14. Mano d'Ombra

Il sole spandeva ovunque i suoi raggi d'oro e fuoco in un glorioso tramonto. Nuvole sfilacciate ardevano nel cielo estivo ormai viola e arancione; il mare era una distesa nera e blu spezzata dai bronzei raggi del sole riflessi dalle onde.

La scogliera bianca, limite ovest dell'isola, era spazzata dal vento che veniva verso il mare. Un ragazzo era seduto sull'orlo del precipizio, i lunghi capelli all'aria; fissava il mare combattere incessante contro la roccia quasi cento metri più sotto, mentre il sole scendeva sempre più sull'orizzonte.

Amava quel luogo. Amava il vento, e i colori del cielo estivo, che al crepuscolo passava dall'azzurro al rosa dorato al viola al blu, e infine diventava nero mentre le stelle si accendevano una a una. E anche la solitudine, finalmente, dopo un'intensa giornata di lavoro.

Quel giorno gli era toccato il turno di guardia. Lui odiava fare la guardia, e naturalmente Temeh lo sapeva. Ogni volta che poteva, gli affibbiava più turni possibile. Quel giorno aveva dovuto stare per l'intero pomeriggio di vedetta sulla torre di segnalazione a est. Lui amava muoversi, correre, combattere; esplorare l'isola e cacciare. Ma Temeh lo odiava, ed era sempre così.

Veniva sempre lì, sulla scogliera, quando era nervoso. Quel panorama aveva il potere di calmarlo. Si sorprendeva a riflettere, a immaginare: chissà cosa c'era al di là del mare. Avrebbe tanto voluto andarci... avrebbe tanto voluto scappare, andarsene da quella maledetta isola, essere libero da Temeh. Anche i Regni lo incuriosivano, sapeva che era da là che veniva, e voleva vederli.

Ma non poteva andarsene. Non prima di aver compiuto la sua missione.

Non prima di aver vendicato suo padre.

«Anser! Dove diamine sei, dannato moccioso!»

La voce portata dal vento gli accese una rabbia di fuoco nell'anima. Si alzò in piedi, voltandosi verso la voce, verso il villaggio.

«Smettila di chiamarmi così, ho quasi vent'anni!»

«E sei codardo più di un bambino di dieci! Dove ti sei nascosto a piangere, stavolta?»

La risata di Temeh echeggiò maligna e crudele. Anser dovette trattenersi dal rispondere a tono, o correre da lui con la spada sguainata. Non era il momento. Doveva aspettare.

Doveva essere sicuro di avere molti degli uomini di Temeh dalla sua parte, prima di affrontarlo, o l'avrebbero ammazzato all'istante.

Così strinse i pugni e ingoiò l'orgoglio, un'altra volta.


***


«Fammi vedere il marchio.»

Keeryahel fissava Myrindar negli occhi, seria e perentoria. La ragazza però esitava. Sapeva che l'Elfa lo faceva per lei, che voleva aiutarla a capire. Ma non voleva slacciare il corsetto e vedere, al centro del petto, invece che la pelle pallida e bianca che aveva sempre sognato il ragno e il teschio, come sempre nella sua vita.

Non l'avrebbe sopportato.

Le avevano offerto la speranza, e ora lei non poteva tornare come prima, se la speranza si fosse rivelata vana.

«Myrindar, è importante.»

La ragazza infine sospirò e annuì. Abbassò il corsetto, quel poco che bastava per vedere una macchia nera sulla pelle. Poi i suoi occhi si riempirono di lacrime.

Scoppiò a piangere come una bambina, le gambe strette al petto, mentre la disperazione la assaliva. Keeryahel le stava dicendo qualcosa, ma non le importava. Era stato tutto inutile.

Si era illusa, non c'era una soluzione per lei. Aveva ceduto alla speranza come una stupida.

E ora era finita, per davvero.

«Myrindar, mi dispiace così tanto...»

Non le importava. Non poteva fare più niente, solo aspettare la morte.

Si raggomitolò sulla terra fredda, dando le spalle ai due ragazzi, mentre le lacrime continuavano a scendere.


***


Dopo il combattimento nella grotta, avevano deciso di uscire, non ritenendolo più un luogo sicuro, ancora feriti e pieni di confusione. Avevano percorso la strada indietro, ed era sembrata loro molto più lunga di quando l'avevano fatta all'andata, correndo, con il terrore negli animi. Si erano accampati nel bosco, sotto un alto pino frondoso, avevano acceso un fuoco, mangiato qualcosa e fasciato le ferite di Keeryahel e Jahrien.

Myrindar era seduta con la schiena contro il tronco resinoso dell'albero, la testa abbandonata sulla corteccia dura e rugosa. Era il suo turno di guardia. Era stanca, distrutta, devastata. Aveva smesso di piangere solo perché non aveva più energie per farlo.

Ora, spada accanto e pensieri vaganti, tentava di non farsi prendere dalla disperazione. Cercava di riemergere, uscire nuovamente dalla nebbia.

Aveva vissuto diciassette anni senza speranza, poteva farlo ancora. Doveva solo riuscire ad accettare la maledizione di nuovo.

Le venne un'idea. Probabilmente, la vista del Kratheda poteva aiutarla a chiudere tutte le porte, a comprendere che era finito tutto. Così slacciò in parte il corsetto, guardando il marchio del demone alla luce scarsa del fuoco morente.

Il suo cuore perse un battito.

Quello non era il Kratheda.

Il ragno appollaiato sul teschio era sparito. La pelle non era bianca e vuota, ma il marchio era diverso. Lo studiò, tremando a causa di un'emozione che non riusciva a descrivere.

Una spada e un fulmine incrociati.

Cos'era?

Agitata, e forse nuovamente speranzosa, si avvicinò a Keeryahel per svegliarla. La scosse piano, e l'Elfa aprì subito gli occhi, fissandola confusa. Alla ragazza bastò indicare il simbolo, e Keeryahel scattò in piedi.

Prese Myrindar per un braccio e la trascinò vicino al fuoco, per vedere meglio alla luce. Esaminò il simbolo con occhi critici per diversi minuti, gli occhi dorati concentrati, la fronte aggrottata dietro le ciocche scompigliate. Quando infine incrociò lo sguardo inquieto della ragazza in attesa, non lasciò trapelare nessuna emozione.

«Sveglia Jahrien. Devo parlarvi.»

Detto questo si sedette a gambe incrociate, le dita a premere le tempie, come a cercare di ricordare.


***


«Credo di aver capito.»

L'Elfa ruppe il suo mutismo pensieroso una decina di minuti dopo. Per tutto quel tempo i due ragazzi avevano atteso, scambiandosi occhiate turbate. Ora era finalmente il momento della verità.

«La magia della Sorgente era debole quando ci siamo arrivati. Era quasi l'alba, e non ha fatto a tempo a eliminare del tutto la magia demoniaca da te. Inoltre credo che non fosse proprio possibile cancellare la maledizione: era troppo radicata in te. Eri al limite, la magia demoniaca era troppo potente. Quindi credo che la magia della Sorgente non abbia eliminato la magia dei Demoni, ma si sia unita a lei. Ora, la tua maledizione è cambiata, perché è composta sia da magia dei Demoni sia da magia delle Fate. Hai poteri completamente diversi da quelli di prima: hai sempre il potere distruttivo dei Demoni, ma ora è governabile.»

La ragazza non sapeva cosa pensare.

«Significa che non uccido più solo toccando le persone?»

Keeryahel esitò.

«Conosco poco del sigillo che hai ora. Però credo di no, credo che ti dia il potere di lanciare fulmini magici, come quelli nella grotta. Con un buon addestramento, la magia delle Fate ti permetterà di controllarli, e non ucciderai più contro la tua volontà.»

Myrindar restò a bocca aperta. Era stata lei, quindi? Aveva ucciso tutti i soldati nella grotta solo con la forza di volontà. Si disse che doveva assolutamente trovare il modo di imparare a dosare il suo potere, oppure avrebbe rischiato di fare del male a chi voleva bene. Finalmente non era più la magia a comandare lei, ma viceversa.

Jahrien interruppe i suoi pensieri.

«Ce l'hai quasi fatta, Myrindar. Sei libera!»

La ragazza rifletté sulle sue parole, colta da un pensiero improvviso.

«Se entro di nuovo nella Sorgente, la maledizione svanirà del tutto?»

«No. Ti ho detto, credo che la magia sia troppo radicata in te.»

Gli occhi di Keeryahel mostravano dispiacere. Myrindar annuì, cercando di non far vedere quanto era delusa. Voleva essere una persona normale, ma non era possibile.

Almeno, avrebbe avuto controllo.

«Quindi mi addestrerò. Chi mi aiuterà? Gli Elfi?»

«Ci vuole qualcuno esperto nella magia delle Fate. Dobbiamo parlarne con Alshain» rispose Jahrien. Poi si rivolse alla sorella. «Come si chiama il sigillo nuovo?»

Il lampo di preoccupazione nel viso di Keeryahel non rassicurò per niente Myrindar. Era evidente che sapeva. Cosa c'era in quella magia di così terribile da farla esitare?

«Nella vostra lingua si chiamerebbe Mano d'Ombra» sussurrò infine.

Sembrò che Jahrien avesse ricevuto un pugno in faccia. Sbiancò, gli occhi spalancati, come se avesse improvvisamente capito. Keeryahel annuì, intuendo i suoi pensieri. Myrindar continuava a spostare gli occhi dall'uno all'altra, senza capire, senza seguire i loro pensieri. Le mancava qualcosa, qualcosa di importante. Quando infine il ragazzo parlò, la sua voce era un sussurro sconvolto.

«Aleestrya...»




*********

Tan tan taaaan!

Ebbene sì, la storia è ben lungi dal concludersi ^^

In un solo capitolo appare questo Anser, un personaggio del tutto nuovo, e soprattutto si capisce il senso del titolo! Spero davvero che questo capitolo vi abbia sorpresi almeno un pochino e vi sia piaciuto :3 fatemelo sapere!

D'ora in poi cominceranno a svelarsi alcune cosette... per cui state in guardia u.u

Bye!

~ Vy

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