23- Il protettore del South Side
P.O.V. Ian
Non ho mai conosciuto direttamente la dolcezza. Da che ne ho memoria nei pomeriggi dell'infanzia passati in casa quella donna, dalle trasparenti vesti ed il perfetto sorriso, mai era venuta a farmi visita per lasciarmi una carezza, cullarmi in un abbraccio, stringermi al suo seno ... mai era presente, motivo per il quale, successivamente nel tempo il mio desiderio di ricerca è andato diramando, cedendomi ad un involucro completamente privo di carattere, tanto meno di passione.
Non ero niente, niente, prima di sentire e vedere una bambina della mia stessa classe alzarsi in piedi e cantare, prima che una donna, piangente lacrime amare, vestita in abiti dismessi e con un borsone ai piedi mi tendesse un piccolo fagotto caldo, dal respiro quasi inesistente, in modo tale che lo stringessi tra le braccia. Non ero nessuno prima che piccoli riccioli rossi, più grandi dello stesso viso che li ospitava, facessero capolino tra la marea di stoffe che li proteggevano. Non ero nessuno prima di scoprire il cuore fragile di una donna. Tanto fragile da dover essere trattato delicatamente con mani calme, tanto burrascoso da definirsi un uragano ... non ero un uomo, prima che il mondo me lo rivelasse.
Per molto tempo quel qualcosa mi era mancato, e adesso che lo posseggo posso definirmi intero, posso diventare la persona che voglio essere. Essere l'uomo che sono, che Wendy e Megan mi hanno permesso di diventare, perché se c'è qualcosa di vero a questo mondo è che non si è soli e che dalla nostra non abbiamo sempre la ragione, o l'incontestabile verità che la nostra caparbietà ci spinge a portare avanti: si nasce per venire a confronto con altri, con nuove menti, con nuovi cuori, si vive per questo, per non morire uguali a come si è nati, e per questo motivo posso dire che al mio posto sarà un altro uomo a morire, mentre io sarò immortale in altre menti. Posso dire che di quel bambino chiuso in un guscio altro non mi rimarrà che il ricordo, come di un evento passato del quale non si distinguono i contorni ma solo piccole parti, perché di lui non mi è rimasto altro che qualche traccia, a scorrermi nelle vene al solo fine di incendiarmi il cuore, mentre cerca di regnare una persona nuova, degna di fiducia. Degna di quell'amore che per molto tempo gli è stato negato.
Undici anni prima
<Ian ti prego! Non posso fare altrimenti devo andare! Ascoltami bene: lascia questa bambina alle suore, lasciala a padre Giulio oppure vicina a un orfanotrofio, non sono in grado di occuparmi di lei, sarei un'egoista ad ammettere il contrario!>
<Sei egoista andandotene>
<Non ho i soldi, Ian!>
Taccio abbassando il capo perché i suoi occhi, pieni di quelle patetiche lacrime per me sono impossibili da fissare.
<Se te ne vai questa bambina non conoscerà mai sua madre>, ammetto a bassa voce, fissando quei riccioli uscire fuori dall'intreccio creato dalle bende. <Non saprà mai cosa vuol dire essere amati dalla persona che ti ha messo al mondo, e senza saperlo si sentirà per sempre vuota, è questo che vuoi?> Non mi risponde. Adesso la rabbia mi ha preso tra le braccia. <E' questo che vuoi?!> Urlo contro il viso della donna, con il rischio di svegliare la bambina che però si rigira tra le mie braccia, passandosi una mano sul viso.
La pioggia cade come grandine dall'alto soffitto del cielo, bagna completamente i vestiti della donna che ho di fronte, mutandone il colore, scivolando sul suo viso affusolato e muto con il quale fissa me e la bambina. Capisco in un'istante che la mia rabbia non è mossa solo in difesa di un'altra creatura ... ma principalmente nella mia. Non ho una madre, e lei, mia cugina, è la persona che più ci è andata vicina, nonostante tutti i suoi problemi legati alla droga, agli uomini violenti che si è scelta e al carattere tanto fragile. La detesto tanto quanto la amo. Vorrei che fosse più agguerrita, che sfuggisse da sotto quella pioggia di dolori e problemi che lascia che la bagni e mi corresse incontro sotto questo porticato, dove proteggo la sua creatura, parte del suo sangue, alla quale sta voltando le spalle.
<Non avrei voluto, è stata un errore, non doveva nascere ...> tenta di difendersi, ma non ci riesce per niente, non con me.
<E questa ti pare una scusa accettabile? Ora lei c'è, è qui, tua figlia, è tra le mie braccia, e tu vuoi dirle addio?>
Sorride mestamente, ma non muove un passo. <E' incredibile quanto su sia cresciuto ... sei solo un bambino eppure sei già in grado di dire queste parole. Sai distinguere il bene, dal male ...>
Non aggiungo altro in attesa che si faccia avanti, ma quello che vedo, poco dopo, è il suo corpo magro che si china per afferrare il borsone, caricandoselo in spalla, ed è il suo egoismo a incendiarmi lo sguardo, mentre lei mesta e con occhi bassi tenta di ricordare per l'ultima volta i nostri due visi.
<Non avrei mai voluto farti carico di un peso così grande, ma sei il solo che mi è rimasto. Siamo una famiglia, io e te, giusto? Sei mio fratello ... >
La sua mano si tende nella mia direzione ed io non ho le forze per sfuggire ad un'ultima carezza. La bambina tra le mie braccia scoppia a piangere nell'immobilita con cui quest'estranea donna pare dirci addio, prima di sorriderci.
<Non ha ancora un nome, non volevo ... non volevo renderla reale>, le sento sussurrare prima che un singhiozzo la scuota, e con forza si obblighi a voltarsi e correre via, in direzione del treno, lasciandoci soli, sotto questo loggiato.
La bambina ancora piange, mentre io con la bocca appena aperta non riesco a credere a quest'ultimo saluto, fatto senza cuore, senza il coraggio che avrei voluto, almeno alla fine, dimostrasse.
Abbasso gli occhi in direzione di quel pianto, e altro non so fare che lasciarle un bacio sulla guancia per fermarlo. A quel contatto lei tace, mi guarda con occhi nuovi al mondo, scuri e ancora privi di una colorazione data dagli anni, a studiare la persona che, per l'inevitabile futuro, gli farà da padre e da madre, pur di non lasciarla sola. Questo ho deciso, la terrò con me, anche se non so ancora come fare. Avrò bisogno dell'aiuto delle suore, e di padre Giulio ma non resterà con loro, solo nei momenti in cui io non ci sarò, giusto per non farla mai soffrire d'abbandono.
Il mondo dei grandi è tanto malvagio da non poter essere capito, ma non c'è alcun bisogno che lei lo scopra, potrà sempre vivere di me, e di quello che le offrirò, da oggi in poi.
<Andiamo mia Wendy, fuggiamo via... da questo mondo di grandi>, un acceso consenso mi da il permesso a procedere, così la stringo a me per riparala dalla pioggia. Quelle lacrime mi colpiscono, mi bagnano i vestiti da capo a piedi, mio padre mi sgriderà ma non è un problema: Wendy non viene sfiorata da una sola goccia, e per tutto il tempo, da sotto il giacchetto dal quale la proteggo, sembra fissarmi incantata e vinta da una strana magia, mentre io le sorrido, promettendo di proteggerla, per tutti gli anni futuri, per tutto quel tempo che la vita mi offrirà, crescendo al suo fianco.
Adesso
<Ian? Ian ... va tutto bene?> Una dolce voce mi recupera dall'oblio, ma lo sfondo è ancora nero e quelle mani che mi sfiorano lontane. <Ian ...>
Freddo è quello che sento, le sue sottili mani sono fredde a contatto con la mia pelle, mi fanno aprire gli occhi, tornare nella mia stanza dove Megan mi attende, ancora stesa al mio fianco, con un'espressione preoccupata in viso. Non ne capisco la ragione, sono solo un po' di lacrime.
Le asciugo con un gesto veloce e le rivolgo un sorriso.
<Certo, Megan va tutto bene, è solo stata una giornata pesante>
<Lo sai che non devi mentirmi. E' più che giusto avere paura, lo capirei> Lo so che lo farebbe, ma io non sono in grado di rivelarlo, se non a me stesso: ho paura, è vero, ho lasciato il lavoro per un ennesimo capriccio, pensando che i soldi messi da parte possano bastare, forse lo fanno, è possibile che bastino a sostenere me e mio padre ma questo non cambia il fatto che il mio carattere sia rimasto lo stesso di sempre, troppo volubile alle sollecitazioni e incline al cambiamento radicale.
<Te ne sei voluto andare per via di Half non è vero?>
<Per lui, e perché ho conosciuto l'uomo che ha richiesto i lavori ...> mi decido a rivelare, e Megan ascolta paziente il continuo dei miei discorsi. <Meg era un mafioso, uno dei tanti che si divertono a tirare le fila delle nostre vite pur di controllarci. Ha voluto costruire un edificio del genere in questa zona perché vuole sfruttare la nostra povertà e probabilmente anche la nostra ignoranza, e tu sai che significa. Una volta finito quella specie di edificio-catalizzatore di soldi gli permetterà di avere sotto controllo tutti i rapporti che ha questo posto con la città, diventerà il paparino della zona, l'uomo a cui chiedere favori, e i più di noi andranno a fare la fila alla sua porta. Non voglio essere partecipe della sua fama, ne tantomeno voglio che si arricchisca a nostro discapito. Se solo potessi brucerei io di nuovo quel cantiere, così da non vederne mai la fine>
Lo sguardo di Megan si accede al termine del mio discorso, ed io presto attenzione a quel lieve cambiamento.
<A cosa pensi?>
<Ho sempre creduto che ad incendiare il cantiere fossero stati William e i suoi uomini, gli stessi che sono passati in officina da Caleb e Joseph con le auto ammaccate ma se invece fosse stato qualcuno di noi? Qualcuno che non conosciamo ma che sapeva cosa veramente significasse costruire un palazzo del genere, qui?>
<Una persona che ce l'ha con Richard Lee?>
<Persone come lui hanno tanti nemici. Se riuscissimo a capire chi è stato e trovassimo il modo di farlo parlare di fronte a tutti gli altri, alla città, faremo capire la stessa verità a cui siamo giunti noi, creando così il giusto scompiglio in grado di impedire i lavori. Richard Lee vuole controllare questo posto, ma noi non abbiamo avuto nessun padrone oltre la legge. Anche se non è tanto forte deve difenderci da questa minaccia, nessun'uomo dovrebbe avere il controllo su un'intera popolazione, finirebbe come hai detto tu, a favori e assurdi inchini. La nostra gente è troppo sciocca per impedirsi di subire>
<O genuflettersi davanti al più forte, per non farsi calpestare>
<Purtroppo è così>
<Meg ... se hai ragione, allora veramente c'è qualcuno la fuori in grado di proteggerci, ma come riuscire a trovarlo?>
<Nino poco prima di uscire mi ha detto che vuole dare una festa, a nome dei vostri lavoratori, per il termine dei lavori. Forse posso convincerlo ad anticiparla, e se non sarà possibile rendere partecipe anche il signor Lee basterà spargere la voce che lui sarà presente, e che farà un discorso, al termine della serata. Forse in questo modo potremmo trovare il nostro uomo>
<E dopo gli parleremo, per scoprire la verità>
<Si>
<Può essere stato un buco nell'acqua. Ci sono altre persone, anche gente importante, disposte ad andare contro a Lee>
<Ma nessuna di loro verrebbe qui, nel South Side, per cercare giustizia. Per farsi legge da soli bisogna che si sparga la voce delle nostre azioni, giusto? E come potrebbe mai espandersi, una notizia, nata e avvenuta qui? Nessuno ne saprebbe nulla tranne noi, e lui>
<Va bene Meg, faremo come vuoi tu, ma nessun altro deve saperlo, lo diremo solo a Caleb>
Abbassa lo sguardo solo adesso, allontanandosi dal mio.
<Qualche problema, Meg?>
<No, nessuno ..>
<Ne sei certa?>
<Si, diremmo a Caleb quello a cui abbiamo pensato oggi, e sentiremo cosa ne pensa. Hai detto che è alta la tensione al momento nel cantiere giusto? Potrebbe essere l'attimo giusto per dare una festa>
<Forse è troppo presto ...>
<Non è mai presto, qui da noi. Le voci non hanno bisogno di correre, sfuggono per le strade non appena una sola persona esce per riferirle. Vedrai, presto lo sapranno tutti. Dovremmo solo augurarci di non aver sbagliato di troppo, e che quest'azione ci si riveli utile. E forse con un po' di fortuna sapremo la verità>
Oppure verremo ricordati per sempre come le persone che sono andate contro Richard Lee, il benefattore della zona. Ma non c'è vittoria senza rischio, o tantomeno fortuna senza un pizzico di follia. Io e Megan non ci siamo mai sottratti di fronte a una sfida, e Caleb ... lui è il re delle sfide vinte. Quindi tanto vale provare.
Se sbaglieremo lo avremmo fatto a fin di bene e almeno ... saremo insieme.
P.O.V.
William
La punta del serramanico gira veloce incastrata nella rotazione tra il mio dito e il legno del tavolo. L'uomo chino di fronte a me geme dal dolore, ma questo non fa vacillare i miei uomini nel proseguire ad eseguire il mio ordine, solo la mia voce può, e al momento non ha proprio voglia di essere smossa a pietà.
<Ve ne prego, non ho i soldi ad oggi per l'affitto! Se solo me lo permettete giuro che ve li farò avere il mese prossimo!>
Parole, parole, parole. Non mi piacciono le promesse sono così labili. Su cosa poi promette? Può farlo, sulla sua famiglia?
Alzo gli occhi per incastrare quella piccoletta della figlia, ancora in camicia da notte, rannicchiata dietro la madre con uno sguardo pieno di paura, mentre il sottile tessuto della veste fa intravedere i seni, oltre al resto del corpo.
<Hai detto la stessa cosa lo scorso mese bastardo, e per questo siamo qui!>
Effettivamente il mio uomo ha ragione, non me ne ricordavo. Siamo venuti a reclamare il pizzo, niente di più. Ma questo deve essere proprio una canaglia.
Noi gli abbiamo dato tutto, un'attività, un tetto sulla testa, persino la giusta stabilità economica per permettergli di eiaculare dentro la sua scheletrica donna e far uscire quella tremante femmina che mi sfugge con gli occhi. La gente è proprio ingrata, quando si tratta di rendere i favori, vogliono, vogliono, senza poi dare niente in cambio, per questo io dalla mia non sono molto incline a perdonare. Oppure lasciar andare.
Fermo il gioco della lama incastrandola nel tavolo, e alzandomi in piedi afferro la pistola nascosta dietro i miei pantaloni, tra la pelle e la cinta dei jeans, dove mi piace che stia per garantirne la presa.
La donna grida e la figlioletta si allontana, nascondendosi sempre di più dietro il corpo ossuto della madre mentre io mi chino verso il mal capitato, puntandogli la canna sotto la gola. Spalanca gli occhi, e sbianca d'un colpo. Cerca di arretrare ma uno dei miei uomini glielo vieta.
<No, no! La prego, si fermi subito!>
Nessuno mi ha mai dato ordini. Fa quasi ridere sentirli uscire dalla bocca di questo povero scemo.
<Non davanti alla mia famiglia, la prego!>
Famiglia. Che termine strano.
<Sei suo padre?> domando, e il grassoccio a me di fronte cede ancora più all'incredulità di fronte alla mia domanda.
<Si, sono il padre della ragazza ...>
Prendo atto fissando prima l'uomo e poi l'altra.
<Non vi assomigliate affatto ... e immagino che tu gli voglia bene, si?> Annuisce, e io con lui. <Si? Beh ... mio padre non me ne vuole affatto, nonostante sia suo figlio. Vedi ... credo che mi consideri come un estraneo, una persona fuori dalla sua ... famiglia. E sai perché ti dico questo? Perché lui non c'è mai stato ... Tu ... sei stato presente, vero, nella vita di tua figlia?>
<Si ... sempre>
<Come si chiama la ragazza?>
<Lorelan>
<Lorelan ... e deve sentirsi amata, lo sei, Lorelan?> Da dietro la madre l'interrogata risponde con un lieve cenno affermativo del capo. <Bene, è importante sentirsi amati, dico sul serio. Credo che pure mio padre ami, ma ancora non so cosa. Forse il suo lavoro. Cazzo ama da pazzi il suo lavoro, per questo lo svolgo così bene, per essere amato> ammetto sotto gli occhi impauriti dell'uomo che ancora tiene premuta sotto la mandibola la canna della mia pistola. <Poi ama i suoi soldi, e per questo permetto che li guadagni, e sai come lo faccio? Chiedendoli a persone come te, in cambio dei favori che gli sono stati concessi. Cosa insegni a tua figlia, che è giusto prendere senza mai offrire qualcosa in cambio? Non mi sembra corretto>
<I soldi sono stati un problema questo mese, le entrate ... si sono notevolmente abbassate>
<Non tanto da impedirti di comprare quella veste firmata a tua figlia, non è vero?>
<Vi giuro che avrete tutto quanto, con gli interessi, il mese prossimo> soffia via, spinto dal mio colpo ancora fermo nel ferro, che mette fretta alle sue parole.
<Vuoi sapere cosa mi ha insegnato, veramente mio padre? A diffidare delle persone. A lui è sempre riuscito bene. Mi diceva: "non credere mai alle persone o almeno non rivelarti mai debole di fronte a loro, perché la maggior parte di quelli sfrutteranno la tua stessa debolezza per farti fuori, e una volta che sei morto sei morto fine dei giochi, ed io non avrò altro da insegnarti, tienilo a mente", e l'ho fatto, ho ancora le sue parole ben impresse in testa, come vedi. Quindi ...> Mi alzo il piede e stavolta punto direttamente l'arma in direzione della sua fronte. La moglie grida uno stridente "no" dall'altra parte della stanza, ma non mi preoccupo troppo di quella femminile interruzione, punto ad altro al momento ovvero: dare una lezione. <... mi riprendo quello che è mio>
L'attesa è afffilata tanto quanto il coltello rimasto impiantato nella tavola, in attesa di comprendere ciò che veramente mi spetta, perché tutto in questa stanza mi appartiene, specie le loro vite.
Ma c'è una cosa in particolare a cui aspiro, e non è nemmeno troppo difficile da capire.
Sorrido e mi rivolgo alla piccola Lorelan che impaurita e cosciente di colpo sembra scappare via.
<Prendetela e tenete fermi gli altri due> ordino, nello stesso istante in cui il padre grida il suo nome.
<Lorelan scappa!>
Non fa in tempo il piccolo angelo, l'afferro tirandola per la coda ben alta in testa, schiantandola contro il mio corpo mentre padre e madre stanno a guardare.
Chiudo gli occhi assaporando il suo profumo, proveniente da qualche petalo di fiore, o erborino impiastro, costringendola poi a cedere alle mie mani. Piegarsi al mio volere.
La sbatto contro la parete di schiena, in modo da guardarla in viso e nutrirmi della sua paura, studiando a fondo quegli occhi enormi e celeste chiaro che mi fissano impazziti, ma è ancora presto per provare terrore. Ancora ... non l'ho sfiorata.
<Ciao, Lorelan, immagino che tu sia vergine>
<Lasciami andare> sibila, e quella richiesta mi accende lo sguardo.
Certo, mi ero dimenticato.
Nessuno ha mai avuto il coraggio di darmi ordini.
Nessuno, tranne a volte Dafne.
Ed ora questa ragazza, che ha ancora meno speranze della cugina che mi scopo, e nemmeno metà del suo carattere, eppure è la scadente e giusta copia in grado di farmi proseguire il lavoro che mi accingevo a fare.
Far uscire i vermi dal suo animo è ciò che mi aspetto. Lasciarla tremante a terra e insanguinata, dopo che l'ho violentata è ciò che bramo vedere, e che presto diverrà realtà.
<Il tuo coraggio è la tua condanna, dolce Lorelan. Non dirmi che non ti ho avvertita> Afferro dall'orlo la sua camicia da notte con un sorriso, stringendola poi nel palmo di una mano mentre l'altro è impegnato a tenere ben saldi, sopra la sua testa, i suoi polsi capricciosi e fin troppo ribelli. Nuda mi guarda con rabbia, ma non fa cadere il mio sorriso. <Mi apparteneva. L'hai comprata con i miei soldi, in fondo. Come è stato dormire già con me tutte le notti?>
Prevedo la sua mossa, e anticipando lo sputo diretto al mio volto poso il palmo della mano sulla sua bocca e sollevo le sopracciglia, in una tacita raccomandazione. Non è bello farmi arrabbiare, e la signorina si trova giusto sul filo del rasoio. Tanto vale ristabilire le parti.
Spalanco le sue gambe e apro la cerniera dei miei abiti. Quella peste scalcia ma non serve a niente, l'entro dentro in un colpo con le grida dei suoi genitori in sottofondo, e ghigno stendendola vergine sul serio. Chiudo gli occhi a quell'innocenza strappata, ricordandomi la stessa sera in cui ho fatto mia Dafne, e con il volto di quella dea in testa torno a spingere senza tregua nella formosa ragazza incastrata tra me ed il muro, arrivando con gli occhi ancora chiusi in un crescendo di sensazioni impossibili da frenare.
Il desiderio di intrappolare quell'angelo dai capelli chiari e la pelle perfetta nella mia gabbia, il pensiero di essere veramente riuscito a farlo e aver reso Dafne mia, i suoi occhi mentre scopiamo, le sue unghie che sembrano uccidermi mentre si conficcano nella mia pelle portandomi inevitabilmente all'eccitazione, i fiori che mi lascia a giro per la casa, le sue labbra, il suo giovane corpo ... Spingo con più forza in questo, cercando la pace, e me la procura l'urlo straziante della mia vittima, ferita oltre che nell'orgoglio anche nella carne, ed è in quel momento che mi lascio andare, venendo dentro di lei, lasciandole il mio segno, oltre che il mio ricordo, per sempre impresso sulla pelle.
Apro le palpebre trovandomi quest'altra davanti, e il volto di Dafne scompare. Esco da quel corpo e mi allontano, e facendolo lascio ogni tipo di presa su di lei. La vedo cadere come un'inanimata a terra, senza esitazioni. Sorrido scoprendo le sue lacrime, il sangue che le cola lungo le gambe e l'espressione che non ha più niente di battagliero.
Dopo torno alla restante coppia. Abbottono il sotto del mio completo e recupero la pistola, che in un attimo dirigo verso la nuca dell'uomo, sparando il colpo. La moglie grida, correndo a tapparsi le orecchie, e l'attimo dopo guarda senza respiro il volto dell'amato navigare nella pozza del sangue.
Non esistono buoni padri. Nessuno al mondo è tanto in grado di amare.
<Il prossimo mese verremo a riscuotere la somma, più i dovuti interessi. Il mio uomo le tornerà a far visita, e le dirà la cifra esatta pattuita>, mi rivolgo alla scheletro di donna, anche se non sono certo che veramente mi ascolti. La cosa un po' mi infastidisce quindi mi procuro a chinarmi e a dirigerle lo sguardo verso il mio viso.
<Si trovi un lavoro, e veda di guadagnare quanto richiesto, altrimenti la prossima volta sarà peggio> le confesso, ed i suoi occhi increduli sembrano quasi indagare l'assurdità, ma non dovrebbero essere tanto sorpresi.
Non c'è fine al peggio.
E al momento, io sono il peggiore sulla zona.
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Nella bottiglia in vetro soffiato il whisky è freddo, e nemmeno troppo invecchiato.
<Monty!>
Al mio richiamo l'uomo compare in un angolo del soggiorno, in attesa.
<Dov'è mio padre?>
<E' appena uscito signore>
<E mia madre?>
<Al piano di sopra, nella sua stanza, vinta da uno dei suoi mal di testa>
<Capisco. Vi siete preso cura di Dafne oggi?>, domando, dal momento che solitamente è lui a garantire la sua protezione, secondo mio ordine.
<Si signore, non si è mossa dalla casa>
<Dove si trova adesso?>
<In giardino>
<Non farci raggiungere da nessuno, dobbiamo stare un po' da soli>
<Come vuole signore>
Poso il bicchiere in vetro sul vassoio in argento lavorato e mi dirigo verso la serra invernale definita da tutti noi "giardino". Altro non potevano permettersi le persone come Dafne, destinate a vivere all'interno di queste quattro pareti, al sicuro e sotto la protezione data dalla famiglia e dalle guardie, nonostante all'esterno possediamo ettari e ettari di verde curato e allestito di fontane, ma questo Dafne non può saperlo. Portarla fuori è troppo rischioso sapendo che ci sono persone che ci odiano, nostri nemici, a sorvegliare la casa. Non permetterei mai a nessuno di loro di sfiorarla con un dito. Quell'angelo deve essere mio, di nessun altro.
La sua voce mi richiama a se, debole canto di una sirena che attira questo stanco marinaio, intona una canzone. Sembra più una poesia in rima, mi strega, e mi porta fino a lei. I vetri della serra ci divino di alcuni metri, destinandomi al buio della stanza mentre a lei regalano il riflesso che la luna manda dal soffitto in vetro destinato allo spazio verde delle piante, e che le accarezza il profilo curandole le ciocche di capelli mentre tiene gli occhi socchiusi e le mani immerse nel terriccio, facendo cresce una pianta.
Studio quelle dita, bianche come il latte e affondate nel nero della terra, guardo come si sporcano. Penso che allo stesso modo, ogni notte, cercano me, fin nel profondo, toccano il mio animo, frugano in cerca di qualcosa ... forse dello stesso seme che sta piantando, quella gemma incontaminata che lei pensa io possegga al di sotto di tutto, dei miei panni da ricco principe e maligno giustiziere, che ha fatto della morte la sua politica e dell'ingiustizia la sua legge, ma posso veramente farglielo credere? Forse, un tempo, quel seme c'era, ma adesso è affondato sotto così tanto fango che per una vita gli è stato proibito di vedere il sole. Credo sia morto, ed io non lo voglio, eppure mi sento male ogni volta che lei parte alla sua ricerca, sperando.
Non hai più niente da trovare, dolce Dafne, quello che è rimasto è solo l'uomo che odi e che ti vuole, con tutto se stesso, mentre cerca i tuoi vermi. Puoi sperare, credere che questo non sia vero, è una cosa che ormai so mi è impossibile da vietare, ma non c'è rimasto altro qui sotto e riesco a dimostrartelo, con le parole, i gesti, anche se tu non vuoi credermi.
Ormai sono alle sue spalle, ma lei ancora non mi sente per questo la mia mano leggera si alza, e da dietro corre a stringere leggero uno dei suoi seni.
Si arresa, interrompendo quel dolce canto, e la cura che le mani davano a la nascita di un fiore, immerso nel terriccio.
La mano corre, sotto i vestiti, sotto gli scudi, le sfiora la liscia pelle bagnata di luna, fremendo al contatto del suo colpo caldo e dopo anni ancora ... innocente.
Con la testa mi chino verso i suoi capelli, mi perdo tra quei riccioli biondi e chiudo gli occhi, assaporando il sapore di vita che mi offre, dopo tutta la morte che mi sono travato costretto a infliggere, mi fa stare bene, troppo per cui decido di macchiarla con qualche verità. E peccato in grado di sconvolgerla.
<Stanotte ho scopato con una ragazza, una vergine, pensando a te. Avevo da dare una punizione, e alla fine l'ha avuta>, confesso al suo orecchio, e sorrido nel vederla rabbrividire.
<Come sta adesso ... la ragazza?>
<Purtroppo, con un genitore in meno>
<L'hai lasciata lì da sola, dopo aver usufruito di lei?>
<Lo sai persino tu Dafne, non sono un tipo da compagnia, o da coccole dopo un rapporto>
Trema e questo mi amplia ancora di più il sorriso, facendo concedere alla mia mano una dolce carezza sopra uno dei suoi capezzoli.
<Perché hai pensato a me?>
<Aveva la tua stessa espressione ... così battagliera, e testarda, e non ho resistito a strappargliela via>
Per l'incredibile con Dafne non mi trovo mai a mentire, gioco sempre perché so che è la verità la sola in grado a poterla ferire, come sto riuscendo a fare adeso, e godo di un piacere particolare nello sconvolgerla. Lo steso che prova anche lei, quando riesce a sorprendermi con la sua forza.
<Non avresti dovuto prenderla contro la sua volontà>
<Che mi dici di te, invece? Perché ti lasci prendere?>, le domando, sentendo come il capezzolo nella mia mano si sia irrigidito dopo le mie palesi cure. Dafne chiude gli occhi, come a cercare il giusto controllo.
<Perché ormai sono persa>, mi dice, con voce incredibilmente bassa e per questo la lascio proseguire, <perché ormai mi hai marchiata e fatta tua, ed io non riesco a pensare di essere di nessun altro. Avevo l'innocenza un tempo, ma tu me l'hai strappata via!>
<Ed è stato meraviglioso farlo, anche se pure ora ti macchia lo sguardo. Dovrai concederti ancora, Dafne, a finché riesca del tutto a portartela via>
<Non voglio>
<Non hai scelta, come hai detto già mi appartieni>
<Vorrei non farlo>
<Eppure è così>
<Da morta non mi avrai>
<Non permetterò mai che tu ti uccida, credevo di essere stato abbastanza chiaro. Sei sotto il mio controllo giorno e notte, dolce Dafne, ma sappiamo entrambi che questa è solo la tua mente a parlare, gli schemi che per tutta la vita ti hanno detto essere giusti modelli da seguire, e imparare>, ammetto voltandola a me, e afferrandola per la vita, in modo tale da farla sedere, e poi sdraiare su questo tavolo, dolce bambola sottoposta ai miei comandi. <Ma entrambi sappiamo che il tuo cuore mi appartiene, è mio, ed io posso farne ciò che voglio, mentre tu non avrai modo di impedirlo perché non lo comandi. Vorresti non desiderarmi ma lo fai, così come faccio io, perché c'è qualcosa di malato in ognuno di noi, persino nel più innocente, ammettilo Dafne>
<No>
<Ammetti che mi ami>, faccio scorre la mano lungo il suo vestito, fino ad arrivare tra le sue cosce nude, e l'esitazione con cui mi arrivano le sue parole mi fa alzare gli occhi verso i suoi, in attesa di una risposta.
<No>, mi dice testarda, per cui sono costretto a farmi più audace, avventurando la mano nelle sue calde membra. Dafne chiude gli occhi, lasciando scorrere la testa all'indietro, sotto i raggi della luna.
<Ammetti ... che mi desideri> , soffio fuori, stregato dal suo corpo tanto quanto lei sembra essere succube del mio.
<No...>
<Non avrei mai pensato che tu fossi in grado di mentire> ammetto in un sorriso, facendo scorrere due dita dentro lei. Le guance le si arrossano e non emette più un solo fiato, per cui sorrido continuano la mia tortura, trovando finalmente un po' di pace in questa giornata. <Mi vuoi, Dafne, e anche tanto, quasi quanto io bramo il tuo corpo. Non puoi più mentire, ed io ... non ti posso più negare niente se sei tu a volerlo> confesso, e con più forza affondo le dita nel suo corpo vendo ricambiato da un suo dolce grido che infiamma le mie orecchie e il mio cuore, velocizzando le mani in direzione della mia cintura, permettendomi l'attimo dopo di riempirla.
Siamo uniti sopra questo freddo tavolo in acciaio, sotto gli occhi della luna. Dafne ha gli occhi spalancati diretti verso di lei, mentre i miei sono direzionati solo verso il suo fiso, l'attimo prima che inizi a spingere, verificando le sue risposte e i gesti che compie in seguito alle mie mosse e mi uccide vederla ubriaca di piacere, desiderosa di me, del mio corpo. Anche lei c'è una parte malata, senza dubbio, una masochistica parte che mi desidera dopo tutto quello che le ho fatto, ed è lei che scopo, lei che torturo a parole e a gesti affinché sia sempre di più mia, tanto da non poterle più appartenere o prendere completamente il potere sopra tutte le restanti parole.
Chiudo gli occhi però quando il piacere della sua vista divine troppo, e mi cibo dei dolci lamenti che le escono strepitanti dalle labbra.
Nessuno ci raggiunge, e nessuno la vede mentre le faccio raggiungere l'estasi, facendo rimanere quell'angelo come mia sola proprietà perché altro non è se non burattino sotto i miei comandi, e dolce veleno che ho deciso di bere per uccidermi, ma ad ogni modo mio, solo e unico capriccio, distante dal mondo di obblighi e di doveri, di morte e distruzione del quale sono erede, ma solo di piaceri e di sfida, perché, nonostante l'amplesso, questi occhi sono tornati a fissarmi con odio facendo nascere il mio sorriso, ed ogni cosa torna, nella sua infinita ruota, a girare, secondo le regole che ho inventato e impartito per questo gioco infinito, dal quale uno solo di noi uscirà vincente.
Il destino ancora non mi consente di scoprire chi.
Ma ad ogni modo sarà una sorpresa, per tutti e due.
P.O.V.
Megan
Da alcuni minuti Caleb mi fissa con le braccia incrociate, poggiato con la schiena all'alta parete di mattoni rossi fuori dalla cucina, nella sola area di servizio che ci è rimasta fuori dalle orecchie di Nino e degli altri.
<E' una pazzia, non può funzionare>, se ne esce dopo una vita, ed io spalanco gli occhi sorpresa.
<Come? Perché?>
<Non hai nessuna prova di quello che dici, credi che sia stato uno dei nostri a fare una cosa simile, ma per quale ragione? Come hai detto tu questi cittadini sono degli ignoranti, non riescono a distinguere quello che veramente può far loro del bene e quello che porterà solo del male, pensano semplicemente al loro profitto, per cui un benefattore, in città, non può essere che ben accolto. Anzi, ti dirò di più, faranno la fila per mostrarsi i primi degni, nei suoi riguardi, così da entrare nelle sue grazie e accorciando la strada per ottenere i suoi favori!>
<Caleb, ti prego! Dobbiamo almeno provarci>
<E perché? Cosa credi di poter fare che altri non hanno già fatto? Un pazzo ha incendiato un cantiere. Per prima cosa si tratta di un'azione illegale, nemmeno dovresti difenderlo, non è un paladino del bene come ti piace proclamare né una persona degna della nostra fiducia per quel che mi riguarda. E seconda cosa, stiamo parlando di un mafioso, Megan, sappiamo tutti che è così. Richard Lee è un mafioso, le voci corrono fino a qui dal centro della città. Ha fatto cose anche più grandi di altri, è un pezzo grosso, e tu vorresti spazzare via dalla piazza della città uno così, ma sei impazzita?>
<Credi che non ne saremmo in grado? Per cosa lotti Caleb, perché ti volevi iscrivere in polizia?>
Esita. Nel parlare ha sciolto l'intreccio delle braccia ed ora, molli, sono abbandonate lungo i suoi fianchi arresi mentre i suoi occhi mi evitano.
<Sai perché>
<No, non ci credo, non credo alla buffonata del voler battere il fratello morto, tu non sei questo. Se ci hai pensato veramente è perché credi in qualche ideale di giustizia, anche se quella da un pezzo ci ha voltato le spalle, credi che si possa fare qualcosa di giusto a questo mondo e lo credi perché sei fatto così: anche se sei il primo di noi a dire di voler ritirarsi sei sempre l'ultimo a farlo. Tu non molli mai Caleb, specie per qualcosa in cui credi. Hai avuto me. Dimostrami che ho torto. Dimmi ... che non ci ho capito niente della persona che sei, in tutti questi anni, e che in realtà sei più codardo di così, che ti ho idealizzato troppo e che non parti per le imprese impossibili. Dio, tu sei il re delle cose impossibili!>
Non vorrebbe farmelo notare, ma gli sfugge un sorriso all'angolo delle labbra.
<Ti prego ... ti prego dimmi che ci aiuterai. Se veramente è Richard Lee ad avere la proprietà su quel palazzo allora vuol dire che William è suo figlio, e che non incendierebbe mai un'eredità che gli spetta. E' stato sicuramente qualcun altro, ed il nemico del mio nemico, è mio amico giusto?>
<Si direbbe di si>
<E allora aiutami a convincere Nino e a spargere la voce nel ristornate. Quella persona si farà presente, e ci dirà la verità>
<Se si tratta di un buco nell'acqua, voglio che tu ammetti che avevo ragione>
<Non costa nulla provare e questa volta non sarai tu ad aver ragione, mister "mi tengo lontano dai guai, ma mi ci butto a capofitto!">
<Sei una rompiscatole lo sai?>
<Eppure mi hai voluta>
<Si ti ho voluta, e adesso ti ho. Non ti volto le spalle, sto dalla tua parte, perché ormai siamo una squadra, ti è chiaro?>
Sorrido e annuisco. <Si ... chiaro>
<Quindi posso averlo un bacio?>
<Solo se prima convinci Nino a spostare la serata>
<Per quello avevo intenzione di chiederti altro, sai?>
<Pretendi troppo, accontentati di un bacio>
<Ne riparliamo stanotte, signorina Hill>
Stanotte non riuscirò a resistere, già lo so.
Caleb riesce a convincere Nino a spostare alla sera dopo la cena in onore dei lavoratori, e in cambio riceve il suo meritato bacio. Corro a riferirlo a Ian e insieme pensiamo a come fare ad incastrare il nostro obbiettivo, sperando solo di non esserci sbagliati e di non trovarci di fronte William, insieme alla sua banda, ma lo scopriremo solo domani.
Per adesso quello che ci resta da fare è riposare e sperare che la persona che ha incendiato il cantiere sia davvero l'angelo custode dei nostri sogni, capace di proteggerci, altrimenti presto tutti noi saremo pedine di un gioco più grande, e il South Side la grande matassa a cui giocano ad intrecciare i fili i potenti, fino a creare dei nodi, che stretti alla gola tolgono il fiato, e insieme a quello fanno perdere l'anima in un'irreversibile peccato di cui presto tutti noi saremo complici.
Spazio autrice
Ma buonasera a tuttiii, come state? Abbastanza sconvolti dopo questo capitolo? Che ne pensate? Chi vi piace? E soprattutto .. cosa può accadere?
Sotto vi lascio delle piccole foto come piccolo saluto
♥️♥️ non vi infervorate troppo mi raccomando
Un bacio
William
Richard Lee
Ian
Caleb
Megan
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