38- Alhena

P.O.V.
Ian

L'odore acre della stalla mescolato a lozioni di repellenti agli insetti mi spinge a socchiudere gli occhi, già in parte probabilmente arrossati. Monty invece appare insofferente ai fastidi, e con sicurezza passa al mio fianco per raggiungere il fantino a guardia del posto, un ragazzo giovane e moro sulla ventina, intento a far scorrere il pettine tra i capelli neri dell'animale fieramente immobile sotto le sue cure.

<Buongiorno, spero di non aver raggiunto questo posto con troppo anticipo>

<Signor Monty! Si figuri, nessun disturbo. Questo è l'uomo di cui mi avete accennato?>

Nel parlare lo vedo avanzare.
Velocemente posa l'oggetto poco prima presente nella sua mano, passando a togliersi entrambi i guanti, pronto alle formalità.

<Direi di sì ...>, conferma stancamente Monty, già saturo di questa situazione. Ferisce sapere che l'odio e il fastidio provato verso la sua persona possa essere ricambiato con altrettanta forza. <Bjorn, Ian. Ian, Bjorn, il vecchio assistente di Alhan>

<Sono ancora colpito dalla sua morte>

Alhan è morto?

<Tutti noi lo siamo, ma certe cose capitano, purtroppo>

Specie se ti riveli un'informatore in contatto con la polizia.

<Ian lo sostituirà, non è così?>

<Precisamente, sarà il nostro nuovo allibratore, ma prima ha bisogno di qualche consiglio e di conoscere le nostre bellezze>, spiega Monty facendosi più vicino al cavallo ancora sprovvisto di sella. La mano arricchita da importanti anelli percorre il fianco dell'animale, accarezzando lentamente e con maestria. Tra bestie si intendono, penso dentro di me, mentre Bjorn si lascia sfuggire un'espressione felice e spensierata che mi destabilizza per la sua inopportuna presenza.

Prima Xavier, adesso Bjorn ... come possono certe persone essere soddisfatte della propria vita? Quella specie di mio primo mentore era totalmente a conoscenza delle fondamenta sulle quali era stata costruita ma forse questo spensierato quanto abbronzato fantino destinato a corrermi dietro e a sussurrarmi nelle orecchie i premi da mettere all'asta può non saperne niente, ed è plausibile così vista la sua giovane età, tanto vicina e forse inferiore alla mia, considerata dal loro mondo governato da una nube di controllo come una minaccia.
Spero che sia come penso, che possa essere anche solo in parte degno di fiducia. Umano, come a nessun altro di noi è permesso restare.

<Billy Gray è un vero asso nella manica per una gara di corsa, riesce a guadagnarsi il primo posto al podio all'ultimo minuto. Ci toglie sempre il fiato, a noi così come agli scommettitori>

<E' veloce?>, domando fingendomi interessato, quando la sola cosa capace di catturarmi l'attenzione si rivela essere la straordinaria maestria con cui la mia guardia carceraria si fa carico continuando ad accarezzare l'animale dagli zoccoli alla criniera, grazie a delle mosse lente in grado, dopo poco, di installare un rapporto di fiducia, una specie di connessione tra loro due.

<Il migliore in campo. Aspettami, vado a recuperarti la cartella dei premi raggiunti così possiamo confrontarli con quella degli altri>

<Mi trovi qui>

Felice dell'incarico da lui stesso suggerito si mette subito in moto per raggiungere a passo svelto la piccola capanna al centro del maneggio, laterale allo spazio ovale delimitato da staccionate in legno dell'altezza di un metro e mezzo, nel quale immagino correre e allenarsi i cavalli.
Probabilmente Bjorn è il solo a prendersene cura vista l'assenza di ulteriore personale, un'altra conferma della previdenza che i miei superiori non mancano mai dimostrare di avere.

<Una volta che Bjorn avrà finito di presentarmi i partecipanti del gioco sarai tu a spiegarmi le regole?>, domando all'uomo ancora inginocchiato sulle punte dei piedi, intento a far passare, ad una ad una, la mano sulle gambe muscolose e allenate di Billy Gray, arrivando a verificare lo zoccolo una volta essere riuscito a far piegare l'arto.

Alla mia richiesta sorride senza però voltarsi, cadendo in un mutismo figlio del fastidio.

<Ho come l'impressione che tu non voglia trascorrere troppo tempo in mia presenza, mi sbaglio?>, proseguo spietato, deciso a mettere in chiaro una volta per tutte ciò che quest'uomo realmente pensa. La sua devozione nei confronti di Richard Lee sfiora l'assurdo se non giustificata in qualche modo, con un evento del passato o con una semplice rivelazione che sia in grado di chiarire una buona volta il tipo di rapporto che li lega, e che io con tanto ardore desidero scoprire.

<Richard si fida di te>, commenta, usando per primo il solo nome dell'uomo al comando.

Un'amicizia radicata negli anni, prosegue nel riflettere la mia mente, continuando a percorrere la propria strada, mentre il pensiero comanda la mia voce.

<Al contrario tuo>

<Non potrai mai piacermi, Ian. Non arriverai a piacermi mai>

Spalanco gli occhi inconsciamente, interrogandomi sul mio errore.

Quando, quando se ne è accorto? Il mio doppiogioco, la mia falsità ... quando è trasparsa dal mio sguardo?

<Sembri sincero>

<Lo sono>

<Perché ne sei tanto convinto? Se il signor Lee si fida di me perché tu non dovresti fare lo stesso?>

Posso solo sperare che l'ansia non sia percepibile dal tono di voce che ho appena rilasciato dopo un periodo di vita trascorsa nel lasciarla in ostaggio, ma non lo posso sapere perché non vi sono regole che Monty non sia in grado di raggirare, ne schemi concettuali o mosse fin dal principio calcolate che non possano rivelare il mio gioco all'inganno, condannandomi alla morte.

Temo la ripercussione di ogni suo possibile pensiero, nonostante, in qualche modo, in maniera totalmente assurda e priva di logica il signor Lee sembra avermi già donato piena fiducia, e potere decisionale, al seguito dell'incidente al capanno. Era vero, li avevo salvati dalla polizia e dalla denuncia ma sul serio Richard Lee si lasciava sedurre così? Perché ho come l'impressione che ci sia ben altro a convincerlo ad alzarmi di grado e perché, perché, ho come il sesto senso che Damien sappia di cosa si tratta?

Perché ha voluto me e non Caleb?

Il lavoro alla centrale certo, gli era stato offerto, e poi la sua rabbia, la mia inclinazione nel voler ragionare a mente fredda ... ma perché non basta? Perché mi trovo a dubitare così?

Caleb non è uno sprovveduto ed io non sono tanto irremovibile o incline a volermi far provocare, quindi la scelta dell'uno non denigra o privilegia l'altro.

Ci deve essere per forza un motivo dietro che se chiesto con convinzione e diritto di causa non sarà rivelato dalla nostra guida a capo della rivoluzione, ed in questo clima di incertezze posso solo sperare che sia tanto forte da non tremare al soffio del vento abbietto.

<Forse non lo sai, ma io e Richard siamo amici, fratelli quasi, da ben molti anni ... chi ci conosce ne è consapevole. Richard Lee è un uomo all'apparenza paziente, ma in verità affatto capace di attendere una qualsiasi cosa, specie se tanto attesa. E' intelligente, furbo, uno stratega ... ma la maggior parte delle volte il suo difetto risiede nell'amaro vizio del non saper rallentare.
Richard corre fino a perdere il fiato ed ottenere ciò che vuole. Io sono il suo freno. Sono io a concedergli di osservarsi intorno, alle volte, e verificare particolari che la corsa lo ha obbligato a mettersi alle spalle, per questo motivo insieme funzioniamo tanto bene e lui non mi consente di abbandonare il suo fianco.
Per cui spetta a me il compito di spingerlo a ragionare se qualcosa sembra non voler funzionare come dovrebbe>

<Non ho fatto niente di sbagliato>

<Per questo sei ancora dentro, ancora non lo hai fatto, ma arriverà il momento Ian in cui sarai costretto, per un motivo o per un altro. Sappi solo che prima di allora sarà mio compito impedirti di essere presente sul luogo, ben lontano dalle nostre vite>

Finalmente torna a guardarmi attraverso le lenti nere, tonde, scure, incapaci di abbandonare i suoi occhi ma tanto mi basta per sentirmi direttamente coinvolto dalle parole appena emesse.

<Adesso ti lascio a Bjorn. Alle sei in punto passerò nuovamente da qui. Fatti trovare pronto>

Alzandosi lascia una breve pacca sulle costole del cavallo in segno di congedo, procurandosi di donarmi solo una piccola e ultima occhiata nemmeno degna di nota prima di scomparire e lasciare il suo posto a Bjorn.

<Ecco qui, il quadro generale delle gare vinte>

<Ti occupi da solo di questo maneggio, Bjorn?>

<Proprio così, ogni mattina mi prendo cura di loro e alle undici faccio partire l'allenamento. È dura con dodici cavalli di razza, ma il signor Lee paga bene e questa ormai è una seconda casa>

<Ti piacciono molto gli animali, non è vero?>

<A te no?>

Volto il capo verso Monty, scorgendolo salire in macchina.<Non quelli a sangue freddo>

<Qui abbiamo solo cuori di fuoco, ti posso garantire>

Prestando attenzione al ragazzo al mio fianco riesco ad apprezzare il rapporto confidenziale che, senza alcuna particolare reticenza, da solo si è trovato a costruire.
Credo proprio che possa essermi simpatico.

<Te li presento, loro sono Baston>, indica con la mano un cavallo nero chiuso nel recinto dal pelo particolarmente scuro, alternato a piccole macchie.

<Jena>, anche lei nel recinto intenta a far agitare la pagliuzza sul fondo, mentre sfoggia una pelliccia marrone chiaro, particolarmente curata.

<Lion, Pece e Togo. Loro cinque sono i miei allievi migliori, non riescono a deludermi mai, mentre invece Weeky>, un piccolo cavallo all'apparenza fin troppo timido, intendo a sbuffare in un respiro facendomi sorridere, <non vuole proprio saperne di mettere la testa a posto, giuro mi fa impazzire. È un cavallo facile da montare ma impossibile da gestire, tiene un caratterino ... direi che il suo comportamento è una totale incognita, non si possono far supposizioni sulla sua vittoria, guarda qui. La stessa identica gara, 1993, 1997, stessi partecipanti, stessi risultati cronometrati. Nella prima perde nella seconda vince, nonostante un infortunio>

<In quattro anni devi averlo spronato per bene>

<Giuro di non averlo più toccato con una sola mano. Non l'ho allenato affatto, ce l'avevo con lui. Tenevo molto alla gara del '93 e lui mi aveva deluso, così me la sono presa sul personale e ho iniziato a ignorarlo>

<È solamente un cavallo, si sarà ricordato di quello che gli hai insegnato>

Bjorn mi fulmina con lo sguardo, e capisco di aver enormemente sbagliato nel pronunciare una frase simile.

<Nessuno di loro è un semplice cavallo, come vuoi intendere tu. Ognuno di loro ha un'anima e non esitano a dimostrarlo. Weeky deve aver avuto il desiderio di mostrarmi quanto può essere valido, così sulle ali della libertà si era aggiudicato nella corsa la vittoria, in modo magistrale.
Giuro, una sfida che non mi dimenticherò mai. Alhan non ci avrebbe scommesso sopra un soldo, a quanto mi disse, ma c'è sempre un piccolo inconveniente a rivoluzionare le sorti di una gara. Quel piccolo particolare che non avevi preso in considerazione alla partenza, e che costringe la vita a modificarsi.
Quel giorno io non avevo affatto pensato al cuore di Weeky tormentato dall'abbandono, e lui con rabbia mi aveva minacciato di non rifarlo.
Da quella volta lo alleno sempre prima degli altri, alle dieci in punto, e non salto mai un appuntamento, ciò nonostante fa ancora i capricci, impedendomi di controllarlo.
È come una sorta di primo amore. C'è dell'astio e del rancore a causa delle nostre poco affinate comprensioni, eppure l'affetto regna su tutto. Non lo lascerei mai scappare, nemmeno dovesse perdere per sempre la gamba. Rimarrebbe con me, al mio fianco in questo maneggio, e insieme fisseremo gli altri continuarsi ad allenare>

Ora sono certo della sua umanità.
In mezzo a questa confusione ho finalmente trovato un alleato a cui riservare la mia fiducia, con cui abbassare la guardia. 

<Avanti Bjorn, dammi quella cartella>, ordino con un sorriso strappandogli il raccoglitore dalle mani, scorrendo gli occhi sotto il comando delle sue parole e seguendo le sue indicazione mentre mi presenta con attenzione i vari soggetti sotto analisi. 

Circa un'ora dopo riesco ad ottenere il quadro generale degli undici cavalli in grado di partecipare alla gara prevista tra tre settimane, ma ricordo di avergli sentito dire che ne ospita dodici, quindi facendo un breve controllo con gli occhi scorro su ciascuno di loro, arrivando a rammentarmi alcuni dei loro nomi, e finalmente arrivo allo sconosciuto del caso, l'unico a non essere stato ancora presentato. Un bellissimo esemplare bianco perfettamente in ordine e legato al fianco degli altri recinti con una corda particolarmente lunga in grado di farlo avanzare per la stanza, e mi domando come non sia riuscito a non notarlo prima.

<Si chiama Alhena>

<E non partecipa alla gara?>

<Non può>, mi volto senza capire. Da una prima analisi sembra in perfette condizioni. <Non appartiene al maneggio, la ospito qui come favore>

<A chi appartiene?>

<A Dafne>

Ho già sentito questo nome.

<Di chi parli?>

<Scusami, forse ancora non la conosci. È la cugina di William Lee, il figlio di Richard>

Dafne. Adesso ricordo.

<L'ha comprata?>

<La cavalca>Spalanco gli occhi sorpreso, non aspettandomelo. <Anche all'amazzone>, aggiunge, ed io torno da Alhena.

<Un nome un po' particolare>, ragiono, senza rendermi conto di averlo detto ad alta voce.

<Non ne conosco la provenienza, un tempo credevo fosse quello della madre>

<È legata alla madre?>

<È morta, a causa di una malattia>

<Era molto piccola?>

<Credo avesse dieci anni>

Dieci. Ad undici William si era fatto avanti.
Quale assurda mente può pensare di farlo dopo un grave lutto?, ragiono, senza alcun motivo o senso logico, e quando me ne rendo conto chiudo velocemente la storia di Dafne in una delle mie camere stagna, senza farmi coinvolgere ulteriormente da un racconto che non mi appartiene.

<Hai altro da mostrarmi Bjorn prima che Monty torni a riprendermi?>, una premura alla quale vorrei mettere fine, ad ogni modo.
Forse una volta ottenuta la giusta fiducia di Lee ...

<Volevo mostrarti l'ufficio dove Alhan teneva le vecchie carte e i registri delle scommesse, oltre che i contatti dei clienti. Immagino possa esserti utile così da chiamarli ed avvertirli della prossima gara. Alhan faceva sempre così>

<E dove si trova questo ufficio?>

<Proprio a fianco di quella piccola casa dove risiede la hall>

<Fai strada>

P.O.V.
Caleb

Passo entrambe le mani nei capelli, in un vizio che preannuncia la mia esasperazione mentre me ne sto chiuso nell'archivio della centrale di polizia, di fronte a montagne di rapporti e varie carte.

Dai capelli le mani passano agli occhi, obbligandoli a chiudersi in un nero più scuro di quello presente all'interno di questa stanza, illuminata solo da uno scadente neon a luce bianca nascosto dietro l'insormontabile fila di scaffali, e questa piccola lampadina da tavolo, in grado di donarne una più cromata, tendente all'arancio.

Mi ero immaginato che la documentazione non fosse affatto facile da sottoporre ad una personale indagine, visti tutti gli avvenimenti capitolati da mio fratello, i raid delle varie squadre di polizia andati a vuoto a causa di terzi, probabili soffiate, o vieti amministrativi di giudici corrotti, poco inclini nel permettere l'atto.

Non deve essere stato facile per Francis nuotare in tali acque. Per me non era diverso, aggiunto anche il fattore "talpa" a mettermi in guardia.
Diffidavo di tutti gli occhi all'interno del distretto.
Persino, dopo ciò che aveva detto Damien, di quelli di Carlail.

Perché fidarmi di Damien e non di Carlail, quella specie di padrino per mio fratello?

Perché mi era sempre parso un uomo tutto d'un pezzo, incline a mantenere la propria immagine o reputazione intatta, nonostante andasse a svantaggio di altri, oppure più semplicemente perché lo ritengo la sola persona in grado di salvare l'intera centrale da un disastro.
Non so bene quali delle due cause possono averlo spinto a tacere sulla morte di Francis, fatto sta che così è stato. Per la città era corsa la notizia di un'assurda rapina finita male e non se ne era saputo più niente. Per cui Damien in qualche modo deve aver avuto ragione. Tanto vale fidarmi di lui, nonostante sembra comandarci dall'alto.

<Caleb! Al piano di sopra non si fa che parlare di te. Tutto bene? Perché sei rinchiuso in questo buco di stanza?>

<Ryan ... è un piacere rivederti>

<Pure per me, anche se mi sembra assurdo!>, esordisce con sorpresa, restando ancora sul ciglio della porta in un bilico che mi infastidisce, nel pensiero di poter essere visto o ulteriormente sentito.

Ryan. Era uno degli uomini più vicini a mio fratello. Era il braccio destro di mio fratello. Il compagno che portava a cena e di cui elogiava le gesta intorno al tavolo di cucina con il servito pronto, in attesa di essere assaggiato. La persona che da sola occupava la seconda panca in quella chiesa spoglia, proprio dietro la nostra. Sapevo che lo avrei rivisito, ma avrei volentieri evitato un tale esordio commemorativo.

<Si può sapere perché Carlail abbia voluto che tu fossi dei nostri? Crede tu ci possa aiutare con dei casi?>

<Sembra sostenerlo, si>

<E ne sei in grado?> Alzo gli occhi verso la sua irruzione, da sempre infastidito dalle sue domande sciocche, alle volte provocatorie. <Ma certo, cosa chiedo a fare, sei il fratello del grande Francis, se non hai ereditato tu i suoi geni chi altro?>

<Probabilmente tu, passava più tempo con te che in mia presenza>

<Il lavoro ci consumava>

<Ad ogni modo sono qui, vedi di non spargere troppo parola>

<Perché non vuoi che si sappia? Ti infastidisce che parlino di te?>

Anche. <Non voglio essere associato a mio fratello>, confesso per metà, convinto che possa bastare.

<Dovresti invece, qua dentro è considerato una specie di eroe>

<Gli eroi non muoiono>

<Nemmeno lui lo ha fatto>

Un colpo di pistola al centro del petto, ravvicinato.
Un tradimento che gli è costato la vita.

<Sei ancora vivo tu, no?>, prosegue.

Si ... si lo sono, ma in che parte di me si trova lui?
Se era stato presente per tutto questo tempo potevo solo pregare di non aver acquisito la cecità che lo ha spinto a morire, fin da allora.

<Per qualsiasi cosa ad ogni modo mi trovi su. Passa se vuoi, ci prendiamo un caffè>

<Vedrò che fare>, stavolta mento apertamente, declinando già nella mia testa l'invito sgradito al piano superiore.

Con un colpo di mano sull'infisso della porta, Ryan mi concede il suo saluto, prima di eclissarsi. 

Sospiro preso dall'ansia, con il terrore di dover nuovamente affrontare quei fogli ma la certezza di doverlo fare prima o poi.

<Che c'è Ryan, che altro vuoi dirmi?>, chiedo esausto percependo il sopraggiungere di passi, e mollemente riporto la testa dritta, dopo averla abbandonata contro la sedia.

Rimango senza fiato davanti a quell'assurda visita.

<Rachel>, emetto senza fiato, trovandola vestita in una divisa della polizia con i capelli corti e mossi, ancora biondi come un tempo e un sorriso dolce a fissarmi.

<Ho sentito al piano superiore pronunciare il tuo nome. Non pensavo si trattasse di te finché non ti ho visto seduto a questo tavolo>

<Cosa ci fai qui? Sei entrata in polizia?>

Non la vedo da otto anni. Da quando stavamo insieme. Da quando sono andato a letto con lei per la prima volta nella mia vita, prendendo persino la sua verginità, la stessa Rachel di cui ho parlato con Megan quella giornata al mare, la stessa adesso in piedi, di fronte a me.

<Ti piace?>

<Ti dona molto, dico sul serio>

<Grazie>

<Rachel non ti vedo da ...>

<Otto anni>,mi sorride, consapevole, <lo so, è passato molto. Spero che la mia visita non sia sgradita>

<Affatto. Vuoi accomodarti?>
Mi alzo in piedi, detestando parlare con una persona che mi è dinanzi mentre sono seduto, avvicinandomi a lei ancora ferma sulla porta.

<Non voglio essere di troppo disturbo, stavi lavorando>

<Non sei di disturbo>

Forse sei la sola a non esserlo.
La sola qua dentro che non ha tradito Francis, perché come me eri solo una bambina.
Non ne sapevi niente. Non ne sapevamo niente.
E ora tutto ci arriva addosso.
La mia indagine.
La tua divisa.

<Perché l'hai fatto? Intendo .. perché sei entrata in polizia?>

<Sei stato tu> La fisso, senza riuscire a capire. <O meglio, non proprio tu, ma tuo fratello. Lo sai che io e lui parlavamo molto. Una di quelle volte, mentre ero nella vostra cucina, gli ho raccontato della mia indecisione nel voler entrare e lui mi ha spinta a farlo. Ne parlava con un tale amore ... che non ha potuto non convincermi>

<Già, a quanto pare Francis era un mago in questo>

<Odi parlare di lui, non è vero? Quando ho saputo della sua morte avrei voluto esserci ...>

<Non ti preoccupare, e si odio parlarne, quindi chiudiamola qui se non ti spiace>

<Non preoccuparti, non ti vedo da molto, abbiamo molto altro da raccontarci>

<Sarebbe bello fallo altrove>

<Un giorno magari, per adesso non hai proprio nessuna novità da darmi?>

Sorrido. Un sorriso che proviene dal cuore. È istantaneo e affatto meditato, per cui la sua magia viene scorta con chiarezza dagli occhi di lei. Sconfitto come mi sento essere, e come ero un tempo di fronte alla chiarezza del suo sguardo, lascio cadere il capo di lato, resistendo invano alla sua forza.

<Caleb ...>

<Sto insieme a Megan adesso. Siamo innamorati>, confesso, ed il cuore quando lo faccio, un poco alla volta, rallenta sempre il battito.

<Dici sul serio? È fantastico!>, confessa con l'entusiasmo che da sempre la caratterizza, ed io le sorrido apertamente.

Stavamo insieme ma Rachel ha sempre saputo di Megan, nonostante io non le avessi detto niente. I primi tempi non se ne era accorta, ma con il passare delle settimane, mi aveva confessato, persino a lei si era fatto evidente, e la nostra relazione era caduta nel vortice di un problema più grande, Meg, e l'attenzione che non riuscivo a non prestarle, per cui la rottura era stata inevitabile e di comune accorto. Rachel doveva partire, formarsi lontano dal South Side e andare a vivere da altri parenti, mentre io ero rimasto a vivere la vita condotta fino ad oggi, e non senza impossibili sforzi.

<Tu invece? Hai qualcosa da rivelare sulla soglia di un archivio impolverato?>

Esitante ma piena di elettrizzante entusiasmo la trovo ad alzare lentamente la mano, fino a mostrami una fede in oro, ferma in un abbraccio attorno all'anulare.

<Ti sei sposata?> Annuisce e non potrei esserne più stupito sul momento, ma poi riflettendoci bene non lo sono affatto. Rachel è una donna di buon cuore, meritava qualcuno che l'amasse fino in fondo, come non ero riuscito a fare io. È un'amica con la quale passavo i pomeriggi, volente o nolente, a confessarmi, per cui non posso essere più felice per lei. Meritava il lieto fine, visto che con il matrimonio, come si dice, tutto finisce.

Vorrei dirle una frase del genere ma mi prenderebbe a pugni, senza ombra di dubbio, fino a farmi ammettere che non ci credo davvero.

<Sono felice per te Rachel, dico sul serio>

<Anche io Caleb, per te, si intende>
Sorrido della sua impacciataggine, la stessa di un tempo.

<Ora che so che sei qui posso venirti a fare visita più spesso? Con il fatto che sono nuova qua dentro le persone sono solite girarmi a largo, forse potremmo farci compagnia>

<Volentieri>, rispondo con sincerità, felice di aver ottenuto il giusto amuleto in grado di scacciare via il malocchio di un viavai odioso di gente, una buona volta.

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