3. Perfect Blue
Giugno 2017
Quella stessa notte, mentre mi rigiravo nel letto cercando di togliermi dalla testa i sorrisi dipinti dalle belle labbra carnose di Shinichi – dopo aver mandato la buonanotte al mio ragazzo – lo sguardo mi si inchiodò su un post di Filippo, l'ex impiegato di mio nonno, su Instagram.
Era lo screenshot di una scena di Perfect Blue* in cui la protagonista viene rimproverata dall'immagine di sé stessa riflessa sullo schermo di un computer.
Eccone un altro per cui avevo perso il sonno al pensiero delle sue labbra...
Scossi violentemente la testa e mi piantai un cuscino in faccia, quasi nel tentativo – disperato quanto inutile – di sedare i bollenti spiriti e la mia testa di merda.
Non era successo nulla tra me e Filippo; lui era appena uscito dal liceo quando ci eravamo incontrati, e non l'avrei di certo mai più rivisto ora che non lavorava più al nostro bar.
Però era stato uno dei motivi scatenanti della mia prima, vera, grossa "crisi".
Di solito ci va una specificazione dopo la parola "crisi", ma insomma... non saprei dire che tipo di crisi fosse.
D'identità? D'isteria? Di panico?
Ciò che mi aveva mandato in tilt fu innanzitutto il rendermi conto che il mio senso di appartenenza mancante non fosse relativo solo ai miei luoghi natali, ma anche alle persone.
Amavo da morire Riccardo; l'avevo amato dal primo momento che l'avevo visto reggere una scintillante bottiglia di Heineken fuori al Kestè mentre scherzava coi suoi compagni dell'aviazione.
Riccardo era tutto: bellissimo, dolcissimo, intelligentissimo, dedicatissimo. Ciononostante, forse neanche lui era "casa" per me – e non lo sarebbe mai stato? – proprio come Pozzuoli.
Mi accorsi di punto in bianco che Celeste non stava più ronfando di fianco a me sul letto solo quando mi alzai per andare a prendere un bicchiere d'acqua in cucina, con la speranza che servisse a lavare via quel reflusso di coscienza indesiderato.
La trovai a stringere con forza una caffettiera appena riempita che si apprestava a mettere sul fuoco.
«Cece» biascicai, «questa settimana hai provini tutti i giorni, dovresti riposare.»
Lei si gettò sul divano come se avesse la ferma convinzione che fossero le braccia di Morfeo. Ma fu accolta solo dal triste rumore metallico della brandina nascosta sotto ai cuscini poco imbottiti.
«E tu?» scacciò via le mie raccomandazioni con sufficienza, rigirandomi la domanda.
Mi appoggiai al cucinino e piantai lo sguardo sulla mattonella più prossima al mio piede come se non l'avessi mai vista prima. «Ti ricordi quando Claudio ti ha tradita?»
Brutta domanda, così a bruciapelo. Mi rendo conto.
Cece schiantò una mano sull'altra, lo schioppo risuonò in tutto il monolocale. «E come, non me lo ricordo?!» si morse il labbro con disgusto, gli occhi insonni rinvigoriti dal risentimento. «Quel rotto in culo!»
«Vabbè, lascia perdere che lui si è scoperto gay...» alzai le spalle per glissare, evitando anche solo di provare a sedare la sua furia di ritorno al vago pensiero di quell'episodio. «Quello che mi chiedo è: tu, invece, non hai mai pensato di tradire la persona con cui stavi?»
L'espressione di ribrezzo sul suo volto si cristallizzò in pieghe ancora più profonde. Fece per aprire la bocca, probabilmente per urlarmi appresso, ma battei la sua imminente reazione scomposta sul tempo.
«Aspè, anzi, mi spiego meglio!» mi affrettai ad aggiungere, «Non hai mai pensato di poterti innamorare di qualcuno mentre sei già innamorata di qualcun altro?».
Sì, quello era un modo molto più preciso di definire ciò che intendevo.
Ciononostante, lei continuò a fissarmi con le sopracciglia inarcate come se avessi proferito un'eresia.
«Mica stai ancora pensando a quel ragazzino del bar?» si informò con tono severo.
«No!» esclamai, con troppa veemenza per essere credibile, «Anzi, non esattamente. Il punto è che mi sono sentita come mi aveva fatto sentire quel barista anche stasera, quando ho parlato con il fotografo amico di Yota.»
Non volevo ripetere il suo nome ad alta voce. Speravo che, così facendo, la sua presenza sarebbe sembrata più di passaggio nella mia vita. In fondo, quando mai l'avrei rivisto? Potevo scegliere di evitare accuratamente di rincontrarlo.
Un suo sopracciglio rimase sospeso a metà fronte, quasi con scetticismo. «Cosa? E perché mai?»
Assunsi la sua stessa espressione nel constatare che per lei fosse un sentimento così assurdo, quello che mi aveva suscitato quel ragazzo. «Come 'perché'? Non ti sei accorta di quanto cazzo è bello?»
Lo sbalordimento la spinse a balzare in piedi, sbattendo i piedi nudi sulla moquette dell'angolo living. «Assolutamente no!» asserì. «Cioè... è solo un fotografo, dopotutto.»
Da quando era diventata una modella che frequentava solo idol e celebrità rifatte, i suoi standard si erano proiettati anni luce oltre il sistema solare e la ragionevolezza.
Scossi la testa per scacciare quelle chiacchiere inutili e spostai via la moka piena di caffè fumante dal piano cottura. «Vabbè, non ha importanza quanto sia bello. Hai capito che non è quello il punto.»
Celeste tirò un profondo sospiro mentre andava a recuperare le tazzine dalla credenza. Ne riempì due e annusò l'aroma con un po' di delusione, forse si era bruciato per pochi secondi di troppo ritardati dalla nostra discussione.
Il suo silenzio iniziò a pesarmi addosso come un macigno.
Ogni volta che – quelle poche occasioni in cui trovavo il coraggio di espormi – affrontavamo quello specifico argomento di conversazione, mi liquidava come se fossi pazza o minimizzava adducendo spiegazioni pseudo-logiche a situazioni per loro natura illogiche.
«Pensi che io sia una troia per questo?» mischiai quelle parole a una serie di colpi di tosse, quasi come a nascondere quel dubbio dentro a rumori altrettanto molesti.
Lei buttò giù il caffè bollente come se fosse uno shot, poi finalmente tornò a guardarmi negli occhi. «Io penso che la cosa che mi ha fatto incazzare di più quando Claudio mi ha messo le corna è stato il suo non essere sincero con me» confidò, ogni sillaba pronunciata come se rotolasse fuori dalla sua lingua dura come il cemento armato. «Se mi avesse detto di essere gay prima di scoparsi Lorenzo Balocchi dentro ai bagni di Corigliano**, probabilmente saremmo ancora amici, almeno».
Non aveva risposto alla mia domanda.
Non che mi aspettassi chissà cosa, avevo inteso già da tempo che tra ragazze è sempre troppo difficile e doloroso sviscerare il modo in cui veniamo socializzate.
E poi non avrei neanche saputo dire che genere di risposta mi sarebbe piaciuto ricevere.
"Ma no, Chiaretta, mica sei una puttana solo perché hai pulsioni sessuali per chiunque respiri", ecco, doveva aver pensato una roba simile di sicuro. Ma l'aveva tenuta per sé perché ero ancora sua amica.
Si sa che, appena si tocca il tema "sessualità femminile", la gente inizia a pensare che non sapresti tenere le gambe chiuse neanche di fronte a un cane. A quanto pare non ci si può più permettere di essere selettivi quando la società inizia a etichettarti come "promiscuo", qualsiasi cosa significhi nella loro testa.
Eppure io non mi sentivo in quel modo.
Ma non avrei neanche saputo descrivere cosa provassi davvero, né a parole né in qualsiasi altra maniera.
Un'altra occasione persa per ragionarci meglio sopra. Per farmi aiutare a capirmi.
Riccardo tornò a trovarmi quello stesso weekend. Stava diventando un'abitudine estremamente tenera quella di andare a prenderlo alla stazione di Shinjuku, trovarlo all'angolo delle biglietterie automatiche, raggiante nella sua bella divisa blu notte, andare in giro per gli izakaya*** del quartiere in serata per poi finire a fare l'amore con passione brilla, lenta e trascinata sul comodo letto del suo albergo a Ikebukuro.
Forse Riccardo non era del tutto "casa", termine il cui significato era comunque troppo sfuggente per il mio comprendonio, ma di certo era "sicurezza".
Accanto a lui mi sentivo invincibile. Anzi, al suo fianco potevo risplendere come una di quelle belle porcellane giapponesi riparate con la tecnica del Kintsugi:**** lui era l'oro colato dentro alle mie crepe, il risanatore di qualsiasi rottura, il dettaglio che completa e impreziosisce un prodotto fallito altrimenti da cestinare.
Lui era comunque l'unico "punto fermo" che la vita mi aveva dato a cui non sarei mai riuscita a rinunciare.
«Hai i capelli più lisci da quando stai qui?» notò, mentre me li accarezzava con dolcezza spingendo le dita su e giù per la mia schiena nuda.
Risi. «Dici che sto compiendo una metamorfosi giapponese? Diventeranno anche neri, prima o poi?»
Lui sogghignò e si smosse il suo, di ciuffo nero, che era colato sopra alla fronte sudaticcia, risultato della mirabile prestazione.
Incrociai i suoi begli occhi screziati e gli passai un dito sulle labbra sode. «Mi manchi sempre tantissimo, sai?»
Parve ricordarsi di qualcosa all'improvviso e si catapultò fuori dal letto con uno scatto per andare a rovistare dentro al suo zaino. Quando trovò quello che cercava, tornò da me porgendomi un depliant bianco e azzurro pieno di grafiche di nuvole e sorrisi.
«Un mio collega di base a Tokyo mi ha detto che questa compagnia sta assumendo hostess» annunciò. «Non essendo la mia non posso raccomandarti, ma lui potrebbe farmi il favore.»
Mi scrutò mentre mi rigiravo il volantino tra le mani, ornato da titoloni entusiasti che promettevano mari e monti.
«Ti interesserebbe?»
L'assistente di volo è uno dei lavori più duri del settore servizi. Ma anche il più altamente qualificato e tenuto in gran considerazione da chi cerca professionisti nel campo della gestione e cura del cliente. Requisiti necessari per far carriera in un ruolo simile: tanta pazienza, magari anche insonnia, conoscere tante lingue, essere possibilmente non sposati e non legati a nulla e nessun posto.
In pratica il mio identikit.
In effetti, qual miglior mestiere per una vagabonda senza patria e senza appartenenza?
* "Perfect Blue" è un thriller psicologico d'animazione firmato da Satoshi Kon e uscito nel 1998. Racconta le crisi d'identità sofferte da una giovane cantante all'apice della sua carriera nel mondo dello spettacolo (...ai lettori di "Hearteteca" ricorderà qualcuno! 👀 Non è certo un caso che Filippo abbia postato qualcosa su questo film sul suo Instagram, specie considerato che il 1998 è anche il suo anno di nascita!).
** Palazzo Corigliano è una delle sedi storiche dell'Università l'Orientale di Napoli.
*** Gli Izakaya sono dei baretti tipici giapponesi in cui di solito si va a bere alcol afterwork.
**** Come spiega Anna, il Kintsugi è l'antica arte giapponese di riparare le pregiate porcellane rotte incollandone i pezzi con l'oro.
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