6.

I raggi del sole della mattina illuminavano gradevolmente anche i cunicoli in cui si stava muovendo. Sapeva di dover uscire lontana dal luogo in cui aveva commesso il precedente furto, ma anche lontana dal vicolo cieco in cui teneva i suoi averi. Iniziava a percepire i primi bisbigli provenire dall'alto, la città era già sveglia da ore, ma iniziava solo ora a farsi sentire.

Per la prima volta, in dieci anni, doveva prestare ancora più attenzione a non farsi notare, ora che quel cadetto l'aveva osservata da vicino. Molto vicino.

Se negli anni precedenti, era riuscita a non farsi mai scorgere, probabilmente, ora aveva trovato un degno avversario. Uno che le avrebbe dato del filo da torcere se avesse preso sul personale quanto successo fra loro. Dopotutto gli aveva rotto il naso. A parti inverse Nayla non l'avrebbe dimenticato facilmente.

Mentre attraversava placida i condotti fognari, si ritrovò a pensare che forse sarebbe stato istruttivo fare due chiacchere con quel tipo. Comprendere come fosse riuscito a capire in che direzione stava andando, quando nemmeno lei sapeva dove stava scappando. Avrebbe voluto imparare dal suo errore. Si rese conto che, se non fosse stato per lo sgomento che gli aveva visto negli occhi quando aveva scoperto che fosse una donna con la lingua lunga, non sarebbe riuscita ad assestargli quella testata salvifica. Un brivido le percorse la schiena.

Ricacciò indietro quei pensieri, non avrebbe mai dovuto cercare spontaneamente quell'uomo. Nemmeno per porgli una singola parola.

Osservò i simboli che aveva disegnato nella parte inferiore del muro, una N e delle quattro righe verticali equidistanti. Sarebbe uscita al di fuori delle mura e rientrata con le carovane dei mercanti che provenivano dall'estero attraverso il cancello nord.

Se non aveva sbagliato i suoi calcoli quello era il quarto mercoledì del mese, ossia la giornata in cui Midabd apriva i suoi cancelli agli stranieri. I commercianti esteri si sarebbero trattenuti per un tempo variabile a seconda del flusso di affari che sarebbe arrivato. Sarebbe stata un ottima occasione per sgraffignare qualche pianta o erba per i suoi intrugli curativi. Le sarebbe piaciuto applicarsi di più nell'arte della guarigione. Quelle materie prime, però costavano un occhio della testa e, se anche fosse riuscita a racimolare dei semi in un ambiente desertico come quello di Midabd nessun vegetale sarebbe cresciuto.

Ogni anno che passava, tuttavia, sostavano sempre meno, un chiaro segno della povertà che dilagava incontrollata nella sua città. Non avrebbe saputo dire se il problema che stava alla base fosse da attribuire ai consumi della popolazione, ma sicuramente qualcosa non andava nella distribuzione della ricchezza.

Mentre percorreva gli ultimi metri come una formica nel suo personale formicaio, prestò attenzione al vociare degli abitanti. Ascoltava per essere pronta quando fosse riemersa dal buio. Voleva essere certa di non ritrovarsi un intero esercito ad attenderla.

Non udì nulla che le fece credere non fosse sicuro tentare di infiltrarsi.

La stretta scala a pioli, l'aspettava alla fine di quell'ultimo corridoio. Il tunnel terminava con una botola sopra la sua testa. La sollevò appena qualche centimetro. L'accolse la vista sconfinata dei sabbia del deserto di Zahaar. Un luogo affascinante e inquietante allo stesso tempo. Strizzò gli occhi per abituarsi alla luce del sole. Quando sembrò non darle più problemi, Nayla si concesse un approfondita osservazione dell'area.

Una lunga fila di carri dalle fogge stravaganti era in attesa di ricevere il via libera, da parte della Guardia Sultanesca, di passare oltre l'enorme cancello in metallo. I controlli potevano richiedere più di qualche minuto. Minuti guadagnati per sgraffignare qualche abito di foggia differente.

Inquadrò quello che sembrava il carro di un commerciante di tessuti e indumenti. Esalò un respiro tremante. Le mani le sudavano. Non per il caldo. Si osservò i palmi imponendosi di fermare il lieve tremore che le tormentava. La disavventura di qualche giorno prima, l'aveva scossa più di quanto avesse creduto. Si sentiva irrequieta. E se fosse andato storto qualcos'altro? Sarebbe riuscita a farla franca per una seconda volta?

Con meno audacia del previsto uscì dal suo nascondiglio a pochi passi dal lungo cordone di carrozzoni. Richiuse la botola cospargendola poi si mucchietti di sabbia calda.

Dal retro, agguantò un guarnello - una veste scollata e senza maniche – un velo e un tascapane da quel carro mal custodito. I proprietari sostavano sul davanti in attesa del loro turno. Si vestì più in fretta che poté stratificando ciò che già indossava con gli altri vestiti.

Portò i capelli in alto come per farsi una coda, ma invece di legarli, li avvolse all'interno del velo, che fece rigirare su sé stesso appoggiando l'estremità sulla spalla sinistra, cosicché, in caso di bisogno avrebbe potuto coprirsi naso e bocca.

Abituata ad indossare solo pantaloni larghi si sentiva un puledro che tentava di muovere i suoi primi passi. Non riusciva a capire come le dame a settentrione del deserto potessero camminare. La sottana le si intrecciava alle caviglie come un serpente a sonagli che stritola la sua cena.

Dopo essere goffamente inciampata, rischiando di stramazzare a terra, si mimetizzò nella lunga fila in attesa di fare il suo ingresso a Midabd.

Circondata da tutte quelle persone con caratteristiche etniche differenti, riuscì, ugualmente, a passare inosservata al controllo delle guardie.

«Annunciatevi!» le impose un uomo, seduto ad un tavolo sgangherato con un pennino in mano e una boccetta d'inchiostro vicina, senza nemmeno guardarla in volto. Aveva una grossa pancia che non gli permetteva di stare seduto composto. Il collega gli sostava a fianco con aria estremamente annoiata. In piedi, il saif riposto nel suo fodero al fianco sinistro. Quest'ultimo la guardò diritta negli occhi, ma non sembrò insospettito.

«Delecta Di Battista» rispose fingendo un accento diverso. Quel nome l'aveva letto in uno dei suoi libri.

Il panzone scrisse qualcosa su un foglio di lino. «Andate» sentenziò.

Nayla non se lo fece ripetere due volte. Chinò il capo in segno di ringraziamento e remissione.

Solo una volta all'interno del suk riprese fiato, non si era resa conto di aver trattenuto il fiato fino a quel momento.

Mentre passeggiava per l'enorme strada si ritrovò a soppesare due ipotesi: o lei era incredibilmente brava a travestirsi oppure coloro che avrebbero dovuto supervisionare la sicurezza di Midabd erano degli stramaledetti idioti. Era contraddittorio quanto stesse pensando, tuttavia la loro incompetenza le sarebbe tornata utile fintanto che quella guardia non si fosse fatta vedere.

Quella volta decise che avrebbe pagato ciò che voleva mangiare. Con i soldi degli altri s'intende. Il tremolio alle mani era cessato poco dopo aver varcato i cancelli era pronta ad entrare in azione.

Con finta non curanza iniziò a guardarsi attorno fingendo di cercare qualcosa di non ben specificato. Notò, in quattro punti poco distanti fra loro tre uomini e una donna che portavano dei borselli fissati alla vita da lacci.

Andò incontro al primo fingendo di scontrarcisi. L'uomo era chiaramente nativo di Midabd. Portava delle brache larghe in lino bianco e una camicia con scollo a V aperta sul davanti. Umile nel vestiario, ma la materia con cui erano tessuti i suoi abiti era pregiata. Aveva sicuramente con sé un gruzzoletto non indifferente. Nel momento in cui la spalla sinistra di Nayla si scontrò con quella di lui, le dita di lei, slacciarono l'esile fiocco che teneva la sacchetta ancorata al proprietario.

«La prego di scusarmi» disse rivolta all'uomo subito dopo l'impatto, mentre ruotava il polso e lo portava dietro la schiena occultandolo. Quello la liquidò con un gesto della mano irritato.

Allontanatasi di qualche passo e nuovamente celata dalla folla fece scivolare all'interno dello scollo del guarnello il piccolo sacchetto. Avrebbe esaminato più tardi il suo bottino, ma sapeva di non essersi sbagliata: il portamonete era sufficientemente pesante da contenere almeno una decina di monete tra oro e argento.

Rapida e furtiva si diresse verso il secondo malcapitato. Non ci fu bisogno di sotterfugi. L'uomo, meno abbiente del primo, era chino su un banco che vendeva utensili per la casa. Osservava attentamente cucchiai e mestoli in legno. Piegato così le dava modo di passargli dietro e sfilare la moneta senza nemmeno dover slacciare il borsello dalla cinta.

Allungò una mano, agguantò più monete di quante potesse effettivamente stringerne e proseguì passeggiando. Ripose il tutto all'interno del corpetto della tunica. Il taglio sotto il seno rendeva la parte alta dell'abito una perfetta tasca.

Un delizioso profumo di Yufka – un tipico pane basso molto sottile e croccante – le fece brontolare lo stomaco. Il fornaio, si trovava sull'uscio della sua bottega farneticando di quanto il suo pane fosse il migliore di tutta Midabd. «...APPENA SFORNATO!» concluse.

Nayla si avvicinò pregustando il momento in cui avrebbe addentato l'agognata pagnotta. Lo stomaco fece una capriola.

«Ne vorrei tre, per cortesia» si rivolse all'uomo cordiale. Gli regalò un sorriso disarmante. L'uomo la fissò quasi estasiato. La zazzera di capelli brizzolati era portata all'indietro mettendo in bella mostra la stempiatura e la fronte alta.

«Vi dispiacerebbe impacchettarne due? Il terzo vorrei gustarlo mentre proseguo negli acquisti» terminò.

L'uomo si riscosse qualche secondo dopo prendendo un sacchetto. Preparò il tutto come Nayla aveva chiesto.

«Sono tre monete d'oro» le disse porgendole il sacchetto.

«Tre. Monete. D'oro?». Era un furto e Nayla di furti se ne intendeva meglio di quell'uomo. Si riscosse. «Sono quindici monete d'argento. Spero ne valga la pena, Signore» commentò inacidita.

Solo qualche settimana prima il pane veniva pagato con monete d'argento. Queste avevano meno potere d'acquisto, ciononostante permettevano di fare acquisti dignitosi. Cinque monete d'argento corrispondevano a una moneta d'oro. Se il pane aveva raggiunto un costo elevato la situazione economica era peggiore di quanto sembrasse. Il costo delle materie prime doveva essere alle stelle e la popolazione non poteva guadagnare abbastanza per la sussistenza se non alzava il prezzo della merce.

L'uomo fece per rispondere a tono, ma nello stesso momento Nayla infilò una mano all'interno dello scollo, rivelando qualche centimetro di pelle di troppo. Lui rimase a bocca semi aperta.

Il genere maschile era molto semplice da mettere a tacere. E quel guardone, sportosi in avanti per scorgerle l'incavo tra i seni, non era da meno.

Nayla gli porse, a malincuore, quanto richiesto. Ripose il tutto nel tascapane, salutò con un sorriso e si rimescolò alla folla.

Non arrivò mai, tuttavia, alla donna con il borsello legato al polso o al venditore di erbe officinali. Un gruppo di astanti si era radunato a qualche metro dalla bottega del fornaio. Guardavano tutti verso un'unica direzione: una parete molto intrattenente.

La parte razionale di Nayla le diceva di proseguire nei suoi intenti della mattinata. L'altra parte veniva attratta verso quel muro come le mosche col miele. La curiosità prese il sopravvento.

Iniziò a farsi largo fra la marmaglia di persone riunite.

«Permesso» chiese, sempre con il suo Yufka in mano, gli diede un morso. «Scu. Sa. Te. Mi.». Era delizioso. Fragrante e molto croccante. Friabile e leggermente salato.

Stava per addentarne un altro pezzo, quando la pagnotta le scivolò dalle mani improvvisamente prive di forza. Le dita iniziarono a tremare in contrasto con il resto del suo corpo che cessò di funzionare. Ogni, muscolo, tendine, nervo si contrasse bloccandola di fonte a quel muro. Il boccone ancora in bocca, masticato per metà. Non riusciva a credere a ciò che stava vedendo. Le si serrò la mascella.

Un quantitativo eccessivo di manifesti si stagliava a pochi centimetri dal suo naso. Tutti avevano una cosa in comune: un suo ritratto dettagliato. Perfino la sfumatura verde dei suoi occhi era stata colta in modo particolareggiato.

Il cervello si spense e ciò che fece dopo fu solo un'accozzaglia di gesti non ragionati: si protese in avanti strappando quanti più manifesti le fu possibile, li abbracciò stretti al petto. Come un toro inferocito si fece largo fra gli spettatori, non più ignari di chi lei fosse.

Un vociare sconnesso si alzò intorno a lei e poi alle sue spalle. Non riusciva però a sentire nient'altro che il suo cuore che pompava sangue.

Per minuti che sembrarono infiniti imboccò vicoli, svoltò angoli e spintonò persone. Commise lo stesso errore della volta precedente: non prestò attenzione a dove stesse fuggendo.

Il panico ero una gabbia che le schiacciava i polmoni. Si nascose dietro un gruppo di barili accatastati. Si coprì parte del volto col velo, anche se il danno era fatto. Mentre riprendeva ancora fiato cercò di concentrarsi sui brandelli di manifesti che ancora stringeva tra le mani. Li appoggiò a terra rimettendoli insieme come con un puzzle, dovette accettare l'evidenza: era stata vista. No, non era stata solo vista. Era stata osservata, notata e catalogata.

Ogni tratto del suo viso era ritratto chiaramente su quei pezzi di carta straccia. La fronte corrugata, la leggera spruzzata di lentiggini sul ponte del naso, le labbra carnose, le guance scavate.

I manifesti riportavano la dicitura:

RICERCATA:

Accusa di furto e di rapimento.

Arrestare a vista.

Rapimento? Nayla lesse e rilesse quelle dieci parole come una litania.

Doveva andarsene. Doveva sparire immediatamente da Midabd. Si tastò il corpetto della tunica, il borsello che le monete rubate era ancora lì. I due Yufka erano ancora nel tascapane. Avrebbe rubato un cavallo ai mercanti stranieri e si sarebbe avventurata nel deserto. Un piano semplice, ma fattibile.

Midabd poteva definirsi un'oasi in mezzo a chilometri di sabbia, ma se i mercanti riuscivano ad arrivare, allora lei poteva percorrere la strada al contrario. Oltre i confini di Zahaar, avrebbe visto il mare e si sarebbe imbarcata per qualsiasi posto che non fosse Midabd.

Non le restava che un'ultima cosa da fare.

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