13- La sua bugia

Stasera ci sarà la festa d'addio a Kevin. Per l'occasione mi trovo in casa di Nicole, più precisamente nel soggiorno. Una postazione insolita visto che devo solo tagliarmi i capelli, ma lei non arriva ed è un po' una tipa stramba, capace di aggiustarmi la piega pure per strada, se solo avesse disponibile un paio di forbici. Ad attenderla non sono sola, ho Celine al mio fianco che si intrattiene scarabocchiando sul suo blocco di appunti quelli che credo essere per tutti i versi motivi floreali parecchio intricati, quasi da perderci la vista, ma forse i soli in grado di intrappolare anche i suoi pensieri.

<Celine ... come stai?> Non la vedo da qualche giorno e mi dispiace farlo proprio per quest'occasione.

La bionda alza le spalle lasciandomelo intendere.

<Però ... quanto ritardo da parte di Nic> commenta, proseguendo nella sfumatura dei disegni.

<Lascia perdere, ieri ha anche rivisto Paul>

<Ma dai ... che assurdità>

<Concordo>

Dalla mia distanza il disegno appare molto bello, e la curiosità vince su tutto.

<Posso?> allungo la mano chiedendole il blocco, e lei senza esitazione mi porge il suo bene più prezioso. I fogli sono molto spessi, adatti al carboncino. Dovrei soffermarmi sulla pagina dei disegni floreali, ma con un sorriso divertito la guardo, tornando poi in un colpo all'inizio.

Come primo disegno trovo il ritratto di Kevin: è perfetto, eseguito appunto con del carboncino, di cui tanto è innamorata, ed ecco che ritrovo la sua capacità di intrappolare persino l'anima. E' di una bellezza unica questo ritratto che racchiude il loro amore, ma come i miei anche i suoi occhi vi si sono soffermati, e non voglio riaccendere troppo pensieri. Proseguo notando come adori disegnare solo sulle pagine di destra: forse per non sporcare i disegni li uni con gli altri, tra la pagina vuota e quella disegnata tiene sempre sottili fogli sul cui inevitabilmente residui di carboncino e lapis vanno a depositarsi, o forse perché più semplicemente adora lavorare sulla parte del quaderno più alta, una cosa che facevo spesso anche io mentre prendevo appunti, la sinistra era una scomodità.

Al seguito di Kevin trovo Andrew, e poi Joseph, quest'ultimo ovviamente ritratto con dietro le sbarre del cancello del Brunett, il solo luogo dove si vede ultimamente. E dopo molti, moltissimi tipi di tatuaggi ... tra di loro trovo pure il mio, disegnatomi da lei stessa qualche mese fa, e incisomi sulla pelle da Nicolas, nel loro studio.

Alzo appena gli occhi e la vedo sorridere per quello stupido gesto che lei e Nicole mi avevano spinta a compiere, e che mezza ubriaca non ho esitato a eseguire. E' molto bello persino disegnato.

<Uno dei miei lavori più belli> si elogia.

<Non è affatto vero, sei fantastica soprattutto nei ritratti> e torno ad averne la riprova, perché rivedo i volti dei nostri amici, e tra loro vi è anche il mio: mi ha disegnato accanto a mamma, nella nostra cucina. Non è la prima volta, ne ho un sacco con lei, e adoro come riesce a rappresentarla. Celine è semplicemente fantastica.

Trovo Ian insieme a Nicolas, Ian mentre fronteggia Nicole a carte e mi viene da ridere ... e poi ecco un quadro di tutti noi insieme, e quella scena la ricordo. Sfoglio la pagina dopo ... e ci trovo. Siamo io e Caleb, lui è alle mie spalle, schizzato di un pesante nero che gli scurisce i vestiti, mentre io sono seduta sulla sedia del Brunett, con il braccio piegato e la mano vuota perché lui mi ha rubato la sigaretta. Osservo il modo con cui rimaniamo a fissarci, ricordando le emozioni provate sul momento, nel ricordo di mio padre, ed il cuore perde un battito.

Ancora una volta .... È riuscita a intrappolarci.

Le mani proseguono da sole, inciampano in altri ritratti di sconosciuti per strada, finché non arrivano all'ultima pagina sporcata: sembra quasi non essere stato portato a termine, ma quelle linee che sono state fatte riescono comunque a restituirmi l'immagine di Caleb. Nel disegno ha una sigaretta accesa, immobile tra le mani, e lo sguardo perso in un punto troppo distante da questo foglio e percepisco ... qualcosa vedendolo così. Celine ha rappresentato qualcosa che mi sfugge ma che comunque è in grado di farmi soffrire.

<Quando l'hai fatto?>

<Ieri sera ... Al Brunett. Ian non c'era e lui stava così. Non ha parlato per tutto il tempo>

Torno a fissarlo e scorgo quello che mi sembra essere dolore, e non riesco più a trattenermi. <Celine abbiamo litigato>

Lei mi guarda, e non sembra sorpresa. <Si ... lo so, lo avevo capito>

<Non è come le altre volte>

<Ho capito anche questo>

Sfioro la carta e le nostre anime, tornando al nostro ritratto. <Posso tenerlo?> Annuisce, e quando torna nelle sue mani se ne occupa lei di strappare il foglio e porgermelo. Con cura lo metto in borsa proprio nel momento in cui Nicole si affaccia dal portone di casa.

<Eccomi, signorine, tutta vostra per farvi belle! Da chi parto per prima? Celine facciamo che inizi tu?>

<No, prendi Meg, io devo ancora scegliere come vestirmi>

<Agli ordini>

Forbici in mano, e per fortuna il suo sollecito nel voler raggiungere il bagno: così riesco anche a verificare dallo specchio quello che sta facendo.

Celine ci segue, curiosa del risultato.

<Nicole ho acconsentito a farmeli tagliare corti, ma se solo ti azzardi a toccare il colore fai una brutta fine>

<Sentito come minaccia? Affidati alla parrucchiera, Megan, non ne resterai delusa. Non tutti tagliano i capelli come te> se la ridono, ed io quasi per niente divertita mi siedo sullo sgabello che mi ha offerto ma Nicole con uno sguardo sicuro, in una mossa, mi fa compiere una rotazione di 180 gradi, portando lo specchio alla parete dietro la mia schiena.

Ecco ... sono finita.


Venti minuti dopo Celine mi guarda con meraviglia mentre Nicole, inutile dirlo, ma sembra proprio soddisfatta.

<Meg ... stai una favola>

Non mi sento più i capelli sulle spalle, da come me li ha asciugati li percepisco poco sotto l'orecchio, e ho paura del risultato. Grazie al cielo sono già vestita per la serata, nel caso ci fosse bisogno sarei pronta a un ritocco d'emergenza.

<Sembri preoccupata, mia piccola mal fidata amica, quindi forza, ora hai il permesso di girarti!> Lo fa Nicole per me, compiendo di nuovo quel semicerchio con i piedi che porta anche il mio sgabello a ruotare di conseguenza, ed eccomi riflessa.

Resto senza fiato ... quella che vedo ... non sembro nemmeno io. I capelli sono corti come immaginavo, ma non più del mio liscio anzi, hanno un principio di mosso dato dalla piega e sinceramente lo adoro, donano più carattere al mio viso, come quelle piccole ciocce che si affacciano lateralmente.

<Nicole ... è un taglio fantastico>

<Soddisfatta?>

<Molto>

<Bene ... e adesso passiamo a quest'altra>

Celine la fa accomodare tranquillamente già di fronte allo specchio, sapendo bene che la bionda non interverrà affatto nel suo lavoro, e a riprova la vedo iniziare a limarsi le unghie.

Ancora non credo alla mia trasformazione, si dice nuovo taglio, si intende nuova vita. Addosso porto il vestito nero di stasera, l'unico che ancora non ho mai messo, ed è di un taglio particolare avendo le maniche un po' più ampie del resto e trasparenti, chiudendosi a meta dell'avambraccio in maniera stretta, lasciando il resto, dalla cintola in giù avvitato. Mi mancano i tacchi e poi sono pronta. Ma ancora è troppo presto.

Recupero una sigaretta e mi butto sul letto di Nicole in attesa di Celine, tornando a fissare senza essere vista il ritratto che mi è stato regalato.

Chissà se torneremo più a guardarci così.




La musica dentro il locale è molto alta, nonostante l'ora niente affatto tarda: sono appena le undici, e domani per le nove Kevin sarà già andato via.

<Meg io vado di là, devo sistemare le ultime cose con Joseph> mi urla Nicole per sovrastare il frastuono.
Annuisco e rimango con Celine che fa volteggiare lo sguardo per tutta la stanza.

<Sei riuscita a vederlo?>

<Non ancora>

Chissà dove si sarà cacciato.

Eguaglio la mia amica e cerco Kevin con gli occhi ... ma al contrario suo riesco a trovarlo, e non è da solo: quello che fa è darci le spalle, e tenere la mano sinistra posata sopra la spalla dell'altro, di Caleb, parlandogli così in un orecchio.

Osservo la sua espressione, e non passa molto prima che i suoi occhi si ancorino ai miei.

Kevin ancora non ci vede, mentre io resto ghiacciata sotto quello sguardo e mi maledico, maledettamente tanto ... perché ne sento la mancanza.

<Celine, Kevin è in fondo, vicino all'uscita. Io vado a prendermi da bere>

Non attendo la sua risposta e mi avvicino al bancone.

Il barman mi serve e non appena il bicchiere in vetro raggiunge le mie labbra, bagnandole di poco con la vodka, una voce proveniente dalle mie spalle cambia il corso della serata.

<Mi scusi ... ci conosciamo? Non credo sia di queste parti, prima d'ora non l'avevo mai vista qui in giro>

Sorrido abbassando il calice, prima di voltarmi molto lentamente verso Ian, tramutando improvvisamente l'espressione in una più seria.

Questi corre con gli occhi alle mie mani, che ancora tengono la bevuta, e un secondo dopo assume un'espressione teatrale, fintamente addolorata.

<Ah! Accidenti, ho beccato un'alcolista. Mi spiace ma non credo tu sia il mio tipo. Sei carina, lo ammetto, ma l'alcol costa e la nostra famiglia finirebbe presto sul lastrico>

<A quanto pare sei vivo, quindi>

<Ti sta molto bene questo nuovo taglio>

<Sei sparito>

<Avresti potuto cercarmi>

<Sono stati giorni difficili>

<Si lo immagino>

Non capisco se è ironico, visto che non fa trasparire niente, allontanandomi dai suoi pensieri. Gli ho già perdonato questi due giorni di totale assenza.

<Ti va un ballo?>

<Non sono molto in vena>

<Che succede, Kevin si è fermato a offrire consiglio pure a te?>

Aggrotto la fronte. <È questo che sta facendo?>

Torno a fissare il festeggiato mentre passa tra le persone sorridendo in maniera cordiale.

<A quanto pare ... e io non mi sono salvato>

<Che ti ha detto?>

<Niente che voglia ascoltare>

La sua mano si stende fino a me, invitandomi a danzare. Poso il bicchiere sul tavolo accettando.

Tornare a ballare insieme è un'emozione difficile da reprimere. Quello che fa Ian è accostare il mio corpo al suo, come ai vecchi tempi, e sorridermi rassicurante di tutti gli sbagli che mi troverò a compiere, seppure l'ultima volta sono riuscita a stare al suo passo.

Fortuna che il pezzo non è un lento, e la nostra impostazione non richiede la perfetta postura di un valzer, perché questo ci consente solamente di rimanere vicini, abbastanza da parlarci.

<Come sta andando a lavoro?>

<Teniamo fuori il cantiere, per il momento, che dici?>

Lo guardò sorpresa, trovandomi le sopracciglia tanto vicine allo scalpo da sembrarne attaccate.

<Beh scusa tanto se mi preoccupo, di cosa dovremmo parlare?>

<Eri preoccupata?>

<Lo sai>

<Allora perché non sei venuta da me?>

<Ian è successo qualcosa?>

<No.... ma vorrei capire>

<Ho avuto dei casini>, per modo di dire, <sul lavoro e avevo bisogno di tempo per stare un po' da sola>, mento per metà. In fondo era successo proprio al ristorante.

<Hai risolto, adesso?>

<No, non ancora>

<A questo si deve il nuovo taglio?>

<Nicole ci è andata giù pesante>

Mi sfiora la punta dei ricci e non sembra affatto convinto di ciò che ho detto.

<Secondo me non ha sbagliato, avevi bisogno di cambiare. Molto meglio così>

<Credevo che agli uomini piacessero solamente i capelli lunghi>

<Non fare di tutta l'erba un fascio ... e poi stai bene con tutto, è difficile giudicare>

<Adulatore>

Mi sorride, e poi a tempo con la musica assurdamente elettronica, inaspettatamente, non so come ci riesca, preme sulla mia schiena, e mi porta a fare un casqué al termine della musica. Il risultato è assolutamente perfetto per quanto strano, e mi fa ridere sempre di più, finché non torno faccia a faccia con lui e gli sento depositare un tenero bacio sulla mia guancia, esitando però più del solito.

<È sempre un piacere ballare con lei, Jasmine>

<Vale lo stesso per me>

Seppure nessuno dei nostri balli riesca a concludersi senza un bacio.

Non che questo mi dispiaccia ma mi destabilizza.

Sposta i suoi occhi mozzafiato altrove, e la sua mano è una carezza quando lascia la mia con un piccolo tocco, ritraendosi.

Sto ancora sorridendo quando sollevando gli occhi incontro quelli di Caleb, immobili come il suo sguardo. È lontano quasi tre metri, ed intorno a se ha un gruppo di ragazzi, li stessi del suo ex lavoro, che parlano ma lui sembra non starli a sentire, troppo incentrato a focalizzarsi su di me, giudicandomi.

Vorrei tanto sapere dove fa scomparire il suo dolore in questi momenti.
Se Celine non fosse riuscito a catturarlo, se non sapessi che ne è in grado, se non conoscessi lui, anche solo un po', direi che non è affatto in grado di provarlo, ma la verità è che lui vive di maschere e la mia voglia un tempo era stata quella di farle crollare tutte, perché adoravo quello che c'era dietro.

Non mi è difficile capire che lo stesso vorrei fare adesso, raggiungendolo per cercare la verità.
Solo che stavolta, in questo clima di odio, non ho proprio voglia di farlo.

Torno al mio bicchiere abbandonato su uno dei tavoli, allontanandomi dal barman che, per la serata che si sta dimostrando di essere, può essere una pericolosa tentazione da cui tenermi lontana.

Nicole è alle prese con Joseph riguardo agli ultimi preparativi, e decido di unirmi a loro, almeno per essere sicura che non si scannino.

<Nicole, te l'ho detto, non potevo invitare anche gli Sanders, in meno di due minuti sarebbe partita una rissa>

<E va bene, allora vedi cosa riesci a fare con quelli lì! Mi sembrano alticci ... Dannazione non siamo neanche all'inizio di questa serata che già partono casini>

<Avete problemi ragazzi?> chiedo ricevendo uno sbuffo da parte di Nic, visto che Joseph è andato subito a eseguire l'ordine.

<Il South Side non riesce proprio a sparire nemmeno cambiando posto, rimane nei nostri caratteri di merda>, commenta fissando il gruppo di malandati indicati poco prima.

<Vedrai che Jo saprà gestirli, non hai di che preoccuparti>

<E poi tutti si chiedono perché Kevin voglia lasciare questo posto. Diavolo come gli si può dare torto ... >

Taccio facendola parlare, colpita da parole che so essere vere, ma su cui non mi voglio soffermare.

<Nicole! Celine è bellissima stasera, più del solito. Mi hanno detto che il merito è tutto tuo> Tra di noi è arrivato Kevin, ed è estremamente di buon umore. Celine deve aver finto bene.

<Dovrai ringraziarmi per un bel po' di cose>, si rivela sicura lei, ma lui non la sta a sentire, arrivando fino a me.

<Accidenti, e tu che hai fatto?>

<Kevin che ne dici di un ballo con me?> mi fingo ammaliante ma in verità nascondo perfidia, ovvio che se ne sia accorto, per questo mi sorride.

<Come rifiutare>

Arrivati sulla pista, nel pieno di un ulteriore pezzo tecno, non gli do neanche il tempo di avvicinarsi prima di iniziare a parlare.

<Che cosa hai detto, a Caleb e a Ian?>

<Ho solo lasciato gli ultimi consigli prima di partire. Se li seguiranno saprai chi ringraziare, e se proprio vuoi saperlo ne ho anche uno per te>

<Preferirei di no, grazie>

<Apri gli occhi, Megan, e vedi di ricordare>

<Cosa dovrei ricordare?>

<La notte in cui ti sei fatta quel tatuaggio. Celine me ne ha parlato. Eri in città nel loro studio e poi hai pregato Nicolas di portarti fino a qui, fino alla festa tenuta in casa di Joseph. Non era niente, avevamo solo voglia di festeggiare il nuovo anno a modo nostro, anche se era già gennaio, ma da quel momento è cambiato tutto>

<Si tratta di due mesi fa, Kevin, e io avevo bevuto. Cosa dovrei ricordare?>

<Questo non lo so, Megan. Ma qualsiasi cosa sia stata spero solo che ti faccia felice, ne hai davvero bisogno dopo tutto quello che hai passato>

Questo mi dice, mentre si ritira da me, abbandonandomi sulla pista con questi corpi in movimento che saltano intorno secondo un ritmo divenuto improvvisamente troppo lontano. Un sordo rimbombo circonda le mie orecchie mentre sono persa nei ricordi.

Avverto nuovamente il dolore provocato dalla puntura del tatuaggio, l'odore della pelle nel lettino dello studio di Nicolas e dopo quello di benzina, quando ci siamo fermati a un distributore a causa della lancetta del serbatoio, scesa drasticamente a zero.

È allora che nel bel mezzo di queste persone, al centro di una stanza estranea circondata da parole e musica, sotto le stroboscopiche luci verdi e rosse appese negli angoli a due metri dal suolo, torna a galla un ricordo che non credevo di avere, uno sconosciuto e pallido ritrovo di qualcosa perso su di un tempo indefinito, irraggiungibile, e bloccandomi sul posto seguo le fila della sua trama, senza riuscire ad esprimerlo con delle parole.

La scena è la stessa, della musica alta riempie le casse ma la differenza sta nell'orario: era estremamente tardi, si avvicinava l'alba ma a me non interessava affatto, soprattutto allora che ero riuscita a trovarlo.

Nel marasma delle persone riesco a scorgere il suo profilo, i capelli scuri tirati indietro, la sua mano mentre stringe un bicchiere in plastica, le sue labbra che si muovono appena, impegnate in un dialogo con un qualcuno che nemmeno noto, lasciando Nicolas sulla porta e avvicinandomi subito a lui.

L'aria si riempie sempre di più del suo profumo, fino a che non gli arrivo dinanzi, attirando la sua attenzione.

<Megan ...>

Compio quell'ultimo passo e finisco tra le sue braccia, stringendomi poi al suo collo appena sfiorato con le labbra, già piegate in un sorriso.

<Ciao ...>

Alle mie spalle sento Nicolas raggiungerci, ed è il solito guastafeste.

<Caleb! Ci sei anche tu, non avevo capito dove andasse tanto spedita>

<Va tutto bene?>

<E' un po' ubriaca>

Solo un po'?

L'uomo al fianco di Caleb batte in ritirata, coinvolto da un altro gruppo, che lo sollecita al fascino della pista.

Vorrei tanto ballare.

<Perché? Eravate a una festa?>

Se si può definire una festa ... ridacchio, credendo di averlo detto davvero, ma dalla faccia di Caleb quando mi allontano capisco che forse non l'ho fatto. Era tutto partito da un calice di vino, tre amiche sopra ad un tappeto, io, Celin e Nicole, intente nei pettegolezzi di una notte tutta loro, quando poi la cosa era degenerata, e questo per fortuna Nicolas non poteva saperlo trovandomi sulla porta del suo studio, ad avanzare richieste.

<Sono al sicuro adesso Nicolas, no? Puoi andartene ora?> chiedo esaurita, perché da quando si è accorto dell'alcol che ho in corpo vuole farmi da seconda madre. Lo ritenevo più macho, più freddo e glaciale, e invece è un pezzo di pane fin troppo preoccupato quando vuole, ma non ne ha motivo perché io non mi pento di niente, anzi ... proprio il contrario.

<Vai Nicolas, bado io a lei>, pronuncia la voce di Caleb, e quella frase ha un suono bellissimo, ancora di più mostrandosi essere in grado di scacciare la mia fata madrina. Dannazione, stavo iniziando ad odiarlo.

Delle dita si posano sotto il mio mento, costringendomi ad alzarlo e a scontrarmi con dei bellissimi occhi verdi, di cui ho sempre amato la forma e il colore.

<Adesso vuoi dirmi che succede?>

Ha una voce tanto dolce, che non sono in grado di resistergli.

<Mi sono fatta fare un tatuaggio da Nicolas>

Caleb sgrana gli occhi e vedo la preoccupazione anche nei suoi, seppure è mista al divertimento.

<Ti prego, dimmi niente per cui arriverai ad ucciderlo, appena ti è passata la sbornia>

Scuoto la testa, mordendomi lentamente il labbro.

Caleb segue quella mossa con gli occhi.

<Che cos'è?>

<Vuoi vederlo?>

Era tutto partito come una sfida. Le ragazze, mezze ubriache, mi avevano detto che a mancarmi era un po' di provocazione, di sana follia, e allora mi ero lasciata trasportare puntando a un tatuaggio, il gesto più ribelle a cui potevo spingermi, e se non per la forma avevo lasciato che fosse il posto a garantirne la seduzione.

Caleb segue i miei pensieri con gli occhi, e nonostante il buio ho come l'impressione di vedere le sue pupille dilatarsi.

<Credo che se rispondo si, la cosa mi si ritorcerà contro>

La voce con cui pronuncia queste parole ... è bassa e roca, e mi spinge in avanti. Mi avvicino a lui il più possibile, fino al suo orecchio, di cui mordo il lobo prima di pronunciare solo:

<Prendi coraggio e scoprilo>

Ha un profumo troppo buono, dà alla testa più di tutto l'alcol che ho bevuto, e mentre il mio respiro pieno di vino rosso gli sfiora il viso, sento il suo di menta sfiorarmi le guance, tanto da farmi rabbrividire. Ma non mi fermo. Siamo nel puto più buio della casa, schiacciati contro una parete di una stanza appena illuminata da delle luci blu sul soffitto, e le mie mani corrono sul suo corpo: partono dal suo viso, e lentamente, di pari passo, sfiorano il suo torace al di sopra della maglia a maniche lunghe che indossa con accennato, appena, quel poco di scollatura che mi permette di intravedergli le clavicole, e la base del collo, mentre le mie mani arrivano sempre più in basso fino ai suoi addominali, che sembrano scolpiti nel marmo.

<Megan non mi provocare>

<Perché?> io mi sto divertendo incredibilmente tanto, e senza l'alcol a darmi coraggio probabilmente non lo avrei mai fatto.

<Perché sei ubriaca>

Questo non mi ferma dal continuare, e da come reagisce al mio tocco, seppure tenta di mascherarlo, Caleb sembra gradire le mie carezze, e questo tipo di magia mi inebria, questo potere che ho mi strega, e decido di volerne testare la potenza, portandolo al limite di un burrone dal quale potremmo cadere entrambi, in un magnifico volo. Pensando a questo, mi faccio tanto vicina al suo viso da riuscire a intrappolargli tra i denti il labbro inferiore, e stringerlo in una morsa dolce, per poi carezzarlo con le mie labbra.

Sento Caleb venire percorso dai brividi, e questo non mi lascia indifferente, cercando di più sempre di più, sfiorandogli il collo, tentazione troppo forte, con le labbra per poi applicare più pressione lasciandogli un morso, marchiandolo come tanto ci piace fare, mentre vicinissimo al mio orecchio lo sento gemere.

Ho davvero tutto questo potere?
Cerco i suoi occhi per una conferma, ma questi sono mascherati di una certezza che non era stato in grado di mostrarmi mentre lo sfioravo, e pronunciano in una sentenza: <basta. Adesso ti porto a casa>

Rido leggermente, costatando che quando lo faccio il mio petto corre a scontrarsi con il suo, e la cosa arresta entrambi.

<E con quale macchina? Non puoi usare quelle dell'officina, e poi mi avevi promesso che mi avresti portata anche al mare>

<Un giorno ti ci porto, per adesso ti carico anche in braccio se necessario>

<Non ti piace come ti sto sfiorando?>

Esita nel rispondere, ma quando lo fa mi guarda negli occhi. <Megan ... è il contrario, credimi. Per questo dobbiamo andarcene>, il mio cuore ha un sussulto, ma è stato traduttore di una frase nemmeno idealizzata.

<Devo portarti via da qui, da questa stanza buia, devo allontanarmi dalle tue mani, e metterti in un letto al sicuro da altro alcol. Domani sarai uno straccio>

<Ci sarai pure tu, in quel letto?>

<Vuoi che dormiamo insieme Meg?>

Una specie ... Inclino la testa perché lui lo capisca, ma se lo fa non è a me che lo dice.

<Allontanati Meg>

Nemmeno lo sto a sentire.

Mi faccio di nuovo troppo vicina. Ed ecco il suo fiato che si spezza in rapporto al mio. Mi avvicino nuovamente a quelle labbra, e stavolta non solo per provocarle.

Manca veramente poco, un passo, ma Caleb si ritira, allontanando per indietro la testa.

Non mi do per vinta e lo seguo, ma lui ripete di nuovo il gesto, serio mentre mi fissa, prima di scoppiare a ridere alla mia resa per niente soddisfacente.

<Si può sapere che hai bevuto?>

<Solo del vino rosso>

<Deve essere stato molto, per ridurti così>

Non gli do torto, mi perdo in pensieri assurdi che solo questo stato mi porterebbe a produrre, come il pensiero che magari non sarebbe male avere un gatto in casa così da far sentire mia madre e me meno sole, ma è assurdo perché morirebbe di fame nel giro di pochi giorni, visto che non ci siamo mai ... oppure diventerebbe tanto forte da imparare a crescere da solo. Un gatto guerriero. Una gatto che è una forza. Un gatto tornado.

<Hai finito di fissare il vuoto?>, mi riporta sulla terra la voce di Caleb, ma è troppo brusco l'atterraggio da impedirmi di rispondere per tempo, cosa che per altro lo fa sospirare pesantemente. <E va bene ragazza, adesso ce ne torniamo a casa>

Dubita sul da farsi per quale secondo, prima di chinarsi e afferrarmi, a mo' di sposa. Di solito quando giochiamo mi carica sempre come un sacco di patate sulle spalle, ma capisco che la posizione possa non essere tanto favorevole allo stato in cui sono ridotta, e mi porterebbe inevitabilmente a vomitare dopo pochi metri, quindi ottima scelta Caleb, pensi sempre a tutto.

Durante il viaggio all'inizio mi viene da ridere: le difficoltà non sono poche, in primis quella di uscire indenni dalla festa senza urtare troppe persone insieme, ma poi il buonumore passa lasciando lo spazio a una calma troppo intenta a gustarsi il suo calore, il profumo che emette la sua pelle, trasportandomi in un onirico sogno ad occhi aperti dal quale non vorrei mai andarmene.

Apre la porta di casa mia senza difficoltà, e si avvicina sempre più al mio letto, accendendo poi l'abatjour sopra il comodino.

Sono di nuovo con i piedi per terra, su di un motoscafo, credo; sotto di me la terra trema, e altro non possono essere che le onde.

Tento di togliermi le scarpe, ma è maledettamente difficile. Al secondo tentativo quasi ci rinuncio, ma poi prende la parola Caleb: <avanti, vieni qui>

Lo vedo sedersi al fianco del letto, per terra, in attesa che gli porga il piede con la scarpa.

So di non essere affatto affascinante oggi, con i soliti jeans ed una maglietta nera, il viso rosso a causa dell'alto contenuto liquido ingerito, ma quando gli porgo il piede, affinché mi aiuti con gli stivaletti, è così che mi sento, e non resisto oltre: vado a sedermi su di lui, per trovarmi di nuovo faccia a faccia con il verde dei suoi occhi.

<Ciao di nuovo>

Caleb mi fissa senza dire niente, colpito da questa vicinanza.

<Giuro che mi impegnerò, a finché tu non beva più un'altra goccia d'alcol in tutta la tua vita>

<Posso farti una domanda?>

<Non hai parlato abbastanza per oggi?>

<Faresti l'amore con me?>

<In questo stato? No>

Lo guardo come si guarda un bambino che ha appena compiuto un guaio. <Caleb>

<Chiedimelo quando sarai sobria, e avrai la tua risposta> sussurra, e quella voce mi fa correre un sacco di brividi lungo tutto il corpo.

<Non usare la voce così ... siamo amici, non dovremmo pensarci>

<È tutta una bugia, Megan. Un'enorme bugia che abbiamo preso a raccontarci ormai da anni. Quello che abbiamo non è solo un'amicizia, altrimenti tu non reagiresti così ... quando ti tocco> la sua mano mi sfiora il fianco arrivando vicino al seno, ed i miei occhi si socchiudono in automatico mentre un respiro spezzato mi esce dalle labbra. <Ed io non mi sentirei tanto a pezzi, al momento, di fronte alle tue labbra. Ma se vuoi credere che sia normale, per due amici, continua a farlo. Basta che tu me lo dica guardandomi negli occhi>

Torno a quel verde smeraldo e vorrei poter dire quello che mi viene chiesto. Vorrei non sentire il mio corpo tirare verso il suo, spinto da un'attrazione troppo forte, vorrei che il vino non mi avesse sciolto la lingua e bruciato tanto il sangue da creare piccoli incendi in ogni parte del corpo. E soprattutto vorrei che lui non mi guardasse così, che la sua mano non mi stringesse sulle costole, tenendole avvinte, che la sua bocca non fosse tanto vicina alla mia da scongiurarle pietà, perché se così non fosse, io sarei stata in grado di mentire, ma così non ci riesco. Non con lui. Non quando sono sopra di lui.

<È tutta una bugia Caleb. È da sempre solo una bugia>


Il fiato mi si spezza ed i suoni tornano a loro posto, facendomi ripiombare al centro di questa stanza sotto le luci multicolore dedicate alle scena, ma io privata del respiro non mi muovo. E quando alzo gli occhi, sono i suoi che trovo, ai margini della stanza, inevitabilmente collegati ai miei, e per la prima volta in tutta la sera riesco a vederli senza maschera.

Per la prima volta vedo noi, senza alcun tipo di maschera.

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