28- Seducimi, portami a ballare
P.O.V.
Megan
Usciamo dall'acqua con i respiri rotti, e per quanto mi riguarda le gambe che tremano. Non ero mai arrivata ad amarlo tanto e mai ero rimasta in una posa tanto dolorosa per un tempo prolungato ma stavolta non ho saputo resistere e dopo aver fatto l'amore non mi riuscivo a muovere. Sentire il ritmo del suo cuore contro il petto mi aveva stregato.
Ci siamo mossi insieme ma lui è il primo a uscire dall'acqua, merito forse delle sue gambe lunghe o del fisico d'atleta che nemmeno risente della spinta del mare ed io dalla mia distanza non posso far a meno di osservare la sua muscolosa schiena o il modo con cui quel costume gli fascia il sedere, ora che è bagnato poi più che mai. Si tratta di un semplice paio di boxer, blu scuro e spessi, con una striscia bianca su di un lato e gli stanno dannatamente bene. Per un attimo me lo immagino in un completo blu scuro e per poco non mi prende un colpo al cuore. Rischio seriamente di affogare in queste acque seppure ormai arrivano pressoché al ginocchio, credo di poterne essere capace.
Dalla spiaggia Caleb mi sta aspettando a braccia incrociate. Resto troppo a fissarlo in questo giorno vuole dirmi? Si probabilmente lo faccio, ma ora che si è voltato come posso non far cadere gli occhi sulla scanalatura degli addominali? O quanto meno sull'arricciatura dei suoi capelli neri bagnati? Vorrei essere una di quelle goccioline nel luna park che sembra essere diventato il corpo del mio uomo, pieno di montagne russe e alti e bassi.
Curve pericolose, poco ma sicuro.
<Meg ... hai sentito qualcosa di ciò che ti ho appena detto?>, mi domanda cogliendomi sul fatto, ed io arrossisco ancora di più, facendolo ridere. <Abbiamo appena fatto l'amore ...>
<E' tanto sbagliato desiderarti?>, domando una volta raggiunto, afferrando la mano che mi tende per superare quel piccolo dosso di sassi prima del nostro telo.
<No, ma così finirai per uccidermi, un giorno, sai?>
Sorrido e non dico niente, certa di andare su di giri al solo vederlo mezzo nudo al mio fianco, e per allontanarmi da quella vista mi stendo per prima, sotto occhi che mi bruciano la schiena più del sole.
<Stai attento a non bagnare il mio libro di poesie è rimasto aperto>, devio il discorso spostando i capelli quanto mi è concesso di lato, a causa dell'implacabile calura del sole sulle spalle. Fortuna che doveva essere autunno, un tempo.
<Il tomo che ti ho vista leggere l'altro giorno?>
<Finito due giorni fa. Non era molto avvincente così mi sono buttata sulle poesie, i libri stanno finendo>
<Troverai qualcos'altro da leggere>
<Potrei iniziare a tradurre te, che ne pensi?>
<Sono tanto facile da decifrare?>
<No, quindi ci vorrà forse del tempo, ma sono pronta a sprecarlo se questo vuol dire comprendere i tuoi silenzi>, come quello percepito pesante in macchina, avendolo intravisto a pensare, o quello durato due giorni, per il quale ormai in parte l'ho già perdonato.
<I tuoi invece di silenzi sono fin troppo espliciti. Arrossisci subito appena ti passa davanti un pensiero, e sei un libro aperto, per chiunque arrivi a vederti>, pronuncia sulla mia pelle, accostandosi al mio corpo steso di spalle.
<Buon per te allora, hai vita facile>, riesco a dire con il fiato rotto dato dalla sua vicinanza.
<Se lo dici tu ...>, gli sento rispondere, prima di farsi nuovamente vicino. Scende con le labbra e arriva al mio sedere, lasciandomi sulla natica un dolce morso che mi contrarre e sorridere, prima di tornare steso al mio fianco.
Sposto lo sguardo su di lui ammirando l'opera che gli ho lasciato sul collo: si parlava di marchi, ed io sono la prima a farne, il succhiotto ne è la prova e posso dire che è riuscito dannatamente bene e che gli sta da Dio addosso. Vorrei continuare a fargliene, proseguire nello scherzare insieme ma una volta che ci raggiunge la pace di questo silenzio, la mente parte per le sue strade, ed il pensiero finisce inevitabilmente a Ian.
È stato un gesto inconscio quello di voltare la testa ed evitare l'indagine di Caleb, perché se era veramente tanto in grado di leggermi dentro non vorrei che facendolo trovasse lui, tra le mie preoccupazioni.
Non so veramente cosa fare con Ian.
Ho riconosciuto le sue emozioni il giorno in cui mi ha portato nel campo di papaveri, in cui mi ha detto quelle cose rimanendo con un piede fermo vicino alla catena della bici e l'altro appoggiato a terra. Lo so, dentro di me, fin da allora ma non ho mai fatto niente, anche perché è stato tutto così veloce ... la festa di addio a Kevin, il primo bacio con Caleb, la nostra prima volta, la visita al ristorante di Carlail, capo della polizia per non parlare poi della festa attirata per fermare il piromane e giustiziere di Richard Lee. Troppe, veramente troppe cose che però adesso sembrano essersi messe in pausa, lasciandomi modo di chiedermi cosa sia più giusto fare, se rivelare a Ian questa storia oppure tacere e nasconderla, fino ad un momento migliore.
Non so cosa possa essere più giusto ma ho paura di ferirlo. Come sento di poter ferire Caleb con una mossa sbagliata. Ma soprattutto non so come gestire i sentimenti del mio amico. Ricordo ancora come mi ha guardata, ricordo ogni frase che mi ha detto e come a quel tempo mi avevano arrestato il cuore per pochi attimi. Persino adesso non mi sono indifferenti ma ho Caleb al mio fianco, ho Caleb addosso nelle emozioni che provo e sento di non stare sbagliando.
Forse è ancora troppo presto per dire di noi a Ian, potremmo aspettare e tenere lontana la nostra relazione agli occhi e alle indiscrezioni dei nostri amici almeno per un po', nonostante Nicole già lo sappia. Vorrei solo che questo idillio continuasse e nessuno si trovasse a soffrire, perché già so che sarei ferita pure io se Ian ne risentisse.
Prima o poi dovrò dirglielo però, e capire se è ancora reale il sentimento che sembra provare nei miei confronti, e dal quale tento di prendere le distanze. Quando lo verrà a sapere sarà per merito mio dopo averne parlato, e ogni cosa si chiarirà ne sono certa.
_____________
Sono appena le cinque del pomeriggio ed io e Caleb stiamo scendendo dalla barriera creata dagli scogli. Abbiamo voluto vedere cosa c'era più in là, scoprendo una piccola pineta affiancata da una specie di torre in rovina, dentro la quale non ci siamo azzardati ad addentrare, rimanendo a fissarla da fuori. Nonostante la distanza, immergendoci, si riuscivano a vedere i mattoni proseguire al di sotto del livello del mare, incagliati in degli scogli sui quali si erano creati molluschi ed alghe. La cosa in parte mi aveva fatto paura: intravedere il blu scuro del mare sotto i miei piedi e quella specie di cimitero di massi tra i quali serpeggiavano grossi pesci mi aveva messa in uno stato di agitazione non apparente, tanto che sono risalita subito e sono corsa verso riva. Caleb ha riso di me una volta tornati sulla spiaggia, ma c'era poco da scherzare. Il mare riesce a farmi paura nella sua profondità, quando mostra l'esoscheletro del suo paradiso non a tutti visibile, e poi avevo il terrore di finire con il piede proprio sopra un riccio di male, nascosto su di uno scoglio. Nemmeno ci pensavo a togliere gli aculei e sarò drammatica ma più penso di andare verso il fondo più credo di raggiungere il centro della bocca di un eventuale squalo, intento a girovagare in attesa di una stupida ragazzina come me pronta a immolarsi come pasto. L'ho detto questo a Caleb? Certo che no, perché lui nell'immersione era andato spedito e aveva dettato la strada, non gli faceva paura il cuore del mare, trovandosi forse nel suo vero habitat. Calmo, silenzioso, temibile quanto meraviglioso, pieno di storie e segreti pronti ad essere letti.
Non faceva per me, e la sabbia che mi aveva accolto a riva era stata un porto sicuro, una giusta stabilità dove era la gravità a tenermi in piedi, senza dover lottare nell'impresa dei gesti in una terribile placenta, provando a sfidarla.
Ecco quello che mi serviva, stabilità e il respiro a scorrermi nei polmoni. I massi bianchi di confine erano stati il solo inconveniente.
Afferro la mano di lui tornando sulla linea di terra, per ricongiungerci con la nostra postazione, ancora unico addobbo della spiaggia.
Caleb mi cammina davanti, nel confine tra le onde e la spiaggia, ed io nel contorno del tramonto vedo la sua figura di schiena, arrossata dalla giornata di sole, e quasi inconsciamente mi trovo a posare i piedi sulle forme rimaste intere dei suoi passi. Poso le dita, prima di appoggiare l'intera pianta e vedere la differenza tra di noi, e non è più la sua schiena che guardo ma la scia ravvicinata del suo cammino, approfondita e modificata dall'apporto dei miei passi, a ricoprirne la tratta.
<Attenta Meg, qui c'è un altro scoglio>
<Attento tu, io seguo i tuoi passi>, commento quasi inconsciamente restando a fissare per terra, finché quelle orme non finiscono perché lui si è fermato, facendomi arrestare di fronte al suo sguardo, con i piedi piantati nel suo passato inciso nella sabbia. Segue a ritroso con gli occhi il percorso fatto, trovando solo la forma più grande dei suoi piedi.
<Perché hai camminato dietro di me, seguendo le mie orme?>
Perché lo avevo fatto? Non lo sapevo ma era stato inconscio, farlo mi aveva offerto una sorta di sicurezza nel procedere, e gli sorrido offrendogli la ragione.
<Non lo sai come vivono i lupi? Quando devono muoversi in branco camminano in fila, calpestando sempre le impronte lasciate dall'Alpha, così il cacciatore che li cerca non potrà mai sapere il numero esatto del gruppo. Sono più al sicuro così>, racconto al caldo verde dei suoi occhi, con il tramonto a completare la scena del nostro quadro. <Ma a volte capita che vengano attaccati, dai cacciatori o da altri lupi, e per proteggere il proprio compagno solitamente la femmina posa il suo viso proprio qui>, gli mostro, posando il mio orecchio sul suo collo, e tappandogli, data la mia altezza, totalmente lo spazio al di sotto della testa, <di lato, sul collo dell'uomo. In questo modo nessuno può colpirlo alla giugulare, sai? Lo difende così. Restano fermi, mentre gli altri cercano un modo per attaccarli>
Ed è in questa posa che resto, per difenderlo, come sto facendo da giorni, al seguito di quella serata da Nino. Non gli ho parlato di William e di quanto mi sia arrivato vicino perché voglio tenerlo al sicuro da tutto questo, voglio proteggerlo e fare in modo che non arrivi nuovamente a soffrire per le ingiustizie che regala a sconto questo mondo. Sento il battito del suo cuore e chiudo gli occhi godendo della sua vita.
<In questo modo però sei tu ad avere il collo scoperto. Sei attaccabile, così>
Si, ma io sono sacrificabile, tu no, mai.
<Il lupo non permette mai che si avvicinino a lei, scatta prima che la distanza venga accorciata>, spiego ascoltando il suo battito e percependo l'attimo dopo le sue braccia stringermi a se, unendomi in un abbraccio.
Adesso non so più chi sta difendendo chi, anche se so dannatamente bene da cosa lo stiamo facendo, pur non parlandone, e rimango immobile a godere di quell'istante eterno, impresso a fuoco sul fondo del mio cuore, e nel ricordo di questo giorno perfetto, in ogni sua parte.
Non dimenticherò mai una giornata del genere.
_________
Sono ormai le sette di sera. Io e Caleb siamo seduti abbracciati, io davanti a lui petto contro schiena nell'apertura delle sue gambe, a vedere cadere il sole dopo essere stato attratto dal mare. Un pallido accenno di luna già si affaccia nell'altra parte di cielo, e il freddo della sera e della notte ci raggiunge sotto questo telo che ci siamo stretti addosso, fungente da coperta.
Porto la testa indietro finendo nuovamente nella posa di protezione del suo collo, e non mi muovo di un solo passo, decisa a non andarmene.
Questa giornata è stata una delle più belle di tutta la mia vita, e non sono ancora pronta a vederla finire.
<Che dici di cenare fuori, stasera? Poco lontano da qui deve esserci un piccolo centro cittadino che non conosco. Possiamo però vedere insieme, se ti va>
Potrebbero sembrare parole mie, ma è stato lui ad avanzarle.
<Si, mi va>
Tra i miei seni, adesso, pende da una collana caucciù nera la piccola e astratta forma in vetro verde, levigata dal mare. E' piccola ma non tanto da sembrare una perla, eppure mi piace da pazzi.
La mia conchiglia, invece, è finita nel suo portafogli, non si poteva fare altrimenti, ma mi sta bene, sapergli di essere comunque vicina mi piace.
<Forza allora, torniamo alla macchina>
La pelle tira un poco essendo stata accarezzata dal sole, e ringrazio la buona scelta della giornata, ovvero il nero vestito a pois a maniche corte. Non ho nessun dolore addosso ma almeno con quello sono libera nei movimenti e forse anche ben vestita per una cena di paese.
Afferro la borsa mettendo dentro telo e libro di poesie, prima di recuperare anche la sua mano.
Stavolta camminiamo fianco a fianco, e montati in macchina seguiamo le poche indicazioni lasciate da pericolanti cartelli lungo la tratta, mentre i finestrini aperti e la velocità ci danno un'idea di libertà, mescolati all'emozione della sera.
<Ancora non te l'ho chiesto, dove hai preso la macchina?>
<Sono stato in città da Kevin, oggi>
<Dici sul serio?>, mi infiammo in un sorriso, e lui annuisce leggero.
<Si, sta bene, e ci saluta. Stando a quanto mi ha detto potrà tornare il prossimo fine settimana a farci visita. Il professore che affianca all'università parte per un seminario e non ha bisogno di lui, almeno per alcuni giorni>
<E' fantastico, appena torniamo lo diciamo anche a Celine> Non vedo l'ora di vedere la faccia che farà, una volta venuto a saperlo. Non vedo l'ora di vederlo, perché mi è mancato da matti. E soprattutto non riesco a trattenere l'emozione nello scoprire dai racconti del mio amico come è veramente la vita in città, se caotica oppure movimentata, viva come non potremmo mai immaginare essere.
Seguo con gli occhi Caleb e lo aiuto nelle scelte, optando nella molteplice scelta che ci offrono fila di arrugginiti cartelli, portando a percorrere sentieri sempre più stretti. Avrei già esitato nel continuare ad avanzare se non gli avessi visto mantenere la calma. E' affascinante al volante, calmo e rilassato anche se con uno sguardo attento e fisso. Cambia le marcie senza pensare, lasciando sempre solo una mano sul manubrio anche se, per la poca esperienza che ho, so che la prudenza sarebbe tenerle entrambe sulle dieci e dieci, o sulle nove e un quarto, ma non ha importanza perché mi fido, sapendo anche che la macchina è quasi il proseguo delle sue gambe. Potrebbe mancargli, forse, lavorare in officina dal signor Bing.
Ad un tratto posa la mano dal cambio alle mie gambe, lasciandola li a palmo aperto, stringendomi quel pezzo di pelle sopra il ginocchio che il vestito, con il vento dei finestrini, porta sempre a scoprire, ed io mi trovo a sorridere, guidata dalla pace. Faccio lo stesso e la poso sui suoi pantaloncini neri in jeans, lunghi fino al ginocchio, e può sembrare stupido fatto da una donna, vista la classica dominanza di un uomo in quel gesto di possesso, ma io e lui siamo uguali, e qualsiasi cosa mi faccia io ne rispondo, quasi sempre alla stessa maniera.
Mi sorride voltandosi verso di me per pochi attimi, ed io non allontano la mano così come non lo fa lui, e in questo modo rimaniamo a sfiorarci nella lunga e rettilinea strada postaci dinanzi.
Quando tutto sembra perduto ecco il centro, o meglio questa specie di corso allestito di tavoli e limitato da schiere di case sui toni del rosso scuro, e credo di essermi già innamorata dell'atmosfera che regna sovrana, o della gente che apparecchia i tavoli sulla strada.
Parcheggiamo poco distante, all'ombra di un pino ed insieme decidiamo dove andare, trovandoci poco dopo seduti l'uno di fronte all'altra in un tavolo da due rifinito con una coperta rossa e una piccola piantina al centro, in un barattolo di ferro.
Si tratta di un giglio della Valle, probabilmente finto e in plastica, ma sorrido conoscendo il significato mentre Caleb elenca la nostra ordinazione alla cameriera al nostro fianco. Quando torna a me mi trova a sfiorarne i petali, ed io arrivo a parlarne.
<Lavorando da Laura ho imparato a conoscere il significato dei fiori, lo sai?>
<Se simboleggia la gelosia me ne faccio portare anche un altro... sai, ho scoperto di non essere l'unico a soffrirne>
Lo fulmino con gli occhi, continuando a tormentare i freddi petali. <Sei lontano, vuole dire "ritorno alla felicità">
<Si?>
<Proprio così>
<E il papavero invece?>
<Quello mi è stato spiegato da una nostra cliente, una ragazza molto carina a cui piacevano le campanule. Mi ha raccontato che simboleggia la capacità di spingere alla consolazione quanto alla dipendenza>
<Sei cura e veleno, vuoi dirmi>
<E tu che mi dici, quale è il tuo fiore preferito?>
<Ti offendi se ti dico di non averne uno? Sai, sono un uomo se non ti sei accorta, non ho mai riflettuto molto sui fiori>
<Allora dimmi quale è adesso il tuo colore. Un tempo era il blu scuro>
<E' il verde ormai, come i tuoi occhi>
<Ed i tuoi>
<Mi piacciono di più quelli che porti>
<A me quelli che porti tu ... e infatti anche per me è il verde scuro>, confesso lasciandogli un sorriso in viso, poco prima che la cameriera posi i nostri piatti e si congedi con un caldo quanto gentile "buon appetito".
Abbiamo solo ordinato il primo ma lo mangiamo lentamente, dopo aver scambiato, quasi per abitudine, metà dei nostri rispettivi ordini, così da mescolarli quando la musica di sagra ci raggiunge, costringendoci a interrompere i discorsi impostati a tavola, durante questa cena piacevolmente trascorsa, tra risate e scambi di opinione. Praticamente abbiamo finito, ci è stato anche servito il caffè, perciò quando arrivo a fissarlo, con un sopracciglio alzato e il mezzo sorriso so benissimo cosa intende fare. La cameriera torna giusto in quel momento a chiederci se vogliamo altro, ma Caleb le risponde prima di qualsiasi altra mia protesta e paga il conto, lasciandole le banconote nel libretto che ci ha lasciato.
Stiamo aspettando il resto sfidandoci ancora occhi negli occhi.
<Che cosa intendi fare?>
<Vedi, Meg, si può dire che tu abbia un'insolita fortuna a guidarti. Proprio oggi mi è stato ricordato da una persona che per conquistare una donna la si deve invitare a ballare, e la musica in sottofondo mi spinge proprio a farlo>
<Non hai bisogno di conquistarmi, non più>
<Infatti intendo sedurti>
E con quella mano tesa e il gomito piegato sopra il tavolo, gli occhi ardenti di una fiamma viva e la maglietta nera messa al posto della canotta e recuperata dal bagagliaio, dello stesso colore dei suoi capelli direi ... che ci riesce benissimo, anche senza dover danzare. Ma probabilmente non è dello stesso avviso, per cui sono costretta ad afferrargli le mani.
L'attimo dopo sono premuta contro il suo petto al centro dell'improvvisata quanto assente pista da ballo, e sto già ondeggiando. E' lui a guidarmi i passi, tenendo gli occhi legati ai miei detta i movimenti, e non mi lascia andare, mai.
Mi abbandono al mio destino e mi lascio sedurre da questo uomo incasinato, bello quanto complicato che mi ha fatto cadere nella sua trappola dalla quale sono certa di non voler uscire.
E' anche un maestro nel ballo, è sciolto e rilassato, perfettamente conscio e a capo della situazione, e sembra tenermi al sicuro, in quella lieve danza.
Chiudo gli occhi percependo le emozioni farsi spazio nel cuore, evocando i miei timori solo per vincolarli in un angolo, e sotto queste stelle siamo incredibilmente liberi, ancora di più quando il cantante dell'improvvisato karaoke ci ordina di toglierci le scarpe e ballare scalzi, cosa che facciamo, seguendo il ritmo successivamente velocizzato di una musica fatta di tamburi e salti, ritmi scanditi da chitarre e sorrisi.
Sorrido a lui, alla complicità che ci avvince, a questo ballo improvvisato e spoglio di regole, di passi, semplicemente il ballo della vita che ci lega alla terra, alla nostra cultura, vincolando il nostro amore in una promessa di musica.
Ed è ancora più bello, con i capelli arricciolati dalla salsedine del mare, il viso arrossato dal vino che abbiamo bevuto come lo è il mio, i piedi scalzi e la voglia di giocare, di ballare, che ci travolge in un attimo, rendendoci maestri di inventiva e professionisti del nostro ballo, come tanti altri e prego affinché tutto questo finisca, affinché il tempo rallenti la sua corsa e congeli questo momento durante il quale io e Caleb stiamo danzando, stiamo pregando affinché rimanga tutto proprio come questo istante, affinché il sorriso non scompaia o sbiadisca, condensa sul vetro del nostro volto, ma si mantenga vivo nei nostri cuori, nelle nostre menti per sempre.
Perché noi siamo qui a vivere, a ballare, a volare, e niente ci riesce a fermare, niente allontana i nostri corpi quando d'un tratto Caleb mi spinge a sé, petto contro petto, niente ... perché niente ci comanda, e non esistono barattoli in vetro o barriere di carceri intorno a noi, non ci sono più i fili di invisibili matasse, più niente, tranne sorrisi e baci e la speranza che questo paradiso possa scendere anche in terra un giorno, e accogliere tutti noi sotto il suo manto.
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