37- Tra i dipinti al museo

P.O.V.
Kevin

Mi era mancato il modo dolce con cui Morisot mi sorride. Non solo quello. Tutto di lei. Averla davanti a me, adesso, significa tornare ad essere intero, e capisco di aver fatto bene a decidere di mescolarmi nuovamente con la polvere di queste strade: per l'incredibile questo posto, solo ora, riesce a darmi il respiro di cui necessito.
Se solo lo avessi capito tempo addietro niente di tutto questo sarebbe successo, io ... non mi sarei trovato senza fiato.

<Andiamo>, la incito tendendole una mano, desiderando allontanare i problemi almeno per oggi. Stupita la mia donna la osserva quasi non sapesse che farsene, rimanendo immobile simile a una statua di sale, ancora accomodata al nostro tavolo in caffetteria, una brioche davanti e la grande tazza di cappuccino a fianco, lo stesso che le aveva sporcato il viso donandole grandi baffi bianchi.

<Dove?>

<E' una sorpresa, dovrai seguirmi per scoprirlo>

Avanti ribelle, sbottonati un po', lascia andare quest'imbarazzo che non ci appartiene, torniamo ad essere i pazzi innamorati che siamo, e che tutti invidiano e invidiavano.
Ridammi la vita, anche solo per un giorno.
Saprò farmelo bastare.

Piccole le sue fini dita, decorate da anelli ingrigiti, scompaiono nel mio palmo per poi venire racchiuse dopo un mio debole sorriso, così afferrata la sua ala usciamo lentamente per raggiungere il parcheggio dove ho abbandonato l'auto.
Celine sembra ancora non capire, ed io non mi espongo nel rivelarle niente, quindi preso posto al volante controllo di avere i due biglietti in tasca, decidendomi poi a partire.

La sua curiosità è il carburante della tratta, le dolci frasi in merito alla vita che si trova a vivere il giusto pretesto per tenere la radio spenta, fino al raggiungimento della nostra meta.
Morisot spalanca gli occhi. Non se lo aspettava, pare dirmi, ma io sono sempre pronto per stupirla. Per questo recupero dal sedile passeggeri la busta nera preparata da giorni, stando attento che lei non mi noti, nonostante la percentuale delle possibilità sia estremamente bassa.

Arrivati all'entrata del museo mostro i biglietti alla reception, e con un elegante cenno di mano da parte di una delle guide otteniamo il giusto congedo per partire alla scoperta della mostra.

<Kevin ... è bellissimo, come sei riuscito a entrare?>

Abbasso gli occhi per non rivelare tutta la verità.
<Ho preso i biglietti per tempo>

<Grazie, davvero, erano mesi che volevo venire>

<Lo so. Non credere che la distanza mi abbia portato a dimenticarti. Ti conosco meglio di chiunque e per questo ...>, alzo la busta rimasta nella mia stretta per tutto il tempo, rivelandola con un sorriso, <... ti ho preso una cosa>

Tendo il regalo, e a recuperarlo è la sua incertezza.

Mentre si trova a scartarlo, nel silenzio della sala mi ricordo della sua buffa abitudine nel voler conservare l'imballaggio di ogni regalo, recuperando nastri, nuovi elastici per i suoi capelli o abbellimenti alle sue trecce, oppure semplici e piccoli oggetti di decoro, presenti in ogni confezione. Da anni giacciono nella scatola che tiene sotto il letto, e per quanto mi irriti lasciar proseguire la vita a cose inutili come quelle vivendo insieme mai mi sono azzardato a buttarli, non temendo la sua ira ma volendo continuare a guardarli e crogiolare in quel sentimento dolce nel quale sono costretto a nuotare quando la mia piccola Morisot mi rivela senza pudore il suo eccessivo entusiasmo da bambina.

Sfortunatamente la fretta e il poco senso estetico non mi hanno permesso di aggiungerne di particolari, costringendo la busta a una vita monocolore e particolarmente difficile, essendo limitata da due colpi di spillatrice, ma Morisot non sembra farci caso perché dopo molto tempo è tornata a ricevere un mio pensiero.

Tende le mani divertita, in un chiaro segno di richiesta così cedo la posta in gioco e nell'attesa assumo una posa da spaccone, un sorriso artificiale al solo scopo di farla ridere e comunicarle una frase del tipo "hai visto, quanto realmente ti conosco?", e credo di riuscirci perché Ce ride di me, in un modo perfetto.

<Non posso crederci, è magnifico>

<Poco prima di partire ho notato che mancavano solo poche pagine al termine del tuo ... Quindi ho pensato ne volessi uno nuovo, e quale occasione migliore di questa per iniziarlo?>

Lo credo davvero, è l'occasione perfetta per dar vita all'album nero formato a3, con tanto di spirale, che giace tra le sue dita come un dono prezioso, pronto ad arricchirsi di nuove anime, le sue, quelle che Morisot gli offre dopo essere riuscita a intrappolarle nero su bianco osservando, una delle molte caratteristiche che mi hanno portato subito ad amarla, la sua sensibilità, oltre che la sua evidente dote, fin troppo palese.

<Avanti, siediti. Io resterò qui a fissarti>, propongo, indicando la seduta imbottita di questo piccolo divano al centro della sala.

Si può dire essere una tradizione portata avanti da più di sei anni la nostra, quella di metterci vicini ed osservare l'altro, allo scopo di sgomberare la mente da maligni pensieri, lavorare su qualcosa che ama, con dedizione e passione, riuscendo sempre a ispirarti, ed io adoravo farlo, rimanere al suo fianco senza essere alle volte mai preso in considerazione da questa piccola strega, visto il modo con cui viene assorbita nel suo mondo quando l'arte la raggiunge.

E qui siamo circondati d'arte, per cui tanto vale non sprecare l'opportunità ... voglio di nuovo vederla assorta nei suoi pensieri con occhi attenti, spiare il correre veloce della matita sul foglio ruvido di carta fino a creare un'immagine che da solo non sarei in grado di vedere.
Voglio nuovamente rendermi partecipe della sua magia, in maniera totale.
Dimenticare tutto ciò che non è lei.

A questo proposito recupero l'altra parte del regalo che da sola non è riuscita a scoprire: ecco il suo secondo vizio, non vede mai ciò che resta nella busta, per così dire. Non si aspetta mai niente e quando trova qualsiasi cosa ne rimane estasiata, senza proseguire oltre, ed io, non appena l'ho scoperto, mi ero ripromesso di farle sempre più di un regalo al fine di godere ancora di più della sua felicità. È assurdo quanto in tutto questo tempo non si sia abituata a questa mia specie di regola tacita. Ogni volta si sorprende come il primo giorno ed è impossibile non amarla. Sembra volermi dire che qualsiasi cosa mi troverò a farle a lei basterà sempre, anzi forse avanzerà, e che non devo spingermi mai a tanto ... ma io sono famoso per voler superare i confini, dunque faccio in modo che non se ne dimentichi mai.

Per questo motivo, oltre l'album A3 nero, non potevano mancare i due lapis che solitamente usa, con mine particolarmente pesanti per riuscire nello sfumato.

Le mostro le due armi, rivelandole tre le mie dita come lucenti lame, e lei senza dire una parola getta le braccia intorno al mio collo e mi stringe a se. Vengo sepolto nel suo profumo mentre rimango leggermente chinato a causa della nostra differenza di altezza.
Sorrido della mia morte, avvolgendola, ricambiandola.

<Non so veramente che dire>

<Se vuoi realmente farmi felice allora accomodati e disegna. Lascia che ti guardi>

Cede alla mia richiesta un attimo dopo. La lascio continuare a fissarmi mentre prende posto sul divanetto al centro dello spazio espositivo, con i visitatori in piedi a fianco dei quadri. Con una mossa veloce apro l'unico bottone della giacchetta accomodandomi poi al suo fianco accavallando le gambe, totalmente rivolto nella sua direzione a osservare la matita staccarsi dal blocco della partenza e iniziare a correre, senza alcun freno.

La sua concentrazione mi fa scaturire un sorriso spontaneo mentre se ne sta china, rannicchiata sul suo foglio, a studiare i dipinti esposti, e quando questi l'annoiano allora passare alle persone presenti, per poi tornare nuovamente sui quadri.
Recupero il giusto respiro da questa scena, lo accumulo nei polmoni, intrappolando persino il colore dorato delle sue ciocche, respirando il suo respiro quando inconsciamente la bocca le si socchiude, registrando il pallore delle sue dita per poi immaginarmele sulla pelle, e d'un tratto mi chiedo come sia riuscito realmente a vivere senza tutto questo, sopravvivere senza restarle accanto.

<Kevin ...>, sembra volermi riprendere, ma io non ho ulteriore attenzione da prestarle. <Kev ... se mi guardi così non mi concentro>

Imbarazzo, di nuovo, come ho potuto permettere che arrivasse fino a noi?

<Non sei più abituata a sentirti fissare così?>, la provoco, e lei capisce bene dove voglio arrivare perché un attimo dopo mi squadra apertamente.

<In verità sono molti i ragazzi che mi guardano mentre vado a lavoro, e anche durante, da quando te ne sei andato. Sai, credono che adesso non abbia alcun tipo di legame, quindi sono pronti a farsi avanti>

<Oh è così?>

Non esito a crederle. Con quel corpo. Con quelle labbra.

<Si, è così> Tutta la sicurezza ... se ne va improvvisamente quando è costretta ad abbassare il capo per domandarmi lo stesso. <Immagino facciano lo stesso quelle grintose e ricche donne di città. Devi suscitare un certo fascino, sai, da scrittore sottopagato>

Ah. Uno scrittore sottopagato ... niente di meglio dalla sua malvagia fantasia.

<Loro, le studentesse, le altre insegnanti ...>, la stuzzico, e addio timidezza, addio terribile imbarazzo.

Grazie al cielo.

<Tu sei legato a me>, mi ricorda quasi a denti stretti, ed io cerco di resistere prima di scoppiare a ridere per qualche istante, tornando serio quindi, facendomi più vicino al suo angelico viso.

<Perché, tu non lo sei a me?>

<Lo sono. Anche se scompari per settimane in un'altra città, senza dare tue notizie>

<Allora di a quei ragazzi, giovani, vecchi, tatuati o non di girare alla larga, e tenere occhi, mani e pensieri belli lontani>

<Diglielo tu stesso>

<Potrei farlo>

<Dovresti rimanere>

<Potrei farlo>

<Kev ...>

Sospiro sentendo quel tono di voce, quella speranza trasparirle dalle parole, ma io non sono pronto per parlarle, dirle ciò che ho detto a Meg di un mio futuro trasferimento qui, non se questo vorrebbe dire sentirla tornare a sperare forse invano. Prima devo esserne assolutamente certo, e quindi, solo per ora, allontanare questo argomento pesante dalla nostra giornata. Non ho bisogno di chiarirlo ad alta voce però perché sembra intuirlo da sola.
Scaccia le nuvole nere all'orizzonte a minacciare tempesta e permette al bel tempo di tornare.

<Vedi di dire lo stesso a quelle donne, altrimenti giuro che non esiterò a farlo io stessa>

<Per la verità non ci sono donne, o se ci sono non presto loro attenzione. In città ho solo un vero amico, che abita nel mio palazzo> Morisot ascolta con attenzione, ed io continuo a raccontare. <Gabriel, ha otto anni e pretende sempre che gli legga le fiabe>

<E tu lo fai?>

<Si arrabbia altrimenti>

Morisot sorride e poi tace. Vorrebbe dirmi qualcosa, ed io so di che si tratta.

<Morisot ... mentre abitavo in quell'appartamento con Gabriel che mi trotterellava in giro per la casa con in mano il libro delle favole, ogni, e dico ogni benedettissima sera pregandomi di leggergliene qualcuna ho pensato che sarebbe stato bello vivere con te in un contesto simile ... Immaginarmi di ritorno a casa, con te in cucina come un tempo, quando ancora abitavamo insieme nel South Side mi veniva naturale, e mi faceva stare bene. Ti sognavo mentre preparavi cena a entrambi, anche se non eravamo soli>

Sento di arrossire. Tra noi due sono il solo a farlo. La sua testa dura non glielo permette, obbligandomi ad essere l'unico realmente esposto ma non me ne vergogno, non se la causa è lei.

<Un bambino bellissimo era lì con noi, seduto a tavola, a tenerci compagnia. Nostro figlio. Maschio o femmina non l'avevo pianificato, l'unica cosa che sapevo è che aveva i tuoi occhi, e il tuo carattere, e che mi faceva dannatamente impazzire> Ride brevemente di me, di quel bellissimo futuro insieme, e nel cuore di entrambi governa una dolcezza difficile da gestire. <Riuscivo persino a vederlo vestire i suoi due anni, trascorsi tra pastelli a cera e fogli sparsi per la casa, perché ovviamente la sua passione sarebbe stato il disegno, che altro? Amava scarabocchiare sui quaderni tanto quanto sulle pareti, fin troppo, portandoci a riverniciarle per pura decenza e mia stessa costrizione, perché se fosse stato per te ogni più piccolo ricordo sarebbe rimasto incontaminato.
L'asilo poi, una volta arrivato, era una vera forma di tortura per entrambi, ma all'uscita ci attendeva il parco in cui farlo divertire insieme ad altri bambini dopo averlo obbligato a stare con noi, oppure il gioco della campana, che tanto amavi alla sua età.
Fantasticavo su di noi e improvvisamente stavo bene>

<Anche io l'ho fatto, Kev. Ho immaginato come sarebbe stato costruire una famiglia insieme>

<E?>

Sorride dolcemente, scaldandomi il cuore. <E mi è piaciuto, ho capito che era proprio quello che volevo. Vederti come marito, come padre ... averti come amante e continuo sostegno ... Kevin è il mio sogno, e non voglio che altri me lo portino via>

<Chi dovrebbe portartelo via?>

<Tutti gli altri> La voce le si spezza, trascinandola sull'orlo delle lacrime, e non riesco ad essere triste per lei, non riesco, non conoscendo la provenienza di quei torrenti di sale, la sorgente pura dall'amore che prova, lo stesso che tempo e distanza non possono portarci a cancellare. <Il lavoro, la tua famiglia che mi detesta, gli impegni, il mio centro in città ...>

<Morisot>, le prendo il viso tra le mani, bevendo quasi direttamente il suo respiro. <Nessuno mi porterà via da te, mai>

<Ho anche pensato a un nome>, confessa, lasciandosi scappare lungo la guancia un altro piccolo torrente di sale.

Ci passo il pollice sopra, solo per accarezzarle la pelle.

<In entrambi i casi?>

Annuisce con vigore, ed io le sorrido con il cuore.

<Vuoi dirmeli?>

<Non finché non sarai tornato da me per sempre>

Testarda.

Maledettamente testarda.

<Ti amo Morisot, da impazzire, ti amo>

Riesco a far incurvare persino la punta dei suoi occhi, bagnandole la retina di gioia e amore come aspetto da tempo di vederle fare, e non ne spreco altro. La bacio tenendole le mani intorno al viso, tra i dipinti al museo e gli spettatori delle ottocentesche opere, di noi, del nostro amore, mentre l'album quasi le cade delle gambe quando abbandona la presa che lo teneva stretto per circondare me, la mia faccia, la mia nuca, il mio corpo per imprimerselo addosso, e penso, sogno, l'immagine di lei un giorno portata a dipingere un viso non ancora noto, visto solo al centro di un sogno, obbligandola quindi a fermarlo, intrappolarlo su carta, scorgere la sua anima in un bellissimo paio di occhi, i suoi, per poi correre lungo i futuri tratti.

Forse qualcosa le ricorderà me, ma ancora non se ne renderà conto e agirà secondo l'opera dell'inconscio che detta legge, fino a creare quel magnifico dono a cui vorremmo regalare un mondo più giusto, senza i nostri litigi, le distanze, i problemi che mi hanno portato in città, esente da Richard Lee e da tutto il resto ... un mondo migliore dove vivere al sicuro, lontano dai pericoli, dove percorre, correre, a passo sicuro, tenendoci per mano, la strada verso la scuola,  costringerci a sollevare nostro figlio in uno scherzoso gioco, per potere anche in brevi istanti farlo volare e godere di una vita ancora protetta e sorretta dalle nostre spalle.

Spero questo mentre la bacio, di poter essere felici un giorno, vivendo in una casetta con il tetto rosso e molte finestre in un'aperta campagna, con tanto verde intorno da ricordarci il Brunett, comprata solo con i nostri sforzi, nel quale far vivere nostro figlio o nostra figlia, forse un cane, o un gatto visto le preferenze di Morisot, dove abbandonare e far accumulare polvere alle tele dei suoi quadri e ai vecchi schizzi di tatuaggi per poi accogliere tutti i nostri amici.

Megan entrerà con Caleb, insieme passeranno dalla porta di casa avendo a fianco Ian, sempre presente e soprattutto, dopo molta lotta, sano e salvo, e non ci saranno litigi, oltre a quelli continui e immortali di Nicole, Nicolas e Joseph, e se Andrew sarà presente si occuperà di farsi gli affari propri, puntando subito alla cucina, e sarà tutto perfetto, perché sarà la vita che oggi sogniamo, che ci promettiamo attraverso questo intenso e appassionante bacio.

Morisot è la prima che si allontana. Non le piacciono molto le manifestazioni d'amore in pubblico, per questo la spingo sempre a farle, principalmente per infastidirla e secondariamente perché sento il diritto di doverla baciare ogni volta che ne ho voglia.
E dannazione, questa era una buona volta, perfetta.

<Ho da chiederti una cosa, e stavolta dovrai rispondermi in maniera diretta>

Osservo i suoi occhi chiari restare a fissarmi e la guardo con tutta la passione possibile, pronto a mostrarle la seconda sorpresa della giornata.

P.O.V.
Nicole

Un flacone di spray per i vetri in una mano, uno straccio nell'altra e dieci specchi sporchi di cui dovermi occupare.

Arresa e con la musica dello stereo a tenermi compagnia mi lascio trascinare dal mio triste destino e da lo sconvolgente lavoro, passando lo straccio con gesti ipnotici stranamente lenti, non guidati dal mio pensiero quanto da un semplice comando della mano. La mente è lontana, persa ancora in un paio di occhi incastonati in un contorno verde scuro di bosco.

Ogni mio pensiero va a lui, come è inevitabile che sia, al modo con cui mi ha guardata e a quello che deve aver pensato, e vorrei tanto che la musica della stazione radio potesse aiutarmi più di così, ma non serve a niente nonostante stia da ore alzando di una tacca al minuto il volume della musica, disturbando l'intero vicinato, cercando di rompere i miei pensieri.

Tutto quanto inutile e controproducente, dal momento che arrivo a non sentire quella serie di brevi passi, giunti dall'ingresso fino alle mie spalle, portandomi quindi a continuare il lavoro, spruzzare e asciugare, con la sorpresa stavolta di scoprire nel riflesso un'ulteriore viso, al fianco del mio.

Sobbalzo e mi giro di scatto, cadendo nella stessa trappola di ieri sera, il suo sguardo, prima di correre ad afferrare il comando della radio e mettere il volume in muto.

<Ti ho chiamata un paio di volte, non volevo spaventarti>, si rassicura, con una dolcezza che non coinvolge gli occhi, arrabbiati, forse ... feriti?

<Scusami non sono riuscita a sentirti. Sei venuto qui per dirmi qualcosa?>, indago con attenzione a voce bassa, spinta come sono a non volermi sentire nuovamente sporca al suo giudizio, ma allo stesso tempo incline nello scoprire quale sia.

Joseph esita per lunghi istanti. Mi tortura, consapevole di stare facendolo. Poi con un passo avanza.

<Siete tornati insieme, tu e Nic?>

Verità o bugia?

Avanti nanerottola, suggerisce nell'orecchio la voce di Nicolas, fatti avanti.

<Si>

<Lo ami?>

<Perché me lo domandi?>

<Non è l'uomo giusto>

<E chi lo sarebbe?>

<Nicole, sappiamo entrambi come è fatto Nic. Sta facendo tutto questo per un capriccio, se solo tu riuscissi veramente a vedere quello che ha intenzione di fare allora ...>

<E se fossi io ad usarlo?>

In fondo è quello che sta capitando, sotto suo consenso e interesse, addirittura sotto la sua stessa richiesta, contorto masochista, ma è questa la realtà.

<Tu non lo faresti>, se la ride, ostentando adesso la sua stupida sicurezza con la quale alle volte vorrei ucciderlo, momenti come adesso.

<Perché non dovrei? Spinta magari dalla giusta causa, o semplicemente come sfogo>

Ogni cosa cambia, gesto, sentimento, espressione, mossa, ogni cosa, alla parola "sfogo". I suoi occhi si scuriscono, la sua voce si fa più serrata ma non ne ha motivo, mi dico, perché lui sta facendo esattamente la stessa cosa. Forse. Non posso saperlo dal momento che non mi parla di Gloria.

<Hai bisogno di uno sfogo?>

<Si>

<Vuoi sfogarti?>

<Si>

<Allora a quanto pare ti ho giudicata male. Anzi, mi sbaglio, non ti conosco affatto, sei anche peggio di lui, sei proprio come la tua amica, come Megan, pronta a usare le persone quando e come vuole lei, senza alcuna differenza>

Che belle parole ... in grado di ferirmi e uccidermi in un solo colpo per il male che sono in grado di provocare, sia a me sia a Megan se solo lo sentisse parlare così, e ancora di più trattandosi di una stramaledetta bugia.

Io e Megan siamo uguali si, io e la mia migliore amica ci troviamo nello stesso cazzo di casino, perché amiamo in maniera assurda due uomini tanto diversi quanto simili a livello di testardaggine e ottusità! Facciamo un sacco di errori e inciampiamo infinite volte solo per ottenere quello che vogliamo, feriamo noi stesse, loro, al solo scopo di guadagnare una mezza verità, pregando per una briciola di comprensione, e adesso sto vivendo sulla mia pelle forse parte del suo inferno, rispondendo alla rabbia dell'uomo che voglio servendone altrettanta.

<Io invece ti conosco>

<Cosa ti porta a dirlo?>, domanda facendosi più vicino, quasi a un palmo dal mio viso.

<Giudichi ancora senza capire, proprio come da bambino. Non ti domandi mai perché o come mai, dubiti di tutti tranne che di te stesso, persino quando sei il centro del problema>

<Giudico senza capire? Allora dimmi quale assurdo motivo può esistere per spingerti ad usare una persona a questa maniera e metterla in mezzo. Parla, ti ascolto. Da quando decidi della vita di altri? Nicolas non è in grado di fare niente oltre che ferire se stesso, quindi immagino che il consenso, dovendo essertelo stato chiesto, sia venuto da parte tua. Dimmi perché hai detto di sì o hai accettato una cosa simile. Dimmi quale cazzo è il motivo che ti ha spinta ad essere la bambina sbagliata che sei. Dimmelo, perché da solo non lo capisco!>

Tu. Tu sei il cazzo di motivo. Ed io ho sbagliato tutto. Ho sbagliato a dare troppa importanza a un uomo tanto sciocco e tanto impossibile. Ho sbagliato nell'usare Nicolas, pur conoscendo la sua malata ossessione nel volersi fare mentalmente del male, e ho sbagliato, in tutto questo, ma soprattutto nello sperare.

Capisco immediatamente che non voglio più niente da lui, non oggi con la rabbia accomulata, e per mezzo di una sola mano, una sola, dopo lunghi momenti di silenzio, lo spintono all'indietro premendo in più colpi contro il suo petto, fino a condurlo fuori dal salone, impedendogli di sentirmi urlare una buona volta e in maniera definitiva, inequivocabile.

Non abbandona la presa, continua a provocarmi ma persino il bambino perfetto non si rende conto di stare sbagliando.

Raggiunge finalmente il punto preciso esterno al salone dove volevo condurlo in modo tale da arrivare a chiudere l'imposta di vetro sulla sua espressione, sulla sua rabbia e sul temperamento che mi rende pazza, dando persino un giro di chiave, per poi concludere occupandomi del cartello d'entrata appeso con una ventosa alla porta.

Da "aperto" si tramuta in "chiuso", e spero che lo scemo ancora dinanzi al mio negozio si renda conto non essere riferito solo all'ingresso.

Tutto è chiuso e lui non ha più il permesso di entrare.

Rimango alla sua mercé per altri pochi, piccoli attimi, prima di volargli le spalle e tornare agli specchi della sala ancora da finire di pulire, prima del termine della giornata.

P.O.V.
Nicolas

Accosto il telefono all'orecchio, digitando un numero ormai noto. Squilla a vuoto, sono tentato di riagganciare quando la voce del mio amico mi raggiunge, impedendomi di farlo.

<Celine è con te?>, chiedo di lei, essendo la vera destinataria della chiamata.

La linea telefonica viene occupata dal silenzio poco prima di essere riempita dalla debole e femminile voce della disegnatrice chiamata in causa. 

<Pronto?>

<Celine hai preparato le bozze? Dovremmo essere in città tra poco più di un'ora, ricordi? Ci aspetta la giornata dei tatuaggi gratis per strada>, un'idea che abbiamo avuta insieme ormai tre anni fa, finanziata dal comune e strategicamente inserita nel fine settimana della fiera.

<Si, si sono pronti, tra poco sarò lì da te>

<Celine stai bene?>, domando preoccupato, avendo percepito il tono tremolante con il quale mi parla.

La sento ridere però, seppure debolmente ma in un modo ... che definirei assolutamente reale.

<Si Nicolas ... non sono mai stata meglio in tutta la mia vita>

<D'accordo, allora ti aspetto alle tre al negozio>

<A dopo>

Riattacco rimanendo per alcuni istanti ad osservare il blocco schermo dell'interfaccia telefonica, chiedendomi cosa provochi la puntura dell'amore per dare tanta emozione, pregando qualche Dio appeso nel cielo di non doverlo scoprire mai.

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