25. Attese
Gli uomini di Temeh si erano divertiti a perquisirla, dopo averle tolto arco, faretra e pugnali: si era trovata le loro rudi mani dappertutto, e non era una stupida. Sapeva che se le avevano palpato i seni e strizzato il sedere non era per controllare se avesse nascosto delle armi.
Purtroppo però erano in troppi perché potesse allontanarli con la magia senza farsi scoprire; l'unica cosa che poteva convincere otto uomini a non osare sfiorarla nemmeno era un incantesimo tutt'altro che discreto, e Keeryahel non poteva permettere che Temeh sapesse delle sue capacità magiche, erano l'unica arma che le restava. Così aveva stretto i denti e si era isolata dall'ambiente circostante scendendo in profondità dentro di sé, come le aveva insegnato sua madre per sopportare gli insulti di suo padre.
Gli uomini l'avevano poi portata, legata e bendata, dentro una casa, le avevano fatto salire delle scale e l'avevano chiusa in una stanza completamente vuota per un po'. Lei si era seduta a gambe incrociate sul pavimento di legno e aveva semplicemente aspettato, concentrandosi sulle presenze che avvertiva intorno a sé: c'erano gli uomini fuori dalla casa, che aspettavano il loro capo e che scommettevano tra di loro su quanto si sarebbe divertito con lei, e poi una donna che stava preparando qualcosa per lei.
Quest'ultima, infine, dopo aver girovagato per la casa per qualche tempo, si avvicinò alla sua porta e l'aprì. Lo stupore era palpabile in lei, ma senza fare una piega le si avvicinò e le tolse la benda.
«Dei del cielo, ragazza» le disse, gli occhi grandi dalla sorpresa. Era una donna sulla sessantina dai modi spicci, minuta e rinsecchita, abbigliata con una veste semplice color terra, i capelli ingrigiti raccolti in uno chignon. «La maggior parte della gente nella tua situazione strepita e strilla. Ma soprattutto non ho mai visto nessuno come te.»
«Mi hanno detto che sono strana» confermò lei, alzandosi in piedi e voltandosi perché le slegasse i polsi. Le stava simpatica, ma non voleva rivelare la sua identità. La donna la liberò dalle strette corde e mentre lei si massaggiava i polsi arrossati le indicò la porta. Keeryahel si trovò in un corridoio dal pavimento di legno e il soffitto a spiovente; sulle pareti intonacate si aprivano altre porte.
«Quel maiale di Temeh meriterebbe le peggiori torture per tutto ciò. Se penso a quante ragazze mi è toccato preparare...» sputò la donna con astio. Keeryahel si sforzò di restare lucida e al contempo apparire intimorita.
«Cosa mi succederà?» L'Elfa si sentì fiera del fatto che la voce le era uscita con un lieve tremito da ragazza spaventata. La donna la spinse leggermente verso una delle porte.
«Temeh ti terrà con sé per un po', finché ti troverà interessante. Poi ti affiderà a me e io dovrò rimettere insieme quello che resta di te e trovarti un lavoro in città» sospirò. Keeryahel, in qualche modo, simulò un brivido di terrore, ma nella sua mente si era accesa una furia infuocata. Non gli permetterò di rovinare altre vite, si diceva, sperando che nulla di tutto questo trasparisse sul suo viso. «Preferisco che tu sappia a cosa vai incontro, per questo sono stata così dura» riprese la donna, aprendo la porta e facendo entrare l'Elfa, e così lei comprese che la recita le era riuscita discretamente bene.
«Ad ogni modo, io sono Ellana» si presentò, tendendo una mano con sguardo triste.
«Cailis» si inventò su due piedi Keeryahel, stringendole la mano.
La stanza era calda e colma di vapore. La maggior parte dello spazio era occupato da una tinozza riempita di acqua calda.
Keeryahel iniziò a spogliarsi, abbandonando uno dopo l'altro gli abiti da guerriera in un angolo: prima il mantello, poi il corsetto e i parabracci, i pantaloni di cuoio, la tunica e la camicia. Aveva sempre vissuto con indosso abiti da combattente, tanto che poteva considerarli alla stregua di una seconda pelle, e ora le toccava fingere di essere una ragazzina spaurita. Ma avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di impedire a quel mostro di trattare come giocattoli tutte le ragazze che attiravano la sua attenzione.
L'acqua era bollente e le scottava la pelle, ma la ragazza non emise un gemito. Uscì dalla tinozza dopo una decina di minuti con la pelle arrossata dal calore e i capelli ancora più ingarbugliati. Ellana la asciugò con un drappo e poi la condusse nella stanza accanto, un minuscolo locale in cui troneggiava un grande armadio; lì la squadrò con occhio critico prima di aprire una delle ante e tuffarsi tra gli abiti. L'Elfa nel frattempo aveva avvolto il drappo intorno alla testa per far asciugare i capelli, e quando vide gli abiti che le porgeva Ellana Keeyahel non riuscì a trattenere una smorfia di disgusto.
«Non dovrò davvero mettere quelle cose, vero?»
La donna la guardò triste. «Mi dispiace, questi sono gli ordini.»
«E perché continuate tutti a obbedirgli, anche se è un tale mostro?» sbottò l'Elfa. «Uccidetelo, rinchiudetelo, mettetegli del veleno nel cibo, fate qualcosa!»
«Non possiamo» sospirò Ellana. «Ancora tempo fa si è assuefatto a tutti i veleni più noti, e ha sempre intorno a sé guerrieri fedeli che imprigionano o torturano chiunque osi ribellarsi. Io ho provato a rifiutarmi di lavorare per lui, ma ha minacciato di legarmi e costringermi a guardare mentre lui e i suoi uomini stupravano le mie figlie.»
Keeryahel dovette concentrarsi per mantenere la calma. Prese un respiro profondo prima di rispondere.
«Ma dovete fare qualcosa. I suoi crimini non possono restare impuniti.»
Ellana fissò per qualche secondo le mani che torcevano la stoffa della gonna.
«In città» sussurrò, abbassando il tono di voce fino a renderlo impercettibile da chiunque oltre a Keeryahel «dicono che Anser stia organizzando qualcosa. Era il figlio del capo che Temeh ha ucciso per prendere il potere, sai. Lui vuole vendicare suo padre, e molti altri vogliono eliminare Temeh. Se vuoi, stanotte, quando lui» Ellana deglutì «avrà finito con te, posso farti parlare con Anser.»
Keeryahel annuì. Forse si azzardava a vedere una via d'uscita. Se questo Anser avesse sollevato un'insurrezione contro Temeh, lei avrebbe potuto sfruttare il caos per liberare gli altri e insieme avrebbero cercato il Craidhal.
La giovane sospirò. Senza riuscire a cancellare l'espressione di disgusto dal volto, indossò un corsetto striminzito di cuoio bianco, pieno di nastri, che la stringeva terribilmente - e aveva l'unico scopo di spingerle i seni più in alto - e una gonna di veli pressoché trasparente.
Bene. E ora devo solo riuscire a lanciare l'incantesimo in tempo, si disse con un lieve brivido, mentre seguiva Ellana nella camera di Temeh.
***
Quando l'eco del suono del chiavistello si spense nel buio, Myrindar capì di essere perduta. La cella era un pozzo circolare, la cui unica apertura - senza considerare la spessa porta di metallo, solida e senza nemmeno una fenditura - si trovava all'altezza del suolo, ad almeno cinque metri dal pavimento delle prigioni, ed era una stretta finestrella rettangolare chiusa da solide sbarre metalliche. La fievole luce plumbea che proveniva da là illuminava le sagome di Jahrien, Dane e Torg, ma presto il sole sarebbe calato e la prigione sarebbe sprofondata nell'oscurità.
La giovane tossì, coprendosi il volto con una mano, istintivamente, per ripararsi dall'odore di putrefazione che ammorbava l'aria della cella, invano; spinse via degli oggetti spigolosi e viscidi sulla cui natura non voleva indagare e si sedette con la schiena addossata alla porta, per percepire meglio eventuali rumori dall'esterno che potevano essere un indizio sul loro destino futuro. Cercava di restare lucida e non farsi prendere dallo sconforto, ma le risultava davvero difficile non scoppiare in lacrime, e dal silenzio di tomba che gravava sulla cella sapeva che anche gli altri erano nella sua stessa situazione.
Tranne forse Torg, si disse. L'uomo sembrava imperturbabile, niente lo sconvolgeva. Myrindar si appuntò mentalmente di chiedergli, una volta usciti da là, quale fosse il rapporto tra lui e quel giovane che avevano trovato sulla spiaggia.
«Dobbiamo fare qualcosa» sussurrò Jahrien in quel momento, spezzando il silenzio carico di disperazione. La cella era così piccola che anche se parlavano a bassa voce riuscivano a comprendersi perfettamente.
«Dovevamo combattere sulla spiaggia, abbiamo sbagliato là» intervenne Dane con voce cupa. «Ora non possiamo fare niente... non senza la magia di Keeryahel o un aiuto dall'esterno.»
«Non potevamo sperare di sopravvivere contro Temeh e una ventina dei suoi uomini migliori» ribatté Torg, aspro. «L'ultima volta che ci siamo affrontati io e lui mi ha quasi ucciso, e avevo ancora entrambi gli occhi. Jahrien è un ottimo spadaccino e Keeryahel ha la magia, è vero, ma Myrindar non può usare Aleestrya senza esserne soggiogata, a me manca un occhio e tu non sei stato addestrato. Ci avrebbero uccisi senza pensarci due volte.»
«La nostra situazione attuale non è molto migliore» replicò il ragazzo.
Myrindar chiuse gli occhi, cercando di concentrarsi. Era già difficile trovare uno spiraglio di luce in quella situazione melmosa senza discussioni inutili.
«Fermi, non ha senso perdersi così. Non importa cosa sarebbe successo se avessimo combattuto, ora siamo qui e dobbiamo risolvere questo.»
«Esatto, Mir. Hai qualche idea?» le disse Jahrien.
La ragazza prese la testa tra le mani. Un abbozzo di qualcosa sembrava emergere dalla palude di pensieri negativi, ma ancora non riusciva a visualizzarlo.
«Ci sto arrivando» rispose. Una delle prime regole che insegnavano agli apprendisti Cavalieri Erranti era che anche nei momenti più disperati c'è una soluzione, basta pensare con lucidità.
«Anser ci aiuterà» intervenne Torg.
«Ne sei sicuro?» chiese il Cavaliere Errante.
«Sì.» Il guerriero sospirò. «È per lui che ho deciso di venire. Crede che sia suo padre... e dovrei dirgli la verità.»
Jahrien distolse lo sguardo; Torg lo osservava con incredibile intensità e nella penombra il suo occhio luccicava. Myrindar, se non sapesse con chi aveva a che fare, avrebbe detto che fosse invaso di lacrime.
«Quindi dobbiamo solo aspettare?» chiese. Aveva sempre odiato le attese snervanti.
«Esatto» rispose il guerriero, tornato l'inflessibile uomo che si era sempre dimostrato. «Non è una delle regole dei Cavalieri Erranti? "In alcuni casi non fare niente è l'unica cosa da fare".»
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top