10- Game, set and match

Da più di quella che credo essere una buona mezz'ora sto tenendo il dorso della mano sulla fronte, e il braccio piegato con il gomito contro la tastiera del letto, rimanendo ferma a pensare. 

Ieri notte ho avuto paura, molta paura ... dopo che Nicole ci aveva comunicato dell'incendio il primo pensiero è andato a lui, a Ian. Caleb mi è stato vicino per tutta la perlustrazione, mossa alla ricerca del nostro amico, che ho sostenuto in un totale e asfissiante silenzio ma ... ancora sono scossa da ciò che ho provato, e il pensiero per tutta la notte non mi ha lasciato dormire.

È stato qualcosa di forte, troppo. Il fatto di perderlo, anche solo l'idea ... forse è dovuta al fatto che Ian non mi ha mai lasciato, mai, nemmeno una volta. Da che ne ho memoria c'è sempre stato lui al mio fianco, lui a farmi divertire, a strapparmi i sorrisi, a donarmi allegria, fin da che eravamo bambini, e l'idea di perderlo .... è stata troppo.

Ho ancora il cuore in subbuglio e la paura adesso che quel gruppo torni a fargli del male.

Sei persone ...

Il nostro quartiere è malfamato, ma la gente di qui non si odia tanto da farsi una cosa del genere, non siamo stati noi, veniva da fuori ... e da chi altri se non da un ragazzo biondo con al polso un rolex?
So che c'è William dietro tutto e mi domando come ha fatto a colpire sia Ian che Caleb, quale sia il collegamento che può aver trovato, in grado di congiungerli.
Sta facendo male alle due persone che amo di più al mondo, e non posso che odiarlo.

Temo il potere che sa di avere, ma non temo lui. Se dovessi vederlo ancora, lo giuro a me stessa, avrò il coraggio di proteggere cioè che mi è più caro.

Mi avvicino all'armadio andando a recuperare la seconda delle mie infinite e precarie divise da lavoro: oggi sono da Laura, al negozio di fiori.
Non è da molto ma adesso mi trovo a farle da assistente, il negozio è piccolo e la clientela incredibilmente alta, vista la strategica posizione del negozio a ridosso del grande viale che porta alla città anche se Laura ha un'altra teoria: crede fermamente nei gesti d'amore, crede nelle rinunce, nel vizio di un bene secondario per potersi guadagnare l'uscita da questa povertà che ci affligge, e soprattutto crede nei gesti compiuti senza bisogno di parole, perché ricchi di significato.

Io sono scettica e troppo materialista, non credo alla necessità di cedere a dei vizi per potersi sentire realizzati, come completi, anzi li considero una gran perdita di tempo e una sorta di negazione auto inflitta, non so se sono riuscita a spiegarmi: ancora non sono riuscita a comprendere totalmente la necessità di portare in dono cose superflue, forse perché non ho mai ceduto al superfluo, forse perché voglio stargli lontana il più possibile per non abituarmici eppure ... eppure guardo stregata gli occhi delle persone del nostro quartiere quando vengono a chiedere in dono un mazzo di fiori.

Vedo in loro qualcosa che non so. È come se avessero avuto accesso, d'un tratto, a un'altra via, ed io curiosa spio quel sentiero da dietro il loro sguardo ... È come se sbirciarsi, stregata della loro felicità. Credo che Laura mi abbia assunto anche per questo, forse ha rivisto in me la donna che era un tempo ... Nonostante queste divergenze, sul tutto resto, siamo molto simili. Per i pochi momenti che ho trascorso lavorando al suo fianco sono stata bene, e non vi rinuncerei.

Infilo delle scarpe comode, tiro su i capelli in una crocchia disordinata e mi osservo allo specchio dell'unico bagno di casa: si notano i segni della notte insonne, ma rinuncio all'opzione ottimale del trucco, valutando al minimo i danni.

Arrivata al negozio trovo già Laura alle prese con un cliente, e mentre gli mostra delle nuove camelie mi fa un cenno in direzione del laboratorio, indicandomi il lavoro da svolgere. Le sorrido e recupero le forbici, quella specie di cintura blu a scompartimenti che tengo stretta intorno alla vita e mi allontano dall'ingresso. Un bigliettino giallo e sporco di terra, con una calligrafia di pennarello torta scritta sopra, mi commissiona il bouquet per un matrimonio, rilasciandomi le richieste, e io mi metto subito all'opera.

Penso a Meredith che mi aveva obbligata già un mese prima ad un'ordinazione simile, e guidata dall'ispirazione guadagno sicurezza e proseguo con precisione, per un'infinità di tempo finché un rumore non mi distoglie lo sguardo, ancorandolo fuori da questa grande finestra di laboratorio.

Le cesoie restano immobili tra le mie mani mentre il suono della palla da gioco, schiacciata contro il ghiaino a terra del campo da basket, ritorna a far a pezzi la mia concentrazione, riducendomi a una statua di sale.

Fuori ci sono Nicolas e Caleb che stanno giocando una partita a due, e sono entrambi senza maglietta, a danzare con passi veloci secondo le tecniche dettate dal basket. La finestra è aperta e io sento i loro sospiri, la marcia veloce dei loro piedi, il pallone contro la rete del canestro ma più di ogni altra cosa, nonostante la distanza, è come se percepissi il respiro di Caleb.

Il suo torace fa su e giù, non appena si ferma dopo il canestro di Nicolas, concitato dallo sforzo, la sua fronte è imperlata di gocce di sudore così come il petto mentre la bocca la vedo socchiusa, alla ricerca di fiato, e incredibilmente sento di star sincronizzando il suo respiro al suo: espira lentamente cercando la calma prima di ripartire, ed inconsciamente seguo lo stesso gesto, con gli occhi e con il corpo.

Il fianco tatuato di Nicolas passa per un attimo tra di noi, macchiando la scena di inchiostro per poi subito dopo metterla in movimento, facendo ripartire il tempo. Lo schema è rapido, i passi veloci, e stavolta è Caleb a vincere.

Gli vedo fare una finta, prima di tirare: Nicolas è dietro di lui con le braccia stese, ma non basta, perché in un attimo gli stravolge i piani, cambiando di posto. E' una cosa che fa sempre, quella di sorprendere, credi che voglia fare una cosa, dire una cosa, e invece ne intende altre cento, ne pensa altre cento, e riesce sempre a non farlo vedere.

<Ma guarda chi abbiamo tra di noi! Futuro capo cantiere, anche tu ti concedi il lusso del gioco!>

E' la voce di Nicolas quella veloce a deridere, e a lei rispondiamo con gli occhi, sia io che Caleb, seguendone l'origine, e da un lato del campo nella nostra visuale si affaccia anche Ian, con un mezzo sorriso stampato in faccia.

<Sono venuto solo a fare un salto, sapevo di trovarvi qui. La partita del venerdì non si salta mai giusto?>

<Giusto>, continua un Nicolas piegato con le mani sulle ginocchia e un affronto in faccia, pronto a smorzare sempre gli animi, mentre Ian si fa più vicino a quel gioco di perdizione.

Indossa solo una canottiera bianca, molto sbracciata, che gli sta larga, ed io mi sento come una guardona rinchiusa in queste quattro stanze, mentre gli faccio scivolare addosso lo sguardo senza poter impedire al sentimento provato tutta stanotte di tornare a bussarmi alla porta.

Sta bene ... lui sta bene.

Con un gesto veloce guadagna la palla dalle mani di Caleb, e gli va tanto vicino da essergli a un palmo dal viso. Vorrebbe sembrare un affronto ma i due si sorridono, divertiti e nemici, acquistando posizione in campo.

<Una partita a due è una partita a due, io in questa sfida non mi intrometto>, dice Nicolas andandosene verso le gradinate del campo.

<Bravo, Nicolas, stanne fuori> sibila Caleb con ancora quel sorriso arricciato sulle labbra. Qualcosa mi sfugge del modo con cui osserva Ian, potrebbe trattarsi di semplice orgoglio, ne ha fin troppo, o di spirito combattente, ma a sorprendermi è il fatto che anche l'altro lascia trasparire lo stesso, se non, forse, ancora più amplificato.

Non mollo Ian con gli occhi, vittima del suo inconcepibile incantesimo, mentre acquistano posizione al centro del campo, e Ian con la palla in mano è pronto a iniziare.

Un fischio da lontano, proveniente dalle vuote gradinate al confine della rete, escludendo un'eccezione, ed ecco che la palla torna a colpire la ghiaia.

Si muovono ancora più veloci di prima se possibile, a stento li seguo, eppure non li perdo, calamitata, per tutto il tempo del gioco.

Tre tiri, due canestri, parità, fino all'ultimo minuto.

Sono uno di fronte all'altro adesso, pari nell'altezza, pari nel divertimento, pari nella lotta, quando di nuovo quel fischio torna a spezzare l'aria.

Caleb parte e sembra in vantaggio, ma Ian sorprende tutti con una mossa e fa finire la palla al centro di quel cerchio rosso, a due metri e mezzo d'altezza.

Trionfante dopo quel salto, si volta verso lo sfidante arreso, e nemmeno tenta di nascondere la gioia.

Bambino scemo e anche lui troppo orgoglioso.

Recupera la palla con calma e torna di fronte a Caleb: con la mano imposta un piccolo pugno che volta su di un lato, colpendo il petto di Caleb di piatto, con il dorso.

<Ahh, ma levati!> sento dire a Caleb, spintonandolo scherzosamente via, ed io sorrido insieme a loro.

Il sole fa capolino dalle chiome delle querce intorno e illumina di una tonalità più chiara i capelli biondo castani di Ian. Rimango imbambolata a fissare come il vento fa piegare il tessuto bianco della sua maglia, che lascia indecentemente esposti tutti i muscoli delle sue braccia e del torace, anche se a stregarmi è l'espressione leggera che ha assunto da quando è arrivato qui: totalmente inversa a quella di ieri sera.

<Ma allora siamo proprio tutti ... ciao Megan, come va?>

Chi altri se non Nicolas poteva trovarmi da dietro il mio nascondiglio?

Gli vedo piegare le braccia dietro la testa, stendendosi sulle tribune, mentre tiene stretta tra i denti quella che credo essere una spiga di grano, strappata da li vicino per finire schiacciata tra i suoi denti carnivori di leone.

<Ciao ragazzi>

Ora sono tutti voltati verso di me, lo noto da lontano, ma non riesco a staccarmi dal sorriso di Ian, e dalla luce che gli vedo negli occhi, più forte del sole.

Rimango così per qualche istante, intrappolando anche lui in un nuovo tipo di gioco.

Non sento le parole di poco dopo.

Caleb dovrebbe aver sussurrato qualcosa, verso uno di loro due, poco prima di andarsene.

Volta le spalle, e non si guarda indietro.

Non mi saluta, non dice niente, semplicemente se ne va.

E non sono più gli occhi marroni di Ian a stregarmi ma la sua schiena, i muscoli rigidi che la tengono dritta, la nuca con quei capelli semi rasati che sono stata io a tagliare.

Altro non vedo però, perché anche Ian ha abbandonato il campo, ma invece che per andarsene l'ha fatto per ricongiungersi a me. In un attimo, causa della breve distanza seppur allungata dai suoi passi lenti, me lo ritrovo sotto questa finestra, con i gomiti appoggiati sul cornicione.

<Ciao Jasmine>

<Ciao ... tappeto volante>

Sbuffa spostandosi una ciocca di capelli dal viso. <Non suona molto bene, sai?>

<Sei tu che non hai voluto fare il principe>

<E chi li vuole tutti quei lussi?>

Quella domanda mi riporta a noi, al nostro tempo. <Ian ... come stai?>

<Dopo ieri sera intendi?>

<Ero preoccupata>

<Ho visto>

<Non farci il gradasso, anche tu hai avuto paura ... ieri notte te lo leggevo in faccia, quando sei arrivato sul cantiere>

<Avanti principessa, non essere preoccupata per me ... non volevano farmi del male, quella è gente che tiene conto solo dei propri interessi, nel caso non siano semplici vandali ... ed io non rientro nella competenza di nessuno, se non nella tua>

<Quindi sei di mia competenza?>

Sorride, separando le mani, con ancora appoggiati i gomiti al davanzale. <Tutto tuo, signorina> Scuoto il capo, arresa alla sua leggera e brinconcella facciata, posando le cesoie sul tavolo, poco prima di spostare un mazzo di rose. <Da quanto lavori qui?>

<Una settimana>

<Si spiega perché non ti ho mai vista alle partite del venerdì>

Il venerdì non devo più farmi trovare a lavoro, lo metterò per iscritto in quel contratto che Laura ancora nemmeno ha stampato.

<Ho saputo che Caleb è stato assunto da Nino ... inizia oggi a lavorare giusto?>

<Si ... abbiamo insieme il turno del pranzo al ristornate>

<Quindi uscita da questo lavoro salti subito all'altro?> 

Piego la testa, già consapevole che quest'allegria lo porterà ad aggiungere ben altro. Ed eccolo infatti che si affaccia, solo con la testa, ad invadere il mio spazio personale. Corre con gli occhi oltre lo scudo di questo bancone, scivolando su tutta la mia figura, e in un modo arricciato abbozza un sorriso sbruffone, tornando con gli occhi a me. 

<Mi piace di più la divisa da cameriera>

Lo credo bene, questa salopette in jeans non mi rilegherà che a una vita di sole piante e concime.

Forse anche di gatti. 

<Hai finito di analizzarmi?>

<Già lo chiedi? Mentre ero su quel campo tu non hai smesso tanto velocemente, mi hai sezionato e divorato ... un pezzo alla volta>

Non credevo che si fosse notato così tanto.

<Te l'ho già detto che alla luce del sole sei particolarmente bello ... che altro vuoi sentirti dire?>

<Non credo che mi basterà mai sentirti ripetere queste parole, quindi se puoi non smettere mai di farlo>, commenta abbassando però gli occhi mentre lo dice. <Io invece vedrò di rifuggire dalle tenebre della notte per il resto della mia vita>

Spalanco la bocca incapace di dire altro, colpita dal suo scherzo e dal modo con cui è tornato a fissarmi dritta negli occhi, e cerco una scappatoia attraverso i fiori, divenendo improvvisamente concitata nel voler portare a termine questo bouquet.

<Quanto sei scemo ... > dico solo, sistemando con gesti attenti i petali e le composizioni, concludendo il tutto sempre sotto la sua indagine.

Intravedo le gradinate alle sue spalle completamente spoglie, vittime dell'ultima ritirata da quel campo di avversari, poco prima di terminare il mio lavoro.

Una volta fatto, accartoccio il foglietto e rimetto ciò che ho usato all'interno delle tasche nella cintura, giusto così, per fare ordine.

Osservo soddisfatta il risultato, perdendomici per qualche istante.

Questo lavoro potrebbe davvero piacermi.

<Vuoi sapere che cosa c'è stato di divertente, ieri sera?>, domanda a un tratto, e io non posso che rimanere ad ascoltare il continuo. <Nicole è stata bidonata da Paul, quel cameriere rimorchiato al tuo ristornate. Nicolas non ha fatto altro che parlare di questo, non sai la soddisfazione che gli ha dato. Joseph invece credo che non ne sappia niente>

<Troppo impegnato a godersi Gloria?>

<Troppo impegnato a pensare ... a quella scema di Nicole>

Scuoto la testa arresa, afferrando con entrambe le mani la carta stagnola che trattiene gli steli ampi dei grandi fiori.

<Forse un giorno si accorgerà di come lui la guarda> commento andando a posarli sopra il mobile riservato alle consegne del primo pomeriggio.

<Si> gli sento rispondere alle mie spalle, dall'affaccio di questa finestra. <Forse un giorno lo farà>

Stringo con forza i lacci del grembiule che mi hanno dato, in modo da tenerlo ben saldo in vita, ma è solo un gesto dettato dalla rabbia. Caleb è davanti a me, e nemmeno mi guarda.

<D'accordo allora, per i due nuovi arrivati questo è il nostro modo di dividerci i tavoli: da destra a sinistra li nominiamo con una lettera, e dal basso verso l'alto con dei numeri, così che questo qua vicino è il tavolo 1a, tenetelo a mente, e ogni cameriere ha la fila a, b, o quel che sia, ma si occuperà sempre e solo della sua fila. Intesi? Non voglio casini e non siate maldestri, un tempo Nino era un gran signor ristorante, prima di venire a vivere in questo buco di quartiere>

<Ci vivi tra questa feccia, Nino!>, lo prende in giro uno dei nostri, e il capo sta al gioco.

<E non maledico mai mia moglie abbastanza per aver acconsentito alla sua pazza idea di venire a starci>

Il gruppo se la ride tra i baffi, ormai abituato al suo umore nero-comico, ma per la prima volta non riesco a unirmi a loro, avendo ancora gli occhi puntati sulla rigida schiena di Caleb.

Non gli staccherò lo sguardo di dosso tutto il giorno, finché non si deciderà a parlarmi.

Rettifico: lo farò, solo per fulminare con gli occhi la nuova entrata al suo fianco che non riesce a staccargli quei cerchi a palla celestoni che porta sulla faccia, come un cucciolo di Bambi.

Bambi ... maledetta, stanne fuori.

<Caleb ...> la rendo fuori dai giochi,lo giuro <stavo pensando che potremmo partire insieme, giusto per fare un po' di pratica>, è già morta, <credo che ci farebbe bene>

<Mi spiace>, risponde, e il suo tono di voce, dopo quello che sembra essere stato troppo tempo annulla i miei piani di vendetta. <Ma io faccio da solo, sempre>

E detto ciò si allontana.

Sarei quasi fiera del modo con cui l'ha allontanata, se non fosse per il piccolo fatto che quella frase era rivolta pure a me: sapeva benissimo che gli ero dietro, una volta ha ammesso di percepire sempre le volte in cui lo guardo, ma se il sesto senso non bastasse a correrci in aiuto, ammetto senza pudori che poco prima, passandomi accanto, mi ha sfiorata con una spalla e nemmeno guardata.

Gran bel gesto.

Far finta di niente.

Si è pure messo le bretelle.

<Paul, non ti allontanare, io e te dobbiamo parlare un attimo!> finalmente ho trovato su chi sfogare la mia rabbia. Il poveraccio si avvicina, e sa di aver già perso in partenza.

<Si tratta della tua amica vero, Megan?Mi spiace, ho perso la cognizione del tempo, e nemmeno mi ricordavo di quell'appuntamento>

<Hai perso una gran bella occasione, genio, vedi di scrivertelo in testa e fissartelo il gran coglione che sei, in questo modo non lascerai una ragazza due ore ad aspettarti>

<Mi ha aspettato due ore?>

<Dio, sparisci>

Per mia grazia lo fa, permettendomi di lavorare.

Caleb ha alzato la posta in gioco innalzando ancora più in su il muro del silenzio. Fortuna che ieri sera mi ha confessato di non volermi più fare del male. E' questo il suo modo di farlo? Non parlarmi? Tirare su uno stramaledetto muro dandomi continuamente le spalle? E non faccio per dire, quando per caso ci avviciniamo gli è preso questo strano vizio di voltarsi. Mi evita come la peste, bastardo arrogante. Per cosa poi? E' geloso di Ian? Ieri notte ero preoccupata per lui, sono preoccupata per lui, e non può impedirmi di esserlo ... e infatti non lo fa, mi evita e basta, lasciandomi in un vortice di dubbi.

A metà pomeriggio la clientela si sfoltisce, siamo rimasti di fronte ai tavoli, in attesa di sparecchiare ai pochi gruppi rimasti, io, Caleb, Paul e la piccola scema di cui non ricordo nemmeno il nome.

Paul però se ne va, a un tratto, e precipito in un vortice senza speranza di risalita quando il silenzio ci investe.

La scema mi guarda con gli occhi dolci, quasi sperando, anzi pregandomi di lasciarla sola con lui ... ma non lo sa chi è lui, e chi sono io? Non sa come ci chiamano, le persone del quartiere? Se c'è una donna che deve parlarci, o meglio chiarirci ... o meglio litigarci, quella sono io, e lei deve solo farsi da parte.

<Ciao Meggie>, solo Kevin mi chiama così, solo Kevin ... e Louis.

<Ciao Louis!>, come mi sia tornato questo tono di voce calmo nemmeno lo so, ma lui è uno dei pochi che apprezzo in questo posto di invidiosi arrampicatori.

<Come stai? Sei arrivata di fretta pure oggi>

<Già, nuovo lavoro>, e non ha portato nulla di buono.

<Dovrebbero chiamare te tornado, mica tua madre>

<Credimi, da qualcuno ho preso, lei è anche peggio>

<Mi aiuti a sparecchiare, Debora?>

Ecco come si chiamava la scema, io non me lo ricordavo, ma Caleb si, visto che ha avanzato quella proposta. Lei lo guarda con gli occhi vividi, nemmeno l'avesse chiesta in sposa.

Dannazione, è solo un tavolo con gli avanzi! Ma lui le sorride in un modo ... che anche se so che è artificioso sono convinta sarebbe capace di rendere bella anche una discarica abusiva.

Accolgo quell'ennesima stoccata a me indirizzata, e nel tempo che loro impiegano ad occuparsi del loro tavolo io resto completamente in silenzio con Louis. Dio, non vorrei, mi piacerebbe attaccarci bottone, essere cordiale, Louis mi sta simpatico ma quando sono arrabbiata ... non riesco nemmeno ad essere civile. E dannazione se lo sono . Per le sue bugie e per il modo facile con cui le fa uscire.

"Non voglio più ferirti"

Come no ... quasi non lo sapessi. Stupida io ancora a crederci.

La sveglia suona puntuale dal mio cellulare nel momento in cui Caleb posa i piatti sul carrello nascosto dietro di noi, avvicinandosi pericolosamente al mio fianco.

Non me ne bado e recupero dalla tasca del grembiule il contenitore già precedentemente preparato.

Prendo la pillola e la butto giù, tenendo gli occhi fissi sulla sala, mentre sento i suoi su di me.

Ho iniziato a prendere l'anticoncezionale a causa di gravi ritardi nel ciclo, e nemmeno da molto. Quello che mi sono rifiutata di fare è stato leggere le conseguenze disastrose che i premurosi medici non ci hanno risparmiato di sapere: già me ne ha parlato troppo Nicole, dall'alto della sua esperienza sessuale, ed io giovane verginella ancora all'oscuro di tutto, come mi definisce lei, ho preferito esentarmi e accettare il mio destino. Non riuscivo più a vivere sentendomi così spossata prima di quei giorni. Questa storia va avanti da anni, ho dovuto porvi rimedio.

Sento ancora gli occhi addosso di Caleb eppure non mi volto.

Dannazione, è impossibile che sia riuscito a riconoscere quella minuscola pastiglia rosa! Gli uomini si vergognano anche solo a parlare di ciclo, figurati se si informano su altro! Ne va della loro fierezza mascolina.

Ma Caleb non vuole imbarazzo, non vuole alcun tipo di distinzione, te l'ha detto lui ...

Al diavolo, non devo giustificarmi di niente. Se vuole parlare di qualcosa, che mi guardi e parli.

<Louis ... > emette la sua voce a un tratto, e nonostante la dolcezza identifico il tono rabbioso tra le sillabe. <Che ne pensi della bionda al G8?>

Che bravo ... ha imparato gà lo schema dei tavoli ...

La mia voce infantile lo prende in giro, ma è solo per protezione.

<Dici quella con il vestito rosa? E' una bella donna, e ti ha fissato per tutto il tempo in cui l'hai servita ... dovresti provarci>

<Non so, hai visto che labbra che aveva? Sembravano due gommoni>

<Non ti piacciono le labbra grosse?>, domanda stupito Louis, e gli vedo alzare le spalle.

<Non saprei, su di lei no davvero ... non credi sia un difetto averle? Si insomma ... apparire sempre così volgare ... >

Che. Accidenti. Vuole. Fare?

Non può. Non con Louis.

Mi volto di scatto verso di lui, e già lo trovo a fissarmi. Il cuore mi salta in gola e la rabbia ... quasi se ne va.

<Hai un problema amico se non ti eccitano delle labbra così piene>

<Già ... lo penso anche io>, risponde guardandomi. Sta mettendo sul tavolo la lista dei miei difetti, e sta cercando di vincere la nostra sfida.

<E delle mani? Che ne pensi, hai visto che unghie rifatte?>

<Dio si, quelle fanno schifo, se pensi che potrebbero saltare da un momento all'altro ... e poi rosse così ...>

<Meglio al naturale vero? Perché le donne dovrebbero farsele, Debora?>

Eccola che la quarta componente, sentendosi chiamata in causa, si fa allegra partecipe della nostra conversazione ... anche se l'argomento è assurdo.

<Credo per farsi più belle le mani ... assottigliano molto le dita, le rendono più lunghe>

Oh, ragazza, non sai quanto ti odio. Dovevi proprio rispondere così quando ho messo in piazza il mio difetto di avere le mani piccole? Vuoi fargli vincere una guerra che nemmeno sai sta compiendo? Contro di me poi.

Non posso cedere così, non posso lasciargli tutto questo campo. Ma mentre lo penso lui sta per intervenire, su un altro punto della questione.

<E le sue gambe, Louis?>, domanda, ma io corro ai ripari perché quell'ingenuo del mio amico, un po' uomo, un po' coglione, nemmeno si rende conto della stranezza del gesto.

<L'hai guardata a pezzi quella donna o sei riuscita anche a vederla per interno?>, sparo il mio colpo in canna, e fa troppo male rivolgersi a lui direttamente, dopo quel costretto silenzio.

<L'ho guardata, attentamente, per tutto il tempo>

Sibila, e un campanello d'allarme suona sul fondo della mia testa.

No ... non può riferirsi a Ian, né tanto meno al modo con cui l'ho osservato. Non so perché l'ho fatto, non me lo spiego neppure io. Non so dirmi perché stanotte non sono riuscita a dormire o perché stamani mattina ero tanto felice, come non mai, di rivederlo sorridere. Quindi, se non lo so io, con quale diritto può credere di saperlo lui? Dannazione lo ucciderei, farei di tutto, e tra questo tutto mai e poi mai ... lo lascerei vincere.

<Andiamo Louis, occupiamoci degli ultimi tavoli>, dico portami via il mal capitato, espirando profondamente e in modo attento, affinché non lo veda mentre sono di spalle, pensando a come i nostri di respiri abbiano d'un tratto cambiato ritmo e siano corsi lungo strade diverse.

Quell'attimo, sul campo da basket, con lui in piedi e il vento a sfiorargli la pelle nuda, è rimasto impresso nella mia mente insieme al lento movimento del suo petto, e a quello mi adeguo: inspiro, espiro, secondo il suo ricordo, sentendo come il vento tornare per accarezzarmi i capelli, vincolata a uno dei pochi momenti stabili rimasti nelle nostre vite. 

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