7. Taiyaki di mezzanotte


«Tu sei pazzo» continuavo a ripetergli, avvolta dal calore del suo ventre nudo e dagli strati sudati del futon* piazzato sotto la finestrella della sua camera da letto.

Lui mi baciava la punta del naso ogni volta che ribadivo la mia stupida constatazione e ribatteva: «Più me lo dici, più lo divento!»

Notte fonda ormai. La giornata era passata con la farraginosità e la lentezza di un ingranaggio inceppato, durissima, lasciandomi addosso la sensazione che davvero non sarebbe mai più finita.

Il servizio fotografico fu una delle peggiori esperienze lavorative della mia vita: inadeguatezza, ansia e apatia erano le uniche emozioni che mi aveva suscitato.

Mi ero attaccata al telefono per avere notizie di Celeste l'istante dopo che mi permisero di lasciare quell'angolo di inferno, a scatti completati, solo per venire a sapere che era piombata in un sonno profondo indotto dagli antidolorifici e non avrei potuto andarla a trovare prima dell'indomani.

Shinichi non ci aveva pensato due volte a invitarmi subito a stare da lui, coperti dall'assenza di Cece da casa nostra. E io non dovetti pensarci due volte per accettare immediatamente.

Il proseguimento dello strano sesso arrabattato e improvviso che avevamo fatto nella toilette dei locali affittati dalla PepsiCo era stato di una dolcezza inaspettata, dal sapore molto simile a quello nostalgico e tenero delle notti passate con Riccardo nelle brevi parentesi dei suoi sporadici scali in Giappone.

Da dove veniva tutta quella familiarità? Com'era possibile perdere così tanto la testa per qualcuno che si conosce appena, e sentirsi al tempo stesso così in perfetta sintonia, come se avessimo sempre vissuto uno accanto all'altra e non ai poli opposti del pianeta?

«Perché?» mi interrogai ad alta voce, senza essere del tutto cosciente dell'intenzione di estendere quel quesito anche a lui.

Shinichi mi sorrise, come se stesse giusto aspettando che glielo chiedessi. Batté gli occhi placido, come a voler imprimere ulteriore intensità al pensiero che si apprestava a pronunciare: «Perché è da tutta la vita che aspetto di sentirmi così con una donna.»

Non era la risposta che mi aspettavo.

«'Così' come?» incalzai.

Le sue belle dita affusolate tamburellavano sul mio fianco nudo come se dovessero scandire il ritmo del nostro tempo insieme per non rischiare di perderlo, vederlo correre via come se non ci appartenesse. Premonitorio, forse.

«Me stesso» definì infine, con occhi sognanti e lontani oltre il cielo opaco che si intravedeva dall'unico spiraglio aperto delle tendine semifiltranti.

Dovette deluderlo il mio sopracciglio che balzò in alto sulla fronte, scettico, senza che riuscissi a controllarlo.

«Ma cosa vuoi?» si difese, con un sorrisetto nervoso. «Voi occidentali siete molto più spontanei di noi, di default. Io per trovare una ragazza giapponese con cui potermi comportare senza filtri dovrei comprarmi un dakimakura!**»

Scoppiai a ridere a immaginarmelo mentre stringeva con affetto un cuscinone grandezza naturale della sua waifu***, Mikasa Ackerman. Ma la mia fantasia venne interrotta da un cuscino vero che volò nella mia direzione.

Appena lo afferrai e alzai il braccio per rispedirglielo contro, lui mi fermò a mezz'aria e mi fissò, improvvisamente serio, dritto negli occhi. «E io, invece? Perché?» rigirò la domanda, con il tono preoccupato di chi non è certo di voler sentire la risposta. «O era con Yota che volevi andare, quella notte? E io sono stato l'effetto collaterale» ipotizzò, prima di concedermi di poter sciogliere ogni suo dubbio al riguardo.

Scossi con vigore la testa. «No, per niente! Anzi!» mi affrettai a chiarire, quasi oltraggiata da quella terribile insinuazione. «Magari mi scavo la fossa io stessa nel confessartelo, ma ancora non capisco come siamo finiti in tre su quel letto... Io avevo desiderato solo te per tutta la serata.»

La bocca di Shinichi si spalancò in una voragine di stupore, gli occhi luminosi e meravigliati fissi su di me come se gli fossi appena apparsa come la Madonna a un pastorello smarrito.

Immaginai che stesse provando la stessa incredulità di quando lui aveva detto a me che ero io a interessargli, non Celeste. Non doveva essere facile neanche per lui essere il migliore amico di un idol.

«Sei bellissimo» dichiarai candidamente, nel tentativo di metterlo a suo agio con la mia brutale sincerità.

Non saprei dire se fosse il caso di concentrarsi proprio su quello, in quel momento, piuttosto che sulla nostra prima conversazione e sulle sfaccettature di essa che mi erano rimaste dentro fino a mettere radici, però mi uscì dalla bocca prima di poterci ragionare. Innegabile che la sua bellezza fosse stata la prima cosa a colpirmi, battendo sul tempo qualsiasi altra sua caratteristica più profonda emersa successivamente.

Per tutta risposta lui minimizzò, una mano sventolata vicino alla tempia come per scacciare via le mie lusinghe. «Nah! Ho i lineamenti troppo marcati per gli standard giapponesi, il nasone e la pelle troppo scura» elencò, quasi come a ripetere per autoconvincimento le fesserie per cui dovevano averlo bullizzato per anni a scuola.

Negai con un deciso cenno della testa, pur dando voce all'ammissione: «Tutte cose che ti rendono bello ai miei occhi» gli presi le mani tra le mie, «E poi... quando mi hai parlato delle tue origini mi sono sentita capita. Come se vivessimo problematiche opposte così simili da essere l'una l'immagine speculare dell'altra.»

Shinichi ricambiò la stretta, le sue dita si intrecciarono alle mie come maglie indistricabili della stessa fibra. «Cosa ci è venuto a fare un angelo libero come te in questa prigione?» l'intonazione divenne grave, come se fosse sul punto di piangere, anche se i begli occhi anidiriaci erano asciutti e ancora piantati sui miei; mi riflettevano come uno specchio, l'unico capace di restituirmi l'immagine migliore di me. «Non hai nostalgia del tuo caloroso paese sul mare?»

Bella domanda.

Sentire la mancanza di quella che non avevo mai davvero considerato "casa" era una sensazione strana. Sì, è vero, il posto in cui nasci e cresci per decenni della tua vita non può cessare di avere un posticino nel tuo cuore dall'oggi al domani.

Anzi, probabilmente non smetterà mai di averlo.

La lontananza da Napoli, anzi, la faceva sembrare molto più bella, più solare, più attraente nei miei ricordi di quanto non fosse mai stata nella realtà. Lì, nel suo angolino di memoria, poteva addirittura trasformarsi nell'adorabile "mamma" che non era mai stata, quando pensavo che mi tenesse prigioniera come la peggior matrigna delle favole.

«Ci sono delle cose che mi mancano in modo particolare,» confermai, «forse perché so che qui non potrei mai averle ed è troppo lontano "fare un salto a casa" solo per ottenerle.»

Lui rimase in ascolto, la testa inclinata di lato per evidenziare la sua curiosità. Ma io tentai di sottrarmi, intimidita. «Sono per lo più sciocchezze...» sussurrai.

«Spara!» mi incoraggiò, «Sia mai che potresti essere accontentata senza saperlo?»

Feci scorrere gli occhi sul soffitto, quasi fosse un foglio su cui poter stilare una lista veloce di ciò che mi mancava delle mie giornate a Napoli. Sorrisi e mi morsi il labbro quando mi resi conto di quale fosse l'abitudine che mi mancava più di tutte.

«Il cornetto caldo di notte,» sibilai, «tra gli studenti è consuetudine andarsi a prendere i croissant appena sfornati dopo essere stati in disco, o dopo aver studiato tutta la sera.»

Shinichi si accigliò con perplessità. «Credevo che mangiaste i cornetti per colazione, in Italia».

Annuii. «Lo facciamo! Ma questa del cornetto di mezzanotte è un altro tipo di tradizione.»

Un suo indice scivolò morbido sui bordi dell'epidermide del mio ombelico, provocandomi un leggero brivido lungo le gambe, poi lanciò un'occhiata al costoso orologio da polso – che segnava le 00:43 – su quella stessa mano e propose: «Rivestiti allora, c'è una tradizione da onorare qui!»

Non volle darmi altre indicazioni su cosa fosse intenzionato a fare ma, dopo avermi rinfilato il vestito quasi a forza, mi prese la mano e mi guidò per le fitte stradine del suo quartiere.

Mi condusse su un prato dello Shioiri Koen e mi mise giù a sedere di fronte alla vista del fiume Arakawa e della Tokyo Sky Tree, prima di raccomandarsi di non muovermi mentre lui correva verso il Lawson**** sul lato opposto della strada, il cui jingle di benvenuto mi stordì un orecchio anche a distanza.

Quando tornò, un paio di minuti più tardi, stringeva tra le mani due taiyaki***** scaldati al microonde. Mi porse con orgoglio uno dei pesciolini di pastella e sorrise. «Non è molto, lo so! Ma apprezza gli sforzi.»

Il cuore mi si strinse in una morsa troppo acuta per dire o fare nulla che fosse efficace abbastanza nel trasmettere ciò che mi suscitò quell'affettuoso – quanto scemo – tentativo di soppiantare il ben di Dio di una cornetteria partenopea.

Scoppiai a piangere e i singhiozzi mi scossero il petto al punto che, quando finalmente agganciai il primo morso, la frittella si era ormai raffreddata.

Feci scorrere lo sguardo lontano fino al profilo dritto dell'antenna più alta del mondo, tutta illuminata di piccoli pois blu, e cercai di immaginare che fosse il Vesuvio.

Ma non mi riuscì.

La sua luce turchese si mangiava la notte tutta intorno, spegnendo le stelle sopra Tokyo così che non vi fosse competizione possibile. La sua bellezza finta mi deluse.

«Non sarà mai la stessa cosa» balbettai, e deglutii come se dovessi mandar giù a forza quell'amara constatazione come un boccone indigesto. «Ma l'ho deciso io di stare qui. Questo posto non è ancora nulla più di un agognato Paese delle meraviglie, per adesso; ma so che il mio futuro è qui, e per il mondo.»

Shinichi si strinse nelle spalle e rivelò: «Io invece me ne voglio andare. Ho ricevuto delle proposte lavorative che sto valutando di accettare, a Milano o Copenhagen.»

Rimasi di sasso.

Non perché fossi sorpresa che volesse andarsene, ma perché accusai subito la paura della perdita e dell'abbandono.

Dissimulai: «Dobbiamo trovarti un bel nomignolo italiano allora, così evitiamo da principio che la gente stupri la pronuncia del tuo povero nome!» stirai un sorriso, per scacciare la tristezza che mi aveva scaricato addosso la possibilità che potesse andarsene a vivere dall'altra parte del mondo. Quel lato a cui, in teoria, appartenevo io.

Il suo viso esplose in una espressione di gioia e impazienza, come un bambino che stava per ricevere un regalo tanto atteso. «Magari! Cosa mi consigli?»

Decisi di allontanare i brutti pensieri e stare al gioco. Mi portai un dito a picchiettare sulle labbra per darmi un tono da fine pensatrice. «Uhm... A Napoli creiamo i vezzeggiativi a partire dalla desinenza del nome,» illustrai, «e la sillaba finale del tuo nome si leggerebbe "ki" e non "ci".»

L'ovale della sua bocca emise un "Ohhh" ammirato, incredibilmente nipponico. «'Niki' suona semplice da pronunciare e da ricordare per un italiano!» annunciai. «Anche se alla fine penseranno tutti che ti chiami Nicola.»

Ridemmo di gusto.

Mi circondò le spalle con un braccio e mi strinse a sé per poggiarmi un bacio delicato tra i capelli. «Da oggi chiamami Niki, allora.»

«Sempre meglio di Shin-chan******, uh?» lo presi in giro. Ci avrei scommesso che era da tutta la vita che lo canzonavano in quel modo.

Lui confermò con una smorfia avvilita.

Ma poi tornò a sorridere.

* Il futon è il tipo di letto tradizionale giapponese, una sorta di sacco a pelo con un materassino molto sottile che può essere arrotolato e riposto negli armadi quando non lo si usa (in questo modo si guadagna molto spazio nelle piccole abitazioni nipponiche!).

** I dakimakura sono dei grossi cuscini su cui sono stampate le fattezze di personaggi di serie animate a grandezza naturale. Sono famose le storie di alcuni nerd un po' fuori di testa che hanno finito con l'"innamorarsi" del cuscino del proprio personaggio preferito fino a sposarselo.

*** "Waifu" è un termine storpiatura di "wife", moglie in inglese. Si usa per indicare il proprio personaggio femminile preferito (in questo caso, Mikasa della serie "Attack on Titan").

**** Lawson è una famosa catena di "conbini" (convenience store, minimarket aperti 24/7), piuttosto capillare in tutto il Giappone. Brand concorrenti sono anche Family Mart e 7 Eleven, già nominati in capitoli precedenti.

***** I taiyaki sono dei dolcetti di pastella tipici della tradizione asiatica. Sono fondamentalmente simili a dei pancakes ma hanno una caratteristica forma di pesce e sono spesso ripieni di crema per tutti i gusti (di fagioli rossi, cioccolata, fragole, ecc). L'immagine in copertina ne è un esempio!

****** Shin-chan è il protagonista di uno storico cartone animato per bambini che narra le disavventure di quest'ultimo, un ragazzino abbastanza bruttino e poco sveglio.


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