4. La Città di Confine

Mya continuò a correre, nel buio, senza concedersi un istante di tregua. Se si fosse fermata, i pensieri che l'inseguivano l'avrebbero travolta, trascinata così in basso che non sarebbe più riuscita a risalire. Si concentrava solo sul dolore che le trafiggeva i muscoli a ogni movimento, sul tonfo smorzato dei suoi passi frenetici sul suolo del bosco, sui rami degli alberi che comparivano qua e là e la frustavano.

L'aria le strappava le lacrime dalle guance, il cuore le esplodeva nel petto mentre cercava di mettere più distanza possibile tra lei e quella che era stata la sua casa.

Si fermò solo quando era ormai l'alba, stremata dalla lunga fuga. Si lasciò cadere a terra, tremando e respirando disperatamente. Si addormentò all'istante, raggomitolata come quando era bambina, con le lacrime che continuano a scendere e rigarle il viso stanco.


***


Ti stanno cercando.

La voce era tornata. Mya sussultò. Era sicura di conoscerla, doveva assolutamente ricordare chi era.

È l'Usurpatore. Ti vuole. Non ti deve trovare.

La ragazza faticava a distinguere il luogo in cui si trovava. Sembrava una stretta strada sporca, incuneata tra edifici alti un paio di piani, squallidi. Il cielo era coperto da nuvole pesanti, e la luna non c'era. Tutto era tenebra.

Torna ad Antya. Cerca Sarren, nella zona ovest del quartiere dei vicoli.

Mya si vide bussare a una porta. Si sentì un movimento dall'interno.

Lui ti aiuterà. Ma devi sbrigarti, o ti prenderanno.

La porta si aprì su un'oscurità totale e impenetrabile. La ragazza fece un passo indietro, terrorizzata. Ma quello strano buio, denso, appiccicoso la afferrò e la trascinò con se.


***


Erano ormai quattro giorni che Mya scappava. Era andata in direzione sud ovest, uscendo dalla valle, ma ora avrebbe deviato verso sud. Aveva imparato a sue spese che doveva fidarsi di quella voce. A causa sua probabilmente la sua famiglia era morta, il suo villaggio raso al suolo o bruciato. E tutto perché non aveva voluto andarsene.

Era un disastro.

Mearth e Alya erano stati così buoni ad accoglierla malgrado tutto... e lei per ringraziarli era stata così egoista da non voler andare via, e aveva messo in pericolo la loro vita. Si odiava per questo.

A volte si chiedeva cosa sarebbe successo se Jahrien non l'avesse salvata da Antya. Probabilmente sarebbe morta durante il lungo assedio combattuto tra l'Usurpatore e l'Esercito Libero – ne aveva sentite, di storie su quella battaglia, infine vinta faticosamente da Thral e gli alleati; la più sanguinosa dell'intera guerra, dicevano.


Jahrien. Chissà dov'era, cosa stava facendo.

Lo sapeva che era una stupida, ma non poteva fare a meno di pensare a lui. Chissà se l'avrebbe mai incontrato di nuovo, chissà se le loro strade si sarebbero incrociate. Erano pensieri infantili, ne era consapevole. Però non poteva impedire loro di entrarle con prepotenza nella mente e perseguitarla mentre camminava attraverso le colline di Amikar, diretta verso Antya.


***


Con mezzo esercito imperiale che le stava dando la caccia, supponeva che entrare innocentemente dalla porta principale non fosse una grande idea.

Aveva visto per la prima volta una prova dei suoi sospetti pochi giorni dopo essere scappata da Tadun, quando si era imbattuta in un villaggio ed era stata costretta a deviare dal suo percorso.

Al bivio per arrivare al piccolo paese incuneato tra due colline aveva notato una tavola di legno appesa sbilenca al ramo più basso di un grande albero ancora spoglio. Si era avvicinata, incuriosita, per sbirciare le pergamene rovinate che c'erano inchiodate.

E lì, in bella vista, appena sbiadito dal sole ma lo stesso fin troppo riconoscibile c'era un disegno di un ragazzo giovane, sui sedici anni, che spiava il mondo da sotto i suoi ricci disordinati. Ma la cosa che Mya aveva trovato terrorizzante e che l'aveva confusa non poco era che quello disegnato lì, se non fosse stato un ragazzo, sarebbe stato praticamente identico a lei: stessi capelli scompigliati, stessi occhi troppo grandi, stessi lineamenti sottili.

"Myrindar, diciassette anni. Consegnare vivo alle truppe grigie. Taglia: 50 corone d'oro."

Così diceva la scritta sotto il disegno.

Mya era scappata via, inorridita. Non sapeva perché la cercassero... e sapeva ancora meno perché pensassero che era un ragazzo. Ma non aveva nessuna intenzione di correggerli sulla sua identità; le parole della voce misteriosa che entrava nei suoi sogni rimbombavano continuamente nella sua testa.

Aveva evitato di pensare alla taglia sulla sua testa – cinquanta corone d'oro?! Era un'assurdità – ed era semplicemente andata avanti, sempre verso sud, verso Antya, sperando che nessuno la vedesse e la riconoscesse. Si era tenuta lontana dalle strade, tagliando per le colline. Aveva superato il fiume Shaali una settimana dopo essere partita, ed era entrata nel regno di Thral, anche se ci era mancato poco che una pattuglia di soldati la catturasse al confine. Ma in fondo Mya aveva vissuto per dodici anni tra i vicoli di Antya, tra ladri, tagliagole e loschi figuri di tutti i generi, sapeva badare a se stessa.

Infatti era andato tutto per il meglio, e ora che era arrivata ad Antya, due settimane da quando era scappata da casa, doveva affrontare un problema ben peggiore della pioggia incessante o delle pattuglie sparse per la campagna.

La Città di Confine era completamente racchiusa in una cinta di mura alte quattro metri, interrotte da quattro grosse torri quadrate in corrispondenza dei punti cardinali, e altre più piccole torrette di guardia tra esse. Erano le leggendarie mura che le avevano garantito la fama di città imprendibile, fama che nemmeno l'Usurpatore era stato capace di infrangere.

E lei non poteva certo entrare sotto lo sguardo dei soldati imperiali di guardia alle porte.


***


Era quasi mezzanotte. Doveva andare.

Mya raccolse le sue poche cose, si preparò con l'arco a tracolla e la faretra carica allacciata alla cintura. Spostò il pugnale dal nascondiglio nello stivale alla cintura, in una posizione da cui sarebbe riuscita a estrarlo più in fretta, e si allacciò il mantello nero con l'ampio cappuccio.

Si strinse il corsetto, per tentare di evidenziare seno e fianchi che praticamente non aveva. Le guardie cercavano un ragazzo: per l'ennesima volta, Mya maledisse quel suo corpo così dannatamente sottile che la faceva passare per una bambina. Avrebbe tanto voluto essere un po' più femminile, come le ragazze che aveva visto a Tadun. In quel caso le avrebbe fornito un'ulteriore sicurezza.

Stava per avviarsi quando improvvisamente le venne un'idea.

Sciolse la lunghissima treccia di capelli neri e li pettinò con le mani. Le arrivavano oltre i fianchi, in morbide onde corvine che riflettevano debolmente la luce della luna. Erano bellissimi. Prima di pentirsene, estrasse il pugnale.

Cinque minuti dopo, la ragazza si avviava furtiva ma decisa verso Antya, con i ricci che le scendevano disordinati fino a sfiorarle il collo, e insieme alle ciocche tagliate, lasciava dietro di sé, e per sempre, la sua vita normale.

Mya era morta, così come era morta la sua illusione dorata di poter vivere come una ragazza qualsiasi in un paese tra le montagne.

Era tornata la ragazza delle strade, l'ombra tra le ombre.

Era tornata Myrindar.


***


Il passaggio era stretto e opprimente, doveva procedere su mani e ginocchia e lo stesso la schiena grattava dolorosamente sul soffitto irregolare, nei punti dove il cunicolo si stringeva.

Crescere nel quartiere dei vicoli le era stato utile. Conosceva quel passaggio sotterraneo da tantissimo tempo, gliel'aveva mostrato un vecchio che viveva nella zona sud, e le era venuto in mente subito quando aveva visto le guardie alla porta. Aveva impiegato quasi un'ora per ritrovarlo tra le baracche dei quartieri esterni alla cinta, ma era certa che sarebbe uscita da una botola tra due catapecchie al limite della zona sud. Dentro le mura di Antya.

La Città di Confine era antichissima, e questo comportava più segreti di quanti si potessero immaginare. Solo chi era vissuto tra le sue ombre e i suoi sotterranei poteva sperare di conoscerne almeno un po'.

Antya, Città di Confine, Baluardo dell'Ovest, sapeva essere generosa con i suoi figli quanto era spietata con i suoi nemici.

La ragazza emerse come previsto in un vicolo sporco e deserto. L'odore di terra, polvere, rifiuti la riportò a cinque anni prima, e le fece vorticare la testa mentre i ricordi sembravano infuriare nella sua mente. Si sedette a terra, ammirando le incisioni devastate sul muro ormai grigio della casa che aveva di fronte e le pietre sbeccate del selciato, e malgrado la situazione sorrise. Era a casa.

Non doveva sforzarsi per camminare silenziosa e furtiva, le veniva naturale, ormai. Era tesa a cogliere ogni singolo dettaglio, ogni rumore oltre al mantello che frusciava dietro di lei mentre si dirigeva verso la sua destinazione, la zona ovest dei bassifondi.

Per questo non si stupì affatto quando l'uomo ammantato che le veniva incontro dall'altra parte del vicolo le bloccò la strada e quasi contemporaneamente qualcuno fece per afferrarla da dietro.

Myrindar si abbassò di scatto, affondò un gomito nello stomaco di quello dietro di lei, ruotò in fretta su se stessa e fece perdere l'equilibrio all'uomo davanti a lei con un calcio basso sulle caviglie.

Si rialzò e sguainò il pugnale, schivò un coltello lanciato da un terzo uomo da qualche parte dietro di lei e si infilò in un vicolo, seguita da un'altra lama che si conficcò nella parete a pochi centimetri dal suo braccio. Divelse il pugnale con la mano libera e lo lanciò fulminea mentre riemergeva dall'ombra, vide il bagliore del metallo volare in aria e colpire quello che l'aveva lanciato, che era uscito allo scoperto. L'uomo cadde all'indietro con un grido.

Il primo che aveva colpito le si scaraventò addosso urlando. Myrindar non fece in tempo a sollevare il pugnale per difendersi. L'uomo fece per afferrarle il collo, ma bastò che le sfiorasse la pelle con le mani nude e la maledizione lo colpì. La ragazza sentì il marchio sul suo petto bruciare dolorosamente, e gridò mentre l'energia vitale dell'uomo si riversava dentro di lei. L'assalitore si afflosciò al suolo senza un rumore, e Myrindar arretrò, terrorizzata.

La maledizione aveva rubato un'altra vita. Anche se era la vita di un maledetto ladro dei vicoli, si sentiva morta lo stesso. La magia turbinava nelle sue vene ringhiando.

Represse le lacrime. Non era il momento.

Rincorse l'ultimo assalitore, che stava scappando di corsa. Lo afferrò per il mantello e lo strattonò. Lo sbatté contro un muro, puntandogli il coltello alla gola.

«Ma guarda un po'» la derise quello, il fiato corto. «Adesso posso dire di averle viste tutte. Una bambina che fa a pezzi i miei uomini! Non sono cose che capitano tutti i giorni.»

Il cappuccio le era sceso sulle spalle, e se n'era accorta solo ora. Dannazione.

«Chiudi il becco, verme. Dimmi dove trovo Sarren e potrei anche pensare di risparmiarti» ringhiò.

Perché doveva avere quella stramaledetta vocina sottile? Non sarebbe mai riuscita a minacciare decentemente qualcuno. Infatti il ladro non la prese sul serio, e cominciò a sghignazzare.

«Oh, che paura. Sto tremando! Se fossi un po' più grande potrei anche dirtelo, in cambio di qualcosa, ovviamente... ma così, a portarti a letto non mi divertirei neanche. Torna tra le sottane della mamma, bimba, e smettila di giocare nei vicoli, che sono pericolosi!» aggiunse, scoppiando a ridere.

La rabbia le esplose dentro. Aveva una voglia assurda di ucciderlo, lì, in quel momento. Sarebbe stato facile, bastava spingere un po' più in là la lama del pugnale. La maledizione sembrava esultare. Strinse gli occhi per trattenerla. Era sempre così quando rubava una vita: poi ne voleva ancora, e ancora.

«Non so se hai visto» La voce le tremava dalla furia repressa e dallo sforzo, «come ho ucciso il tuo compare, prima. Mi è bastato toccarlo. Pensi che avrei problemi a dissanguare un verme come te?»

Fingeva una sicurezza che non provava, ma questo lui non lo sapeva.

«La casa con la striscia di decorazioni azzurre di fronte al pozzo, davanti alla piazza a due isolati da qui» capitolò infine.

Myrindar allontanò il pugnale dalla sua gola, e il ladro si rilassò appena. Poi la ragazza rigirò l'arma in mano e lo colpì forte in testa con il pomolo dell'elsa. L'uomo svenne. Myrindar si immerse nelle ombre.


***


Trovò la casa in questione dopo almeno mezz'ora di vagabondaggi a vuoto. Lungo la strada incrociò ladri silenziosi come fantasmi, bambini vestiti di stracci, prostitute seminude con il trucco colato... nessuno fece troppo caso a lei, che camminava furtiva avvolta nel mantello, da cui a ogni passo compariva la sagoma riconoscibile del pugnale.

Quella era la vita nei vicoli del Baluardo dell'Ovest. Era da lì che Myrindar proveniva, era quello il suo posto. Non le casette di legno e pietra rosa di Tadun, non le scale che continuavano a salire e scendere, ma le catapecchie bruciate e abbandonate, e i vicoli sporchi pieni dei segreti della notte. Lei apparteneva a quel luogo, a quella città.

La casa di Sarren si trovava nell'ombra di un altro edificio più alto, tanto che Myrindar ci passò davanti due volte prima di notare i fregi azzurri disegnati sopra le finestre. Quando infine si rese conto che era arrivata, era già quasi l'alba.

La ragazza bussò alla porta, cauta. Aspettò qualche minuto.

Nessuno rispose.

Provò a bussare un po' più forte.

Non provennero rumori dall'interno della casa.

Sarren doveva essersene andato. Probabilmente era scappato, aveva trovato un'altra dimora. Succedeva spesso, nei vicoli. In genere le guardie cittadine non venivano a ficcare il naso nei bassifondi... ma se quell'uomo avrebbe dovuto farla scappare dall'Usurpatore, quasi sicuramente era un fuorilegge, e non era difficile immaginare che si fosse messo nei guai.

Però era un problema: il sole era quasi del tutto sorto, e Myrindar avrebbe dovuto aspettare la notte seguente per uscire. Con la luce chiunque poteva notare chi era.

Decise in fretta. Estrasse dalla tasca un ferro ritorto che aveva preso a uno dei ladri che l'avevano assalita e cominciò a lavorare sulla serratura. In pochi minuti era dentro.

L'interno era grigio, polveroso. Sarren doveva essere scappato da parecchio tempo. I mobili erano spaccati, frammenti disseminati ovunque, come se qualcuno avesse frugato poco delicatamente l'intera casa per cercare qualcosa. Myrindar si raggomitolò dietro l'anta di un armadio distrutto, tossì polvere e si concesse finalmente di riposare.


***


Era esausta. Così stanca che, circa quattro ore dopo, era ancora immersa in un sonno profondo.

E non si accorse dei passi finché non fu troppo tardi.

Erano in quattro. Quattro soldati che tentavano invano di essere silenziosi. Myrindar si svegliò di soprassalto solo quando uno di loro sfondò la porta.

La ragazza scattò immediatamente in piedi, correndo verso la finestra più vicina. Spalancò imposte e vetri con violenza e si tuffò fuori.

Il dolore esplose all'improvviso. La ragazza perse l'equilibrio e cadde malamente a terra.

Stelline nere danzavano davanti ai suoi occhi e la spalla gridava di un dolore infuocato.

Abbassò gli occhi, disorientata, stranamente annebbiata e incapace di pensare.

L'asta di un quadrello di balestra sporgeva dal suo braccio in una macchia di sangue scarlatto che continuava a ingrandirsi.

Improvvisamente la ragazza si trovò a pochi centimetri dal terreno, senza sapere come. La fitta alla testa venne qualche istante dopo, in ritardo. Tentò di muoversi, ma scoprì che non ci riusciva.

E poi il buio si richiuse su di lei, e tutto si spense.


*********


Ciau a tutti :3

Questo finale lascia molte domande in sospeso... però intanto c'è stata un po' d'azione, finalmente, e si è visto un altro lato di Myrindar. Che ne pensate di questo suo aspetto? Cosa credete che accadrà?

Fatemelo sapere con un commento, e se vi è piaciuto votate! Su, su u.u

~ Vy

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