2. Cavalieri

Si sentiva echeggiare la musica tra le stradine strette e contorte di Tadun. Le vie si rincorrevano e si intersecavano in angoli inaspettati, correvano su e poi giù tra scale, vicoli in cui a malapena ci si passava e portici troppo bassi. Le case di pietra rosa erano alte non più di due piani, ma incombevano sulle strade lastricate e oscuravano la luce di un pallido sole nebbioso. Il paesino abbarbicato sui pendii della vallata, stretta tra due rami delle imponenti Cyrithah, era in festa, e si sentiva nell'aria vibrante di melodie allegre e nel profumo di cose buone. La piazza tonda, cuore del piccolo borgo, era tutto un mescolarsi di voci, canti, colori; c'erano risate di bambini, profumo di pane appena sfornato e rintocchi di campane, c'erano i mercanti che venivano da sud con i loro carri pieni di stranezze, c'era ovunque un'allegra confusione che permeava l'aria ancora fredda e dava alla testa.

Mya si guardava intorno, metà spaesata e metà euforica, mentre un sorriso appena accennato colorava le sue labbra sottili. In cinque anni che era lì non aveva mai visto una festa così gioiosa e spensierata, e questo doveva essere un buon segno. Certo, la guerra dell'Usurpatore non aveva ancora raggiunto Amikar, ma se il suo regno gemello Thral era in difficoltà, anche il regno a cui appartenevano ne risentiva. Mya aveva sentito dire da suo padre che l'Esercito Libero aveva riconquistato le pianure di Antya, strappandole all'Usurpatore per la prima volta dopo anni; e si diceva anche che i corsari di Nym stavano infliggendo pesanti perdite alle navi dell'Impero. Tutto sembrava andare bene.

Si perse tra le bancarelle e le risate che risuonavano intorno a lei, lasciò volare lo sguardo tra i festoni colorati appesi alle finestre e i bambini che si rincorrevano per le strade di Tadun. La festa di primavera riusciva sempre a rasserenarla, le faceva dimenticare tutto, la maledizione, il suo passato, il futuro incerto... era uno dei pochi momenti in cui si sentiva di aver trovato un posto a cui apparteneva.

«Myaaaa!»

La ragazza sussultò, tornando improvvisamente alla realtà. Cody comparve dal nulla dietro di lei, le afferrò un braccio e cominciò a strattonarla da qualche parte.

«Mya, mi compri i dolcetti? Per favore! Ti prego ti prego ti prego!»

Lei scoppiò in una lieve risata e accelerò appena il passo per seguire la corsa del fratellino. Lui la trascinò fino a davanti un banchetto minuscolo dove un'anziana signora dai capelli completamente grigi e il volto rugoso consegnò loro, con un sorriso stentato ma gentile, un sacchettino di biscotti tiepidi in cambio di qualche moneta.

Cody abbracciò Mya e corse via ridendo. Tornava dai suoi amici a condividere i biscotti. La ragazza lo seguì con lo sguardo, un mezzo sorriso sulle labbra, finché non lo vide girare un angolo troppo in fretta e sbattere contro qualcuno. Con un sospiro si avvicinò al fratellino irrequieto e allo sconosciuto per scusarsi.

La vittima di suo fratello era un ragazzo sui vent'anni che sorrideva divertito. Era alto e piuttosto robusto, con il fisico muscoloso di chi lavora i campi; sul volto squadrato, incorniciato da disordinati ricci castani, indugiava l'ombra di un sorriso.

«Per favore, scusalo» sospirò Mya afferrando la spalla di Cody e scoccandogli un'occhiataccia. «Non sta mai fermo, è un vero incubo.»

Lo sconosciuto però rise.

«Oh, non ti preoccupare, ormai lo conosco... e ti assicuro che mio fratello è peggio. Sei la sorella, vero? Molto piacere, sono Dane.»

Mya esitò un istante, dubbiosa: non le era mai capitato di avere a che fare con ragazzi della sua età. A parte ovviamente Jahrien.

Ma il giovane davanti a lei aveva un viso gentile, e, ora che ricordava, lo conosceva di vista: era il fratello maggiore del migliore amico di Cody. Si ricordava di lui, l'aveva visto un paio di volte quando aveva accompagnato Cody a giocare da loro. Si decise e strinse la mano che Dane le porgeva ricambiando il sorriso.

«Io sono Mya.»

«Non ti ho mai visto al villaggio... non sapevo neanche che Cody avesse una sorella. Non vieni spesso fuori?»

Il sorriso di Mya si congelò all'istante. D'istinto tirò su appena il vestito, anche se il marchio era ben nascosto.

Dannazione.

Era riuscita per un attimo a dimenticarsi della maledizione, era serena... ma era durato pochissimo. Non poteva sfuggirle a lungo, lo sapeva, ma lo stesso si ostinava a illudersi che questo potesse cambiare.

«Ehm... io, diciamo che sono malata. Cioè, mi ammalo molto spesso. E quindi non posso uscire molto.»

Dane sembrò non essersi accorto del profondo turbamento della sua interlocutrice. Continuò a parlare e parlare, e ogni tanto scoppiava in una risata, Mya lentamente si tranquillizzò di nuovo, e anche lei cominciò a raccontare cose e a parlare del più e del meno; si trovò che improvvisamente era buio, e avevano passato insieme tutto il pomeriggio.

Sette rintocchi di campane.

«Oh, sono già le sette?» La ragazza cadde dalle nuvole. Non si era accorta che era passato così tanto tempo. Si diede della stupida.

«Così pare» disse Dane, e sorrise. Sorrideva molto spesso, Mya l'aveva notato.

Per qualche secondo restarono in silenzio. Mya sorrise appena, imbarazzata. Poi salutò Dane con un cenno e si avviò verso casa. Ma all'ultimo secondo lui le afferrò la mano guantata. La ragazza sussultò a quel contatto: era la prima volta che qualcuno oltre ai suoi familiari la toccava, dopo Jahrien.

«Mya... se uno di questi giorni vieni in paese, magari potremmo passare un po' di tempo insieme, se ti va.»

Un allarme gridava qualcosa nel suo cervello. Non doveva accettare.

«Oh... io di solito devo aiutare mio papà al lavoro, però... se capita...»

Dane sorrise.Qualcosa dentro di lei esplose.

***

«Non credere di ingannarmi, signorina» fece suo padre la sera a cena, con un mezzo sorriso sulle labbra e un tono fintamente di rimprovero.

«Ho certi informatori, qui – Cody ridacchiò con aria colpevole – che mi dicono che hai passato tutto il pomeriggio con un certo Dane, il fratello di Leyr.»

Mya scoccò un'occhiata di fuoco a suo fratello, ma sorrideva.

«Io non ho fatto niente. È stato lui che ha deciso di sopportarmi tutto il pomeriggio...»

Risero.

«Al di là di questi scherzi» intervenne sua mamma con il solito sorriso caldo, «siamo davvero felici che hai qualche amico. Sono cinque anni che sei qui, e non hai mai voluto frequentare la gente del paese... siamo molto contenti se fai amicizia con qualcuno.»

Mya non rispose, ma era serena. Anche se non l'aveva del tutto compreso nemmeno lei stessa, si era riaccesa dentro di lei una piccola scintilla di speranza. Speranza di vivere normalmente nonostante la sua maledizione.

***

«Non dovresti incoraggiarla così.»

Un sospiro.

«Forse hai ragione. Ma voglio che sia felice.»

«Non potrà mai essere felice. Non in questa maniera.»

«Ne sembri così sicuro... come fai a sapere che andrà male?»

«Vuoi scherzare, Alya? Nessuno la vorrebbe accanto, non quando potrebbe uccidere una persona solo toccandola!»

«Noi no, noi l'abbiamo accettata.»

«Ma questo è diverso.»

***

Era in un luogo buio. Era notte? Non ne era sicura. Tutto era nero intorno a lei.

C'erano rumori. Lontani, ma si avvicinavano. Mya ci mise qualche secondo per individuarli: erano cavalli al galoppo.

***

«Non è diverso, maledizione! Appena quel ragazzo scoprirà il suo segreto, non la vorrà più vedere. Sai che è così!»

Stavano entrambi alzando la voce, ora.

«E allora cosa dovrei fare, tenerla relegata in casa? Non permetterle di vedere nessuno?»

«Non lo so, so solo che così si farà del male.»

***

Myrindar.

Qualcuno la chiamava?

Myrindar.

Di chi era quella voce? Bucava la nebbia dei suoi ricordi come una freccia e le pungeva la mente. Doveva assolutamente ricordarselo, c'era un'urgenza dentro di lei che le gridava di farlo. Era importante.

***

«Deve poter vivere anche lei, Mearth. Maledizione o no.»

«Alya... la farai soffrire, così, non capisci?»

«Troverà prima o poi qualcuno che le vorrà bene. Ha trovato noi, può incontrare anche altri che non si fermeranno davanti a una stupida maledizione.»

«Lo spero tanto anch'io. Lo so che è stupido tenerla in gabbia, ma non voglio che le facciano del male. È troppo buona, non lo reggerebbe.»

«Dobbiamo provare. Diamole una possibilità, per favore.»

«Va bene. E spero davvero che vada tutto bene.»

***

Myrindar, devi andartene.

La ragazza scosse la testa. Non poteva farlo ora. Non capiva perché quella strana voce le dicesse di abbandonare la casa che finalmente aveva trovato dopo così tanto tempo. Non voleva.

Devi andare via, perché dalla tua scelta potrebbero dipendere le vite di tutti.

Aveva finalmente trovato la serenità che non aveva mai avuto, non poteva andare via. Non poteva ricominciare tutto da capo. Non per uno stupido sogno.

Scappa, Myrindar. Ti stanno cercando.

E la voce, il rombo di cavalli al galoppo e il nero della notte sparirono, e la ragazza si sentì precipitare nel vuoto.

Gridò.

***

Aveva il respiro accelerato e il cuore batteva a mille. Impiegò qualche secondo per calmarsi. Fece due respiri profondi. Chiuse gli occhi e aspettò che il mondo smettesse di vorticare.

Stava tremando.

Erano almeno due anni che non faceva incubi così vividi. Ma soprattutto, era da quando la sua nuova famiglia l'aveva accolta che non si sentiva chiamare con il suo vero nome. Le avevano dato il soprannome Mya quasi subito quando era arrivata, e da allora si era sempre chiamata così. Era stato un modo per dire che era cambiato qualcosa, che aveva ricominciato da capo.

Era diventata Mya, non più Myrindar.

Ma quel sogno le aveva lasciato dentro un'inquietudine strisciante. Era come se quella sottile e fragile magia che aveva permeato la sua nuova vita si fosse strappata. Come se fosse stato tutto un bel sogno finito troppo presto.

La ragazza scosse la testa. Che stupida che era. Non doveva preoccuparsi, dovevano essere strascichi di paura lasciati dal sogno, sarebbero presto svaniti come neve al sole. Non aveva senso, la sua vita lì non era finita, era appena cominciata.

Si stese di nuovo a letto, cercando di ignorare quella cupa inquietudine. Presto si addormentò di nuovo.

***

Quella maledetta erba continuava a ricrescere. L'aveva strappata del tutto poco tempo prima, e ora aveva circondato completamente gli ortaggi, di nuovo. La ragazza sospirò e si rialzò, concedendosi qualche secondo di pausa. Poi legò di nuovo i capelli e riprese, terminando in mezz'ora il lavoro.

Tornò a casa stanca, sudata e sporca di terra. Riempì un secchio nel pozzo dietro casa; lo stava trasportando a fatica nella minuscola stanza da bagno quando qualcuno bussò. La ragazza posò il secchio e corse ad aprire sibilando un'imprecazione; non c'era nessuno in casa in quel momento quindi le toccava fronteggiare chiunque ci fosse dietro la porta con quell'aspetto terrificante, così scarmigliata, rossa in viso e vestita a casaccio, e con la terra sparsa ovunque e i capelli devastati e...

«Dane?!»

La ragazza restò sbigottita. Cosa diamine ci faceva lui  lì?

«Beh, pensavo fossi un po' più felice di vedermi» la prese in giro lui con un sorriso. I suoi occhi scintillavano, divertiti.

«Cioè, si che lo sono, però, voglio dire, ho appena finito di lavorare, ho un aspetto orribile, sembro appena uscita da una battaglia e...»

«Oh, ma piantala! Ti andrebbe di fare un giro?»

Un grido nella sua testa le urlava disperatamente qualcosa.

«Dammi dieci minuti e arrivo.»

***

Non abitavano proprio a Tadun. La loro casetta distava una quindicina di minuti a piedi dal centro del paesino, seguendo la tortuosa strada lastricata che arrivava da ovest, dalla pianura.

I due ragazzi passarono quei minuti ridendo e parlando del più e del meno. Mya si era lavata in fretta e aveva indossato gli abiti con cui era solita andare a caccia con suo padre: pantaloni di pelle, camicia larga, una tunica maschile stretta in vita dalla cintura, stivali morbidi e ovviamente i guanti. Si sentiva a suo agio in quei vestiti, e li trovava comunque più comodi di qualsiasi gonna o corsetto.

Dane aveva sbarrato gli occhi quando l'aveva vista uscire da casa vestita così. A quanto pareva, non era abituato a vedere ragazze vestite da uomini. Mya ne era rimasta un po' sorpresa; forse non era normale che le ragazze si vestissero così. Non lo sapeva. Lei non conosceva altre ragazze.

Ora erano seduti sull'ultimo gradino di una delle tante scalette di Tadun, Dane le stava raccontando episodi della sua infanzia, e Mya cominciava a sentirsi un po' a disagio. Lei non aveva ricordi del genere da raccontare, e non voleva che lui sapesse la sua vera origine più di quanto non voleva che lui sapesse della maledizione.

Buttò l'occhio in fondo alla via e notò una ragazza che veniva verso di loro. Indossava un abito color prugna dalle lunghe maniche, con un corsetto ricamato a motivi floreali che faceva risaltare la vita sottile; i suoi capelli ramati erano acconciati con cura in due trecce, avvolte poi in una crocchia sulla nuca, che facevano risaltare il viso ovale e le labbra ben disegnate e tinte da un rossetto. Mya la riconobbe, l'aveva vista un paio di volte: era la figlia del capo del villaggio. Alla ragazza venne istintivo abbassare lo sguardo mentre l'altra si avvicinava, a disagio. Notò che Dane sorrideva, e lei si trovò a confrontare quella bellissima ragazza a lei, scheletrica, infagottata in vestiti informi e con i capelli fermati a casaccio da un nastro e tutti aggrovigliati.

«Dane» salutò la nuova arrivata, degnando Mya di una sola occhiata di disapprovazione.

«Jodie» rispose lui, sorridendo.

«Come mai qui?»

«Nessun motivo particolare, in realtà. Io e Mya facevamo un giro. È la figlia di Mearth e Alya. Mya, lei invece è Jodie, una mia cara amica.»

«Molto piacere» le strinse appena la mano Jodie, con evidente disprezzo, prima di riportare la sua attenzione su Dane.

«Sai la novità? Nei villaggi della valle sono arrivati degli strani cavalieri. Me l'ha detto mio cugino che vive lì. Pare stiano cercando un ragazzo, un certo Myranar, o qualcosa del genere.»

Mya sussultò. Le immagini del sogno le invasero la mente: la voce, i cavalli al galoppo nella notte, la sensazione di terrore che l'aveva svegliata, il suo stesso urlo.

«Scusate» disse improvvisamente, interrompendo le parole di Jodie. «Mi sono ricordata che ho una faccenda urgente da sbrigare, devo tornare subito a casa. È stato un piacere parlare con voi, alla prossima.» Scattò in piedi e prese la strada verso casa, a passo veloce.

Non si allontanò abbastanza in fretta per non sentire Jodie che esclamava: «Ma dove l'hai trovata quella, in mezzo alla foresta? Sembra una selvaggia!»

Girato l'angolo, Mya si mise a correre.

***

Entrò in casa come una furia. Corse in camera a prendere la sua bisaccia, ci ficcò dentro alla svelta un pugnale e il mantello pesante.

La sua famiglia era in cucina, seduta al tavolo per pranzare. La fissavano tutti basiti.

«Mya, cosa sta succedendo?»

«Devo andarmene, mamma. Mi stanno cercando.»

«Cosa vuoi dire? Chi ti cerca?»

La ragazza si fermò due secondi a riflettere.

«Non lo so. Ma so che se sto qui metterò tutti in pericolo. Devo nascondermi per un po'. Andrò nel bosco.»

«Ne sei sicura?» chiese suo padre, cupo in volto.

  «Sì. Mi avevano avvisato che qualcuno mi cercava, ma non ho dato loro ascolto... non starò via molto, però. Promesso.» 

Sembravano tutti sconvolti da quella notizia. Sua madre si alzò, radunò qualche provvista dalle credenze e le porse un involto con dentro pane, formaggio e una manciata di bacche. Suo padre invece la abbracciò in silenzio. Cody si asciugò una lacrima.

«Stai attenta, sorellona. Promettimelo.»

«Certo, Cody. Starò attenta. Te lo prometto.»

Nella via verso la porta prese il suo arco e la faretra carica. Si sarebbe nascosta per un po' nel bosco, ma presto sarebbe tornata a casa.

Tutto sarebbe andato bene. Non c'era niente di cui preoccuparsi.

Continuò a ripeterselo nella mente per cercare di convincersi.

Non poteva ammetterlo, ma dentro di sé sapeva che erano menzogne.

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