34- Sabbie mobili

P.O.V.
Megan

In testa ho ancora il ritorno delle sue parole, come in un eco. Non me le dimentico, e le analizzo appieno.

Ian vuole andarsene.

Ian ... è già andato via, ho parlato con suo padre. Passando da casa gli aveva visto recuperare il necessario per restare fuori un quantitativo di mesi impossibile da definire, tanto da non darci modo di offrire veggenze in merito al suo ritorno.

Gli ho porto delle domande, avanzato ipotesi, ma le parole erano destinate a perdersi in luoghi dimenticati, poiché nemmeno lui possedeva le risposte.
Per questo motivo adesso mi trovo a torturare la corolla di un fiore, quasi mi aspettassi di sentirgliene offrire di adeguate. Ma è ancora più vano di quanto immagini lo sforzo, perché oltre che non avere capacità di linguaggio, questo fiore non ne tiene neanche di significato.
Nessun fiore in questo negozio è capace di descrivere in una sintesi di sentimenti ciò che ha provato e spinto ad andarsene.
Forse devo cercare il giusto fiore per la stanchezza? A causa di questa ha fatto le valige? Perché era stanco di tutti noi, del nostro mondo? Spero che non sia così, non totalmente, perché non saprei porvi rimedio.
Perché equivarrebbe a dire che quei fine settimana promessi, con il tempo ed il passare dei pensieri, possono arrivare ad essere sempre più radi, e non è ciò che voglio.

Credevo che un tempo bastassimo noi per vincolarlo qui, ma come risultato ho avuto la chiarezza che non sia mai stato sufficiente, altrimenti una discussione come l'ultima non l'avremmo mai avuta.

Stanchezza, o bisogno di crescita, necessità di capire veramente, come ha detto lui, la persona che realmente è?
Mi sembra ridicolo, Ian è un ragazzo già formato, dai suoi ideali, dalle sue stesse scelte, capace di trovare in ogni cosa la propria identità.
Se così non fosse non lo vedrei affatto come lo vedo adesso.
Non lo considererei come quel fragile specchio scalfito dalla mia rabbia, che tento di salvaguardare da anni senza donargli maggiore dolore.

Da che ne ho memoria è il migliore, tra noi, a sapersi distinguere, il solo capace di prendersi i giusti spazi, quando la rabbia si mostrava nella sua interezza e il malumore serpeggiava tra le fila del nostro gruppo creando inevitabile confusione.
L'unico a rimanere fedele ai suoi capisaldi, non importava quanto forte tirasse il vento, Ian non si muoveva.
E se stare con noi gli impediva di farlo allora prendeva e si allontanava, persino di malo modo ma sempre un saggia maturità ... perchè eravamo solo noi in quei momenti a peggiorarlo.

Se penso a me e Caleb non mi trovo sempre a distinguere il confine preciso dove inizia l'uno e finisce l'altro, alle volte ci mescoliamo troppo, lo abbiamo fatto nel corso di tutti gli anni, fino a macchiarci di reciproche impressioni. La cosa ha portato a precederci e a non distinguerci quasi mai con interezza. Posso dire di avere un mio carattere ma non che questo non sia stato plasmato dalla voce e dalle manipolatrici mani di Caleb, spingendomi alle volte a emettere frasi e pensieri partoriti solo dalla sua mente, e credo di aver fatto lo stesso.
Non abbiamo fatto altro che modificarci ma con Ian è stato diverso, lui ha ricevuto il cambiamento ma quasi in maniera indiretta, venendone coinvolto solo in parte.

Per anni l'ho fissato da lontano, ammirato, amato nel modo con cui si può amare solo la dolcezza di una fragile perfezione, rendendomi impossibile raggiungerlo, quindi non capisco perché davvero non si renda conto dell'uomo che è diventato.

Se solo potesse vedersi con i miei occhi, se solo avesse capito quanto è importante la sua presenza qui ... sapere che non ha rinunciato ai nostri sogni, che non sono sola a combattere contro William, anche se di lui, a nessuno dei due, avevo fatto parola.

Mi sembra tutto così assurdo ... ma ho paura di indagare oltre, ho paura che la sua gentilezza mi abbia nascosto emozioni conservate nel suo corpo ben più amare di quanto immagini, per cui l'ho lasciato andare via, sperando di non soffrire troppo il distacco e che in futuro torni da me, anche solo per poco, anche solo per qualche giorno.

Abbandonando lo stelo stretto tra le dita della mia mano destra recupero dal tavolo il fragile gambo dell'Aquiregia così da far affiorare i soli dolci ricordi della giornata. Aquilegia, capriccio, egoismo. Essere egoista. E' incredibile quante cose possano succedere in una giornata, e quanto l'umore ne venga alterato, senza possibilità di ritorno. Le sorprese però non sono ancora finite.

Alle mie spalle sento aprirsi la porta del laboratorio, evento che mi permette di udire le voci dei clienti serviti probabilmente da Laura, e prima che possa tornare da loro sfrutto l'occasione e la inchiodo con i miei problemi lavorativi.

Per quelli personali non andrebbe più via.

<Eii, cercavo proprio te, scusami ma non abbiamo più nastro per chiudere le composizioni, quando torni in città puoi passare a prenderne dell'altro? Altrimenti non stiamo a passo con gli ordini>

<Sono appena tornato e già mi cacci via?>

Spalanco gli occhi all'ascoltare quella voce, e posando il fiore sul tavolo mi volto entusiasta.

<Kevin!>

Salto al suo collo senza preavviso, e riesco a farlo ridere. Oltre la sua spalla vedo Laura osservarci con un mezzo sorriso in viso, allo stesso modo con cui fanno i clienti.

<Quando sei tornato?>

<Qualche ora fa, Caleb non ti aveva detto che sarei passato nel weekend?>

<Si, mi aveva detto qualcosa, dovresti riperendere la macchina>

<E' servita allo scopo?>

Assottiglio gli occhi, per studiarlo meglio. <Kevin ... tu sai qualcosa?>

<Qualcosa?>

<Che cosa sai?>

<Tutto andrebbe bene?>

<Lui ti ha detto tutto?!> La voce mi esce stridula, e gli provoca una nuova risata.

<Si, mi ha detto che state insieme quando è passato a prendere le chiavi, o meglio ... non me lo ha proprio detto, l'ho capito da solo>

<E che cosa pensi?>

Il suo sguardo dolce ... mi era mancato. <Che siete fatti per amarvi>

<Sul serio?>

<Sul serio ... e immagino che gli altri non lo sappiamo>, scuoto il capo in direzione di un mesto no, <Ian?>

<Caleb mi ha dato un mese di tempo per dirglielo, volevamo avere ancora qualche ricordo nuovo da costruire insieme solo per noi, come facesti tu con Celin, nel vostro tempo>

<Vedo che non ti sei dimenticata le mie parole>

<Quali? "Se inizi la relazione con un tuo amico di vecchia data, allora fa che gli ultimi a saperlo siano proprio i tuoi amici, altrimenti non farete vita e non ci sarà più niente di romantico nella vostra storia"?>

<Giuro che sembrava meglio di così>

<Abbiamo lo stesso gruppo di amici, direi che il consiglio è più che valido>

<Un mese eh?>

Immagino che mi si scurisca il viso, perché chiaro lettore delle mie emozioni Kevin interpreta il mio silenzio, e parte a interrogarlo.

<Che succede?>

<Un mese ... o forse di più, non posso saperlo. Ian se ne è andato>

<Cosa?>

<E' partito, aveva bisogno di un po' di tempo solo per sé, per capire da solo che genere di persona sia>

<Ma guarda che razza di situazione, uno torna e un altro se ne va>

<Sei solo di passaggio Kev, non farmi sperare>

<Hai ragione dolcezza, sono di passaggio, ma avrei voluto vedervi tutti stasera al Brunett>

<Pensavi di andare?>

<Eccome, senza alcuna eccezione>

<Io e Caleb è da un po' che non ci troviamo lì, ma vedremo di tornare>

<Non sarà facile fingere>

<Per te faremo un'eccezione>

<Ti aspetto fuori. Laura mi ha detto che fra dieci minuti stacchi il turno. Mi godo il chiacchiericcio dei passanti e le frasi di bentornato che mi offrono da quando ho fatto la strada per venire e poi ce ne andiamo insieme nel bar in fondo all'angolo, a prendere un bel the caldo con i biscotti. Cosa ne dici?>

<Sembra perfetto>

<Allora ti aspetto fuori, dolcezza>

Sei mancato, Kev, a tutti noi.

_______________

<Allora, ragazza, raccontami cosa mi sono perso>

Non immaginavo che il the caldo fosse la soluzione più giusta a tutti i miei problemi, ma grazie al cielo c'è Kevin a ricordarmelo. Da che ci conosciamo non è passato un inverno che non ci abbia visti seduti di fronte, oltre questo vetro nella caffetteria che tanto amiamo, guadagnandoci persino gli spifferi dell'inverno pur di star vicino alla vetrata come ora, mentre le mani nascoste da maglioni enormi solitamente si scorgevano appena dall'orlo delle maniche. Adesso è autunno ma poco importa, il primo the della stagione ci troviamo a berlo insieme e non potrei essere più felice, tra opinioni e emozioni varie.

Passano infiniti minuti, ed il tempo in sua compagnia sembra volare.

<Ed è stato strano?>

<Affatto>, confesso, macchiandomi di rossore.

<Questo vuol dire che eravate destinati a stare insieme>

<Tu sapevi ... dei sentimenti di Ian?>

Sorride in un modo dolce, posto a indorarmi il dolore.

<Dolcezza ... eri l'unica a non saperne niente>

<Non sono riuscita a vederlo appieno>

<Ma scorgevi l'amore dietro le parole di Caleb>

<Sono una stupida non è vero?>

<Affatto, solo nel pensare che Ian ti sia così distante. Parli di lui in un modo profondamente riverenziale, quasi fosse perfetto ma non lo è ... lo ritengo un bravo ragazzo ma non è perfetto, non lo è mai stato, e tu non devi giustificare tutte le sue azioni. Se si fosse trattato di Caleb lo avresti costretto a restare, spingendolo a ragionare. Solo così avresti scoperto cosa intendesse davvero, e il motivo della partenza>

<Tu mi dici queste cose, Kev, ma io non le sento. Sembrava così giusto ad un certo punto quello che mi stava dicendo che mi sono arresa, e non ho avuto la forza per lottare>

<Capisco, e ti rispondo di non preoccuparti. Se ti era sembrato giusto che lui partisse così allora vuol dire che forse lo è davvero, solo il tempo ce lo potrà confermare. Adesso però non pensarci più, tutto quanto verrà rivelato>

<Tu invece cosa mi racconti di nuovo? Come è la tua vita in una grande città? Hai fatto amicizia?>

<Realmente solo con una persona, un bambino piccolo di nome Gabriel, abita nel mio stesso condominio con i genitori>

<Che tipi sono?>

<Non lo seguono molto, e nel mio tempo libero sono sempre io a occuparmene>

<E gli vuoi bene?>

Sorride dolcemente, al solo ricordo. La risposta non può essere più scontata. <Si, molto ...>

Resto a fissarlo tenendo tra le mani la tazza fumante di the verde, ma è il calore visibile sul suo viso la sola cosa capace di riscaldarmi il cuore.

<Ke ...>, ottengo la sua attenzione, quindi proseguo nel parlare, <... Tu vorresti un figlio, da Celine?>

<Da Morisot? Certo ... certo che lo vorrei, vorrei una bambina che le somigli, o un figlio che mostri anche solo un minimo della sua assurda testardaggine contro cui ho lottato per una vita, ma non è il momento, adesso ... siamo distanti, ed io voglio esserci sempre, in ogni momento della gravidanza. Voglio essere la persona da chiamare alle tre di notte perché svegliandosi con la fame le è presa voglia di cioccolata, e non avendola in casa mi obbliga a comprargliela. Voglio tutto Meg, tutto, ma è troppo presto ora>

<Vuol dire che tornerai>

<Reggerò questi ritmi solo per un altro anno, Meg ... mi sono accorto di non poter passarle tutta la vita così distante. Seguirò il docente nelle sue lezioni, e al termine dei corsi gli strapperò qualche attestato che testimoni la mia presenza lì. Voglio tornare nel South Side, ed essere vicino a voi. E magari, solo qualche volta, tornerò a vedere Gabriel>

<Mi sembra un ottimo piano, sai?>

<Fosse stato per te non sarei mai dovuto andarmene>

<Questo è vero, lo confesso>

<Sai sempre qual è la scelta giusta da fare Meg, avrei voluto seguire il tuo consiglio, mesi addietro>

<Quello che conta è che tu ci abbia ripensato, e che progetti questo adesso, una famiglia con Morisot e un lavoro stabile. Non c'è niente di più puro o perfetto, lo confesso>

<Lo credo anche io>

Il vento dell'autunno obbliga le foglie a staccare i loro piedi dal terreno natale e correre sul suo respiro, così da poter volare e planare sul grigio acume dell'asfalto, ricordando un sogno, decidendo se continuare a volare sfruttando la brezza o finire semplicemente a un lato della strada.

Nessuno dei miei amici si sarebbe tirato indietro.

Tutti noi avremmo cavalcato il vento.

E Ian, un tempo, sarebbe stato il capo della nostra traversata.

Spero solo che non si sia dimenticato come farlo, che in futuro ricordi per sempre l'albero dal quale è nato e che ci ha uniti della stessa linfa.

Tutti noi, persino Morisot adesso in piedi di fronte a questa nostra vetrata.

Stretta nelle pallide mani tiene i lacci di una borsa marrone di camoscio, avvolta totalmente nel resto del corpo da un lungo cappotto terminante all'inizio degli stivaletti in pelle, sotto i jeans larghi ed ha in viso la giusta gioia nel rivedere questo nostro compagno, perfetta e sensuale calma, bagnata di una dolcezza che solo lei sa detenere.

<Eri già passato a salutarla?>

<Mi sono presentato al centro ma stava lavorando. Mi aveva visto ma non abbiamo potuto parlare>, mi risponde lui per quanto non riesca a staccare gli occhi da lei, e sorriderle in un modo timido.

<Allora ti lascio, e cedo il posto a qualcuno di ben più importante ... fate una buona chiacchierata>

Annuisce lasciandomi andare con un sorriso, ed io recuperate le mie cose mi alzo stampandogli un bacio in fronte prima di uscire con lentezza dal locale e finire fino a lei. Riservo a questa fantastica ragazza lo stesso augurio sotto forma di bacio e mi dileguo, tornando al mio lavoro di cameriera.

Arrivata trovo già tutti predisposti per la cena, i tavoli in parte apparecchiati e il bancone degli ordini completamente ripulito dalla sera prima, quindi mi occupo di legarmi in vita il grembiule e di cercare con gli occhi prima Caleb, poi Nino.

Una delle cameriere che più mi sono amiche passa il mio fianco e necessariamente la blocco con uno sguardo d'intesa, tanto da vederla arrestarsi attendendo che le domandi.

<Sai dirmi dove sono Caleb e Nino?>

<Nino è andato dai fornitori subito dopo il pranzo, per ordinare il necessario per i prossimi pranzi mentre Caleb non si è visto>

<Non doveva servire con noi a cena?>

<Ha cambiato turno con Nino passando alle due, mi è parso. Si sono messi insieme a rivedere l'orario>

<Ti ringrazio, fammi sapere in cosa ti servo>

<Va bene, non ti preoccupare, è già tutto apparecchiato>

<Va bene, allora aspetteremo i clienti>

Oltre che una spiegazione di ciò che è realmente successo, penso aggrottando la fronte, prima di dirigermi in cucina per sistemare i piatti appena usciti dalla lavastoviglie.

P.O.V.
Caleb

Non ne ho il coraggio. Non trovo la forza per entrare. In piedi da forse più di mezz'ora, a gambe divaricate e le mani immerse nelle tasche, una sciarpa al collo, le chiavi di casa ... non ho altro. Niente che non sia un massivo passato a premermi sulle spalle e tenermi fermo qui, di fronte al commissariato di polizia, immobile.

Persone entrano, altre escono. Uomini in divisa e in servizio attendono voci da una ricetrasmittente appoggiati alle volanti mentre fumano una sigaretta, in modo da passare il tempo, e quel fumo non fa altro che riportare alla luce fotogrammi di ricordi, momenti in cui quella traccia di nicotina nell'aria mi infastidiva quasi più delle parole emesse dalla bocca che la espirava, e adesso non c'è più niente, più nessuna fastidiosa bocca, più nessuna pungente e sincera parola. Il risultato non è che un relitto, costretto dal presente a rivangare il passato, superarlo passandoci attraverso, sperando solo che non provochi troppo dolore.

Muovo un passo, poi un altro, trovo la strada già percorsa da ragazzo, supero l'attesa e mi dirigo verso la stanza dei computer ovvero la sala centrale in cui sono tutti riuniti, circondati da vetri di uffici.

Divise mi passano accanto, profili di pistole, strisce bianche sintetiche con sopra il logo del distretto e volti, molti volti a cui non provo nemmeno a legarmi, dirigendomi a capo chino verso il punto in cui già so di poterlo trovare.

<Avete visto chi è entrato?>
<Chi lo ha portato qui?>
<E' il fratello di Francis hai visto?>
<Si, si, ho visto ma cosa sta facendo?>
<Sta risolvendo dei casi>
<Quali casi?>
<Indagini di suo fratello. Sta cercando la giustizia per quelli irrisolti>
<Che bravo ragazzo>
<Si proprio un bravo ragazzo>

Nonostante la folla di gente attorno vedo spiccare sopra tutti la sua figura, imponente e austera quanto basta per impartire gli ordini, dannatamente intelligente da avermi per prima condotto qua. Non sarebbe occorso nessun Lee, o Damien per farlo, ma solo le sue poche provocatorie parole, appoggiato al bancone di un bar.

<Occupatene subito, mi hai capito? Massima urgenza>, si assicura di riferire, battendo con un piccolo colpo la cartella azzurro chiaro del distretto contro il petto del sottoposto.

<Si signore, me ne occupo subito>

<Bene>

Occorre del tempo prima che quella folla si diradi, o quanto meno lui riesca a distinguere i miei occhi nel grigiore della stanza.

<Caleb ...>

Non vorrei davvero farlo ... davvero ... ma la dolcezza con cui la sua voce ha pronunciato il mio nome, quella specie di tenerezza a cui il mio cuore non vuole sottostare, mi porta a ricordare altri momenti in cui l'ho udita attirarmi in un suo richiamo.

<E così hai imparato a giocare?>
Con un pallone bianco e nero sottobraccio acciglio lo sguardo per allontanare le sue attenzioni, per quanto sia costretto ad annuire, in segno di rispetto.
Carlail lancia uno sguardo alla finestra di casa mia, proprio dietro le mie spalle, e sembra preoccupato poco prima di tornare a fissarmi dedicandomi un sorriso.
<Non ci credo, dimostramelo>
<Perché dovrei?>
<Perché no?>, mi provoca, ed il pallone cade dalla stretta del mio braccio, finendo sul tappeto bagnato dell'erba.

<Sei venuto>

<A quanto pare>

<Seguimi, andiamo nel mio ufficio>

Fa strada, ed io ad occhi bassi mi accingo a seguirlo cercando di ignorare le voci e gli sguardi. Sono passati anni ma ricordo molte di queste facce, e loro, loro e i vecchi uomini del servizio ricordano me.

Sono così simile a mio fratello?

<Prego, accomodati. Immagino tu sia venuto qui per dirmi che accetti il posto>

Lo seguo con gli occhi vedendolo accomodarsi ad una delle due poltrone di fronte la sua scrivania, destinandomi con una mano all'unico posto rimasto.

<A una sola condizione>, avanzo richiesta accomodandomi. <Voglio un periodo di prova, il tempo sufficiente per risolvere il caso William Lee>

<Davies>

<Come?>

<William porta il cognome della madre, per quanti in molti si ostinino ad ignorarlo. Un modo come un altro per prendere le distanze dal padre, ma troverai tutto nella sua cartella riguardante il caso>

<Vuol dire che accetti le mie condizioni?>, indago.

L'astuzia di una volpe, il sorriso di un lupo. Mostra senza scrupolo entrambe le facce per poi abbandonarsi ad una specie di malinconia passante per gli occhi, rimanendo ancora lontana dalla sua professionale bocca. 

<Si, accetto la tua condizione Caleb, lavorerai su questo caso, già da oggi se vorrai. Tutte le informazioni sono raccolte in cartelle presenti nell'archivio al piano inferiore, sai dove>

Annuisco brevemente, aspettando il continuo che non tarda ad arrivare.

<Ma se questo lavoro ti dovesse piacere, allora non si parlerà più di un periodo di prova. Rimarrai qui e avrai un tuo posto nel distretto>

In automatico alzo un sopracciglio confuso dalla sicurezza manifesta, ma accetto con un cenno del capo lasciando solo al destino il compito di decidere.

<Bene. Puoi stare in archivio per adesso, troverai una postazione libera dove lavorare tranquillo, lontano da occhi indiscreti>

<Non si fida di qualcuno, nello specifico, qua dentro?>

Carlail sorride astuto. <Non mi fido di nessuno tranne che di me stesso, e da adesso in poi di te>

<Perché dice questo?>

<Perché tuo fratello è morto per una soffiata da parte di uno dei poliziotti dell'unità speciale nella quale operava, per cui vedi di star lontano da tutti loro, non fidarti, o farai la stessa fine>

Resto immobile metabolizzando quelle parole e associando i ricordi a volti passati, cercando di scovare tra loro il possibile traditore che ha venduto le informazioni, mentre Carlail si alza dirigendosi verso la porta, senza però catturare particolarmente la mia attenzione.

Chi è stato a tradire mio fratello? In archivio ci sono molti dossier, oltre che di casi anche di vere e proprie schede identificative degli agenti operativi, per cui basterà sfogliarle ristabilendo il filo degli eventi, e finalmente porterò a galla la verità.

<Andiamo?>

Alzo gli occhi, precipitando nell'umida vecchiaia dei suoi.

P.O.V.
Nicole

Dannatamente sbagliato. Non posso descriverlo in altro modo. Trovarmi qui, seduta a una delle sedie del Brunett con Nicolas accanto che si accende una sigaretta aspettando l'arrivo degli altri con indifferenza nonostante il modo con cui Joseph ci sta fissando è dannatamente sbagliato.

Con apparente casualità la sua mano arriva a posarsi sulla mia gamba nell'assoluto silenzio della scena, ed io devo mettere tutta me stessa per non sobbalzare a quel contatto caldo, percepibile nonostante lo spesso strato delle nere calze.

Joseph segue con gli occhi il gesto, e sembra voler lanciare fiamme.

<Siete tornati insieme, adesso?>, ringhia a mascelle serrate, e vorrei per prima risponderlo e negarlo, ma Nicolas mi precede.

<Era solo una questione di tempo. Tra di noi non era ancora concluso nulla, per cui ... è stato inevitabile>

Inevitabile un corno. Strapperei quel sorriso scemo dalla sua faccia se solo non smascherasse il mio gioco.

Joseph cerca i miei occhi in una conferma, e che io sia maledetta mi trovo a sorridergli e confermare. Non ho mai fatto niente di più stupido in tutta la mia vita, ma così impara a uscire con Gloria.

Finalmente dal cancello ci raggiungono dei passi, e scorgendo le sagome di Megan e Caleb sposto la gamba con sopra la sua mano, stando attenta che Joseph non mi veda, e con la coda dell'occhio vedo questo diavolo tappare, con la mano che stringe la sigaretta, quel malizioso sorriso nato dalle sue labbra, ma lo ignoro fissando la mia amica ... che si siede al suo solito posto, capotavola, opposta a Caleb.

E' la serata della finzione, questa?

<Caleb, è da un po' che non ti vedo, come stai fratello?>

Osservo Caleb afferrare dal pacchetto di sigarette una Marlboro, aspettandomi che almeno lui parli.

<Tutto bene Joseph, solita vita. Non sono riuscito a passare a causa dei turni al ristorante>

<Giusto, da meccanico a cameriere, come dimenticarlo>

<Non c'è niente di male>, osserva Meg piccata, afferrando anche lei una sigaretta. <Dovresti anche tu allontanarti da quel posto, William e gli altri potrebbero tornare a cercarti e sarebbero guai seri>

<Io non mi muoverò da lì, è l'ultima cosa che mi è rimasta. Ci provino a portarmela via>

Caleb gli sorride e batte con una mano sulla sua schiena in segno fraterno, ben consapevole di essere stato lui il maggiore bersaglio per quella gang di ricconi.

<Vuoi qualcosa da bere?>, sussurra la voce di Nicolas a pochissima distanza dal mio orecchio. Il suo fiato caldo mi arriccia la pelle facendo corre un brivido.

<Ne ho bisogno?>, quindi domando, voltandomi la testa per fissare i suoi occhi di diavolo.

<Non vuoi che fingiamo di fronte a Meg e Caleb, quindi non hai niente di cui preoccuparti vista la loro presenza. Ma appena se ne andranno e rimarremo soli con Joseph ... aspettati ben altro rispetto a un semplice tocco> Arrossisco violentemente, e spero che nessuno oltre lui lo noti, sorridendomi in modo sempre più lascivo. <Guarda come sei diventata rossa, per caso ti manco?>

<Niente affatto>

<Nemmeno le nostre capriole a letto?>

<Tantomeno quelle>

<Sai che lui non riuscirebbe mai a soddisfarti vero? Quel pezzo di ghiaccio non si rende conto nemmeno di quello che provi>

<Ci riesce molto più di quanto abbia mai fatto tu>, lo provoco.

<Davvero?>

Annuisco lasciandolo nel suo immobile silenzio, mentre lancio un'occhiata al resto della tavola, per verificare che nessuno ci abbia visti.

<Sei sempre stata una pessima bugiarda, nanerottola. Quello che vuoi, quando vuoi, puoi venire a prendertelo>, sussurra per poi alzarsi e lasciarmi crogiolare tra le fiamme di un inopportuno fuoco che mi brucia viscere e carni, in maniera fin troppo violenta.

Joseph dall'altra parte è tornato a fissarmi, ed i suoi occhi perfetti sono inquisitori del mio peccato. D'un tratto mi sento sporca e assolutamente ridicola. Non è Nicolas che voglio, nonostante ogni sua provocazione, non è la sola passione ma anche l'amore che Joseph mi saprebbe donare e che Nicolas non è mai stato capace totalmente di offrire, quasi come se avesse un blocco a cui io non mi sono voluta avvicinare se non rare volte, spinta dalla curiosità. Ed è vero che Joseph è distante, ma non lo è mai troppo, non è mai illeggibile nelle emozioni e nei sentimenti, per quanto sgradevoli come quelli di adesso. Sono sempre al corrente di ciò che pensa, non ho bisogno che siano le sue parole a rivelarlo per cui adesso vorrei solo affrontare questo piccolo ostacolo che ancora ci vede divisi.

Sorprendentemente d'un tratto sento una nuova coppia di voci sopraggiungere sulla scena, e non ci credo finché la luce di uno dei lampioni esterni non passa ad illuminarli mostrandoli abbracciati a camminare fianco a fianco, persi in una discussione di sorrisi, e parole romantiche.

<Kevin, Celin!>

Piacevolmente stupita del loro ingresso non contengo la mia gioia e la manifesto in un sorriso aperto ed in un grosso abbraccio, in cui perdo me stessa ed i miei pensieri, stretta al petto di Kevin.

<Nicole ... che bello rivederti>

<Quando sei tornato?>

<Oggi, nel pomeriggio. Mi tratterò questo per tutto il fine settimana>

<Non potevi darci notizia migliore. Avanti, sedetevi>

Nel frattempo Nicolas torna con sette bicchieri vuoti tra le mani ed una bottiglia di vino sottobraccio, saluta Kevin accomodato al fianco di Caleb e poi mi versa da bere. Un'abbondate porzione, dopo aver servito tutti per non rivelare la premura del gesto, ed io inizio a bare a piccoli sorsi, macchiandomi le labbra di vino rosso, ascoltando nel frattempo i dolci racconti della nuova vita di Kevin, vissuta in città.

Ci perdiamo in molto altro, e velocemente il vino dal mio bicchiere finisce.

Deve senz'altro esserci un buco in questo vetro, altrimenti non si spiega.

No, si spiega eccome, specie se Nicolas continua a fissarmi così, tornando a versarmi il vino nel calice con occhi profondi e senza emettere una sola parola che sia di disturbo al racconto.

Meg si accorge del gesto e mi fissa interrogativa, ma io non ho spiegazioni da offrirle e torno con gli occhi a Jospeh, velocemente solo per studiare la sua espressione, trovando sempre presente la rabbia che non si procura di giustificare.

<Kevin, mi ha fatto piacere trovarti qui, davvero>, confessa Caleb venendo ricambiato da un sorriso e alzandosi, <e vedere anche tutti voi, ma adesso devo andare, altrimenti si fa tardi. Vi auguro un buon continuo di serata>

P.O.V.
Caleb

<Caleb aspetta!>

Sono già verso il fondo del giardino, quando la voce di Kevin mi richiama. Arresto i passi permettendogli di raggiungermi, e a quanto pare fissarmi con uno sguardo preoccupato.

<Va tutto bene?>

<Perché lo chiedi?>

<Per quello che ci siamo detti l'ultima volta. Si, riguardo a Richard, William e tutti gli altri>

<Va tutto bene, Kev, non ti devi preoccupare>, chiudo in fretta il discorso, vedendo Megan avvicinarsi a noi.

<Okay allora>

Porgo le chiavi a Kev, ricordandomi il suo prestito e forse offrendo a Meg un falso contenuto della nostra chiacchierata. Confuso le afferra per poi notare lei e dileguarsi.

<Posso venire anche io, se ti va. Non pensavo di trattenermi ancora molto>

La sua voce dolce mi apre ad un sorriso.

<Arriviamo insieme, ce ne andiamo insieme ... potrebbero sospettare qualcosa, e Dio non voglia no?>

<Mi hai dato un mese>

<Per dirlo a Ian, non per tenerlo nascosto anche a tutti gli altri>, le ricordo.

Non voglio trovarmi a mentire anche su noi due, ho troppi segreti da gestire.

<Vorresti che lo sapessero?>

Mi stringo nelle spalle. <Kevin già lo sa>

<Anche Nicole>

Ah si eh?

Adesso non posso proprio cerarlo questo sorriso, curioso di scoprire cosa gli abbia raccontato di noi.

<Bene, allora mancano solo Nicolas, Joseph, Ian e Celine>

<Gran parte del nostro gruppo, no?>

<Però sono ancora tutti qui riuniti, a eccezione di Ian, proprio come vuoi ... potremmo dirlo adesso>

<No>

<E perché?>

Arrossisce. <Perché non voglio>

Divertito fisso il suo viso da bambina, decidendo di giocarci.

<Credi che qualsiasi cosa possono arrivare a fare riuscirà a tenermi lontano da te a lungo?>

<Pensavo fossimo d'accordo. Ti prego, Caleb, non è ancora il momento, teniamo il segreto ancora un po'>

Non mi andava affatto bene, volevo urlarlo che stavamo insieme, volevo togliermi uno dei tanti pesi sul petto e privarmi del più dolce, ma il modo in cui mi sta fissando è così carino che mi porta a desistere. Resistere, ancora per un altro po'. Sappia però che questo nuovo accordo può portare danni fastidiosi da entrambe le parti, e forse per svegliarla mi divertirò a svelarglieli in parte.

<Andiamo a casa, ora?>

<Tu rimani, puoi raggiungermi più tardi>

<Caleb ... qualcosa non va?>, aggrotto le sopracciglia, facendo segno di non capirla. <Oggi pomeriggio ho servito al ristorante, pensavo di trovarti ma ho scoperto che ti sei ritrovato con Nino per cambiare il tuo turno>

Attendo che continui, ma esitante non lo fa. <Qual è la tua domanda Meg?>

Abbassa gli occhi fissandosi la punta delle scarpe, e questa sua tenerezza dopo una giornata passata in centrale riesce a scaldarmi il cuore e riportarmi da lei, tra le braccia in cui mi ero ritrovato nella nostra fantastica mattinata, il cui ricordo era stato accantonato dalle problematiche del giorno.

<Stiamo troppo insieme, hai bisogno ... dei tuoi spazi?>

Per poco non scoppio a ridere. Arrivo a guardarla come si guarda una specie aliena, domandandomi come sia possibile che possa anche solo pensarlo, ma il mio silenzio dato solo dallo stupore si palesa negativamente nella sua testa, tanto che l'incertezza la spinge a cercarmi.

<Di cosa stai parlando Meg?> Afferro tra le mani il suo viso, tenendo la giusta distanza, sempre dalle sue labbra per non farci vedere dagli altri ancora seduti alle sue spalle. <Quali spazi? Quale distanza?>

<Due amici non dovrebbero mai allontanarsi, ma capisco che in una relazione questo possa apparire soffocante e ...>

<Gli innamorati dovrebbero passare più tempo insieme degli amici, non trovi?>, domando retoricamente, per quanto possa essere davvero curioso della sua risposta. Con il viso stretto tra le mie mani me la offre, ed io osservo quelle dolci labbra muoversi, esitanti.

<Forse si, ma all'interno di una coppia uno dei due può non pensarla allo stesso modo>

<Mi sembra che vogliamo la stessa cosa, no?> Stavolta è lei ad attendere, per cui io, necessariamente, devo trovare la giusta scusa, sporcandola sempre però di verità. <Volevo cercarmi un altro lavoro, giusto per arrotondare un po', per questo ho chiesto a Nino un cambio d'orario, non c'è altro>

<Non me ne avevi parlato>

<Non me lo avevi chiesto>

<E hai trovato qualcosa?>

<Mi hanno preso alla centrale. Turni di poche ore, niente di troppo pesante>, azzardo, ben sapendo che lei non possa arrivare a confermarlo. Mio padre, prima di fare il taxista, era uno degli operai, e non mi era permesso entrare a vederlo nonostante fossi della famiglia. Era richiesto l'apposito cartellino con i riferimenti anagrafici, e la firma rilasciata dal consenso del capo di industria, dovendo trattare prodotti chimici pericolosi e infiammabile. Niente visitatori. Niente Megan all'improvviso nel corso della giornata, e sicuramente niente Megan in piedi al cancello della fabbrica se Carlail mi consentirà di venire alla centrale solo durante i turni di lei al ristorante.

<Da cosa sono nati questi dubbi assurdi Meg?>, curioso domando, non riuscendo a risalire alla loro origine.

<Ho incontrato Ian questo pomeriggio. Parlando mi ha detto di aver trovato un lavoro fuori città, e di doversi trasferire lontano, per poi tornare solo i fine settimana. Abbiamo discusso e ho capito che il suo è solo un modo di fuggire, lontano da noi e dal South Side, che ha bisogno di trovare la propria strada ... avevo paura che tu volessi fare lo stesso, che volessi tenere le distanze, almeno per un po'>

Dunque era questa la strada che aveva scelto. Deve aver già parlato con Richard ormai, ed essere entrato nella sua casa per il colloquio di lavoro. Prendere le distanze gli deve essere sembrata l'opzione migliore per tenerla al sicuro, e vorrei davvero riuscire a fare lo stesso, se solo non ne soffrisse tanto il cuore.

<Avrà bisogno dei suoi spazi, ha sempre vissuto al tuo fianco per tutti questi anni>

<Anche tu l'hai fatto>

<Si, ma mai quanto lui, forse. La rabbia ci portava a restare lontani per parecchio, non so se ricordi>, dico falsamente divertito dalla nostra testardaggine, e sembro averla convinta.

<Forse hai ragione, spero solo non si allontani troppo>

Taccio senza poter aggiungere altro, allontanandole le mani dal viso per arrivare a sfiorarle le mani, immerse nella notte.

<Torna dagli altri, io vado a fare due passi. Chiamerò mi madre e poi mi avvierò verso casa>

<Tra un'ora ti raggiungo>, promette, e il solo pensiero di una notte felice, da passare tra le sue braccia con il suo corpo premuto addosso, mi accende di entusiasmo e aspettativa.

<Allora ti aspetto>

<A dopo>

<A dopo, capricciosa>

Con un'umore diverso, più sicuro dei propri sentimenti, torna sorridendo dagli altri, permettendomi di andare.

Cammino senza una ragione percorrendo le strade di città, lasciando il Brunett alle spalle per venire circondato dal contesto abitativo dei grandi palazzi abitativi, piccoli parchi e riunioni di gruppo sotto la porta di casa.

Cammino e penso a quello che ci sta per capitare, alla strada che io e Ian abbiamo scelto insieme di perseguire, e prego che non possa capitargli niente. Avrei preferito esserci io in quella casa, e affrontare Richard Lee di persona, ma molto probabilmente l'avrebbe avuta vinta la collera e per la prima volta in tutta la mia vita sarebbe stata la mia mortale nemica, mentre Ian non lo raggiunge. Ian si infastidisce, quasi fossero una puntura i problemi, e cova il rancore sotto pelle. Non lascia trasparire niente, e per un lavoro del genere non potrebbe esserci pregio più adatto. Ma William non è l'ultimo arrivato e temo possa arrivare a grattare la sua superficie, come più volte avevo tentato di fare io al solo scopo di infastidirlo e forse, forse, proprio come me, può arrivare a scoprirle la sua maschera e riuscirci, in quel caso non ci sarebbe davvero fine al peggio. Eppure ... Ian non se ne era preoccupato, aveva solo deciso di informare Meg della propria partenza.

La ama veramente tanto, penso con timore, domandandomi se facciamo davvero la cosa più giusta io e Meg a nascondergli della nostra storia, sapendo quanto un piccolo errore possa provocargli un'enorme ferita, ma ho accettato solo ricordandomi delle sue parole pronunciate in una sera di stelle, lasciando quindi del tempo a Meg per poter esitare.

Arresto il passo una volta arrivato al campetto dal basket, dove le gambe mi hanno portato. La palla da gioco si erge da terra segnando il centro del campo, e lentamente mi avvicinano, recuperandola. La faccio rimbalzare, e il suono del contatto con il terreno riesce ad arrestarmi i pensieri almeno per poco.

Mi preparo al tiro, faccio centro nel canestro in una posizione da tre, e in compenso ricevo un fischio di approvazione.

Recupero la palla e mi volto verso quel rumore, trovando Damien in un cappotto grigio fumo a braccia conserte, a pochi passi da ho lanciato poco prima.

<Non male, posso provare?>

Faccio toccare alla palla il terreno in un rimbalzo, vendendogliela afferrare al seguito, per poi tirare a una distanza maggiore della mia, con un lancio perfetto.

<Sai giocare>

<Un po', si>

<Mi vuoi sfidare?> Un modo come un altro per parlare, e strappargli delle verità.

La sua bocca si apre in un sorriso, e la voce pronuncia divertita: <perché no>

Mi posiziono di fronte a lui recuperata la palla, ed entrambi vestiti da abiti pesanti rimaniamo a fissarci per prevedere le mosse dopo il primo colpo. Conoscere il suo stile di gioco vuol dire scoprire anche la sua mente, il suo modo di ragionare. Sfidare Ian mi aveva insegnato tanto, come ad esempio riuscisse ad anticipare le mie mosse con una tattica impeccabile di gioco, prevedendo l'azione delle mie molto prima che arrivassi a compierle. E' sempre stato uno stratega, per questo strappargli una vittoria era un'impagabile premio, e sempre più recentemente nel passare degli anni capitava, avendo scoperto la sua tattica. Anche se quel giorno, con Megan e Nicolas dai due lati del campo, era riuscito a battermi.

Lascio cadere la palla dando inizio, ed in uno scatto mi precede effettuando un'azione rapida. Poche mosse e la palla è già dentro la rete del canestro, cadendo mentre sono immobile a fissarlo.

Veloce, e astuto.

<Vuoi provare tu stavolta?>

Non me lo faccio ripetere, e con una finta riesco ad arrivare vicino al canestro, appoggiare il pallone al cartellone e centrare il bersaglio.

<Non male, ti muovi con i trucchi tu>

<Invece tu cosa usi?>

Sorride divertito, chinandosi per l'inizio della nuova sfida, al centro del campo, la palla tra di noi a dividerci.

<L'astuzia>

Di nuovo troppo veloce, ma non abbastanza. Arrivo a parlarla bloccandogli la mossa, anche se non serve a molto. Ancora con quell'odioso sorriso riesce a studiare una nuova strategia, e finire in rete.

<Sai, io e te non ci conosciamo molto>, azzardo, sfrontato e sicuro che lui abbia senza dubbio capito il fine di una tale indagine.

<Che cosa vuoi chiedermi?>

<Dove vivi? Non ti ho mai visto qui tra di noi>

<Ho una casa un po' più lontano da questo centro, affianco ad un lago>

<E ci abiti con la tua famiglia?>, chiedo con il respiro rotto dall'azione dei gesti, proprio come lui.

<Non ho una famiglia>

<Nessuno?>

Nessun punto, la palla finisce fuori dal campo.

<Nessuno che mi sia vicino e con cui vivere>, risponde fissandomi, per poi far ripartire il gioco.

<Quindi qualcuno c'è. Un figlio?>

Ride. <Non che io sappia, ma chissà>

<Una moglie>

<Ho una donna nel cuore>

<E lei lo sa?>

<Ho paura di si>

<Non ricambia?>

<Oh, eccome se ricambia, ma non lo accetta>

<E perché mai?>

<Non devo sembrarle un tipo molto raccomandabile>, mi stuzzica, ed io non lascio scappare la possibilità di infastidirlo.

<Come darle torto. E non c'è nessun altro? Amici, o altri parenti che abitano qui?>

<Vuoi chiedere loro in particolare qualcosa? Mi spiace, ma dovrai accontentarti di me>

<Allora dimmi questo: perché sei così tanto incline ad aiutarci? Perché sei arrivato ad incendiare un cantiere, con il rischio di essere visto?>

<Sono stato visto, avevo gli scagnozzi di William alle calcagna, per questo la tua amica, Nicole, vedendo la scena aveva creduto che fossero stati loro>

<E perché ti cercavano?>

<Temo di aver calpestato la coda del cane, mentre dormiva>

<Spiegati meglio>, espiro, rallentando per un attimo il ritmo della partita avvicinandomi a lui con calma, per sentire cosa ha da dire.

<Richard non si occupa solo di investimenti immobiliari, o reclutamento di giovani ragazzi dei bassi fondi come Ian. Diciamo che le sue attività riguardano più campi, e casualmente ho messo il dito nella piaga di uno di questi>

<Casualmente eh?>

<Nella più totale onestà>, mente sorridendo, ed io faccio ripartire la sfida.

<Immagino che tu ci abbia goduto, anche se non mi è chiaro perché lo odi tanto>

<In passato mi ha fatto un torto, come ne ha fatti a molti altri dopo di me, ma la nostra era una storia diversa. Io mi ero fidato, e lui ha tradito la mia fiducia, sposando la donna che amo>

<La prostituta?>

<No ...>, ride, <non Sarah>

<Che ami, non che amavi ... quindi la donna di cui mi hai raccontato>

<E' così>

<Quindi si tratta solo di una ripicca di amore?>, chiedo ostinatamente, assurdamente sconvolto dalla ridicola realtà.

<No, non è mai solo per amore ... in mezzo è capitato molto altro. Per prima cosa ha tradito la mia fiducia, lasciandomi su un dirupo di problemi dopo la confessione che gli avevo fatto, obbligandomi a nascondere e una volta lontano Richard si era avvicinato alla mia donna, seducendola e portandola per sempre via da me>

<E cosa gli avevi detto a quel tempo?>

<Confesso di essere io la causa della sua fama, della sua ricchezza e del potere che ha ereditato dalle sue gesta, per questo sono convinto nel volergli portare via tutto quanto, così tornerà ad essere l'uomo che era un tempo, ricco solo dei suoi imbrogli e povero in borsa, vivo solamente grazie al suo odio>

<Non sembri stare mentendo>

<Infatti non lo faccio>

<Allora perché non mi dici anche come fai a conoscermi? A sapere di Francis, e di quello che gli è capitato?>

Sospira passandosi una mano sulla fronte, per poi piegare le gambe recuperando le fila della partita.

<Ti ho detto che voglio sia tu a scoprirlo, non mi ascolteresti se fossi io a dirtelo>

<Ti sto ascoltando>

<Non mi crederesti>

Blocco il pallone prima che possa ritornare nelle sue mani, mettendo per sempre fine alla nostra sfida, parlando finalmente chiaro.

<Sei l'uomo che l'ha tradito, non è vero? Sei l'agente che ha fatto la soffiata, e l'ha condotto verso la morte>

<L'ho tradito in più di un modo, lo confesso, ma non sono quell'infame corrotto che tanto si è divertito a giocare con la sua vita. Io gli volevo bene. E per quanto odiasse ammetterlo anche lui ne voleva a me, senza riuscire a manifestarlo>

<Se così fosse te lo avrebbe detto>

<Ti ha insegnato le regole di un giusto cammino, Caleb, come il migliore dei fratelli, ma non sempre si è trovato a percorrerlo. Taceva quando gli faceva comodo per non trovarsi in guai ancora più grossi, ma sfortunatamente si era trovato a donare fiducia alla persona meno indicata. Se solo me ne avesse parlato avrei dato io a Richard la giustizia che si merita, ma non includendo le sbarre di un carcere non me lo aveva permesso. Credeva in quel distretto. Credeva alla giustizia della legge e alla punizione da impartire a un peccatore, ma non poteva sbagliarsi tanto ... non poteva sapere che genere di uomo avesse di fronte>

<Sai dirmi chi è stato quindi? Chi è l'agente, è ancora in centrale?>

<Non lo so, non ho mai scoperto chi fosse, solo che era nella sua unità, e che Carlail ha cercato di insabbiare la cosa alla stampa per non portare avanti uno scandalo. Diffida da quell'uomo, ci sono molte cose che non ti ha detto>

Ascolto queste sue ultime parole, prima che la notte lo inghiottisca a se, attirando i suoi passi lenti mentre mi volta la schiena, abbandonandomi, ed io lo osservo andare via, assimilando le novità per poi finire interrogarmi sulla fiducia che gli posso riservare. Francis è morto affidandosi troppo, ma io non sono lui ed esito sempre nel farmi avanti, specie non capendo abbastanza bene la situazione a cui vado incontro.

Dunque Damien non vivrai che nelle sabbie mobili del mio scetticismo, nelle quali, agitandoti invano, le tue parole possono trascinarti per sempre nella sabbia oppure salvarti, convincendomi a tenderti la mano, ma per adesso sono loro la trappola che ti spetta quindi agisci di conseguenza, cammina in equilibrio e prega di non cadere, anche se so quanto la tua astuzia possa essere magnetica e affascinante. Per quanto so che, se non arrivassi almeno un po' a crederti, i miei occhi non ti seguirebbero nella notte immaginandoti mentre torni alla tua casa al lago, solo e senza una famiglia ma con nel cuore una donna con cui non puoi condividere il resto della vita.

Cammina, capo della rivoluzione, e portaci alla vittoria, altrimenti tra le mani non ci resterà altro che la tua sabbia, riuscita a seppellirci in un feretro eterno nel quale ci hai condotto a stare, senza più respiro, senza anima.

Caleb

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