25- Farfalle in barattoli di vetro
P.O.V.
Megan
Poche cose passano nell'istantanea di un momento. Piccoli e inutili pensieri vengono soffocati in un oceanico abisso di problemi da una voce superiore che grida, con quanto fiato ha in gola, per potersi far sentire al di sopra di tutte le altre, sgradito ospite all'interno di un palazzo ben arredato e riempito delle più mutevoli cure dal corso degli anni. Per questo motivo la mia attenzione non è focalizzata altro che su di un viso, ed un paio di scuri occhi inglobati dalle tenebre, sostenitori della mia paura e ladri del mio controllo.
<Megan che cos'hai? Chi hai visto?>
<Caleb ...> sussurra una donna che non sono io, ma che ha la mia voce e mi ha rubato il corpo, assumendone il pieno controllo. <Non è stato niente, solo un giramento di testa, non devi preoccuparti, dico davvero> riesce a pronunciare quella donna sicura di se, mentre io invece resto in un angolo, chiusa in me stessa, china sui miei problemi e bugie che ancora non voglio condividere. <Faresti meglio a seguire Nino dietro, in cucina. Per ora nessuno si è fatto vivo, occorrerà del tempo>
Andrebbe bene di tutto, pur di tenerlo lontano da qui.
Quel leone dalla pelliccia dorata ed i denti affilati sta percorrendo la steppa dei nostri prati, e da metri di distanza, nel suo nascondiglio, spia le nostre mosse, pronto ad attaccare.
Non voglio che lo trovi impreparato, preferisco piuttosto che affronti me, come già è stato.
<Caleb! C'è bisogno di aiuto, sei libero per caso?> l'impertinente voce di Debora si affaccia sulla scena, e mai prima d'ora le sono stata tanto grata.
Caleb non si è bevuto la mia bugia, rimanendo a fissarmi in attesa della verità, e mi ferisce non essere riuscita a esternarla, ma è per il suo bene mi ripeto.
<Arrivo dammi un attimo>, lo sento liquidarla, e questa sparisce in una delle stanze appositamente allestite per la serata.
Nel parlare, in un solo attimo, Caleb si è voltato nella direzione della cameriera, facendomi evadere per pochi istanti dalla sua attenta indagine, ma tanto è bastato per permettermi di vedere la figura di William incastrata e nascosta nell'angolo buio della stanza, lontano dalla visuale di Caleb eppure, sono certa, con una vista perfetta su di noi.
La mano destra del mio uomo mi cerca il viso, sfiorandomi il mento che con delicatezza afferra per riportami a se.
<Qualcosa ti ha turbata. Vorrei mi dicessi di che si tratta>
Sfioro la sua mano in un gesto capace di confortare entrambi, anche se sono la sola a rendermene conto. William ci sta ascoltando ed io non posso parlare dello svolgersi di questa serata, mentre prego in tutti i modi che non lo faccia l'uomo che ho di fronte.
La sola uscita che ho per evitarlo è tirare fuori altre bugie da servire su questo tavolo di menzogne, procurandomi però di inserire anche un pizzico della mia realtà.
<Stavo solo pensando a mio padre. Parlando di fronte a tutte queste persone me lo sono immaginato in piedi nella folla, e mi ha fatto male capire che non potrà mai esserci, che non potrà mai mostrarsi fiero del lavoro che stiamo portando avanti, di me> Di questa lotta alla giustizia che stiamo perseverando con le nostre sole forze, perché altre armi non abbiamo, se non la nostra grinta, il nostro coraggio.
Le mie parole sono la sua resa. La sua stretta diviene abbraccio, mentre mi circonda del calore dato dal suo corpo in maniera lenta, senza fretta come se stesse maneggiando un oggetto delicato. Mi appoggio alla sua spalla con il mento, e la voglia di piangere si fa più presente all'orlo dei miei occhi, sentendo quelli di William affacciati sulla scena, sul nostro amore.
<Non devi pensarci, Megan. Quell'uomo ti ha abbandonato, non merita la tua attenzione o il tuo dolore>
<Alle volte mi manca>
<Le persone come lui, come mio padre, sono stati crudeli a lasciarci, ma noi abbiamo avuto molto altro, anche senza di loro. Se tuo padre non ci sarà, tra quella folla un giorno, sappi che ci saranno tutti gli altri. Io e Ian ci saremmo, e anche tua madre, i nostri amici e questo credo che sia un bel riscatto non trovi?> Annuisco e lui mi sorride, per poi lasciarmi un bacio sopra la fronte contro la quale torna a parlare. <Vado da Nino adesso, se succede qualcosa chiamami ed io sarò subito da te>
<Va bene>
Dalla fronte con le labbra scende fino alla mia bocca sulla quale lascia un debole bacio a stampo, ed io chiudendo gli occhi mi godo per un'istante quel saluto, prima di sentirlo andarsene. Lo seguo con gli occhi mentre si incammina in direzione della cucina, distante da questo mondo e ancora coinvolto nel suo, quando dei passi mi fanno precipitare contro il duro suolo della realtà.
La sua presenza, con le parole di Caleb, era stata completamente annullata, perché il potere di Caleb, ovvero farmi star bene, riesce ad cancellare da sempre l'intorno focalizzando l'attenzione su di lui. Stavolta mi aveva distratta, ma non mi farò cogliere impreparata. Raddrizzo la schiena mentre dietro di me questi passi sembrano volermi racchiudere in un immaginario cerchio, così da vincolarmi.
<Dunque è così che ti chiami ... Megan>
Vincolo gli occhi alla volta a crociera del soffitto, per non essere costretta a guardarlo in faccia.
<E' di tuo gusto?>
<Poche cose lo sono> mi risponde, continuando a girarmi intorno. <Però ha un bel suono ... sono rimasto piacevolmente stupito da tutto quanto. Insomma ... non pensavo che te la facessi con il ragazzo dell'officina ... Caleb, giusto?>
Non rispondo, è lui con un ghigno a farlo, quasi fosse un sorriso.
<Beh una bella novità, e bell'intreccio la casualità che mi ha portato a incontrarvi nello stesso giorno, seppure non metto mai piede qui>
Ormai è di fronte a me. Si arresta e la sua altezza mi impedisce la distrazione, obbligandomi a focalizzarmi solo di lui, cosa che per altro faccio tornando a fissarlo da vicino.
Niente gel. Niente orologio d'oro al polso. E niente eccessivi e firmati abiti eleganti che lo avrebbero classificato quale il signorino che è. Porta addosso semplici abiti. Risulta quasi strano vederlo così. Sembrerebbe un ragazzo normale, della mia stessa età, se non fosse per la schiena rigidamente eretta e per il mento ben teso, il portamento di uno sbruffone aristocratico attira grane e per quegli occhi ... non sono occhi normali di un ragazzo di vent'anni, sono cupi e bui come già avevo avuto modo di constatare, mi fanno ancora rabbrividire, oggi come allora.
<Però ... da vicino sei ancora più bella, o forse il merito va alla tua testardaggine?> Taccio ancora, cosa che gli fa alzare entrambe le sopracciglia in un sorriso. <E va bene quindi parliamo di altro ... era a nome di mio padre il brindisi? Spiacente ma credo che stasera non verrà>
<Non hai sentito quello che ho detto? Ho brindato al South Side>
<E che altro è il tuo South Side se non un'ammasso di polvere nel palmo di un uomo? Dove credi possa veramente portare l'anarchia con la quale hai cucito le parti del tuo infervorante discorso?>
<L'anarchia è libertà. Permette all'uomo di essere padrone delle proprie azioni, invece che comandato da altri. Porta ... a sperare ... che in futuro non ci sarà più gente come tuo padre a manovrare i fili delle vite altrui, gente come te>
<Non mi conosci, Megan, io li recido ... quei fili, non faccio altro, da tutta una vita>
Volto lo sguardo alla ricerca del suo, che ormai mi è di fianco e rimango ad osservare quel volto, impassibile e scuro ma che con la voce è sceso di grado assumendo un tono tenue, quasi distratto, quasi fosse naturale e mi viene da chiedermi che tipo di vita possa veramente aver condotto un tipo come lui. Che cosa è per suo padre? Una macchina da guerra? Un veloce sicario da usare contro i nemici più difficili? O più semplicemente un pazzo, l'asso nella manica fuori controllo da tenere buono nei momenti giusti e da sguinzagliare contro altri in quelli meno giusti? È mai stato bambino, ha mai conosciuto ... la vera bellezza, prima di togliere una vita?
<Hai detto poco fa che tuo padre ti ha abbandonata ... quando è stato?>
<Ero una neonata, non l'ho mai conosciuto>
<Che impagabile fortuna>
<Perché dici questo?>
<Perché ho un padre. E quell'uomo non mi ha mai amato>
<Difficile amare un assassino>
Mi sorride. <Allora ti sei informata...>
<Richard Lee non ha mai ucciso nessuno>
<Usa i suoi uomini per farlo>
<È un uomo d'onore, scende a compromessi invece che passare a uccidere>
<Sembrerebbe quasi che tu lo ammiri, in fondo>
<Sei tu il problema, William. Non tuo padre>
Dalle pupille scaturiscono vive fiamme.
<Lo pensi davvero? Che cosa sai tu della mia vita dolce Megan? C'eri il giorno del mio undicesimo compleanno? Eri presente .. in quella stanza ... piena di gente e completamente vuota, dove mio padre, per la prima volta da che ero nato aveva tenuto un discorso in mio onore? Anche se riguardava se stesso non importava, lui era presente, e stava partecipando per la prima volta a un evento riguardante la mia vita, non potevo esserne più fiero. Eri presente quando, di colpo, due uomini armati erano entrati nel subbuglio della festa e avevano puntato la canna della pistola contro la nuca di mio padre? Uno alla nuca e uno al petto, due colpi quasi impossibili da schivare e mio padre se ne stava lì, con entrambe le mani a palmo aperto all'altezza della faccia, completamente disarmato ma non impaurito, a guardare dritto negli occhi il volto di uno degli aggressori. Mi sono sempre chiesto come avesse fatto a rimanere tanto impassibile, almeno negli anni futuri ma non in quel momento ... in quel ... Preciso attimo, tra le genti accalcate in festa, ho estratto la pistola dalla fondina della mia guardia del corpo che aveva il compito di non usarla se non per garantire la mia sicurezza, assicurata dal suo massivo colpo posto davanti ... che avevo oltrepassato per avere una giusta visuale. È stato questione di un secondo. L'attimo dopo entrambi i due uomini erano a terra con un foro di proiettile nel cranio, impartito dai miei colpi. Li avevo uccisi per proteggere mio padre> racconta, continuando a guardarmi negli occhi per poi lentamente allontanarsi. <Non chiesi nulla e nulla mi fu detto, ma giorni dopo, quando alla nostra porta si presentarono due famiglie in lacrime capii la realtà dei fatti: i due uomini che avevo ucciso erano vittime del gioco di mio padre, semplici pedine mosse a comando, fino ad essere portate a compiere un gesto folle, in puro delirio. Per poter riuscire a vivere, senza soldi, avevano chiesto a mio padre di diventare suoi uomini, ma il prezzo si era rivelato troppo alto. Quel giorno capii che bisogna essere sempre più forti della persona che ti comanda, così da non farsi mai manovrare e al contempo che mio padre era la persona più astuta in assoluto e in grado di impedirtelo. Le mie guardie del corpo non avevano estratto le armi non perché esitanti nel proteggermi: era stato un ordine impartito direttamente dal grande capo, Richard Lee, che per la prima volta, nella mia vita, aveva voluto mettermi alla prova e vedere cosa avrei fatto. L'avevo superata, avevo ucciso quei due uomini senza batter ciglio, anche se era la prima volta che sparavo contro persone vere e non fantocci di carta alla fine di una stanza di tiro al bersaglio. Mi ero mostrato dedito, e la devozione era ciò che mio padre cercava, che cerca, tutt'ora. Lui ama mostrarsi integerrimo così le persone sciocche come te possono trovarsi da lontano e ammirarlo nella sua bella camicia bianca, linda tanto quanto l'anima che vuol far dimostrare avere, mentre avvolto da quei suoi stracci firmati detta indirette leggi che persone come noi sono obbligate a seguire.
Quello che mi differenzia dagli altri è il fatto di aver semplicemente accettato il mio destino da assassino. Conosco la persona che sono. La mano non mi trema mai quando impugno un'arma. So quale è il mio posto e che cosa fare. Ma non credere che io sia nato dal niente. È stato mio padre a crearmi così, narcisista e pazzo al punto giusto da essere considerato il suo migliore scagnozzo, e il suo successore, in linea ereditaria>
Afferro con gli occhi la figura che, nel tempo delle sue parole, circolava liberamente delimitando il mio spazio, e che adesso ha rallentato fino a fermarsi in prossimità nuovamente del mio viso, di nuovo di fronte, di nuovo troppo vicino.
Quel nero pece nel suo sguardo è la lastra di vetro scura che non mi permette di recuperare il respiro dopo essere risalita dagli abissi di questo impetuoso mare del quale mi ha reso partecipe. Posso solo immaginarne il continuo, e non sono certa di volerlo sapere. Ho nuovamente bisogno del giusto distacco tra lui e me, per poter tornare a parlare con la freddezza che mi compete, e che sono certa sia la sola a potermi salvare.
<Una storia davvero commuovente, immagino che la usi spesso a giustificazione dei tuoi crimini. Ma dire solo "è stato papà" non basta. Come hai detto anche tu mi sono informata, e sono venuta a conoscenza di molto sul tuo conto, come sul modo con cui uccidi> chiudo gli occhi non volendo rievocare nella testa immagini tratti da articoli di giornale che immortalavano le sue ... opere.
Credevo che persino la mafia avesse un codice d'onore. Se veramente lo ha, a William non lo riguarda.
Le sue vittime sono principalmente donne, senza preciso modus operandi nella scelta, credo fossero indipendentemente destinate a compiere quella fine, forse essendo familiari della persona veramente coinvolta nei loro loschi affarai, ma qualunque sia il vero collegamento tra lui e le sue scelte ciò che veramente colpisce è il modo con cui sono state ammazzate: il soffocamento è la causa, e quella lenta agonia viene da lui gentilmente fornita tramite l'uso di corde da scalatore. Lega nude le sue donne in pose simili a quadri, ed è l'artificio della morte, assurdamente, a riuscire a farle sembrare vive: gli occhi di tutte loro erano spalancati, il viso sceso di colorazione, cianotico e bluastro, mentre i muscoli apparivano tesi e contratti, a seguito del decesso, irrigiditi in pose oscene, da far tremare i polsi.
Sono rimasta ferma immobile di fronte a quelle immagini, per un grande lasso di tempo.
Mi chiedevo perché le uccidesse così.
Perché fossero tutte donne.
Cosa provasse.
E non sono riuscita a rispondermi, dal momento che mi è quasi impossibile violare la mente di quest'assassino, ma di una cosa ne sono certa. William non ha solo "accettato" il triste destino che gli è stato imposto, lo ha abbracciato e l'ha reso parte di se, in un modo tanto folle e distante dai confini umani che ti è impossibile da capire o raggiungere.
Richard Lee può veramente aver influito in tutto questo, lasciandogli afferrare le armi ancora prima degli undici anni, eppure credo che abbia solo trovato un modo per arginare la bestia che da sempre era in lui.
William non è un'uomo normale, e di sicuro non è stato un bambino normale. Quegli occhi neri vedono il profilo di un altro mondo ed è per questo che poco prima che Caleb mi abbracciasse stavo tremando. Perché sono sola in sua presenza, e sono donna, una di quelle tanto stupide da volergli rispondere ancora a tono, eppure penso che questo lato di me possa salvarmi, tenergli testa mi permette di instaurare questa sorta di reciproco rispetto basato sul dialogo.
Assurdo, come tutto di lui, ma forse la sola cosa vera.
<Perché sei tornato?>
<Mio padre sembra avere molto caro questo posto. Voglio scoprire il perché>
<Non sei stato tu ad appiccare l'incendio quindi?> domando, a solo gusto di riprova.
<No, Megan, sarebbe solo uno sforzo vano>
<Che cosa pensi di fare, allora, stanotte?>
<Pensavo di andare in comune e parlare con il sindaco di questo posto, oppure presentarmi direttamente a casa sua. So dove abita>
<Così da chiedere di tuo padre>
<Così da chiedere il segreto che mio padre si ostina a non voler rivelare. Non prendertela Megan, se scopro qualcosa non potrò lasciartela per iscritto nonostante mi stia piacendo molto questo nostro confronto. Amo le donne che sanno tenermi testa>
Ed eccola qui, la semplice verità. Ringrazio di averla scoperta inconsciamente, e di essermi almeno per il momento salvata.
<Anche la mia donna è così, forte e caparbia proprio come te, andreste d'accordo>
<Hai una donna? Pietà per la sua anima>
Alle mie spalle William si arresta, e lo sento sorridere.
<Credo che ormai quella deve averla persa, ma grazie del pensiero>
Penso di essere ormai libera dal suo soggiogamento quando d'un tratto una mano fredda mi sfiora la carotide.
Spalanco gli occhi ringraziando che William sia alle mie spalle e non possa vedermi in viso, rendendomi troppo tardi conto dello specchio di fronte a noi.
Osservo la figura di quest'uomo alto, muscoloso ma longilineo, dai tratti quasi perfetti e i capelli biondo ramato percorrere con la punta dei polpastrelli il profilo del mio collo, tanto da farmi tremare.
Vuole impaurirmi. Lo sta facendo ma non provo a rivelarglielo l'attimo dopo in cui stiamo entrambi fissando i nostri reciprochi volti all'interno di questo riflesso che ci ha catturati vivi.
<Ora, se non ti spiace, ho altre cose da fare. Passa una buona serata e saluta il caro Caleb da parte mia, sarò felice di rincontrarlo, appena lo vorrà>
Da dietro il suo volto si avvicina sempre di più, le sue labbra mi sfiorano l'orecchio.
<A molto presto, cameriera> esala sulla mia pelle l'attimo prima di voltarsi e andarsene, lasciandomi sola e immobile in piedi nell'altrio.
Sola, rilascio con fretta il respiro senza rendermi conto di averlo trattenuto e mi sfioro la gola, il collo contro cui le sue parole si sono volute schiantare, restandomi addosso, e sento la stretta delle sue corde già vincolarmi impedendomi i gesti. Percepisco addosso il ruvido attrito che queste mi procurano, mentre inghiotto la saliva e fisso lo specchio, dove invisibili non si fanno presenti alla vista, continuando però a stringermi nella loro morsa.
D'un tratto capisco che il suo modo di uccidere non è affatto guidato dalla comodità, che le vittime devono aver lottato per sfuggire vive da quella trappola di corde, e che probabilmente tutto risiedeva li, in quell'attimo che le vedeva contorcersi, mentre lottavano per la propria vita, perdendo l'onore, il rispetto di se, facendosi solo guidare dalla brama di riuscita e da una via di scampo, rivelata poi essere a fondo chiuso, senza alternativa.
Siamo farfalle per lui, chiuse in un vaso di vetro che lottano con le loro ali per sfuggire e guadagnare parte d'aria, destinate però a cadere dal nostro volo, precipitare verso il fondo di quel barattolo, private di sogni, di speranze ... eppure questo non mi porta ad arrendermi, continuerò a lottare, finché avrò le ali, finché sentirò contro il viso soffiare vivo il respiro della libertà. Lotterò e romperò quel vetro, fino a che le mie ali non si saranno ricoperte di sangue, finché le braccia non saranno lividi e tagli procurati dalla lotta contro invisibili pareti di confine, lotterò, perché nessuno ha il potere di decidere per una vita, nessun uomo è Dio e nessuno può pensare di esserlo.
Siamo persone e non giocattoli, liberi dalle corde, liberi dai fili con i quali ci tengono stretti e hanno avvolto l'intera città, unendo gli spigoli delle case, rasentando il suolo come trappole, siamo liberi, e non ci possono togliere questo libero arbitrio, indipendentemente dalla forza che possiedono e dall'ingegno con il quale meccanizzano ogni piccola mossa, studiandola nel dettaglio.
Se veramente Richard Lee nasconde un segreto allora sarà mio compito scoprirlo, a qualsiasi rischio, in modo da recidere una volta e per sempre i fili che legano questa dormiente città, rompendo l'incantesimo che da anni ci tiene avvinti.
P.O.V.
Caleb
All'interno della cucina non ci sono altro che assordanti rumori, e gente in divisa che corre da una parte all'altra, nel puro caos. Il capochef scelto da Nino detta legge accanto all'angolo delle ordinazioni dove sto aspettando il mio turno per poter accompagnare le portate ai tavoli, ma un'ombra mi coglie di sfuggita. Passo con gli occhi alla ricerca di quella scia e trovo la figura di un uomo che indisturbato sta uscendo dalla porta sul retro di servizio. Non l'ho mai visto prima d'ora.
<Paul stacco un attimo, ci pensi tu?>, domando e lui al mio fianco annuisce senza problemi, vista l'apparente calma della serata. Apparente, per l'appunto, dal momento che sto seguendo uno sconosciuto da distanza.
Sono alle sue spalle mentre questi cammina spedito, volendo a tutti i costi uscire dal ristornate alla svelta. Sposta la testa appena di lato però, scoprendosi parte del viso e ricordandomi l'attimo in cui lo avevo notato, nel corso della serata: un tipo strano, sulla quarantina, a cui più volte Debora aveva chiesto se volesse accomodarsi a uno dei tavolo, ma questi aveva sempre negato.
Forse attendeva l'ingresso del signor Lee, ma stasera il nostro caro mafioso aveva fatto ritardo.
Lo sconosciuto riesce a uscire dalla porta sul retro, ma io non lo perdo di vista e l'attimo dopo sono a pochi passi da lui.
<Ehi, aspetta un attimo ... > dico, solo per poter studiare la sua reazione, e come i peggiori criminali questo velocizza il passo una volta in strada, facendomi sorridere.
Inizia a correre ed io non sono da meno, finisco alle sue spalle e l'attimo dopo riesco a inchiodarlo al muro di mattoni rossi all'esterno del locale. Emette un rantolo a causa della botta, china il capo ma io lo costringo a fissarmi negli occhi, ed è la pallida luce bianca del lampione a schiarirgli il viso, rivelandone i tratti nel pieno della notte.
<Caleb ... sei ... Davvero tu?> domanda spiazzandomi, e la stretta delle mie mani si allenta intorno al suo bavero.
<Come conosci il mio nome?>
Ride. <Stai scherzando vero?>
Non dice altro. Appare sconfitto e drammaturgicamente divertito, tanto da infastidirmi.
<Sei venuto qui per Richard Lee?>
<Lee? Ma ti senti quando parli?>
<Rispondi alla domanda>
<Diavolo si, sono venuto per lui>
<Perché?>
<Abbiamo un conto in sospeso>
<Chi sei, come ti chiami?>
<Il mio nome è Damien, molto piacere di conoscerti> dice ridendo, con gli occhi appena lucidi.
<Non ti ho mai visto qui ma tu sembri conoscermi ... perché?>
<Davvero non ti ricordi di me? E' vero, è passato molto tempo ma ... > notando il mio silenzio studia affondo il mio viso, come a cercare la sua verità, ma ve ne è una sola e coincide con le mie parole. Trovandola si fa stupito, tutto a un tratto. <Dio, tuo padre ti ha incasinato il cervello per bene, a quanto pare>
<Mio padre? Cosa c'entra mio padre, perché lo conosci?>
<Conoscevo anche Francis, se vuoi saperlo ...>
Assottiglio gli occhi confuso, permettendomi di ricambiare il favore e studiarlo con attenzione. La barba sul viso appare trascurata, i capelli confusi sono intrigati a ricci ma gli occhi che tiene sono verdi, e per alcuni attimi non riesco a pensare.
<Caleb ... va tutto bene qui?>
Volto appena la testa, e trovo Ian, in piedi a pochi passi da me, sul ciglio della strada. Torno al mio uomo attirando anche l'attenzione di Ian, e Damien sembra infastidito dal terzo incomodo.
<Chi sei?> domanda Ian.
<Mi chiamo Damien>, cantilena l'altro, giocando con la mia pazienza. Lo sbatto più forte contro al muro tenendo salda la presa sui suoi abiti tanto da far accorrere anche le sue mani sui vestiti.
<Questo lo abbiamo capito ma chi sei?>
<Potete considerarmi come un semplice cittadino del South Side con qualche questione in sospeso con le grandi autorità, specie con Richard .. Lee, come tanto vi piace chiamarlo>
<Che cosa intendi dire?>
<Un tempo non era quello il suo nome>
<Da quanto lo conosci?>
Sorride. <Direi ormai da anni, ma ne ha fatta di strada>
<Cosa puoi dirci su di lui?> chiede Ian. Damien sembra più incline a voler rispondere a lui, piuttosto che a me, forse perché ho usato le maniere forti, o forse perché semplicemente mi conosce.
<Credo di aver capito cosa volete fare, ragazzi. Se intendete farvi giustizia da soli, come intendo fare io ... > sibilia l'ultima parte guardandomi con rancore, quasi aspettandosi che allenti la presa ma non lo faccio. Scuote la testa e prosegue nella spiegazione <... allora dovete essere più furbi di lui e colpirlo da vicino>
<Spiegati meglio>
<E' venuto da te al cantiere, mi sbaglio?>, domanda a un tratto in direzione del biondo. Lancio uno sguardo al mio amico che, con le braccia incrociate al petto, non conferma ne smentisce. <Ti ha offerto un lavoro nelle sue grazie. Accettalo, vagli vicino, scopri i suoi segreti. E poi fallo cadere dal suo trono, è il solo modo>
<Non lavoro per i mafiosi>
<Se non vuoi sporcati le mani allora non andargli nemmeno contro>
<Perché piuttosto non ti fai avanti tu invece di mandare noi al macello?>, avanzo, giusto per spirito di osservazione e desiderio nel volergli far uscire la verità. Stavolta me la concede.
<Come ho già detto, lo conosco da anni, non funzionerebbe, sa che non sono dalla sua parte. E poi ... ho già incendiato il cantiere, mi sembra di aver creato già abbastanza scompiglio no?>
<Quindi sei stato tu ...>
<Non avercela con me, piccolo lavoratore, non era niente di personale. Almeno, non nei tuoi confronti>
<Ian dovrebbe lavorare nelle sue grazie. E cosa dici di me?>
<Beh, a te hanno offerto un lavoro in polizia, mi sbaglio?>
Quest'uomo ... sta davvero iniziando a infastidirmi.
<Caleb lascialo!>
Nemmeno riesco a sentirlo, provo solo ostinato scetticismo nei confronti di Damien ormai svuotato del sorriso, ma attento osservatore delle mie azioni.
<Ci vuole veramente poco ... per cadere negli errori dei genitori, Caleb. Fa che non accada lo stesso a te, non farti mai vincere dalla rabbia, segui la verità. Segui la strada che tuo fratello ti ha lasciato da percorrere, poco prima di morire>
<Mi hai stancato, come puoi sapere tutto di me? Da quanto tempo ci spii, dove sei stato fino ad ora, che cosa vuoi da noi?>
<Sono un bel po' di domande. Quando avrai capito la verità saprò come tornare a farmi vivo, ma per il momento la sola cosa che voglio è che rispediate quel diavolo dritto nell'inferno da cui proviene. E se dovete percorrere strada lastricate, della giustizia ... dell'infamia ...> con gli occhi passa da me a Ian, per poi tornare al mio viso. <... allora affrontatele, perché non si vince senza trucchi un gioco del genere. Abbiate il coraggio di farvi avanti e ridate la libertà a questa cittadina. Credo che ormai siate gli unici ancora in grado di crederci. Vi chiedo solo di aspettare ancora un poco, pazzientate una settimana e poi fatevi avanti. Se tu, Ian, ti presenterai già alla sua porta sembrerà sospetto, lascia credere che hai cercato alternative prima di dover necessariamente finire da loro, fatti vedere che cerchi lavoro e poi rifiuta ogni offerta, almeno per ora. Le entrate della mafia saranno sufficienti e sostenere te e tuo padre. Mentre tu Caleb ... Fai mente locale su ciò che veramente vuoi, se sul serio te la senti di affrontare i pericoli che tuo fratello ha dovuto schivare, prima di essere costretto a morire. E' un gioco pericoloso per entrambi, lo capisco, ma io ci sarò sempre, vi osserverò da lontano, non sarete mai soli. Confidate in me, così come io sto confidando in voi>
<Nemmeno ti conosciamo>
<Avrete modo per farlo, se accetterete le mie condizioni. In tutti questi anni ho cercato di non coinvolgervi, ma non ci sono alternative, spero che mi perdonerete ...>
<Penseremo alla tua offerta>, ammetto prima di avvicinarmi al suo viso. <Ma alla fine di questa storia voglio la verità. Voglio sapere chi sei, e perché ce l'hai tanto con lui>
Sorride. <Spero che tu possa scoprirla da solo, andando avanti>, mi dice, ed è a quel punto che rallento la stretta sui suoi capi, vinto dalla sicurezza che Damien pare dimostrare, schiacciante di fronte alla mia poca audacia.
Con i suoi occhi vispi spiante entrambi, in questo piccolo vicolo laterale sul retro del ristornate, con la luna e i lampioni che illuminano a piccole macchie il tracciato delle strada, per poi domandare, con voce bassa:
<Siamo d'accordo allora?>
Osservo Ian già fermo su di me, e vedo che lentamente annuisce. <Va bene Damien, siamo d'accordo. Ci fideremo di te. Tra una settimana saprai cosa abbiamo scelto di fare>
Ormai libero dalla mia presa, Damien annuisce e lentamente arretra nel vicolo, fissandoci un'ultima volta prima di darci le spalle.
<Spero che la fortuna vi assista, ragazzi. Che ci assista tutti>, sentiamo dire, prima che la sua figura non si tramuti in altro che in una macchina scura nell'oscurità della sera, ed io suo passi si facciano tanto distanti da non essere più udibili, rendendoci soli.
Volto il corpo in direzione di Ian che immobile ancora fissa il punto verso il quale la sagoma di Damien si era diretta fino a sparire, e tento di capire da dove possa provenire quella pazza certezza che gli leggo a lettere cubitali in viso.
E' una stronzata. Un rischio. Lo sappiamo entrambi. Ma ormai sembra già di esserci fin troppo dentro. La figura di Richard Lee è avvolta dal mistero, porta alla mia mente nuovi e continui dubbi nei confronti di un uomo che ancora non sono riuscito a vedere in viso, aggirandosi nei miei pensieri come una sagoma di fumo senza tratti distintivi o ricordi di una voce, completamente estranea.
<Che cosa facciamo con Megan, cosa le diciamo?>, chiede il compagno di una vita, al mio fianco. Vorrei urlare dalla disperazione, e gridare tutti i miei problemi, per trovare un po' di pace.
Megan. La ragazza con cui sto insieme. La mia ragazza. La sua migliore amica. La donna che ama. Che amiamo entrambi. Non dovrà venire a conoscenza di niente, di ciò che è stato detto qui. Si preoccuperebbe e lo eviterebbe a entrambi. Non possiamo permetterlo. Voglio andare fino in fondo e scoprire ciò che non mi è mai stato detto. Scoprire la verità sul signor Lee, vendicarmi di William, portare di nuovo la pace in una cittadina che presto verrà sconvolta nelle sue abitudini e quotidiane azioni, per poterle impedire di essere l'inanimata marionetta nelle mani di altri.
Vorrei veramente trovare un briciolo di normalità.
Così che tutto questo casino possa aggiustarsi da solo. Lasciandoci alle nostre vite, permettendoci di viverle. Ma non ci è concesso. Ci è proibito decidere e stabilire ciò che verrà, saremo solo padroni di noi stessi per un'altra settimana.
Rivolgo l'attenzione a Ian che sembra già conoscere la risposta alla sua indiretta domanda, e anche quella è in grado di farmi patire nuove pene. Sto di nuovo per mentire a Megan, dopo che sono cadute tutte le maschere, dopo che ci siamo scoperti insieme e donati l'uno all'altra.
Ho troppa confusione nella testa ho bisogno di pensare. Per un'altra settimana almeno. Per una settimana io e Ian decideremo cosa fare delle nostre vite. Se provare a condurle, oppure lasciarle nelle mani di un altro, di Damien in particolare, e vedere cosa potrà avvenire. Nessuno dei due lo vorrebbe, ma la posta in gioco è tanto alta da farci esitare dal rispondere.
Sospiro e appoggio la nuca contro il muro, afferrando dal pacchetto una sigaretta che porto alle labbra, studiando il cielo. Ian mi affianca, e come poche altre volte nella vita rimaniamo in silenzio spalla contro spalla a fissare il cielo completamente macchiato da un blu notturno, lasciando fuori tutto il resto, estraniandoci dalle nostre vite, almeno per un po'.
P.O.V.
William
La luce di un tenue fuoco illumina parzialmente le stanze della casa, conducendomi come molliche di pane fino a lui. Non credevo che gente del genere potesse permettersi un camino, finti ricchi, ma poco mi importa della sua sincerità se è la sua carica che mi interessa.
Raggiungo il soggiorno con un sorriso ben fissato in viso, e il povero sindaco impaurito, affiancato da moglie e figlio, poco più che diciottenne, mi fissa sconvolto probabilmente avendomi riconosciuto, e ordina alla famiglia di andarsene.
Meno siamo meglio è, non mi importa usare i suo familiari per avanzare minacce, mi basta che mi dia ciò che voglio adesso, senza troppe storie.
<Signor Lee ... ho saputo che era passato in città stanotte, ma non mi aspettavo una sua visita a quest'ora tarda>
<Detesto chi mi chiama con il cognome di mio padre, chiamami William>
<Si, William>
<Immagino sappia già cosa voglio>
Nella sua vestaglia da notte e nei suoi chili di troppo, seduto sulla rossa poltrona del soggiorno l'uomo annuisce con il suo doppio mento e la sua calvizia, ed io sorrido con più sincerità, capendo la sua poca voglia di rendersi partecipe e protagonista di unitili problemi.
<I fogli sono nei cassetti della mia scrivania. Permettimi solo di .... >
<Non ti scomodare, mi servo da solo. Tu continua pure a goderti il tuo fuoco>, gli intimo, avvicinandomi verso la scrivania in mogano scuro e in particolare agli sportelli che offre. Faccio veleggiare la mano, studiando l'espressione del povero cristo che non mi ha perso con gli occhi, e che annuisce solamente una volta raggiunta la meta.
Mi faccio felice partecipe della sua buona partecipazione, e tiro fuori le carte.
Sfoglio veloce gli schedari, scarto le unitili cartelle, fino ad arrivare ad una con il marchio della mia famiglia sul fronte, e le rosse lettere "RL".
Apro veloce la cartella trovando la foto di mio padre in primo piano, e poi inizio a leggere il contenuto.
Lentamente giro verso l'alto le pagine, cedendo il passo all'incredulità quando, oltre alla sua foto, gliene vengono affiancate altre, che hanno dell'incredibile. Nemmeno riesco a contenere l'assurdo stupore che mi pervade. Rilascio un debole suono dalle labbra dettato solo dalla sorpresa, fissando anche l'uomo sulla poltrona che sembrava essere a conoscenza di tutto.
Finito il dossier lo chiudo, matriosca di segreti, e lo infilo nella tasca interna che mi riserva questa giacca, dove sono ricamate le iniziali di mio padre.
"Lee", come no.
<Ti ringrazio, mi sei stato molto d'aiuto>, dico rivolto in direzione del sindaco grassoccio e impaurito, prima di uscire con un vasto sorriso sulle labbra e i segreti tutti custoditi all'interno della giacca.
Spazio autrice
Ma buongiorno a tutti! Come state? Tutto bene? Siete sconvolti dalla svolta dei fatti? Io da parte mia si, anche troppo. Avrei voluto tardare questo momento il più possibile, lasciare ancora un po' di tempo a Caleb e Megan per viversi la loro idilliaca storia d'amore insieme ... ma i personaggi sono vivi e mi hanno parlato, non mi hanno permesso di tardare oltre e così sono stata costretta a buttare giù qualche carta in tavola. Ma sappiate che le preservo tutte con molto amore, difficilmente ve ne farò intravedere altre, molto presto.
Quindi a voi le opinioni, se mi vorreste mai rendere partecipe sappiate che sarete parte della mia felicità ♥️
Qui sotto, ormai come da tradizione, lascio piccole foto per farvi ancora sognare con gli occhi, dopo tutte queste parole 💋
William
Francis
Damien
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