27. Parole nel buio


«Ehi!»

Bastò un sussurro per destare Myrindar dal sonno leggero e agitato in cui era caduta. Sussultò e si guardò intorno cercando di capire da dove proveniva quella voce.

«Sopra di te.»

La ragazza sollevò lo sguardo. Appoggiato sulle grate c'era qualcuno che Myrindar, con un po' di fatica a causa della penombra del tramonto, identificò come Anser.

«Ascoltami, ho poco tempo. Sveglia tutti, tra poco una delle guardie verrà a prendervi. È uno di noi, vi porterà al sicuro, io vi raggiungerò là e vi dirò del piano.»

La giovane annuì, le sfuggì un sorriso. Non le risultava difficile credere che ci fosse lo zampino di Keeryahel in tutto quello, l'Elfa non si faceva intimorire da nulla.

Anser sparì subito, in un fruscio di abiti neri. Myrindar, senza perdere un istante, si avvicinò a Jahrien per svegliarlo, ma bastò sfiorargli la spalla perché aprisse gli occhi; e lo stesso accadde con Torg. Per svegliare Dane, invece, la ragazza dovette scuoterlo per qualche istante prima di strapparlo dal sonno. Myrindar continuava a pensare che non avrebbe dovuto essere lì. Non era un guerriero, un mago o un Cavaliere, era soltanto un suo amico che aveva troppo buon cuore per lasciarla subito dopo averla ritrovata. Se gli fosse successo qualcosa, la ragazza non se lo sarebbe mai perdonata, e vista la situazione, avrebbe potuto capitare qualsiasi cosa.

In effetti, si trovò a constatare amaramente, penso che Dane sia inadatto a tutto ciò, ma io non sono affatto meglio. Sono una ragazzina dei vicoli incastrata in cose troppo grandi.

La giovane si morse il labbro per distrarsi da pensieri inutilmente tristi.

I passi di una delle guardie sul pavimento del corridoio fuori dalla porta cominciarono a farsi sentire dopo qualche minuto di snervante attesa. Si fermarono dietro la loro porta, si sentì il suono del chiavistello che scattava e infine il cigolio della porta. Un uomo con indosso una cotta di maglia, un elmo semplice e indumenti di cuoio apparve nel quadrato illuminato dalle torce. Li fece uscire uno a uno senza proferire parola, legò strettamente le loro mani dietro la schiena e cominciò a punzecchiarli con la cuspide dell'alabarda per farli camminare. All'uscita, una delle guardie si affiancò a loro per tenerli d'occhio, e li guidò oltre la piazza, in uno dei vicoli; poi continuarono ad avanzare fuori città, lungo un sentiero stretto e appena battuto nel sottobosco, in cui dovevano camminare uno alla volta.

Il cervello della giovane lavorava frenetico. Dove li avrebbero portati, e cos'era questo piano? Quanto Keeryahel aveva detto di loro? E soprattutto, l'Elfa stava bene? Myrindar si mordicchiò un labbro, preoccupata. Avevano passato solo un giorno in prigione, eppure avrebbe potuto essere successo di tutto.

Il bosco si aprì all'improvviso, infrangendosi contro una delle pareti rocciose che caratterizzavano le montagne di Kamehra, come un'onda contro una falesia. Il sentiero continuava il suo percorso inerpicandosi su di essa, serpeggiante, e perdendosi nell'oscurità di una caverna. Era là che li stavano conducendo.

La strada si fece subito ripida e pericolosa, e Myrindar ne fu sollevata: se si doveva concentrare su dove metteva i piedi, non aveva tempo per pensare ed elucubrare inutilmente. Avrebbe saputo tutto a tempo debito.

Quando raggiunsero infine la caverna, il sole era del tutto tramontato, ma l'oscurità non era ancora scesa sulla terra. In un angolo della grotta, addossati alla parete, c'erano le loro armi e i loro oggetti che qualcuno si era premurato di recuperare e portare là. Appena una delle guardie le liberò le mani, la ragazza si riappropriò della sacca e della spada, sentendosi sollevata ora che percepiva il peso dell'acciaio pendere dal fianco.

Anser apparve all'imboccatura della caverna e si rivolse subito alle due guardie.

«Non vi ha visto nessuno venire qui?»

«Nessuno, siamo stati attenti» rispose il primo uomo.

«Perfetto. Ora potete andare, raggiungete gli altri e aspettatemi.»

I due annuirono e si congedarono. Myrindar era ammirata: la prima volta che aveva visto Anser le era sembrato un ragazzo un po' sperduto, chiuso nei propri pensieri, e invece, ora che la situazione lo richiedeva, era in grado di assumere il ruolo del comandante con naturalezza, come se fosse nato per farlo.

Il giovane si volse verso di loro e la ragazza lo osservò meglio. Nonostante sembrasse sicuro di sé, forse qualche dubbio lo attanagliava, perché aveva la fronte aggrottata da un velo di preoccupazione, e gli occhi neri erano cupi.

«Questo pomeriggio Temeh e i suoi sono partiti per una razzia. Ora che gli uomini a lui fedeli non sono presenti, prenderemo il controllo della città, e voi potrete partire. A questo punto Keeryahel dovrebbe aver ottenuto il talismano che cercate; scendete in spiaggia e aspettatela là, vi raggiungerà. Ho fatto mandare un segnale al capitano della vostra nave, che era ormeggiata a poca distanza da qui. La troverete nella baia.»

«Grazie davvero, Anser» rispose Myrindar. «Apprezzo davvero molto tutto quello che hai fatto per noi.»

«Avrei preferito che combatteste con noi, sareste stati un valido aiuto. Ma Keeryahel mi ha riferito che la vostra missione non può attendere, e così sarà. Ora devo raggiungere gli altri, vi auguro buona fortuna, che il fato sia dolce con voi.»

Senza attendere risposta, il giovane si voltò e scese nel sentiero, una sagoma nera e indistinta nella penombra.

«Aspetta.»

La ragazza si voltò: Torg si era alzato, Anser, stupito, era fermo in mezzo al sentiero e si era voltato a guardare l'uomo.

«Anser, ci sono cose che devi sapere. Sono state nascoste per troppo tempo.»

Il ragazzo tornò indietro, un po' a disagio. Myrindar lo osservò sedersi di fronte alla persona che credeva fosse suo padre senza sapere cosa aspettarsi.

«Papà» dice, esitante. «Non importa per la faccenda della scomparsa, sono certo che avessi i tuoi motivi per farti credere morto...»

«No» lo interruppe Torg. «Non sono tuo padre, Anser. Fui incaricato dai tuoi genitori di proteggerti e nasconderti la verità.»

Il ragazzo restò per qualche secondo in completo silenzio; deglutì, tentò di accennare un sorriso forzato.

«Cosa significa?»

«Ero uno dei Cavalieri Erranti più importanti, ed ero il consigliere di Valair e Asheena. Loro mi hanno ordinato tutto ciò.»

La giovane dovette controllarsi per mantenere un'espressione neutra e non lasciarsi sfuggire nemmeno un gemito. Le sembrava di non cogliere un qualche dettaglio fondamentale, qualcosa di enorme in tutto ciò. Gettò un'occhiata agli altri due ragazzi: Dane sembrava confuso e sbalordito quanto lei, Jahrien era atterrito. Cosa sapeva che lei non era riuscita a comprendere?

«Non è possibile, io non... non posso crederci» mormorò Anser, lo sguardo perso nel vuoto, i capelli che a ciocche cadevano sulla sua fronte nascondendo il volto. Quando infine sollevò gli occhi verso Torg, erano colmi di furia. E di lacrime. «Mi hai mentito per una vita intera. Sei sparito nel nulla fingendoti morto... avevo sette anni, Torg. Sette. Ma in fondo perché avrebbe dovuto importarti? Non sono tuo figlio» sputò.

«Valair mi obbligò a giurare che ti avrei tenuto all'oscuro di tutto. Sei il figlio del re di Dokhet, dannazione! Se qualcuno avesse saputo di te, ora saresti morto

«E la bella fiaba della donna che non potevi sposare» riprese il giovane, le lacrime che ora scendevano senza ritegno lungo le sue guance «della nobile promessa a un altro che, rimasta incinta, partorì e ti affidò vostro figlio? Hai mentito su qualsiasi cosa.»

«Non ho mentito. È successo davvero così... ma mio figlio non sei tu. Era un'Elfa.»

Ora Myrindar aveva capito. Fissò Jahrien che, il volto terreo e gli occhi spalancati, ascoltava senza nemmeno respirare. Il suo intero mondo era stato capovolto, aveva trovato un padre che non pensava avrebbe mai incontrato... ed era stato quasi del tutto un caso.

«C'è qualcosa di vero in quello che mi hai detto, Torg?» gridò Anser, balzando in piedi, la voce spezzata.

«Mi chiamo Tarazed» sospirò l'uomo. Il giovane di fronte a lui imprecò, tirò un calcio a un sasso e corse fuori dalla grotta. Myrindar, seguendo una sensazione, e sperando di fare la cosa giusta, si alzò in piedi e lo seguì di corsa.

***

«Anser!»

Il ragazzo era soltanto una sagoma nera sul sentiero. Camminava a passo spedito senza guardarsi indietro, e per la ragazza era difficile raggiungerlo sul ripido sentiero.

«Dannazione, Anser, aspetta!»

Lui si bloccò di colpo e Myrindar poté infine avvicinarsi a lui. Si era strappato le lacrime dalle guance, ma gli occhi ancora lucidi e il volto arrossato tradivano le sue emozioni.

«Che cosa vuoi?» sbottò senza lasciarle il tempo di parlare.

«Qualunque idiozia tu abbia in mente di fare, per gli dei, non farla» esclamò la ragazza, e poi cercò di riprendere fiato. «Torg... volevo dire, Tarazed, ha fatto quello che ha fatto per una ragione ben precisa. Non vale la pena tutto ciò, e soprattutto non vale la pena annullare il piano.»

«Oh, ma che cosa ne puoi sapere, tu» sibilò il ragazzo. «Mi hai visto per la prima volta un giorno fa, non sei altro che una ragazzina, e già vuoi dirmi cosa io devo o non devo fare? Dopo aver passato tutta la tua vita tra i merletti di una corte, magari. Suppongo che tutta questa avventura ti stia divertendo, no?»

«Ho passato dodici anni della mia vita tra i vicoli cercando di difendermi meglio che potevo. E fino a qualche mese fa non potevo toccare una persona senza ucciderla. So di cosa sto parlando quando dico di non fare idiozie, non abbandonare i tuoi uomini e combattere contro quello stronzo. Hai sempre creduto che Tarazed fosse davvero tuo padre perché si è comportato come tale. Sapere che non è vero ha cambiato sul serio qualcosa?»

Anser non rispose, ma abbassò lo sguardo. Myrindar intuì che fosse un buon segno e si azzardò a continuare, ma con meno enfasi, ora.

«Non credo importi cosa è o non è Tarazed, Torg o come accidenti si chiama» sussurrò. Sembrava quasi lo stesse implorando. «Non so nemmeno io perché ti sto dicendo tutto questo, in realtà» sospirò.

«In effetti non so cosa possa cambiare per te se spodestiamo Temeh o no. Ma hai ragione» concluse lui alla fine. «Probabilmente non ci incontreremo più, per cui addio. E grazie.» Mentre parlava sollevò lo sguardo e incrociò i suoi occhi prima di accennare un sorriso e voltarsi per scendere il sentiero.

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