Parte 1 senza titolo

Sto correndo nel bosco.
Non so come ci riesco, con le gambe molli e il respiro spezzato.
Morgana mi segue.
Non so perché, visto che mi odia.
Morgana la conosco da meno di due mesi, ma ha cominciato a prendermi a calci in culo quarantott'ore dopo avermi detto ciao.
Un record anche per me.
È arrabbiata per una marea di motivi, soprattutto perché io sono vivo e Riccardo no.
È arrabbiata ma mi sta addosso, per via dell'"affinità". Dice che mi ignorerebbe ma non può, che se ne starebbe alla larga, ma non riesce perché il re e la fata sono legati.
La mia testa mi dice che sono cazzate, ma qualcos'altro, più in basso, mi dice che è tutto vero.
Mi basta sentire il suo respiro per respirare, cercare i suoi passi per ritrovare i miei.
Resta una stronza, chiaro, ma dopotutto lo sono anche io. O meglio, lo ero.
Forse è proprio questo che mi piace: la guardo e vedo il vecchio me. Io, quando ero come lei. Io, quando mi piacevo. Io, quando me ne fregavo e prendevo quello che volevo. Io, prima di arrivare in questa scuola.
Lei mi ricorda che essere un bastardo era infinitamente più facile.
Ora ci sono persone di cui mi importa più di me stesso. Persone a cui appartengo. Persone come il mio amico Chevalier.
Penso al suo nome e corro più forte.
È stato ferito da una freccia. Devo fare presto. Devo arrivare da lui, vedere che sta bene e mettermi il cuore in pace. La ferita non sembrava seria, ma continuo a pensare a quando stava disteso a terra, a Santiago, con la schiena a pezzi. Torna la paura che lui sparisca dalla mia vita.
Ancora un po' e vomito.
Non voglio stare senza Lance. Farebbe male in un modo che non so neanche spiegare.
È l'unico a questo mondo che mi accetta, l'unico che non tenta di cambiarmi.
E chi se ne frega se mille anni fa mi ha fregato la ragazza!? Non sono uno che porta rancore.
Penso a quella storia del tradimento di Lancillotto ed ecco che mi striscia nella testa il viso di Helena. La tipica associazione di idee di un cretino che gode a farsi male.
«Smettila!»
È la voce di Morgana, alle mie spalle. Ha il tono di chi non ne può più e mi ricordo che sente le mie emozioni. L'ansia che provo non schiaccia solo me.
«Mi dispiace, okay, ma sono in pensiero» mi giustifico.
«Stai urlando» precisa. «Le tue emozioni mi stanno urlando nelle orecchie».
Ecco. Ora mi sento in colpa perfino verso Morgana.
Devo farmi curare. Sul serio.
Sto quasi per chiederle scusa, quando avvisto la baracca dell'infermeria e accelero.
Travolgo la porta e sono dentro.
Cerco e trovo Lance. È fermo sulla branda e mi guarda, come se sapesse che stavo arrivando. Come se mi stesse aspettando.
«Lance, come stai?»
Mi mostra il braccio. «È solo un graffio. Tranquillo».
Respiro. Gli credo.
Perché io credo sempre a Chevalier. Ho bisogno di fidarmi di lui, di sapere che starà sempre bene e non mi mentirà mai. Il professor Du Lac si è occupato della fasciatura. Non sono un esperto, ma mi pare abbia fatto un buon lavoro.
Lance comincia a vestirsi. Lui e suo zio parlano di andare dalla vicepreside poi, dio sa perché, Lance invita Morgana a seguirli. Morgana accetta, quindi Chevalier dice una cosa senza senso.
«È meglio mettere in chiaro che non ci sono problemi di sicurezza».
È impazzito? Un bastardo incappucciato lo ha ferito in un imboscata!
Lo hanno bersagliato con frecce vere!
Non mi trattengo. «Ci sono eccome».
«Non ci sono» s'intromette Morgana. «E, una volta per tutte, chiudi quella bocca».
Cosa? Ma è fuori?
Guardo lei, guardo Lance. Nessuno dei due sembra voler dire la verità. Sono così scombussolato che tengo davvero la bocca chiusa. Si alzano, si dirigono all'uscio, la porta si chiude alle loro spalle. E in quel momento realizzo che non sono solo.
O meglio che sono solo con Helena.
Il che, in parte, rispecchia la storia della nostra storia, perché io con lei mi sento sempre solo come un cane.
L'avevo vista entrando, ma pensavo a Lance. Ora devo pensare a lei e mi odio per come mi sento. Vorrei non averla mai incontrata. Senza Helena sarei infelice, ma non saprei di esserlo.
Comunque non posso stare qui. Giro i tacchi e me ne vado. Cioè, ci provo, ma non ci riesco perché lei mi chiama.
Dice «Marco» e io vorrei andare all'anagrafe e cambiarmi il nome. Mi chiedo come accidenti fa, come riesca a dirlo in quel modo, a descrivermi al ribasso, a disegnarmi male.
In quella parola io sento il suo giudizio: non vali quanto credi, Marco Cinquedraghi. Anzi, non vali niente.
Dovrei solo andarmene, ma sono un cretino e non ci riesco. Non ci riesco perché i suoi occhi non sono come la sua voce. I suoi occhi mi parlano sempre di cose diverse, mi parlano di abbracci e amore e un sacco di cose che chiaramente non esistono.
«Cosa vuoi?» le chiedo.
«Possiamo parlare?»
Parlare? Lei vuole parlare? Quasi le rido in faccia.
«No».
Sono categorico. Non mi importa.
Vaffanculo.
«Dici sul serio?»
«Certo».
Oh te lo giuro! Mi è proprio passata la voglia. Una parte di me, quella più idiota, aspetta ancora le sue scuse. Ovviamente non arrivano. Anzi mi accusa di essere infantile.
Eh no, frena tutto, io non sono un ragazzino che se la prende, cazzo! Io incasso le peggio cose, e non fiato. Ma quando è troppo è troppo. Ora vuoto il sacco.
«Ti dimentichi che esisto» le dico, «mi metti in croce, mi tagli fuori e alla fine mi pugnali alle spalle».
Bravo Marco, ti stimo.
Sto meglio, ma dura poco.
Qual è la cosa peggiore che possono dirti quando vomiti addosso a qualcuno tutti i macigni che ti tenevi dentro? Non lo so, ma scommetto che Lei lo sa.
Mi guarda e dice: «Forse stai esagerando».
Non. Può. Fare. Sul. Serio.
Questa dovrebbe essere la parte in cui Helena capisce di avermi sempre trattato da schifo, la parte in cui mi chiede scusa, la parte in cui io non la perdono.
Cioè, dico che non la perdono, ma poi sì. Non è questo il punto.
È solo un'ipocrita e stavolta glielo dico. Lei naturalmente finge di non capire. Le rinfresco la memoria e le ricordo che, non più di due ore fa, mi ha sbattuto fuori a calci dalla squadra, che ha chiamato tutti, tranne me.
Che ha chiamato Lance.
E lei? Lei sembra scendere da una nuvola e mi chiarisce che l'ha fatto solo perché loro due sono amici.
Lei e lui sono amici.
Questa cosa mi uccide. Ancora un po' e prendo a pugni il muro e spero di spaccarmi la mano, così mi farebbe male da un'altra parte e mi scorderei del dolore che pulsa qui, sotto le costole.
Perché non mi sono fermato prima? Perché le ho dato tutto me stesso? Per questo? Per essere pesato e scartato ogni maledetta volta?
Devo farla finita. Qui. Subito.
Glielo dico.
«Ricevuto il messaggio. Io e te abbiamo chiuso».
Ed ecco che gli occhi diventano di un nero diverso e arriva la reazione che non mi aspetto. Vedo, oltre il suo stupore, la rabbia che cresce.
Ma sì, incazzati! Almeno sarò riuscito a farti provare qualcosa, porca miseria.
Helena è fuori di sé mentre mi dice che non posso chiudere con lei perché non abbiamo «nessuna storia».
Grazie! Grazie tante, ero solo. Lo sono sempre stato. Tutti questi mesi a sperare contro un muro di gomma. Glielo dico, le dico che sono stato l'unico a crederci e lei mi stupisce ancora perché s'infuria di brutto. Le si incendiano le guance.
Non so che cazzo mi metto a pensare alle sue guance, sono proprio andato.
Comunque lei mi rinfaccia che non siamo mai usciti insieme e che io non gliel'ho mai chiesto. Dio, quanto è bugiarda?! Mi ricordo benissimo di averle chiesto di uscire, mi ricordo che avevo il cuore nelle scarpe, mentre le dicevo che c'era un mio amico che voleva portarla fuori. E, andiamo, lo sanno tutti, che quando si dice a una ragazza: c'è un mio amico che vuole fare questo e quest'altro in realtà mica c'è davvero. È un amico con le virgolette.
Helena lo doveva aver capito, che parlavo di me! Sto per dirglielo, ma l'ultima cosa che mi rinfaccia è peggio di uno schiaffo.
«Non mi hai neppure baciata!» mi dice. «E dopotutto era il minimo, perché baci chiunque».
Questo sarebbe un colpo basso perfino per i colpi bassi! Sono mesi che penso a come baciarla. Se non l'ho fatto è perché lei non me ne ha dato l'occasione. Ha messo dei muri, delle trincee, ha scavato tipo dei fossati e li ha riempiti di coccodrilli.
E squali.
Pure gli squali, ci ha messo.
«Allora adesso ti bacio, contenta?» la sfido. «Così poi posso mandarti al diavolo».
«Fallo».
«Lo faccio».
E sì, maledizione, lo faccio sul serio. Ci dividono tre passi, che ci vuole?
Tre passi e sono lì.
Tre passi e ho perso il cuore.
Tre passi e quella cosina piccola ha mandato a puttane il mio coraggio.
Tre passi e sono più suo di quanto sia mai stato mio.
Ci guardiamo. Mi sorride, ma non ci mette gli occhi, poi mi parla.
«Avevo ragione, dopotutto».
«No. Non ce l'hai».
Non ce l'hai perché ti sto baciando, ecco cosa vorrei dirle, ma non posso perché la sto davvero baciando.
E sto male quando capisco che mi sta bene baciare una che non mi vuole, che mi basta questo bacio sbagliato per essere felice.
E dopotutto, quando mai ne faccio una giusta?
All'improvviso i miei polmoni mi avvertono che, se continuo così, muoio.
Mi allontano e mi sembra di morire comunque.
Non ho il coraggio di andarmene davvero, e questo è del tutto normale, la cosa strana è che anche Helena resta lì.
Resta lì e si scusa.
Sarà che sono stordito, ma proprio non capisco. L'ho baciata io. L'ho praticamente obbligata, forse sono io a doverle delle scuse, ma non sarebbero sincere, perché lo rifarei anche adesso e... mi sta parlando sulla bocca, sento le sue labbra, ora la bacio, la bacio, anche se rischio di beccarmi uno schiaffo.
Ma non faccio in tempo. Arriva qualcosa che è mille volte peggio e mille volte meglio di uno schiaffo.
Arriva lei che bacia me.
Helena mi sta baciando.
E, ciao proprio, cuore! ci si rivede dall'altra parte. Mi incendio, sono una scintilla! Sono così suo che non mi resta niente. Mi divora la voglia di metterle le mani ovunque. Ogni fantasia che ho fatto era così, esattamente così, come se non immaginassi nulla, come se piuttosto mi ricordassi di com'era tenerla tra le braccia. Voglio che sia nuda. Voglio essere nudo. Voglio perdermi, finire.
E la fantasia cambia di segno mentre la stringo così forte che mi faccio male, mentre vivo sulla sua bocca e ricordo quella volta in cui sono morto, su quella stessa bocca, tra quelle stesse braccia.
Mi ricordo che lei è la mia fine.
Un rumore improvviso spezza l'incantesimo . Mi allontano di scatto. Qualcuno bussa, riconosco la voce di Deacon, che un attimo dopo entra come un proiettile sparato. Zoppica e parla a ruota.
Non riesco a seguire il suo discorso. Sento solo il battito del cuore e il sangue che scorre come un fiume.
Deacon si accorge che non lo ascolto, mi richiama all'ordine. Se continuo così capirà che qualcosa non va. Mi concentro e rispondo alle sue domande. Vuole sapere chi è l'esper che ci ha aggredito e mi dice che deve ancora registrare il risultato della caccia.
Morale: mi incastra. Devo accompagnarlo dagli assistenti. Sono così abituato ad assecondarlo, che mi ritrovo a seguirlo.
Ma, sulla porta, realizzo che non posso proprio andarmene così. Devo parlare con Helena . Giro i tacchi e la raggiungo. Le devo dire che l'avevo già invitata fuori ma evidentemente mi sono spiegato male, e devo dirle non era vero che volevo baciarla solo per lasciarla. Cioè scherziamo? Devo dirle che non la lascerei neppure se lei lasciasse me. Devo dirle di uscire con me, perché se lo farà mi sforzerò con tutto me stesso di non essere un idiota.
Devo dirle che voglio una possibilità. Che me ne basta una, e la convincerò. Devo dirle che so di essere quello dei due che ci tiene di più e che mi sta bene.

Devo dirle tutto, ma davanti ai suoi occhi, stupiti e magnifici, le parole scappano e il cuore anche.

E quello che riesco a dirle è «domani sera, otto e mezza, passo io».
Secondo me è sufficiente.
La bacio, forse per non permetterle di dirmi di no, forse perché ne ho bisogno e devo farglielo sapere.
Perché una cosa non cambia mai: resto un idiota e piuttosto che stare senza di lei, preferisco morire al suo fianco.
Tutta la vita.


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