5.

Immagini confuse si incrociano dietro le sue palpebre assopite: sua madre che le stringeva la mano. Troppo debole solo per continuare a respirare.

Un uomo la teneva ferma per i polsi facendole mancare la terra sotto i piedi. Mani sudice che le facevano male.

È buio. È notte.

La donna esangue le faceva promettere che sarebbe sopravvissuta, mentre viene scossa dalla tosse. Sangue scuro le ricopre il palmo.

Un altro uomo la colpiva alla testa incapace di difendersi. Un lampo di dolore. Perse i sensi.

Le copiose lacrime durante l'ultimo rantolo. Un urlo sommesso carico di frustrazione. Lacrime silenziose le ricaddero sulle guance. L'ultimo pianto.

Il risveglio insanguinato, la vista annebbiata, un dolore sordo alla destra del cranio. Imprecò.

Una voragine al centro del petto. Un buco che non potrà mai essere colmato. La sensazione di abbandono. Non si era mai sentita così sola. Aveva perso ciò che la teneva con i piedi per terra.

Non aveva più nulla. Di nuovo.

Il buio. Uno spicchio di luna. Una tempesta di sabbia. Un miraggio nella notte.

Spalancò gli occhi mettendosi seduta sul giaciglio sgangherato. La fronte madida di sudore le gocciolava anche sulle guance. Con gli occhi ancora appannati dal sonno vide solo oscurità.

Non c'era nulla da temere, si disse. Era nel suo rifugio, nascosta da tutti coloro che le avevano fatto del male. Nayla si portò una mano al sopracciglio, la cicatrice ancora estremamente sensibile dopo tutti quegli anni sembrava formicolare.

Gli ultimi istanti della madre vividi nella sua testa la fecero crollare nuovamente sulla schiena. Si strofinò vigorosamente il viso coi palmi allontanando le immagini di quell'incubo.

Sbuffò contrariata scalciando con i talloni il materasso di sterpi. Si girò e si rigirò spazientita tentando l'ardua impresa di assopirsi nuovamente. Non sarebbe riuscita a riprendere sonno molto presto. Il cuore le batteva all'impazzata nel petto. La tachicardia le faceva venire il fiato corto.

Se solo avesse avuto le conoscenze che aveva adesso, forse sarebbe riuscita a creare una cura per il brutto male che le aveva portato via Sela troppo presto perché fosse in grado di sopravvivere senza il suo sostegno. Uno dei suoi più grandi rimpianti. Sapeva che non avrebbe dovuto incolparsi, ma era più forte di lei. Nessuno, nemmeno sua madre, si aspettava che una bambina potesse essere una guaritrice esperta.

Allungò una mano verso il pavimento. Tastando alla ricerca della usurata lampada ad olio. Le ci volle qualche minuto per trovarla in mezzo a tutte le sue cianfrusaglie abbandonate al suolo.

Nel corso degli anni Nayla aveva accumulato qualunque cosa le fosse sembrato utile. Amava ogni singolo pezzo della sua collezione: cartine geografiche, vestiti, tessuti, qualche bisaccia di scorta, due paia di scarpe, un quantitativo discutibile di ampolle e barattoli contenenti erbe medicinali e non. Ma ciò che amava di più della sua collezione erano i libri che era riuscita a procurarsi negli anni. Li amava tanto da aver costruito con materiali di fortuna una libreria per evitare che l'umidità li deteriorasse. L'aveva posta nell'angolo più asciutto del vicolo cieco in cui abitava.

Trovata la lampada accese il lume rischiarando una parte di fognatura. In quel punto nessuno avrebbe potuto notare la presenza di un fuoco, ma era comunque convinta di non doverne abusare.

Stiracchiandosi si alzò, movendosi verso i vari tomi accumulati. Ne sfiorò qualcuno con la punta dell'indice e del medio. Indecisa tra quale scegliere.

Le tornò alla mente la madre che le spiegava di come la conoscenza fosse potere. Di come avere vaste conoscenze fosse un'arma migliore di una lama. Probabilmente la ragione per cui amava tanto il sapere era proprio quella. Le nozioni su quei testi, per la maggior parte accademici avevano fatto il lavoro che la donna che le aveva dato la vita non era riuscita a compiere. Anche se era possibile trovare anche romanzi più frivoli, per le notti in cui sentiva il bisogno di fuggire in una altro paese. A volte addirittura in un altro mondo.

Da giovane Sela aveva potuto studiare sostentata dalla famiglia. Per Nayla non era riuscita a fare lo stesso. Tuttavia, la istruì a casa dandole le basi per proseguire da sola.

Adocchiò il libro di erboristica da cui aveva imparato svariati rimedi contro malanni e piccole ferite o come preparare elisir velenosi.

A tal proposito, mise in pausa la ricerca di un volume per spalmare sulla caviglia un composto medicamentoso che lei stessa aveva preparato: aveva la consistenza della gelatina sciolta. Composto per lo più da aloe vera, per l'effetto antinfiammatorio, e un battuto di arnica, per il suo effetto analgesico e antiedematoso. La caviglia se curata a quel modo sarebbe tornata alle normali prestazioni nel giro di un paio di giorni.

Doveva fare attenzione a non abusare di quegli ingredienti, i mercanti stranieri varcavano sporadicamente i cancelli di Midabd e non avevano sempre gli ingredienti che le servivano. Rubarli dalle serre reali, negli anni, era diventato molto complesso. Era no sorvegliate ad ogni ora del giorno con maniacale accuratezza.

Riprese la sua ricerca. Scorse il libro di biologia che le aveva spiegato cosa fosse il ciclo mestruale. Rise di sé stessa quando il ricordo di ciò che aveva provato la primissima volta riaffiorò alla mente. La madre purtroppo era mancata prima che potesse spiegare cosa succedeva alle ragazze ad un certo punto. Il panico di essersi ferita inavvertitamente, però, era certa, l'avrebbe fatta ridere a crepapelle. Era una donna da un inconsueto senso dell'umorismo.

Ripose al suo posto il libro di economia. Scritto troppi anni addietro perché potesse essere attuale. Il declino economico, che Midabd stava attraversando, la lasciava basita. Lo aveva denominato La Grande Fame. Quindici anni di lenta discesa nella povertà. Era assurdo, Nayla vedeva opportunità per risollevare le condizioni di vita. Se tutto il denaro girava sempre nelle stesse tasche, pensò, non avrebbe mai potuto esserci mercato. Ma chi avrebbe mai ascoltato una donna?

La sua scelta ricadde come al solito sul suo libro di fiabe preferito: Le Creature delle Meraviglie di una certa Shahrazād. Un'antologia di storie che la madre le leggeva quando era bambina. Si rese conto che era l'unico oggetto presente che non avesse rubato. Una voragine le si adagiò nello stomaco. Si sentii improvvisamente svuotata di ogni sentimento positivo. Quelle pagine erano le uniche dopo undici, maledetti, anni che le facessero ancora sentire la sua presenza.

Si distese nuovamente e cominciò a sfogliarlo con nostalgia. Una pagina dopo l'altra le palpebre rincominciarono a farsi pesanti. Cullata dai ricordi si sistemò meglio sul letto.

Quel libro riportava le fiabe di esseri anche non originari del suo territorio. Parlava di elfi, leprecauni e anche di fae, orchi e troll. Ricordava di come da bambina avesse sognato anche lei di svegliarsi una mattina e riscoprirsi traboccante di un qualsiasi potere magico oppure di possedere un'infinita produzione di polvere di fata.

Ironia della sorte, una mattina si era svegliata e si era riscoperta coperta di polvere del deserto. Quella maledetta si infilava ovunque, più cercava di spazzarla via più questa si accumulava.

Abbracciando il libro soffiò sulla piccola fiammella della lampada e finalmente riuscì a riprendere sonno. Quella volta non sognò la morte della madre, ma due fantastiche maestose ali turchesi che le spuntavano dalla schiena.

Rimase rintanata per un paio di giorni, applicando l'unguento e risparmiando l'acqua di cactus che le era rimasta. Per lo più dormì e fece dei semplici esercizi di flessibilità, provando di tanto in tanto a poggiare il peso sulla caviglia ormai quasi del tutto guarita. Non c'era più traccia del gonfiore. La terza mattina, dopo un allenamento solitario più intenso nel combattimento corpo a corpo, percepì i morsi della fame farsi più insistenti.

Si asciugò il sudore della fronte con l'avambraccio e sistemò i pantaloni leggeri color sabbia e il bendaggio che portava sul seno per tenerlo fermo.

Per quanto desiderasse non riemergere più dal suo luogo sicuro, era il momento di andare a lavorare.

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