9. A qualcuno piace sporco


L'alba color confetto che irradiava dai contorni del Fuji, velata sfida alla sua stazza a suon di luce soffusa e delicata, strisciò tra le nostre lenzuola per avvolgerci col suo calore tiepido e rassicurante.

Non so come o perché, ma riuscì a sedare i miei sensi di colpa onnipresenti rivestendoli di un'aura di inedita innocenza: "Amare così intensamente non è mai peccato", parve sussurrarmi. Però ci pensò subito l'ombra più oscura e razionale di me stessa, nascosta dietro chissà quale angolo della coscienza, a rammentarmi: "Infatti sono le menzogne e le omissioni a renderti colpevole".

Fissai le tendine a pacchetto tuffarsi giù dalla cornice della finestra come se rappresentassero il volo in picchiata del mio umore.

«E ora come farò a raccattare la voglia di uscire dal letto e andare a lavorare?» bofonchiai, la faccia nascosta sul petto di Niki nel tentativo di nascondere anche la mia vergogna.

«Lo dici a me? Non avevo mai passato una notte così bella in tutta la mia vita» sospirò lui di rimando.

Mi si strinse qualcosa nello stomaco all'ascolto di quelle parole.

I rapporti umani, specie le relazioni amorose, sono difficili per tutti. Sono duri financo in una cultura aperta e estroversa come quella italiana, figuriamoci quando inseriti nel contesto chiuso, formale e iper-regolamentato come quello nipponico.

La vita mi aveva regalato l'enorme fortuna e privilegio di incontrare Riccardo, aver guadagnato il suo amore, aver costruito con lui una relazione solida e basata su sentimenti e alchimie sincere, in un ambiente in cui ci era dato di essere noi stessi l'uno con l'altra.

I fidanzamenti e i matrimoni in Asia sono estremamente più complessi. La strenua resistenza alla modernizzazione delle dinamiche di genere attuata dalle vecchie generazioni ha rotto un equilibrio in quello che i giovani giapponesi si aspettano dal prossimo, e questo divario è diventato sempre più incolmabile quanto più l'educazione impartita ai sessi ha iniziato a manifestare le prime incongruenze.

Shinichi rappresentava un modo di essere uomo nel XXI secolo che il Giappone fatica ad accettare come valido: non prono all'urgenza di maritarsi e riprodursi, non fossilizzato sull'idea di essere un white collar destinato a nascere e morire nel suo Paese senza fare esperienza del mondo fuori, incapace di non pensare alla sua partner come a una persona sua pari, con altrettanti desideri e ambizioni, e di amarla e rispettarla proprio per questi motivi.

Deglutii con forza per impedirmi di perdermi nelle riflessioni sociopolitiche da salotto che piacevano tanto ai miei prof dell'Orientale.

«Le donne giapponesi sono sempre più progressiste. Possibile mai che non ne hai mai trovata una che facesse al caso tuo?» sbottai, senza riuscire a smorzare il tono saccente e accusatorio con cui quella frase rotolò fuori dalla mia bocca.

Lui infatti trasalì e un'espressione sorpresa – anche un po' ferita – colmò lo spazio scuro tra la sua pupilla e le pagliuzze delle iridi illuminate dagli intrusivi riflessi delle prime ore del giorno.

«Ma perché mai dovrei cercare per forza una giapponese, se ora ho trovato te?» l'inflessione della sua domanda denotava evidente confusione e genuina curiosità.

Mossi gli occhi oltre i vetri un po' opachi della finestra accanto a noi, come a cercare una via di fuga da quella conversazione.

Il senso di colpa era tornato di nuovo a macerarmi il fegato.

Ora lo sapevo.

Amavo Shinichi tanto quanto amavo Riccardo.

Certo, il tempo che avevo avuto per costruire con lui una relazione come quella con Riky era stato anni luce minore, in circostanze dubbie e convulse, ma non potevo contestare che nel mio cuore occupassero entrambi una loro posizione dedicata e paritaria ormai.

La sagoma tremolante della brocca mezza piena proiettata su un angolo del soffitto mi fece sentire proprio come il liquido che conteneva: trasparente, mutevole, fin troppo adattabile agli spazi che occupa. Troppo inaffidabile, invadente; oggi onda timida che lambisce appena il bagnasciuga, domani cavallone che inonda un'intera città.

Non ci si può fidare dell'acqua.

Così come non ci si poteva fidare di me.

Gli sorrisi tiepidamente e lo baciai a stampo sulle irresistibili labbra piene. «Credo sia meglio che tu vada ora. Ci metterai quasi due ore a tornare a Tokyo, e se si svegliano e ti trovano qui passo i guai.»

Lui fece roteare gli occhi e mi prese in giro, borbottando che era una noia stare lontani per due mesi interi e che sarebbe tornato di sicuro a portarmi altri taiyaki di mezzanotte.

Ma non lo fece.

Perché aprii la mia camera per accompagnarlo fuori nel momento più sbagliato possibile.

«Anna? Buongiorno!» esclamò Alessandro, preso in contropiede dalla mia porta che gli si parò davanti mentre attraversava il corridoio.

Rimasi impietrita mentre Shinichi si riversava oltre l'uscio e veniva scrutato dall'inopportuno passante come se fosse un alieno.

«Ma non era italiano il tuo ragazzo?» chiese ancora Alessandro, con inaudita invadenza.

Non risposi, nella speranza che Niki non avesse colto l'insinuazione nella mia lingua madre e il mio futuro collega capisse di essere di troppo.

Ovviamente non successe.

Dopo essersi presentato, obbligando Shinichi a subire una feroce stretta di mano, lo fissò andare via ancora impalato di fianco alla mia porta.

«Beh» esordii, quando il rumore dei passi di Niki scemò fino a sparire oltre le scale, «a più tardi, allora...»

Feci per richiudere la porta e accomiatarmi con un mezzo inchino del capo, ma Alessandro la bloccò in fretta con un piede. «Che fai, Chiaretta, scappi? E un bacetto pure a me non me lo dai?»

Irruppe in camera spingendomi a forza dentro, finché non rimasi incastrata tra lui e il muretto di ingresso che ospitava i ripiani per le scarpe. Quando cercai di allontanarlo di peso, catturò entrambi i miei polsi nel suo palmo e prese a baciarmi il collo con il respiro inumidito dalla prepotenza.

«È così che ti piace, un po' conflittuale? Per questo lo fai con altri invece che col tuo ragazzo?» con la mano libera scese a palparmi il culo, prima da sopra al pigiama e poi galvanizzandosi abbastanza da provare a insinuarsi oltre l'elastico delle mutande.

«Ma cosa ti sei messo in testa?» urlai, nello strenuo tentativo di dimenarmi dalla sua presa. «Lasciami!»

Si leccò le labbra prima di premerle sulle mie con insistenza. «Anche a me piace un po' sporco, Chiaretta, e di certo ce l'ho più grosso del tuo amante giapponesino...»

Mentre la sua lingua tentava l'invasione della mia bocca riuscii a rannicchiarmi e sgusciare via da sotto le sue gambe, trovandomi purtroppo di fronte all'orrificante constatazione che la sua erezione montava di attimo in attimo quanto più riusciva a spaventarmi.

Era forse arrivata la mia punizione divina? Avrei dovuto infliggermela e accettare il fatto che fosse proprio quello che meritavo? Sesso per sesso, Annachiara, non frega un cazzo a nessuno che tu sia consenziente o meno. Una donna diventa di dominio pubblico, se non accetta di esserlo in esclusiva per un solo uomo.

I miei pensieri verso me stessa erano, forse, già più violenti di quanto avrebbe potuto esserlo Alessandro nel mettermi le mani addosso. Decisi che fossero abbastanza come punizione, e scattai verso il bagno per chiudermi dentro un secondo prima che riuscisse a raggiungermi.

Picchiò violentemente sul legno chiaro dell'anta come se volesse sfondarlo a suon di pugni. «Tutte uguali, voi zoccole! La date a tutti tranne che ai bravi ragazzi come me!»

Fatti due domande allora, pensai, ma non ebbi la forza di rispondere né di fare altro che non fosse tapparmi le orecchie con entrambe le mani e raccogliermi per terra dietro al gabinetto.

Volevo piangere, ma non mi riuscì di sfogare neanche quello. Ero troppo atterrita.

Fissai per attimi interminabili la porta scuotersi sotto ai suoi colpi così come era scosso il mio petto allo stesso modo.

Bum... Bum... le botte risuonavano sopra, sotto, fuori, dentro, tutto intorno.

Fece così tanto baccano che, dopo un paio di minuti di insulti e schiaffi alla maniglia, finalmente venne fermato da un inserviente dell'hotel che era accorso a controllare l'origine di tutto quel caos.

Lo sentii inventare la scusa di essere venuto ad assistermi dopo che mi ero sentita male, e che perciò ero chiusa in bagno.

Io, esterrefatta e senza fiato, persi gli occhi e la mente nel vuoto del soffitto.

Il ragazzo dello staff bussò e si informò sulle mie condizioni, costringendomi allo sforzo di proferire parola e per pregare entrambi – con una balla qualsiasi che neanche ricordo – di uscire dalla mia stanza.

Ma non fui capace di tirarmi fuori da quel metro quadro per molto altro tempo, neanche quando sentii la porta della mia camera chiudersi alle loro spalle.

***

Immagino di dovermi vergognare di aver fatto finta di nulla per più di una settimana, dopo quella maledetta mattina.

Non trovavo il coraggio.

Se di coraggio si può parlare. Ce ne vuole di più per far finta di niente pur di non vedere la propria vita e reputazione rovinate, subire il terzo grado come se non si fosse le vittime del caso, sentirsi mettere in discussione al punto da convincersi di essere in difetto... oppure ci vuole più fegato ad ammettere di aver subito un torto, anzi, no, una violenza, e che qualcuno deve pagare perché ci sono delle regole chiare quando queste cose accadono, anche se sulla carta si dice una cosa e nella pratica se ne materializza un'altra?

Certe leggi, certe regole della vita sociale, sono lettera morta, favole a cui ci costringiamo di credere per non soccombere alla sconfortante ammissione di essere ben lontani dall'avere conquistato la nobile civiltà avanzata che ci piace raccontarci. Lo sappiamo tutti.

Lo sappiamo tutte.

Esistono solo per far sentire meglio la parte lesa prima che lo sia davvero, per poi veder crollare quello scintillante castello di sabbia al minimo tocco, all'infrangersi con l'onda della cruda realtà, ed è allora che ci si rende conto che non si finisce mai di essere vittime. Perché diventi tu il soggetto del processo per ciò che ti è stato fatto.

Fu solo una grigia sera di parecchi giorni dopo, che Melissa si accorse che l'acqua che d'improvviso mi bagnava il viso non era quella fumante dell'onsen in cui eravamo immerse come premio per la giornata di lavoro pesante, ma fredde lacrime che si erano lanciate dalle mie orbite stile bungee jumping senza che neanche me ne accorgessi.

«Chiara?» si allungò verso di me con aria preoccupata. «Stai piangendo?»

Bella domanda. Se stavo piangendo, non ne ero pienamente cosciente. La nudità, il caldo, la compagnia, la stanchezza, dovevano avermi triggerato qualcosa di inconscio.

Come si risponde in questo casi?

«No...» balbettai, «...non lo so»

Le sfuggì un sospiro pesante, ma non esasperato, anzi, quasi sollevato. «È dall'inizio della settimana che sei completamente assente, eh. Per caso hai problemi col tuo ragazzo?» azzardò l'ipotesi con una naturalezza che mi urtò. «So che le relazioni a distanza sono dure.»

Il solito luogo comune.

Scossi la testa con veemenza, ma ciò non fece che peggiorare i singhiozzi che sfuggirono definitivamente al mio controllo.

Lei mi posò entrambe le belle mani curate sulle spalle, come palliativo all'abbracciarmi poiché doveva esserle sembrato sconveniente farlo in una situazione in cui eravamo entrambe nude, e si accigliò. «Ho cannato, vero? C'è qualcos'altro che ti angustia?»

Forse lo disse perché avevo iniziato a tremare e reggermi le spalle come se da quella stretta dipendesse il non affettarmi in due pezzi. Vidi l'acqua sporcarsi di rosso e pensai che forse stava succedendo davvero, che l'addome mi si era aperto fino al collo e le mie viscere si stessero disperdendo nella vasca. Invece no, erano dei graffi che le mie stesse unghie affondate nella carne delle braccia mi stavano scavando.

Il volto di Melissa si ripiegò in una morsa d'orrore, poi sfrecciò in piedi per uscire dalla piscina. «Vado a chiamare l'infermiera!»

«No!» strillai come se mi stesse facendo il più grave dei torti a chiamare aiuto medico.

L'onda d'urto della mia voce innaturalmente acuta la bloccò sul posto. Le afferrai una mano per rimetterla a sedere.

«Forse questa cosa mi sta sfuggendo di mano ed è bene che la dica a qualcuno, ma giurami che resterà tra di noi» sibilai.

Non attesi una sua reazione, perché di fatto non ne ebbe. Si mise piuttosto all'ascolto attento dei miei farfugliamenti insensati, perché non mi riusciva di trovare parole adatte a descrivere ciò che era successo.

Molestia? Violenza? Tentato stupro? Approccio finito male? Abbordaggio troppo veemente?

«Alessandro mi ha toccata» infine mi uscì così, la mera cronaca di un'azione. «Pareva che non si sarebbe fermato se non fossi riuscita a chiudermi in bagno.»

L'espressione orrificata di Melissa si acuì, e si colorò anche di una tetra sfumatura di disgusto. «E perché mai non dovresti dirlo in giro? Io penso che dovresti subito fare rapporto al management!» poi tra sé e sé continuò a borbottare che l'aveva capito subito quanto viscido fosse quel ragazzo, che nessuna collega riusciva a toglierselo di dosso.

Mi sfuggì un singulto più spasmodico dei precedenti. «Non lo so, Melissa, è successo solo mezza volta... non credo ne valga la pena.»

I suoi occhi color salvia si inasprirono in un guizzo di severità. Per un attimo i suoi connotati mi parvero così simili a quelli di Celeste che temetti di avere le allucinazioni. «Che significa, scusa? 'Mezza volta' è già mezza di troppo, ovvero più di zero!» incrociò le braccia sotto il seno a pelo d'acqua. «Guarda che non ci sei mica solo tu al mondo, eh! Se succede una cosa del genere a una di noi, vuol dire che siamo tutte in pericolo.»

Mi ravviò una ciocca di capelli bagnati che mi era finita sugli occhi mentre abbassavo la testa, colpevole e succube della mia stessa stupidità. «Lui non ne fa neanche mistero proprio perché, oltre a essere un coglione, è anche un impunito! Non puoi fargliela passare liscia così» sentenziò.

E aggiunse la goccia che fece traboccare il mio vaso: «Se non per te stessa, dovresti farlo almeno per noialtre.»


Questo capitolo è stato molto duro da scrivere, ma non è mia intenzione sfruttare questo tentativo di violenza per farvi provare pietà gratuita per Annachiara, quindi siate sinceri: cosa ne pensate di lei, ora che siamo quasi agli ultimi capitoli di questa mini-storia? 👀

Sono curiosissima di leggere le vostre impressioni! ❤

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