32. Consiglio di guerra

Alshain spuntò dall'ingresso del suo padiglione e l'accolse con un'occhiata cupa.

«Cos'è questa faccenda che devo rispondere delle tue azioni a Faruad?» chiese, fissandola in tralice mentre oltrepassava le sentinelle e lo seguiva all'interno della tenda di comando.

«La mia fama mi precede, sembra» sputò lei, ancora alterata dalla discussione.

Il generale le rivolse uno sguardo di ghiaccio. «Questa guerra è già abbastanza complicata senza che gli Elfi pretendano la tua testa.»

Myrindar sospirò. «Hai ragione, mi dispiace. È che... ho lasciato Keeryahel in balia di quelle persone e ora suo padre, che non si è mai preoccupato di lei se non per usarla come motivo di vanto tra i suoi pari, mi accusa di non essermi impegnata abbastanza per tirarla fuori da là?»

«Lo so, Myrindar, ma dobbiamo scendere a compromessi con gli Elfi, o non sconfiggeremo Uthrag.»

Lei annuì. Maledisse la tensione che la attanagliava: in un'altra occasione non si sarebbe lasciata andare in questo modo.

All'interno del padiglione del generale, quello stesso nervosismo sembrava decuplicato, la giovane poteva quasi sentirne l'odore. Al suo ingresso, le animate discussioni di cui aveva sentito stralci fin da fuori si erano spente. Sei paia d'occhi si erano fissati su di lei, mettendola a disagio.

Alshain le indicò uno sgabello accanto al grande tavolo ingombro di pergamene, appunti e dati di tutti i tipi che occupava buona parte del padiglione, e lei si sedette senza fiatare. Il generale la presentò ai presenti come l'Aleestrya, e lei sfruttò quei secondi per esaminare le persone sedute al suo stesso tavolo.

Oltre ad Alshain, conosceva solo altri due uomini: uno era Tarazed, che nonostante l'apparenza calma doveva essere furioso, a giudicare da come socchiudeva l'unico occhio; l'altro, seduto accanto a lui, era il suo secondo, Bessar, il quale era stato Maestro dell'Ordine dei Cavalieri Erranti dopo che Tarazed aveva fatto credere di essere morto e aveva nuovamente ceduto il posto a quest'ultimo quando era tornato dalle Isole; sarebbe stato Bessar a condurre i Cavalieri in battaglia, dato che Tarazed, senza un occhio, non era più in grado di combattere. Era un uomo imponente, sui trent'anni, dalla pelle color ambra, chiaro indizio delle sue origini dai Regni dell'Est, e una lunga treccia di capelli ramati. Bessar, a differenza del suo superiore, non faceva il minimo tentativo di nascondere il suo disappunto, che traspariva dalle braccia incrociate e dalla mascella contratta.

Di fronte a loro stavano i due generali elfi. Myrindar li conosceva solo di nome: Jadaran, l'Elfo dai lunghi capelli rossi abbigliato con una tunica viola, la fronte ornata dal diadema al cui centro era incastonata una pietra opalescente, era a capo dei reparti di maghi; Talja, invece, era la comandante dell'esercito e Myrindar la trovava inquietante, con la testa calva e gli occhi color argento circondati da tatuaggi di guerra che scendevano in due spirali lungo gli zigomi.

Seduto accanto alla ragazza stava Nemanar, furioso come non l'aveva mai visto. Il capo dei mercenari – un giovane alto, dal fisico nervoso, i capelli acconciati in una miriade di treccine e impiastricciati di tintura violacea – sembrava sul punto di scattare in piedi e sguainare lo spadone che teneva allacciato alla cintura. I suoi occhi mandavano saette.

L'unico che non pareva essere affetto dall'aria di tempesta che permeava il consiglio era un ragazzo – o una ragazza? Myrindar non lo capiva – che doveva essere poco più grande di lei e aveva un aspetto curioso, tanto che la giovane dovette sforzarsi per non fissarlo. Era minuto, smilzo, e l'impressione era accentuata dal fatto che sedeva tra le due incombenti figure di Talja e Nemanar. Malgrado non facesse affatto caldo, indossava soltanto una tunica di lino grezzo, color panna, che lasciava scoperte le spalle e le braccia appesantite da una moltitudine di bracciali di cuoio intrecciato, pietre dure e bronzo. Aveva la pelle olivastra e il viso triangolare, sfuggente, sormontato da una massa di fitti ricci castano chiaro, a stento trattenuti da una fascia di stoffa, che si riversavano sulle sue spalle magre e gli facevano guadagnare una spanna in altezza. Appariva perfettamente rilassato, la schiena posata sullo schienale della sedia, gli occhi dall'iride color nocciola che scivolavano su ciascuno dei presenti mentre le dita sottili intrecciavano agilmente alcune striscie di cuoio tra di loro.

Doveva essere il capitano dei Selvaggi, concluse Myrindar. Aveva sentito del loro arrivo al campo pochi giorni prima. La giovane non aveva mai visto uno degli uomini di Ashihntra prima di quel giorno, ma conosceva di fama uno dei più grandi segreti del loro popolo: l'ajamala, una polvere nera che solo i migliori tra i loro alchimisti sapevano produrre, e che si raccontava potesse incendiare qualsiasi cosa.

«Ora che è qui anche l'Aleestrya possiamo continuare da dove eravamo rimasti.» La voce di Alshain la riportò alla realtà.

«Non c'è molto da dire» replicò duramente Bessar. «Non manderò i miei uomini al macello in uno scontro frontale.»

«Non vedo cos'altro potremmo fare» ringhiò Nemanar. «L'unico modo che abbiamo è entrare in città. Non possiamo reggere un assedio a lungo, tra poco sarà inverno!»

«Manteniamo la calma» intervenne in quel momento Jadaran. «Nemanar ha ragione. Un assedio è fuori discussione, dobbiamo prendere la città prima dell'inverno. Dobbiamo entrare in città.»

Tarazed scosse la testa. «Non se ne parla. Non siamo tanti più di loro, non possiamo permetterci così tante perdite per entrare; loro hanno il vantaggio di conoscere molto meglio di noi il terreno e chissà quali trappole sta piazzando l'Ynahar.»

«E cosa suggeriresti, dunque?» ribatté lo Stratega elfo. Anche lui cominciava a perdere la pazienza. «Credi forse che usciranno, ben sapendo che sarebbero in inferiorità numerica e tattica?»

«Nell'ultima battaglia la nostra cavalleria gliele ha date di santa ragione, Tarazed! Non usciranno mai da là» lo interruppe il mercenario.

«Potrebbe non essere una cattiva idea, invece.» La voce di Talja, gelida, fece voltare tutti verso di lei. Aveva un accento particolare, sibilante, notò Myrindar. «La cavalleria è la nostra risorsa migliore, e in città sarebbe sprecata. Usiamo l'ajamala per appiccare un incendio più esteso possibile, in modo che non riusciranno a spegnerlo nemmeno con l'acqua del fiume. A quel punto saranno costretti a uscire, o a morire là. E in ogni caso sarebbe un vantaggio per noi.»

«Lo sarebbe se volessimo distruggere Sham, ma non è questo il nostro obbiettivo» disse Alshain, nella voce una nota d'acciaio. La comandante elfa non gli andava molto a genio, considerò Myrindar.

«E allora hanno ragione gli altri. Dobbiamo entrare» concluse lei, con lo stesso tono affilato. La ragazza trattenne un brivido.

«Usiamo i tunnel. Sham è una città antica, possedeva numerosi sotterranei. Di uno conosco l'ubicazione, liberarlo dalla terra sarà veloce. Ne scaviamo un altro paio, li usiamo per inviare tre squadre in città e aprire le porte all'esercito.»

«Come è successo alla disfatta di Thora, Bessar?» chiese Alshain. Sembrava prendere in considerazione la proposta.

«Esatto.»

Myrindar cominciò a chiedersi come mai Alshain l'avesse voluta a partecipare. Erano tutti discorsi troppo tecnici perché potesse dire la sua.

«Non funzionerà» sentenziò Jadaran. «Se lo aspettano. E se non è servito quando avevate dalla vostra la sorpresa, come potrebbe essere efficace ora?»

«Potrebbero non aspettarselo, proprio perché l'abbiamo già fatto» disse il Cavaliere.

«È un salto nel buio.» Tarazed scosse la testa. «Abbiamo a che fare con uno Zerisha Ynahar, non possiamo rischiare così tanto.»

«Il problema è che dobbiamo essere veloci. Hanno tanti di quegli arcieri, là sopra, che prima che ce ne accorgiamo siamo già tutti dei puntaspilli. Sfruttare la cavalleria è l'unica soluzione» insisté Nemanar.

Myrindar sbirciò il Selvaggio. Sembrava concentrato sulle sue cordicine intrecciate, come se nulla di tutto quello lo toccasse.

«Dobbiamo cogliere di sorpresa gli arcieri...» Talja portò la mano al volto e cominciò a picchiettare le labbra con un dito, pensando. «Alshain, c'è una mappa di Sham?»

Il generale scostò senza troppa cura il caos di fogli spiegazzati e fece comparire una grande mappa che ritraeva la capitale e le pianure circostanti.

«Attacchiamo dalle quattro porte» disse, indicandole sulla carta. «Quattro cariche sincronizzate. Sfruttiamo il buio per posizionarci. Abbattiamo le porte. La fanteria segue la cavalleria ed entra in città subito dopo. Non se ne accorgeranno prima che sia troppo tardi.»

«Potrebbe essere la soluzione.» Nemanar si alzò in piedi per osservare meglio la mappa. «Tra quattro giorni sarà luna nuova. Ed è autunno inoltrato, avremo abbastanza ore di buio per preparare tutto.»

«Si aspetteranno un attacco la notte di novilunio, però» obiettò Tarazed. «Aspettiamo qualche giorno. Non abbastanza perché ci sia luce, ma sufficiente perché siano stressati.»

«Hai ragione» concluse Bessar. «Si chiederanno come mai non li stiamo attaccando. Temeranno qualcosa di grosso. E quando attaccheremo davvero la paura provocherà ancora più caos.»

«Ho un'idea migliore.»

Sulle prime, Myrindar non capì chi era intervenuto con quella voce sottile, da ragazzina; e, a giudicare dagli sguardi spaesati, nemmeno gli altri. Poi realizzò che il Selvaggio – anzi, ormai l'aveva capito, la Selvaggia – era in piedi, gli occhi che luccicavano di sfida.

Tese un braccio esile in un tintinnio di bracciali.

«Se non abbattete al primo colpo le porte resterete in balia di frecce, pece e chissà che altro. Qui, su questa mappa, sono disegnate delle grate, e questo basta per confermare che non riuscireste a oltrepassarle con la carica.»

La sua voce si spense nel silenzio. «Bessar» disse poi, prima che qualcuno potesse riprendere a parlare, «indicami il condotto sotterraneo di cui parlavi.»

Il Cavaliere Errante, la fronte aggrottata, sfiorò la carta seguendo una direzione precisa. «Parte da qui, non distante dalla Porta del Fiume, e prosegue verso sud-ovest per un tratto, fino a quest'altura.»

«Perfetto. Se dovessimo scavarne altri due, come avevi proposto, dove suggeriresti di farlo?»

«Uno partendo dall'accampamento, naturalmente. Non lo concluderei in linea retta, però, ma devierei leggermente verso est, qua, dove le mura sono meno spesse e sarebbe più facile attraversarle. Il terzo invece lo scaverei qui, da sud-est verso nord. Qui c'è l'ansa del fiume, e la terra è più friabile. Questo potrebbe dare problemi di stabilità al condotto, ma credo che siano facilmente risolvibili. E non abbiamo tutto il tempo del mondo, per scavare.»

«In cosa consiste la tua idea, Izlaj?» chiese Alshain, dando voce alla curiosità di tutti. La ragazza tese le labbra in un mezzo sogghigno.

«Vi propongo questo: scaviamo i cunicoli come suggeriva Bessar, ma solo fin sotto le mura. Piazziamo là l'ajamala e facciamola detonare in contemporanea con l'inizio della carica. Le mura crolleranno nei tre punti aprendo varchi per la cavalleria, che entrerà in città seguita dalla fanteria. Il caos non farà che aiutarci. Che ne dite?» concluse, sorridendo come un bambino di fronte a un vassoio di biscotti.

«Le mura sono incantate dall'Ynahar. Non so che incantesimi ci abbia intessuto, ma questi potrebbero impedire l'esplosione» obiettò Tarazed.

«Ma noi abbiamo un Elythra» ribatté lo Stratega elfo. «Eeshiv mi ha parlato degli incantesimi sulle mura. Con le sue istruzioni possiamo scioglierli.»

«Può funzionare» mormorò Alshain. «Ci sono molte incognite da sistemare, prima, e dovremo essere coordinati al secondo, ma... può funzionare.»

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