15 agosto
Mi chiamerò Darlin Blakpool e sarò una studentessa che si immatricola quest'anno all'Albion College. In apparenza si tratta di una scuola tra le montagne svizzere, molto esclusiva e del tutto normale, se non fosse che si entra solo se fai parte di un gruppo ristretto di famiglie. In realtà è la moderna incarnazione di un'istituzione antica, fondata dai cavalieri della Tavola Rotonda per allevare insieme i propri figli. Darlin, quella vera, è di Hastings. Ha un carattere aperto e molti amici, nonostante soffra di un'infatuazione adolescenziale per le favole gotiche. È più alta di me. I suoi occhi sono scuri, i capelli sono lisci e neri, li porta lunghissimi da sempre.
Ho passato qualche settimana a Hastings, studiando il territorio, e ho lavorato sull'accento. Se la fortuna mi assiste, dovrebbe bastare. Per l'aspetto fisico la questione è stata risolta con qualche accorgimento. Indosserò scarpe con la suola rinforzata, hanno stirato chimicamente i miei capelli, li hanno scuriti e hanno applicato delle extension infinite. Quanto agli occhi, indosserò lenti a contatto colorate. Ci sono abituata, perché i miei occhi rosa non passano inosservati.
Darlin sarebbe dovuta entrare all'Albion, la sua famiglia discende dai cavalieri, ma nessuno di loro lo sa. A differenza di altre congreghe legate all'ereditarietà e al sangue, i cavalieri condividono la verità solo con un numero ristretto di membri. Bisogna prima ricevere l'iniziazione, e per farlo occorre diplomarsi. E sembra che non sia una passeggiata, soprattutto per chi entra con la borsa di studio. Le cose non sono sempre state così. Ma lo sono adesso.
Quando hanno accettato l'offerta del Tempio e hanno venduto il diritto di iscriversi all'Albion, i Blakpool non sapevano a che cosa stavano davvero rinunciando. Ma per come va il mondo, forse non avrebbe fatto differenza. Il Tempio li ha pagati e Darlin riceverà un'istruzione ugualmente prestigiosa. A settembre partirà davvero per un collegio svizzero. Ma non sarà l'Albion.
All'Albion ci andrò io.
È la prima volta che mi sento svilita da un incarico. La prima volta che non ne afferro l'utilità. Io sono un membro addestrato di una setta antica di quasi mille anni e mi chiedono di passare quattro mesi della mia vita seduta su un banco di scuola a far la punta alle matite. Vogliono che tenga d'occhio dei ragazzini. Devo farmeli amici e fare in modo che facciano amicizia tra di loro. E poi li dovrò portare a Montecassino, entro la fine dell'anno. Dio solo sa come.
È l'incarico più stupido, inutile e mortificante della mia carriera. Il Tempio non si rassegna, e dopo quarant'anni di defezioni spera che questa nuova, eletta generazione accolga l'antica ispirazione dell'ordine cavalleresco.
Mentre ad Archibugi e a quelli come lui, cacciatori di memorabilia e manufatti leggendari, interessano solo i custodita.
I custodita sono l'essenza del mito. Oggetti mistici legati ai cavalieri di cui si ignorano del tutto l'aspetto e l'ubicazione. Sotto sotto spero che sia solo una leggenda. Nel caso, vorrei proprio vedere la faccia di Archibugi.
Ma per ora faccio quello che dicono. Non è nella mia natura ribellarmi. Io non protesto. Le loro decisioni sono le mie.
Però mai come oggi sento il bisogno di distogliere la mente, e fortunatamente so come fare. L'Androne, scavato nel cuore della montagna, è la stanza sotterranea dove mi sono allenata per anni. Un immenso ambiente dove l'eco risponde perfino ai sospiri. È la grotta che parla con le nostre voci e geme con noi, mentre ci spezziamo di fatica sui percorsi a ostacoli messi a punto nei secoli da chi ci ha preceduti.
È un giorno di festa e non mi sorprende trovare l'Androne deserto. Meglio. Mi basterà rischiare la vita e mi sentirò di nuovo me stessa. Il Ponte Magico è il tracciato più duro e pericoloso fra i molti che io e miei compagni abbiamo ripetuto allo sfinimento. Mi ha fatto sputare sangue fin dal primo giorno. Oggi il mio corpo lo conosce a memoria.
Mi arrampico con la fune e mi lancio sulle parallele. Tre volteggi. Il mondo intero gira intorno a me. Ora sono a terra e corro verso la sbarra: duecento metri su un percorso sospeso, più stretto della pianta dei miei piedi. Giungo alla fine con la sensazione di aver volato.
Eccomi davanti al muro. Ignoro gli appigli più semplici ma non perdo tempo. In un batter d'ali sono in cima. La fune mi aspetta. La afferro con entrambe le mani. Sono a metà dell'oscillazione che mi porterà in volo dalla parte opposta dell'Androne. La corda scivola tra le dita. Un brivido di paura mi ferma il cuore. Lo zittisco e sono dall'altra parte, i piedi saldi. Ora mi calo con la fune. È il momento dei fossi. È un ritmo noto alle mie gambe. Si conoscono da anni. Arrivo dall'altra parte. Affronto i muri. Sono otto, in sequenza. Anche qui le mie gambe vanno a memoria. Sanno quando alzarsi e non li sfiorano. Finisco il percorso per la terza volta.
L'illusione non dura. Così non va bene. I pensieri sono ancora lì. Correre non basta per lasciarseli alle spalle.
Sto per lanciarmi nell'ennesima ripetizione quando una voce nota mi chiama. È El Faid. Mi sorprende vederlo. Da quando è stato nominato ambasciatore della Montagna presso i Templari è quasi sempre a Montecassino. Non sapevo neppure che fosse alla Cittadella.
«Brava. Un'esecuzione notevole».
«Posso fare di meglio». I complimenti mi mettono sempre a disagio. È come quando qualcuno ti vuole vendere qualcosa e non ha il coraggio di dirti il prezzo.
«Dovresti tornare a casa. Riposarti. Stasera devi divertirti come tutti».
Le sue parole mi riportano alla mente che oggi è un giorno di festa. Hamid, capitano del nostro rione, si sposa con Rania.
«E poi domani parti per la Svizzera. Una ragione in più per risparmiare le forze».
Sto per dirgli che, per ciò che devo fare in Svizzera, le forze mi avanzeranno, ma taccio e annuisco. Però qualcosa non va. Non lo convinco. Si insospettisce.
«Devi fare del tuo meglio».
«Lo farò».
«Abbiamo bisogno dei cavalieri».
«Certo».
«Sono una risorsa inestimabile».
«Il Tempio ne è convinto».
«Se non li riportiamo tra noi, corriamo un grave rischio».
Non ce la faccio e ribatto: «Ce la siamo cavata anche senza di loro». Un lampo di sorpresa balena nel suo sguardo. Mi affretto a ritrattare, ma lui mi interrompe: «Samira, se il Tempio è la mente della nostra organizzazione, i cavalieri ne sono l'anima. Sono nati per servire e proteggere, lo fanno da molto prima che il Tempio stesso nascesse! Hanno indicato la via a tutti noi».
«Potrebbero aver cambiato idea».
«I cavalieri hanno nel loro sangue poteri grandi e meravigliosi. Doni simili non possono cadere nelle mani sbagliate».
Annuisco, giuro che darò il massimo e, finalmente, me ne vado. È unsollievo che non posso esprimere a parole.
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