28. Fiamme
Il silenzio gravava pesante sulla spiaggia buia. La città era nascosta alla vista dalla fitta foresta, e Myrindar non poteva intuire nulla su come stessero andando gli scontri. Fissava il mare senza vederlo davvero, lo sguardo perso tra le ombre di Raheest, ascoltando il suono ripetitivo della risacca che non scioglieva la tensione colma di non detti. Sapeva che Anser avrebbe fatto quello che si era promesso di fare, ma non aveva idea di cosa Jahrien pensava di tutto ciò: il giovane aveva rifuggito ogni sguardo, si era chiuso nei propri pensieri costruendosi davanti una maschera di indifferenza.
Con uno sbuffo, Myrindar ruppe gli indugi. Picchiettò con le dita sulla spalla di Dane, per attirare la sua attenzione.
«Ti va di fare quattro passi?» gli propose quando si voltò a guardarla. Lui annuì, entrambi si alzarono in piedi spazzolando i pantaloni dalla sabbia e dai sassolini.
«Non ci allontaniamo dalla spiaggia, torneremo tra non molto» annunciò Myrindar, poi lei e Dane si incamminarono verso la città, con l'intenzione di accogliere Keeryahel non appena fosse apparsa.
«Myrindar» spezzò il silenzio Dane. La ragazza notò che avevano messo abbastanza spazio dagli altri due per permettere loro di parlare tranquillamente, e si sedette. La sabbia era fredda e leggermente umida, ma soffice sotto la pelle; cominciò a tracciare dei simboli astratti con le dita, spirali e linee tondeggianti.
«Dimmi.»
«Tu e Jahrien state insieme, vero?»
Myrindar sorrise.
«Si vede molto, immagino.»
Lui per qualche secondo non rispose. Da quando era diventata così brava a capire le persone? Le sembrava di leggere nel viso di Dane ogni singolo pensiero che gli stava scorrendo nella mente. Le dispiaceva per lui, un po': per qualche tempo, a Tadun, aveva pensato di essersi presa una cotta per lui, prima che i cavalieri dell'Usurpatore rovinassero tutto, ma solo ora si era accorta di come fosse stata solamente un'illusione. Con il tempo, Dane sarebbe potuto diventare un caro amico, ma nulla di più. Lui, invece, una cotta per lei se l'era presa, e a Myrindar questo spezzava il cuore.
«Si vede da come vi guardate, da come vi comportate... non è che siete sempre incollati l'uno all'altra, ma comunque sì, si vede.»
La ragazza dovette trattenersi dall'abbracciarlo dicendogli quanto le dispiacesse.
***
«Tu sei Tarazed. E sei mio padre.»
Jahrien non era stupido: sapeva che Myrindar aveva fatto quella scena per permettere a loro di parlare e chiarirsi, e appena i ragazzi si erano allontanati abbastanza, aveva rotto quel maledetto silenzio.
«Mi sembra così assurdo» continuò poi. «Mi hai addestrato per sei anni come se non mi conoscessi, come se fossi solo il figlio di una tua cara amica... perché?»
«È proibito dall'ordine dei Cavalieri, lo sai.»
«Almeno prima di fingere di morire però avresti potuto. Avevo diciotto anni, non ero più un bambino, avrei tenuto la bocca chiusa.»
«Cambia qualcosa averlo saputo ora o due anni fa?»
Jahrien non rispose. Era la stessa domanda che Myrindar aveva fatto ad Anser prima, e in effetti aveva ragione. Non cambiava nulla.
«Ma perché fingerti il padre di Anser? E cosa c'entra lui con la famiglia reale di Dokhet? Non capisco. I Gemelli erano entrambi maschi... eppure Myrindar e Layrath sono identici, e Anser ha almeno un paio d'anni in più.»
«Ho giurato che non avrei rivelato nulla sulla famiglia reale finché non si fossero calmate le acque. Ad Anser l'ho detto perché non mi sembrava giusto tenerlo all'oscuro, e per ora, qui è al sicuro dai sicari dell'Usurpatore. E mi sono finto suo padre per distogliere l'attenzione da lui, fin da quando è nato.»
Il ragazzo si prese la testa tra le mani. C'era un collegamento, un qualcosa che gli sfuggiva e che gli avrebbe permesso di capire finalmente tutto.
«Quindi, tu sei rimasto con Anser per sette anni... poi Temeh ha tentato di ucciderti, tu sei sparito e hai fatto credere a tutti di essere morto. E a quel punto sei tornato a Yndira e hai fatto in modo che io fossi assegnato a te.»
«Esatto.»
Jahrien sollevò lo sguardo per rispondere, ma qualsiasi cosa stesse per pronunciare svanì dal suo cervello appena vide Dane e Myrindar correre verso la città.
***
«Dane, che ne è stato della tua famiglia?»
«Si sono salvati. Ho detto loro di fuggire e poi ho cercato di avvisare più persone che potevo. Li ho incontrati solo dopo, ora abitano a sud di Tadun, sulle colline.»
«Sono felice che stiano tutti bene» sospirò di sollievo lei, mentre una stilettata la trafiggeva al pensiero di suo padre.
«Mi dispiace tantissimo per Mearth» disse subito dopo Dane, come leggendo i suoi pensieri. «Però Cody e Alya sono vivi...»
Myrindar non ascoltava più, distratta da un movimento al largo, nella baia. L'oscurità della notte le impediva di vedere chiaramente di cosa si trattasse, strizzò gli occhi per concentrarsi. Un lampo attraversò la sua mente quando le riconobbe: erano barche.
E le uniche persone che in quel momento avrebbero dovuto tornare di soppiatto per tendere un'imboscata a qualcuno...
Temeh.
Volevano sorprendere gli uomini di Anser alle spalle.
La ragazza scattò in piedi.
«Mya, che succede?» le chiese Dane, confuso.
«Vado in città» rispose lei, e senza attendere risposta, cominciò a correre. Sentì dietro di lei i passi affrettati del giovane, ma non si fermò a spiegare: doveva raggiungere Anser prima che lo facesse Temeh.
***
La città era in fiamme. Quando Myrindar, con il fiato corto per la corsa, spuntò dalla foresta, si rese conto che era già tardi. Oltrepassò la barricata arrampicandosi, seguita da Dane, e cercò con gli occhi la casa di Temeh, da dove Keeryahel avrebbe dovuto essere uscita già da un po'. Era l'edificio più alto e svettava a poca distanza dal luogo in cui si trovavano i due ragazzi, ma tra le labirintiche vie avrebbero potuto facilmente perdersi. Myrindar correva tra una strada e l'altra, sperando di prendere la direzione giusta e sperando di non dover combattere – anche se era consapevole di quanto questo fosse vano. Nelle sue orecchie, il ritmo del suo cuore forsennato e dei suoi passi copriva le urla delle persone e delle fiamme.
Infine, la casa di Temeh apparve davanti ai suoi occhi. Senza perdere un istante, la giovane sguainò la spada – un sibilo dietro di lei le annunciò che Dane l'aveva imitata – e si fiondò dentro la porta spalancata.
Un grido proruppe dall'oscurità e la fece sussultare. Myrindar si bloccò e abbassò l'arma, ma non la rinfoderò, pronta a qualsiasi minaccia. Una donnina minuta, con gli abiti spiegazzati e i capelli che cadevano dallo chignon disfatto, si stringeva in un angolo, con le spalle al muro, e fissava i due giovani con occhi grandi di paura.
«Non siamo soldati di Temeh» disse la ragazza per cercare di calmarla. «Non le faremo alcun male, ma dobbiamo sapere dov'è la ragazza che Temeh tratteneva qui.»
«Lei... sono venuti a prenderla, è riuscita a fuggire, credo verso il porto» balbettò la donna, tremando. «Tu sei Myrindar?»
La ragazza annuì, sorpresa.
«Mi ha detto di darti questo...» La donnina si tolse un cordoncino da attorno al collo: appeso, un pendente di cristallo trasparente intagliato a forma di stella a cinque punte leggermente irregolare, che riluceva fievole nella penombra.
«La ringrazio infinitamente, signora» le disse Myrindar prima di uscire dalla casa, nuovamente di corsa. Finalmente aveva trovato il Craidhal, dopo tutto quello che aveva passato; lo appese al collo e lo nascose sotto la maglia.
Ora però si stavano avvicinando all'incendio, cominciavano a incontrare persone che tentavano di fuggire o altre che, armi alla mano, andavano a combattere.
«Dove stiamo andando, Mya?» urlò Dane per sovrastare il caos. «Il talismano l'hai trovato!»
«Dobbiamo trovare Keeryahel!»
Dane le afferrò un braccio, fermando la sua corsa.
«Potrebbe essere già tornata alla spiaggia. Ci stiamo ficcando in un problema per niente.»
«Hai sentito cos'ha detto quella donna, la stanno inseguendo! Io non la lascio da sola nei guai.»
«Myrindar, ragiona. Come fai a trovare una persona in una città in rivolta?»
«Che cosa dovrei fare, lasciarla in balia di quella gente?» esclamò lei, esasperata.
Dane sembrò esitare.
«Va bene, cerchiamola, ma se non la troviamo in fretta torniamo alla spiaggia. Non puoi farti ammazzare, Mya.»
La città non era vastissima, ma le sue vie si contorcevano e attorcigliavano le une sulle altre quasi senza ordine. Conoscendo Keeryahel, Myrindar avrebbe scommesso che l'Elfa avesse cercato di tenersi più lontana possibile dalle persone per evitare di coinvolgerle nello scontro, per cui cercava di seguire le vie meno battute.
Proruppe, improvviso, dalla sua destra il suono di un'esplosione, e per un istante la notte fu squarciata da una luce abbacinante. La ragazza, senza esitare, deviò dal suo percorso per raggiungere quella luce: Keeryahel non avrebbe mai usato una magia tale se non si fosse trovata in pericolo.
Svoltò in una piazza minuscola, dalla forma irregolare, e restò atterrita. L'Elfa era svenuta, tenuta stretta per le braccia da due uomini abbigliati con le corazze a piastre e le tuniche blu degli uomini fedeli a Temeh. Altri la circondavano, in tutto erano circa una decina.
«Ehi, ma voi due eravate in gattabuia! Che cosa fate qui?» ringhiò uno dei soldati, sguainando la spada. Myrindar non si fece spaventare: tese una mano e già aveva evocato Aleestrya, fulmini crepitavano violetti tra le sue dita.
«Liberatela. Subito» intimò. Qualcuno degli uomini scoppiò a ridere.
«Mya...»
La giovane, allarmata dalla paura nel sussurro di Dane, si voltò e tutta la sua determinazione svanì all'istante. Un'altra pattuglia li aveva visti e si stava dirigendo verso di loro, le armi spianate.
Dovevano combattere.
Myrindar cercò di concentrarsi e chiamare a raccolta la sua magia. Era stanca dopo tutti gli avvenimenti e la corsa forsennata, ma tese entrambe le mani per cercare di bloccare quanti più soldati potesse: i lampi esplosero dai suoi palmi, fendendo l'aria e dividendosi in una tempesta viola che si abbatté sui nemici.
La testa prese a girarle e Myrindar si trovò a terra, la spada sfuggita di mano e la vista annebbiata. Che stupida, aveva speso tutte le sue energie in quella magia, e ora doveva rialzarsi e combattere. Strinse i denti e si rialzò, andando a dare manforte a Dane che da solo la stava difendendo da quattro soldati.
Fissò la spada di uno degli avversari entrare nella guardia del ragazzo e trafiggergli il fianco come se non l'avesse vista davvero. Vide il sangue scarlatto alla luce del fuoco imbrattare in poco tempo la camicia bianca, espandersi in una macchia informe. Si sentì urlare come se la voce non fosse la sua.
La spada riluceva di bagliori pericolosi, che si intrecciavano ai lampi di Aleestrya in una danza disordinata e furiosa; non c'era nulla di aggraziato o epico nei suoi fendenti scomposti e disperati e nelle scintille di magia che schizzavano in ogni direzione. Solo la rabbia animava i suoi movimenti e le dava la forza di compiere quel massacro: rabbia pura e semplice, voglia di vendetta e ira verso se stessa che aveva permesso che tutto accadesse.
Una dozzina di cadaveri tappezzavano la strada quando Myrindar si chinò sul suo amico, negli occhi la colpa di quell'errore che aveva commesso. Il respiro di Dane era corto e spezzato, le mani si stringevano sulla ferita, cremisi. Nessun altro in quella strada se non lei, corpi mutilati e un ragazzo in un lago di sangue: Keeryahel era stata portata via.
Aveva sbagliato qualsiasi cosa.
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