XLVI - Antartide
Sulle punte,
allungo le braccia,
accarezzo una farfalla,
ogni rosa
per ogni sua spina,
tutti quei tagli
saziati dal freddo,
dal sesso regresso
m'iberno.
E sì,
m'iberno come Antartide,
m'iberno,
m'iberno come Antartide,
m'iberno
nel vento,
m'iberno come Antartide.
Hanno lo sguardo fisso,
parola per parola,
silenziosi come
un assurda nota,
tutto è reale,
e che dovrei pensare,
brucio come lava,
assonnato
ammuffisco verità,
quest'arte sembra incertezza,
ma il terromoto
che ho in tasca
strugge con certezza.
Una scelta,
di una notte
dura mesi o anni,
ne ho scritti tanti
di drammi,
di canti abissali,
dalla mia vista che s'appanna,
in gola ho una stupida risata,
è il risultato di un mondo
che guardo,
alzando la guardia,
vedendo fosche
borse di follia
in quest'ipotermia
associata.
Potessi coricarmi
ed amarti
e nel lento scorrere
consumarti
se questi drammi
assopissero
i sogni bastardi
se questi drammi
m'ibernassero
dall'alto del cielo,
avrei più forza
per schiantarmi
e rimanervi all'ego,
polvere di cristallo
muta come brezza,
ed i ricordi
sono l'arma letale
della mia incompletezza.
Penetro nella mente,
la vagina è
un compromesso,
messa nel disordine,
raccapriccio
ogni tua lingua
nel grembo
delle trasfigurazioni,
partono tempeste;
il cuore che s'ammala,
il tumulto che mi chiama,
e prima di cadere a testa in giù
c'è un ricordo che mi acclama;
è la vetta dei misteri,
l'ululato dei pensieri,
scrivono scostando
il nero dai miei sentieri,
è luce artificiale,
la sorte mi è radicale,
un tuono dall'alto
rianima le mie corde vocali,
la brezza del mio urlo
è quasi Antartide orchestrale.
E finisco col dire
che questa musica
mi ha assolto,
sono morto,
sepolto
e poi risorto,
vuoti di memoria,
a corto di pelle d'oca,
guardo tristi i miei confini,
circa la metà
sono tristi
nei dipinti,
variopinti in
questo sguardo cupo
sospirando al muro,
deluso da ciò che sono,
corsie di percezioni,
olfatto d'ombre,
introspezioni,
e la mia che
vedo spaventarsi
mira all'intuizione
all'aggressione
è la bestia dissanguata
che fa ritorno
a casa
nell'Antartide,
nella carta divorata,
soppiantata dal rumore
del respiro,
finisco
col gelo
e nel disgelo
mi accorgo di
aver fatto ore lunghe
e queste preghiere sono
tutte speranze mute,
sopra ogni mia rima,
nevica l'umido
in rimostranza,
ad ogni sostanza
sputo la profondità
in respiro come fumo,
ed io faccio l'amore
col riflesso del mio spirito,
mi tiene in ostaggio,
e l'io che teme
questo nome
inciso su queste pietre
di ghiaccio,
la stessa che c'ho dentro,
batte e manda raffiche,
la sento come se volesse andare via,
andare via,
seguo il verso in questa scia,
il veleno è la poesia,
siamo tutti in vita,
guardami dentro
vedrai sommosse
le lacrime strapparsi
gli occhi dal patimento,
gli sguardi dallo sgomento,
ed il momento
giusto
per sciogliere l'Antartide da
quest'occultante senno.
Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top