famiglia, quando un membro se ne va, lasciando il nido per spiccare nel cielo, altro non si può fare che accarezzargli le ali, e sperare per il meglio.

<Bene, e adesso che ne dite di cambiare argomento?> la butta sullo scherzo il festeggiato, incrociando le mani, ormai sole, davanti a sé.

<Ci sono novità?> chiede Ian, ed è Joseph, trovatosi proprio al suo fianco, a rispondere per primo.

<Oggi a lavoro è stato assurdo, in officina sono arrivate sei macchine, di grosso calibro, e due moto da corsa. A bordo c'erano dei ragazzi più o meno della nostra età, tutti pressoché ventenni, e vi giuro, è bastato uno sguardo per capire che non erano di qui. Si insomma che era gente ricca, importante, venuta in questo buco di mondo per un lavoretto sottopagato. Volevano tutto aggiustato al massimo in tre giorni. Non potete capire che rottami ci avessero portato, sembravano essersi scontrare in serie. Ho pensato subito a una corsa illegale, visti i danni, e l'avrebbe fatto anche il signor Bing, se solo ci fosse stato>

<Eravate da soli?>

<Avete spiegati a quegli zotici che in tre giorni non si può riparare nemmeno uno specchietto di quelle loro merde super accessoriate?>, chiede a Jospeh Nicole, tornata con un bicchiere d'acqua dalla casa. Lui alza le spalle, chiudendo il manuale.

<Ci ha pensato Caleb>

Mi sento raggelare. Nicolas si rivolge a lui.

<Che cosa gli hai detto?>

<Più o meno quanto ha detto anche Nicole>

<E secondo voi avevano partecipato davvero a una corsa?>

E' a quel punto che Joseph abbassa lo sguardo, quasi pentito di aver sollevato l'argomento. <Sullo sportello di due macchine c'erano segni di proiettile>

Sto per sentirmi male. Cerco Caleb con lo sguardo ma mi sfugge, non volendosi far catturare.

<Dovevate vedere come si è rivolto a quegli stronzi. Il signor Bing non vuole problemi, quindi appena abbiamo notato i fori di proiettile sapevamo di non poter accettare il lavoro, ma questi non andavano via così Caleb si è fatto avanti. Devo dire che anche se eri calmo sei riuscito comunque a farmi paura, ma che quelli, dalla loro, avevano il capo degli stronzi: il tizio portava dei capelli tinti biondi pieni di gel da sembrare unti, ed era vestito di tutto punto, in alta sartoria, avete presente? con un orologio al polso in grado di saldare tutti i debiti di mio padre, e sapete quanti ne ha quel farabutto. Fatto sta che questo, non appena apre bocca, si identifica per l'imbecille che è, e per intimidirlo va tanto vicino a Caleb da far sembrare che volesse lasciargli un bacio sulla bocca! E, oh, questo qui non si è mosso di un passo> Le parole di Joseph dovrebbero apparire come complimenti scherzosi, ma per me sono aghi, e mi stanno pungendo a brevi intervalli tutto il corpo. Spero solo che la smettano il prima possibile.

Io mi sono preoccupata di Julia, lui mi ha fatto credere che fosse veramente lei il problema, quando in verità era successo ... tutto questo?

Quanto posso essere egoista e insensibile?

Lo immagino faccia a faccia con il capo dei figli di papà, la vena a pulsargli sul collo, la rabbia trattenuta a stento.

Perché davanti a quei viziati per rispedirli a casa tutti avrebbero potuto esserci, ma non Caleb. I ricchi gli avevano portato via tutto.

I soldi, la giustizia corrotta, i proiettili avevano strappato dalla sua vita la felicità, per questo ad avvicinarsi non sarebbe mai dovuto essere lui.

Ma questo Joseph non poteva immaginarlo.

Caleb lo aveva detto solo a me, anche se credo che pure Ian sappia qualcosa.

<E come è andata a finire poi?> Mi salva inconsapevolmente Nicolas, mettendo fine a questa tortura. Ancora una volta è Joseph a rispondere, mentre l'altro tace.

<Hanno mollato la presa. Sono saliti sulle loro belle macchine e hanno fatto retromarcia, anche se prima di andare il galletto, per non sentirsi sconfitto, ha voluto lanciare una minaccia a Caleb, dicendogli che sarebbe tornato a spazzargli via la terra da sotto i piedi> Spengo la sigaretta premendola per terra, in modo da poter nascondere, con un gesto quasi naturale, lo stato con cui nel giro di poco mi ha ridotta Joseph. <Saranno le solite parole a vuoto di un montato che crede di avere il mondo in mano> rimarca, e a quel punto m alzo, andando a buttarla nel cestino di casa questa dannata sigaretta, percependo appena, in sottofondo, la voce di Celine.

<Speriamo>

Segue un breve silenzio nel mio ritorno a posto, ma per fortuna viene presto riempito da altre novità. Celin riafferra il suo blocco degli schizzi, mostrando a Nicolas delle nuove idee: lavorano entrambi per un centro tatuaggi, prima era solo Nicolas il tatuatore, ma vista la capacità di lei nelle arti figurative e la necessità di un lavoro, era stato impossibile non prenderla. Come mestiere, sono inevitabilmente portati a spostarsi verso il centro città, dove li attendono più clienti trepidanti nello scoprire il vento delle novità, lasciando così noi altri nel pieno della polvere, nell'isolato dell'infanzia.

Nicole è una parrucchiera, Joseph e Caleb si occupano di macchine, Ian fa il muratore, Andrew il saldatore, mentre invece io sono un po' di tutto, in tempo di crisi.

Con il passare delle ore i discorsi iniziano a farsi confusi, mescolandosi e intrecciandosi tra di loro in modo da coinvolgere tutti ma inevitabilmente vengo avvolta, ad un tratto, dal mio solito mutismo e lascio che siano gli altri a parlare, e così, lentamente, lascio ai miei amici il compito di condurre la serata, notando come, quasi in una specie di abitudine, con un ritmo pianificato, le persone si alzano, in piccoli gruppi, per compiere gesti comuni. Kevin e Celin, a fine serata, si ritrovano ad aggiustare la casa messa a soqquadro dall'ultima notte in cui siamo rimasti là dentro a dormire, forse un modo per rimanere soli e parlare, prima del gran giorno. Joseph e Nicole si stanno avvicinando invece all'altalena, nascosti da milioni di cespugli e rami, un vecchio rito che hanno di fissare le stelle, ritenendo di vederne maggiormente di cadenti in questo periodo dell'anno, e mi chiedo quanti desideri si sono trovati a esprimere. Nicolas e Andrew invece stanno bisticciando, e sembrano dei bambini, mentre si spintonano pronti a dare fastidio a una delle coppiette.

Ed è così che, intorno a questo tavolo, siamo rimasti noi tre, io, Ian, e Caleb.

Sentiamo a malapena Nicole inveire contro Nicolas, indovinando il suo piano di attacco a uno dei gruppi felici, seppur avvolti nel nostro silenzio, ma le poche frasi percepite sono in grado di strappare a tutti e tre un sorriso.

Il divertimento finisce però una volta che il gruppo si allontana, divenendo troppo distante, e vedo Ian rivolgersi a Caleb, con uno sguardo serio.

<Come stai?>

Ed il modo con cui lo chiede mi permette di confermare ciò che poco fa avevo sospettato. Sa qualcosa, e non lo nasconde.

<Bene>, dalle labbra di Caleb esce un sospiro profondo, quasi avesse trattenuto il fiato, fino a questo momento.

<Non avete niente di che preoccuparvi>

<Li avevi già visti?>

<No ma non torneranno. Parlami del cantiere invece>

<Il capomastro è uno stronzo, ma i lavori vanno avanti>

<Ti avevo detto di venire a lavorare con noi, Joseph si trova bene>

<Lui è un mago con i motori, come te. Io invece non ci ho mai capito niente>, ammette con tutta sincerità.

Caleb abbassa lo sguardo.

<Ti potremmo sempre insegnare> Sincero, senza esitazioni. 

Ian sorride. <Deve ancora arrivare il giorno in cui tu mi insegni qualcosa>, lo provoca, e riesce per l'incredibile a farlo sorridere, per la prima volta in tutta la sera.

Lo vedo alzarsi. <Dove vai?>

Ian si volta verso di me. <Ho sveglia presto, e ormai sono le due. Se non voglio addormentarmi di fronte alla betoniera sarà meglio che vada>

<D'accordo> lo vedo farsi più vicino, e dopo poco le sue labbra mi raggiungo la fronte, posandovi un bacio. <Domani ho il turno di lavoro, pranziamo di nuovo insieme, se ti va>

<Certo> mi accarezza in viso <A domani>

<A domani>

Con un cenno del capo saluta Caleb, prima di andarsene. Ed ora siamo rimasti solo noi due.

Vorrei dire qualcosa, ho le parole incastrate in gola e non vogliono uscire. Lui mi aspetta, è paziente, e pronto a tutto, ma forse ha atteso troppo visto ciò che dice, tornando ad occhi bassi.

<Forse è ora che anche io vada>

Lo vedo sollevarsi dalla sedia, vorrei bloccarlo, e finalmente ci riesco, proprio mentre mi passa vicino.

<Caleb aspetta!>

Che cosa dire, avuta la sua attenzione? Vorrei trovare un modo per rassicurarlo e levargli tutto il dolore di dosso, allo stesso modo di come ci è riuscito lui poche ore fa, con un semplice gesto della mano. Ma non sono tanto brava, né con i gesti né con le parole, di solito mi nascondo dietro altri frasi sconnesse, senza lasciar mai trapelare la verità, o ciò che voglio. Ed è così faccio ancora una volta, sperando lui riesca a vedere dietro quella facciata che non mi riesce di abbattere ciò che veramente vorrei riuscire a dire.

<Io ... non ti ho ancora tagliato i capelli>

Sono le due di notte, ed io ho replicato con questo. Una persona qualunque mi darebbe della matta. Ma non lui.

<Vuoi farlo adesso?> Annuisco. <Allora torniamo indietro> Annuisco ancora una volta, più debolmente, poi raggiungo Celine e Kevin, informandoli della nostra ritirata.

Nella strada di ritorno il silenzio ci avvolge e mi dà modo di riflettere sulle parole da dire, ma arrivati a casa mia niente mi sembra giusto. Apro il portone, e stranamente per una volta non oppone resistenza. Caleb mi segue, attivando milioni di déjà-vu.

<Ti aspetto di là> Annuisco, per la terza volta, tra poco la testa mi si staccherà dal collo, me lo sento, quindi prego le parole affinché accorrano al mio soccorso, per evitarlo.

Poso le chiavi su un piccolo mobile all'ingresso e spengo le luci di casa rimaste stranamente accese. Vado verso camera di mia mamma e come sospettavo la trovo addormentata nel suo letto, finalmente a riposo. Sono sicura che non è rientrata da molto.

Recupero il paio di forbici che mi servono, un asciugamano, e torno da Caleb, in attesa, sul bordo della vasca.

Oggi il nostro mondo gira in torno a quella, mi trovo a pensare, fissando quasi con rimpianto il punto del nostro bisticcio, preferendolo al silenzio.

Passo l'asciugamano sulle sue spalle e faccio avvicinare Caleb al lavandino, davanti al quale ho posto uno sgabello.

<Siediti qui> suggerisco, e una volta accomodato faccio partire l'acqua calda. Prendo lo shampoo, sotto il controllo del suo sguardo. Quel verde non perde un mio movimento, e gli arrivo pericolosamente vicino, una volta versato lo shampoo in una mano.

Sono due centimetri sopra il suo volto, lui non si ritrae.

Faccio scorrere una delle mani piena di shampoo tra i suoi capelli, e finalmente gli vedo chiudere quegli occhi ipnotici.

Le ciglia sono tanto lunghe da fargli ombra sulle guance. Il respiro è lento, gli solleva appena il petto.

Continuo facendo scorrere le mani, e a un certo punto gli sfugge un sospiro leggero, come di chi trova finalmente un po' di pace. Me lo dice anche il suo corpo, le sue spalle che d'un tratto si distendono, la sua fronte che perde il cruccio assunto piegandosi al mio volere, le sue mani divenute libere da un presa invisibile e il petto, svuotato da quel sospiro.

Sono riuscita anche io a liberarlo dai suoi pensieri, e senza bisogno di parole.

Una volta pronto, chiudo a malincuore l'acqua, dal momento che quei lenti passaggi erano riusciti a tranquillizzare persino me.

C'è un lungo istante di immobilità impossibile da giustificare, precedente a un sorriso divertito a me dedicato, mentre si tira su e mi costringe, con un'espressione, a fare un buon lavoro. Ridacchio con le forbici in mano, ma poi mi faccio concentrata, volendoci riuscire.

Volendolo far sentire amato, almeno per un po', perché lo è, incredibilmente tanto: sua madre vive per lui, Joseph stravede per la sua maestria al lavoro, nella vita, mentre Ian lo considera una sua spalla, così come tutto il resto del nostro gruppo ... mentre io, io lo considero come una parte di me. E se quella parte soffre, io non sono indifferente. L'incontro, avuto sul posto di lavoro, deve avergli fatto più male di quanto voglia far credere.

Ma va bene così, non mi serve che parli, adesso deve solo stare fermo mentre io mi prendo cura di lui.

A lavoro finito, posso definirmi soddisfatta. Ai due lati della testa il taglio è volontariamente più corto, quasi rasato, cosa che gli valorizza il viso, a mio discapito, evidenziandogli gli occhi verdi ed il nero dei capelli, mentre per il resto sono mediamente lunghi al di sopra del capo, destinati ad acconciature improponibili, visto che non riesce proprio a tenere ferme le mani, concludendosi poi di nuovo corti sulla nuca.

E' ancora più bello del solito. Credo di essermi rovinata da sola. 

<Ti piace?> domando, e dallo specchio lo vedo annuire lentamente, soddisfatto.

<A te?> chiede a sua volta, con una voce bassa, roca.

<Si>

Ci fissiamo nello specchio, restando immobili sul posto.

<Posso restare?>

Annuisco, senza più riflettere.

Decide di aiutarmi nel mettere a posto, ed è così che alle tre e mezzo di notte riusciamo tutti e due ad avvicinarci al mio letto.

Non è la prima volta che dormiamo insieme, ormai ci ho fatto l'abitudine, anche se stasera mi sento più fragile del solito, forse per quello che ho scoperto, forse per essere stata su un'altalena delle emozioni troppo movimentata con lui oggi, piena di alti e bassi.

Nel buio della stanza lo vedo darmi le spalle, togliendosi la maglia. Seguo la linea dei muscoli della sua schiena, arrivando a scontrarmi con i jeans, per poi decidere di voltarmi e fare lo stesso.

Prima il sopra, poi il sotto. Rimango in intimo prima di chinarmi a raccogliere il pigiama, una maglietta e dei pantaloncini corti, da dentro l'armadio.

Lo indosso con calma, piena di pensieri, e quando mi volto lo trovo già girato.

Arrossisco ma non commento, immaginando dovesse capitare, vista la mia lentezza, e mi infilo dentro il letto. Lui mi raggiunge, e quando lo fa non gli permetto di andare troppo lontano, o di voltarmi le spalle, perché finalmente ho trovato le parole per esprimermi.

Poso una mano sul suo petto, attirando la sua attenzione.

<Avrei voluto che tu me lo avessi detto, mentre eravamo in vasca>

<Non è stato niente di cui preoccuparsi, Julia era un discorso più importante e volevo chiarirlo subito> Aggrotto le ciglia e sono pronta a replicare, ma lui mi precede.

<Non hai sentito mentre rispondevo a Ian? Erano solo dei figli di papà venuti a farsi un giro qui da noi, niente di più>

<Ian non ti conosce come ti conosco io, non si preoccupa perché non sa>

La sua mano si posa sulla mia, con forza mi tira a se e ora sono sul suo petto, vicinissima al suo viso.

<Proprio perché mi conosci dovresti imparare a non preoccuparti. So cavarmela, non devi temere nulla, e nessuno> lo spero davvero, mentre cerco rifugio con il viso contro il suo collo.

<Su cosa mi hai mentito, Caleb?>, gli chiedo ricordandomi il nostro pomeriggio, sotto il getto del soffione, colta da un'improvvisa stanchezza. <Qualsiasi cosa fosse, spero che tu non mi stia mentendo anche adesso, perché altrimenti sarò io a presentarmi nella tua officina. Sarà con me che dovrai vedertela ed io non sono clemente come quei figli di papà>

Lo sento sorridere, appoggiato con il mento sopra la mia testa, ed è la reazione che desideravo.

<Credi non lo sappia? Dormi adesso, ne riparleremo domani>

Certo che lo sa, non può non saperlo. Lui è una parte di me. Ma al contempo, da sempre, persino io ... sono una parte di lui.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top