11- Gli intoccabili
Quello che veramente mi piace di lui ... sono i suoi occhi. Non credo di averne mai visti di più belli.
E mi domando perché questa risposta, così immediata adesso che mi è vicino, non sia venuta in mio soccorso, serva della domanda fatta dalla maestra, in un momento di puro imbarazzo davanti a tutti la classe.
Non è da tutti dire le cose per come stanno, io non ci riesco, ci giro freneticamente intorno per questo posso definirmi ... Una persona non sincera.
O meglio una bugiarda.
Un ragazzo della mia classe mi ha dato della bugiarda. Ma come posso mentire di fronte a questi occhi?
Loro non hanno schemi, senza superbia non osano vantarsi di capirmi, ma vedo il modo con cui ci provano ... come ... tentano di entrarmi dentro per potermi raggiungere in un profondo privato, e riuscendoci non si elogiano.
Ancora una volta ho sbagliato.
Ci giro intorno senza dire la verità.
Troverò il coraggio, lontana da questa classe, anche solo per ammetterlo a me stessa: io amo il suo cuore.
Niente mani. Niente bocca. Niente di corporeo, come hanno detto tutti.
Se è ferito io posso curarlo.
Se sta male so come tirarlo su.
Perché inevitabilmente sento, in qualche modo, che siamo collegati.
E non posso ignorare questa connessione.
Per quanto io possa essere bugiarda, egoista e taciturna ... Se è di Caleb che si parla posso provare a non esserlo più, e non per me stessa.
_______
Adesso sta piangendo. Credo non voglia darlo a vedere.
È in piedi di fronte a questa prima panca senza cuore, che lo obbliga a una vicinanza stretta all'oggetto del pianto, mentre il prete vi ruota intorno con dell'incenso, e un canto che strazia l'anima.
"Io credo, risorgerò"
Suo fratello non l'hai mai pensato, non era cristiano eppure questo funerale sembra un ultimo disperato tentativo di tenersi aggrappati a qualcosa, ed io non posso giudicarlo.
Sento come se mi avessero fatto a pezzi, quasi mi avessero accartocciata, foglio di carta, per poi lasciarmi sopra un tavolo, a far schiudere il mio dolore. E rimanere a fissarlo mentre pure lui prova lo stesso ... è come chiedere ad altre mani di ripetere quella stretta e subito dopo farmi soffrire di nuovo l'abbandono.
Sua madre rimanere seduta al suo fianco. Indossa degli occhiali scuri da sole, la bocca stretta in una linea retta ... è arresa dinanzi all'evidenza.
Lui è il solo a lottare. Quasi costringendosi noto come i suoi occhi decidono di seguire il parroco.
Deve dimostrarsi forte, adesso.
E ci riesce ... finché il parroco viene vicino a loro ci riesce. Stringe la sua mano in una stretta, accetta le condoglianze dei cari, prende le parti della madre mentre alla sua sinistra il corpo del fratello chiuso in una bara sembra quasi urlargli di correre via da lì.
Io vorrei tirarlo via.
Vorrei che a morsi riprendesse tra le mani la sua vita.
Vorrei smettesse con questa facciata perché mi fa quasi paura.
Per questo, quando scivola via da quelle persone, io lo seguo. Lascio Nicole insieme a Celine e gli vado incontro.
Non mi ha visto e crede di essere passato inosservato nella ritirata. Cala la maschera, e prima che il suo viso si trasformi in un'onda di dolore gli precipito tra le braccia.
Nemmeno esita, mi riconosce, mi stringe forte.
Io ricambio con ancora più decisione tentando di tenerlo in piedi.
Se è ferito io posso curarlo ... l'ho sempre fatto.
Il suo viso si nasconde contro la mia spalla, le sue labbra umide mi sfiorano il collo e in questo momento sento persino il sopraggiungere delle sue lacrime: gli bagnano le guance, le labbra, gli occhi, lo scuotono fino alle fondamenta e mi stringono nuovamente in un pugno, in una morsa.
Non ho le forze di proteggermi quando tutto il mio corpo è incentrato a proteggere lui, e questo mi lascia inevitabilmente scoperta, esposta ai suoi fili, soggetta alle sue lacrime, scossa dal suo singhiozzare silenzioso, esente alle orecchie degli altri ma inevitabilmente presente alle mie.
Passo le mani nei suoi capelli.
Cerco un qualsiasi appiglio per poterlo tenere sempre più stretto.
Mi manca il fiato.
Tremo in tutto il corpo ma riesco comunque a lasciargli un bacio sulla guancia. Le labbra mi si bagnano delle sue lacrime rimanendo fredde a contatto con la sua pelle gelida.
<Sono qui ... non ti lascio, capito Caleb? Non ti lascio>
Ed è il massimo che posso promettergli, il massimo a cui potrei mai aspirare.
Lo sento rabbrividire, mentre un sottofondo di preghiera circonda la scena.
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<Scherzi, vero?>
Non mi ha nemmeno dato il tempo di scendere. Sono ancora a piedi uniti sopra l'ultimo scalino della logora gradinata di casa, mentre lui è sul piedistallo del giudizio.
<Esco da una settimana di febbre, non vorrei rimanere rilegata nel letto di nuovo solo perché hai avuto la brillante idea di gironzolare per il quartiere con tre gradi fuori, in pieno inverno>
<Tanto che c'eri potevi portare pure una coperta>
Ho un piumino addosso. Ed è molto grande. Mi copre fino alle caviglie ma soprattutto, già lo so, mi ingrossa un sacco a causa dell'imbottitura. Lo usava mia mamma mentre era incinta di me. Solitamente sono la sua metà. La matematica non mente nell'affermare che effettivamente ... mi sta addosso due volte tanto.
<Devo uscire con te, mica con la regina Elisabetta, che ti importa di come mi concio?>
<Ma niente, solo che nemmeno so se riesco ad abbracciarti> gli sento dire in un'ombra di divertimento mente lo raggiungo.
<Guarda, nemmeno lo voglio un tuo abbraccio>
<Sicura?>
Inutile che critichi tanto ... lui veste una tuta blu scura con una striscia bianca a lato, e sopra vi ha aggiunto anche uno dei suoi cappotti, quello marrone scuro, che sinceramente amo.
E sta bene, cavolo potrebbe vestire pure un sacco a differenza mia, che mi sento una bambina piccola, infagottata e trottoleggiante al suo fianco, con una sciarpa rosa ulteriore a pararmi la bocca, così, perché la precauzione non è mai troppa.
Ogni tanto per scherzo si affaccia nello schermo dei miei occhi, si blocca lungo la strada, arrestando il vantaggio che si era preso e mi cerca oltre quegli strati. Dopo un po' smetto di farmi trovare, stanca delle sue prese in giro, ma la mia reticenza solletica il suo buon umore, e non mi concede tregua.
Sto camminando senza nemmeno sapere dove andare, per questo mi fermo una volta arrivati al parco giochi dei bambini, nell'asilo delle Ciari.
Lui non mi dice nulla ma continua il suo gioco, e a quel punto scoppio.
<No, Caleb, ma hai finito?!>
<Nemmeno ti vedo gli occhi>
<Tra poco non mi vedrai più tutta, se continui torno a casa>
<Per così poco?>
<No> decido di non cedere <Sono una persona previdente, e non mi farò prendere in giro tanto facilmente>
Mi fissa mentre lo dico, e io tento di rimanere seria.
Non riesco per molto, lo spintono con una mano e scoppia a ridere.
Parte una vera lotta.
Iniziata con un suo debole calcio laterale diretto al mio fondoschiena, quando mi volto dandogli le spalle.
L'attimo dopo, in mezzo alle risate, siamo un groviglio di mani.
Già lo so che mi sto scaldando troppo. La sciarpa scivola via dalla mia bocca pendendomi dalle spalle ed è un vantaggio che inevitabilmente usa non appena mi allontano troppo ... solo che all'ultimo impiega troppa della sua forza, e finisco per scontrarmi con il suo petto.
Abbiamo i respiri spezzati e le labbra incredibilmente vicine.
A quel tempo non lo sapevo: una settimana dopo, a un falò sulla spiaggia, in mezzo all'alcol e alle risate dei tredici anni ... Ian mi avrebbe regalato il mio primo bacio.
Il primo.
Avevo le labbra ancora vergini la sera in cui mi ritrovai addosso a Caleb.
Ma nessuno dei due si mosse.
Gli occhi di Caleb sono fissi sulle mie labbra, e al momento le sento bruciare.
Vorrei tanto togliermi la curiosità.
Del primo bacio, delle prime esperienze, ma soprattutto ... di un suo primo tocco. Sembrano così morbide alla vista ... non ho mai fatto di questi pensieri, forse una, due volte, mentre capitavamo tanto vicini, ma mai mi sono spinta a verificarlo.
C'era qualcosa a bloccarmi, ogni maledetta volta, e sembra proprio che stia accadendo lo stesso a lui. Mi fissa con uno sguardo perso, ancora, il profilo delle labbra, ma non si muove.
Sto quasi per prendere coraggio, e decidere di percorrere quell'ultima distanza che ci separa ... quando a un tratto si allontana.
Tutto è rimasto nella mia testa, non mi sono sporta di un millimetro, lui non ha notato il gesto ... ma lo ha prevenuto.
Cerco di respirare normalmente, ma stanotte Caleb non vuole essere affatto d'aiuto: mi rivolge un sorriso dolce e subito dopo, recuperata la sciarpa, con una sola mossa, le fa compiere un giro intorno al mio collo ed io sono di nuovo al caldo, senza fiato.
Il riparo non serve a molto però perché la mattina dopo mi ritrovo di nuovo con la febbre.
Caleb è rimasto a dormire con me. Al mio fianco, girato su di un lato, lotta ancora con le mie mani mentre tento di convincerlo a farmi andare via.
<Ti prego Caleb ... è la mia prima settimana di lavoro, oggi non posso proprio mancare>
<Cosa stai dicendo, Meg? E' quasi Natale, non ti fanno lavorare al centralino durante le feste>
<Devo fare gli straordinari ... ti prego Caleb>
<Non se ne parla. Te ne resti a letto, e vedi di non uscirne>
<Davvero non posso andare?> la febbre mi rende polemica, e incredibilmente capricciosa.
Sorride, e dice un breve: <no>, al quale io protesto con uno sbuffo.
Siamo faccia a faccia, stesi su di un fianco, perciò non mi riesce affatto difficile stendere le mani ed afferrarlo.
<Meg>, mi mette in guardia.
<Almeno resta, ti prego ... sei così caldo>
<Meg ... fammi andare>
Protesto, lui è rigido e in guardia mentre mi muovo, ma non me ne curo e gli arrivo il più vicino possibile. Mi nascondo nella causa del mio malanno, e gli occhi mi restano serrati persino sentendolo divincolarsi. Peccato che il mio corpo lo segua di pari passo, le mie braccia si allunghino, avvinghiate dietro il suo collo, mentre tenta di alzarsi, rendendo i suoi sforzi, nel volermi liberare da se, completamente inutili. Finisce per capirlo e così si lascia andare. Vorrebbe protestare ma io non sono proprio dell'umore. Mi avvicino e gli lascio un bacio vicinissimo alle labbra, senza pensarci troppo.
<Grazie>, dico solo, prima di cadere prigioniera del suo calore, vittima di un sogno.
____________
Il fumo della sigaretta mi brucia gli occhi. Non le fumo da molto, ma Caleb ha già preso il vizio di strapparmele dalle mani.
Puntuali, arrivano vicino al filtro, e condannano la mia sigaretta appena accesa a una fine poco gloriosa, sul fondo di un posacenere.
Gli rivolgo uno sguardo assassino, ma sembra non importargli.
Nel sottofondo della festa la musica suona a palla. È il compleanno di Nicolas, compie sedici anni, due in più dei nostri, e nella sua esagerazione mondana non ha voluto far passare l'evento per niente inosservato: oltre questo divano, sul quale io e Caleb abbiamo cercato rifugio, ha preso vita una vera e propria festa degna del "Grande Gatsby", fatta di assolute esagerazioni sotto ogni ambito ... il clima però non ha fatto coinvolto il mio accompagnatore, che non mi concede nemmeno il lusso di una sigaretta. Forse con Ian mi sarei divertita di più, peccato che lavori.
<Che ne penseresti, Caleb, se prendessi il posto di quella ragazza laggiù?>
Segue le mie indicazioni, fino ad arrivare a una delle cubiste.
<Non è una ragazza> dice solo, ed io assottiglio lo sguardo, notando che si tratta di un trans.
<Allora sa come muovere i fianchi> Torno a fissare il suo silenzio e non mi do per vinta. <Non vuoi dirmi che penseresti?>
<Non sei una ragazza timida, almeno non quando siamo in compagnia, specie a una festa ... lo faresti ma non voglio>
<Perché?>
Ho voglia di scoprirlo. Abbiamo quattordici anni e da poco scoperto un sentimento strano: il fastidio ... e forse la gelosia. La proviamo entrambi, ed è una cosa assurda perché non stiamo nemmeno insieme ... non siamo fidanzati ma è come se volessimo essere in qualche modo esclusivi l'uno per l'altro.
È tutto talmente confuso, voglio sapere la verità.
<Ti guarderebbero tutti ... e la cosa potrebbe non piacermi>
<Allora vado> dico per scherzo, e fingo di alzarmi ma lui con un sorriso mi recupera al volo.
Mi ritrovo stesa sul divano con lui sopra, che lotta per non farmi andare via, portandomi alla fine a cedere.
Una ragazza ci guarda.
Lo guarda ... seppure è steso su di me. E non ne conosco il motivo ma inevitabilmente arrivo ad arrendermi con lui, e a schierarmi sul piede di guerra con lei: passo una mano tra i capelli di Caleb, rendendolo più vicino, e quella si dilegua.
Il suo respiro si schianta contro il mio collo e non sono più tanto sicura di me.
<Potresti farli adesso quei movimenti con i fianchi, se tanto ci tieni>
<Sei ubriaco, vero?> Perché lo dovrei fare, se sono nascosta sotto di lui?
<Mi hai visto toccare una goccia d'alcol? Chissà cosa ci hanno messo dentro e soprattutto in che buco di bottega ne hanno comprato tanto spendendo così poco>
<Nemmeno io mi sono fidata> ammetto ridendo e credo che questo lo abbia reso felice.
Siamo forse i soli sobri della serata, e quindi completamente ignorati.
<Devi per forza partire domani?>
<Caleb ... ne abbiamo già discusso, ormai ho accettato l'offerta, e poi non sono mai andata al mare>
<Ti ci porto io>
<Si? E con quale macchina?>
<Mi hanno preso come apprendista in un'officina, potrei prendere una delle loro>
<Non hai nemmeno la patente>
<Allora aspetta che la prenda>
Sbuffo della sua testardaggine. <Ci torneremmo un giorno insieme, te lo prometto ma ormai ho detto di sì, il viaggio è già organizzato>
Lo sento sospirare, e avvicinarsi sempre di più alla mia pelle. <Non posso proprio convincerti ... a restare?>
Me lo chiede con le parole. Ma ancora di più con i gesti.
Sento le sue labbra iniziare a percorrermi il collo con piccoli baci, che mi fanno struggere.
<Perché non vuoi che vada?>, mi esce fuori in un sospiro.
<Non voglio che tu faccia più niente ... senza di me>
A cosa si sta riferendo? Sono sicura a un'episodio in particolare, ma non riesco a capire quale.
Sento la sua mano risalirmi il fianco e avvicinarsi pericolosamente al seno.
<Caleb!>
Sobbalzo, e mi ritraggo fissandolo negli occhi quasi con rabbia. Odio quando cerca di convincermi con le carezze ... o con gesti più spinti, fa sembrare tutto così sbagliato. E poi io ... non ci sono affatto abituata.
Ci sfidiamo con gli occhi mentre lo sento ancora premere con tutto il suo peso sul mio corpo, deciso a non cedere.
<Non puoi convincermi ... così. Io domani partirò, con o senza il tuo consenso. E adesso fammi alzare>
Rimane in silenzio e fermo per lunghi attimi.
<Se sei così decisa ad andartene almeno fammi dormire con te stanotte, così domani ti accompagno al ritrovo al porto> sussurra, ma mi è impossibile non sentirlo visto quanto siamo vicini. Mi è impossibile ignorarlo.
Dormiamo insieme e il giorno dopo come promesso mi accompagna.
Il traghetto salpa preciso, come da orario, con me a bordo e Caleb dalla banchina non dice niente, non mi saluta, nemmeno mi guarda, e mi chiedo perché non possa essere felice per me che realizzo uno dei pochi sogni che mi sono rimasti.
Il viaggio dura più del previsto, a causa dei miei pensieri e della mia totale ignoranza, non essendomi mai allontanata troppo da casa, ma una volta arrivata ... la vista è spettacolare.
Il mare ... è più bello di quanto immaginassi, il sole vi si rispecchia e dona una luce capace di darmi persino noia agli occhi.. ma sono stregata, e non riesco a chiuderli.
<Sei tu Megan?> una voce così lontana ... non riesco a capire da dove venga ... <Ehi... Megan?>
Una mano mi passa davanti al viso, a rompere l'incantesimo in cui ero precipitata e mostrandomi un volto bellissimo di ragazzo, abbronzato sotto i raggi del sole e con un sorriso tanto bianco e sincero da arrestarmi il battito.
<Ciao! Io sono Quentin. Le nostre madri sono amiche, se vuoi ti accompagno da loro, sono già in casa>
<Grazie mille Quentin, io sono Megan> ribatto stupidamente, e lui mi osserva divertito.
<Si ... lo so>
________
Quando tornai a casa, da quel giorno al mare, io e Caleb non la smettemmo mai di litigare. Anche prima di quel ritorno ci era capitato, ma sembrava mai con tanta prepotenza ... eravamo divenuti più dispotici del solito. Amavamo ferirci in ogni modo possibile, o meglio lui lo amava ... io ne rispondevo solo per non restare ferita.
Ricordo ancora la sera del mio rientro a casa: ero passata per i giardini pubblici, dove sapevo mi avrebbe aspettata Nicole insieme agli altri, ma lui non si era fatto vedere, e nemmeno Ian. Sapevo che quest'ultimo stava lavorando mentre per Caleb... si trattava solo di rancore, ne ero certa, e ne ho avuto la conferma.
Mentre stavo tornando a casa, da sola, avevo ripercorso con un sorriso il sentiero dei giardini, ripensando in parte alla dolce festa dei miei amici chiassosi mentre dall'altra alla mancanza che soffrivo di Quentin, rimasto nella sua casa al mare, ed in quel clima di ricordi la sua figura era spuntata dal contorno della notte, distinguendosi appena da quello della panchina in legno scuro.
Alla vista mi ero bloccata. Era bellissimo, e in quei quattro mesi sembrava essere divenuto più grande. Indosso portava dei vestiti neri e i capelli erano tutti sparati sul viso ... ed io ero felice di rivederlo ... finché non notai la sua faccia scura, per niente soddisfatta.
Quella notte litigammo parecchio, e male, urlammo facendo rimbalzare le voci contro le siepi del giardino e i tronchi delle alte querce, e dal sentirne la mancanza ... passai ad odiarlo, per lungo tempo.
Il pensiero che adesso stia capitando lo stesso ... mi fa tremare le ginocchia.
Non posso più reggere un periodo del genere. Non ho più l'odio, verso il mondo intero, ad alimentarmi come un carburante, e di conseguenza non ho più tutta quella forza nel volergli stare lontano ... mentre lui sembra essere lo stesso di un tempo. Pulisce i bicchierini da caffè in un modo meccanico, passa lo straccio sopra il bancone senza nemmeno fissarmi negli occhi, e pare non essere nemmeno toccato da quello che ci sta capitando.
Come riesce ad esserlo?
Forse ... non gli importa abbastanza.
Ho bisogno di una pausa.
Recupero le sigarette dalla tasca davanti del grembiule e mi accingo ad andare fuori, nello spazio libero tra gli edifici della porta secondaria, un posto soffocante, in mezzo a tutte quelle pareti, ma pur sempre all'aria aperta ... seppure non è l'ossigeno che cerco.
Accendo questa sigaretta e ne aspiro una lunga boccata mentre fisso il cielo di un'azzurro molto chiaro, macchiato di nuvole.
Mi ricorda tanto il mare.
Non passa molto che l'uscita secondaria torna ad aprirsi, facendo comparire un Caleb che non mi stacca gli occhi di dosso.
Almeno si è accorto che me ne sono andata.
Con mio enorme disappunto compie il gesto troppo velocemente da non farmene accorgere, arriva fino alla sigaretta con mano veloce e la spegne al muro, senza nemmeno fumarla. Tutto mentre mi guarda negli occhi ... in modo glaciale.
Quasi mi viene dal ridere. Lui glaciale ... ed io ridotta in questo stato.
Penso a come il nome che ci hanno attribuito possa valere solo ed esclusivamente per lui: nato quasi da uno scherzo, anche lui vittima della nostra malata possessione nei confronti dell'altro ... ci chiamavano "gli intoccabili", perché non permettevamo a nessuno di avvicinarsi troppo, a eccezione di Ian, e questo ci donava una visione quasi mistica, glaciale, in termini di carattere. Ma Caleb è il solo ad esserlo, riesce a rendersi distante in poco meno di uno sguardo, e grazie a questo è più che in grado di ferire.
<Nemmeno so perché mi ostino ad accederle, se tanto tu poi me le butti, ma infondo ho sempre fatto di peggio ... come crederti quando mi dicevi di non volermi più fare del male. Insomma, non ci contavo davvero, ma ti avrei dato tempo per screditarti ... vedo che siamo arrivati solo al giorno dopo>
<Per cosa credi che stiamo litigando, Megan?>
Rabbrividisco alla sua freddezza. Dunque è vero ... stiamo litigando.
<Per via del tuo possesso ... >
<Il mio possesso?> se la ride. <No, Meg, stiamo parlando del tuo egoismo>
<Del mio egoismo?>
<Non mi capisci? Di come tu non riesci proprio a stare da sola, e ci usi come pedine, per farti da compagnia. Oggi su quel campetto te lo scopavi con gli occhi ... puoi anche farlo, sai? Puoi scopartelo Ian ma non di fronte a me. Non sono un guardone al contrario tuo, e credo ancora nell'amicizia, una cosa per te forse troppo sopravvalutata>
Di cosa diavolo stiamo parlando? Sta mentendo, e voglio capire perché.
<Non ti darebbe fastidio ... se andassi a letto con lui?>
<Non ho detto questo, e non ho neanche negato di provare possesso nei tuoi confronti, anche se non è a senso unico .. a te darebbe fastidio se lo facessi con Debora?>
Si ...
Non lo nego affatto.
<Vedi? Il problema non è questo ... ma il modo con cui ci usi>
<Che diavolo stia dicendo, Caleb?>
<Che diavolo sto dicendo? Megan ... lo guardavi come un pezzo di carne su cui affondare i denti, se questa ti sembra amicizia direi che ne hai una visione distorta. Quello che fai è trattarci come delle cose, di cui hai bisogno perché sei una persona egoista e estremamente guidata dalla paura di rimanere sola ... vuoi dirmi che non è vero?>
Ti odio, Caleb.
Con tutto il cuore ... ti odio.
<Tiri in ballo mio padre, che bravo>
<Devo aver imparato dalla migliore>
<Dio, e tu non volevi più ferirmi?>
<Te lo ripeto: imparo tutto da te>
Tento di darmela a gambe. Inutile, mi tiene ferma. Mi viene da piangere, ma trovo la forza per gridare ciò che voglio:
<Parla chiaro, per una volta fallo!>
<Prova prima tu>
<Credo che tu stia mentendo, e usando tutti i miei punti deboli per ferirmi, visto che li consoci meglio di tutti gli altri>
<I tuoi, tu, tu, sempre e solo tu ... lo vedi che sei egoista? Ma non te ne accorgi da sola?>
<Non ho mai detto di non esserlo, ma non è quello a legarci Caleb>
<E cosa diavolo può essere, Megan? Di che diavolo pensi si tratti? E' sempre stato quello. Una ragazza provava ad avvicinarsi a me, e tu marcavi il territorio. Lo faceva un ragazzo, con te, e non gli permettevo neanche di sfiorarti>
<E credi che questo sia egoismo, possesso?>
<Da sola non lo hai capito?>
Ricaccio indietro le lacrime. <Può anche essere, possiamo anche esserlo ma io non vi uso per colmare un vuoto, io voglio bene a entrambi>
<Adesso piangi? Non sembrava tu gli volessi solo bene su quel campetto, quindi dimmi, quando stavi mentendo?>
Adesso piangi? È la sola frase importante che registra la mia mente, la sola in grado di riportarmi indietro in un'infanzia tremenda, guidata dalle provocazioni di Julia.
"Che fai Megan cara? Ora piangi? Ti manca papà?"
Un padre che mi ha rovinato la vita, che ha tradito mia madre per un'altra donna, che mi ha lasciato tanto esposta da doverne soffrire ... mi manca, quell'uomo marcio mi manca.
Ed è un'insieme di cose.
È il fatto che abbia usato quelle parole.
Il fatto che ne conosca il significato, ne sputi il dolore, avendo sempre assistito a quelle scene di infantile ignoranza.
O più semplicemente la situazione precaria in cui mi sta portando, divertendosi a far traballare le mie sicurezze.
Sarà tutto questo.
Il dolore a cui mi ha abituata.
Il male che vorrei tanto si tramutasse in qualcosa che mi facesse del bene.
Il bisogno di protezione che ha negato di donarmi ...
Sarà tutto questo .... ma mi trovo a pensare che non ho mai avuto rispetto per me stessa. E che Caleb, in una scala maggiore, non ne ha mai avuto di me.
Non è accaduto sempre, solo alcune volte. Ci sono stati momenti in cui mi ha reso felice e mi ha valorizzato più di chiunque altro, ma oltre a questo c'è stato pure tutto il resto.
"Il rispetto non ha niente a che fare con questo"
È una frase che ho letto, in un libro d'amore, detta dal protagonista alla sua donna in un momento di litigio. Lei si sentiva svalutata ma non aveva capito che forse amare non è sventolare la bandiera del rispetto e aspettare che l'uomo vi si inchini, è riceve rispetto dopo tutto quello che hai fatto. Ho sempre creduto questo, che l'amore in parte fosse dolore, e non l'esposizione di un diamante prezioso da trattare con mani delicate. Non l'ho mai messo in dubbio, per cui ho messo da parte ogni remora, ogni emozione, per donarmi completamente a lui.
Ma la nostra non è una storia d'amore.
Quel confine che non dovevo passare, per rimanerne illesa, il rispetto per me stessa, io l'ho scavalcato come si fa con un fosso, per continuare la corsa.
Ho abbandonato i miei scudi, la distanza che potevo tenere e mi sono donata completamente.
Come quando lo consolavo. Tutto il mio pensiero era impresso su di lui, lo riparavo da una pioggia gelida con un'ombrello che voleva apparire robusto, ma che per sicurezza maggiore avevo lasciato semplicemente su di lui, bagnandomi di gelo.
E l'ho fatto con il cuore, per tutto il tempo, ma non mi è tornato niente indietro, se non la consapevolezza che la nostra ... storia .... altro non è che questo, una sfida a farsi male, e per rimanere viva devo per forza recuperare la fede in me stessa.
Se fossimo in un libro questo sarebbe il punto di non ritorno.
<Mi dispiace ... non ce la faccio. Io mi arrendo>
Non lotto più, perché non riuscirei a vincere.
Lui è l'intoccabile, ed io ormai dopo anni sono estremamente esposta.
<Che stai dicendo? Questa non è una gara>
<Dici? Eppure mi sembra tu ti sia sempre messo d'impegno, per riuscire a vincerla>
<Arrivi a tanto, pur di non rispondermi se lo ami o no?>
<Io non so come l'ho guardato, Caleb! E non so cosa accidenti provo. Sono stata male tutta la notte pensando a quello che avrebbero potuto fargli, immaginando che fossero sempre William e gli altri a mettersi di mezzo, in grado di ferire anche te! Non so cosa sto provando e qui, oltre a me, ci sei anche tu ad essere estremamente egoista, a non volermi lasciar respirare! Tu chiedi, chiedi, chiedi in continuazione e non rispondi mai, e stavolta sarò io a non risponderti, non perché non voglia, ma perché non ho una risposta>
<Ce l'hai quella risposta>
<No Caleb non ce l'ho ma una cosa la credo: questo lavoro ti serve, quindi rimani, sono io a dover andare via>
Batto in ritirata, lui recupera il mio braccio, e la sua presa è tanto leggera da farmi comunque del male.
<Quindi è questo che dicevi ... ti sei arresa> mordo un labbro per evitarmi di piangere. La sua mano, su di me, fa più male di mille parole.
<Mi avevi detto che non mi avresti mai lasciato>
L'ho detto, ed era vero ... l'avrei fatto.
<Se molli il ristorante farò lo stesso ... ne hai bisogno quanto me>
<Allora chiederò a Nino di darci dei turni separati>
Sento come rabbrividisce, al suono basso della mia voce.
<E' questo che vuoi?>
<Ultimamente non fai altro che farmi soffrire>
<Davvero credi che si riduca tutto a questo? Per te non ci sono stati momenti felici tra di noi ... non ci sono?>
<C'erano ... ma al momento sono sovrastati da tutto questo odio>
<Megan... io non ti lascio andare>
<Non credo dipenda solo da te. Addio ... Caleb>
Stavolta, per la prima volta, la sua mano non oppone resistenza e mi lascia andare per la mia strada.
Ho il volto bagnato di un pianto che lui non riesce a vedere, alle mie spalle, e che spero non si sia riflesso in un contorno di frase.
Forse le ultime peggiori lacrime.
Di sicuro, le ultime solo nostre.
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