11.
Stravaccata sul nuovissimo materasso, alto ben venti centimetri, Nayla si godeva la freschezza delle lenzuola in cotone rosso.
Il Capitano Kay l'aveva sistemata in una stanza nel lato nord del palazzo imperiale. Molto vicina all'uscita che portava alla caserma della Guardia Sultanesca.
Non sapeva se per proteggere lei, o proteggere gli altri da lei. Non le interessava.
Mentre passava la mano sul tessuto liscio e profumato osservava incantata la sua nuova stanzetta con occhi lucidi.
Pur trovandosi nell'ala meno lussureggiante, quella riservata alla servitù, si sentì una principessa. I soffitti ariosi e le pareti colorate pallide creavano un piacevole contrasto con i tappeti persiani che ricoprivano il pavimento. I motivi fiorati creavano un intreccio di rami e foglie che avrebbe voluto seguire con le dita.
Sentire il tessuto pieno e pungente sotto i piedi le aveva fatto il solletico.
Quando il capitano aveva aperto la piccola porta, Nayla credette di sognare. Aveva poggiato la mano sul centro del battente per darle modo di vedere all'interno.
«Non è molto luminosa, spero vi troverete a vostro agio ugualmente» aveva detto mentre osservava la finestrella perpendicolare al soffitto.
Dire che non era luminosa era una bugia. Era proprio buia. Le mura e la caserma non permettevano alla luce di filtrare.
Era perfetta. La semioscurità che aleggiava non l'avrebbe fatta sentire così distante dalle fogne in cui aveva abitato fino a poco prima.
La sicurezza dell'oscurità la rinvigorì.
Aveva mosso qualche passo esitante. Un letto comodo una sedia sistemata sotto ad un finissimo scrittoio. Una piccola libreria vuota, che avrebbe voluto riempire il prima possibile.
Desiderò che il primo libro fosse Le Creature delle Meraviglie. Scacciò l'amarezza di non sapere che fine avesse fatto. Insieme alla consapevolezza che tutto ciò che aveva accumulato negli anni era perduto.
Di fianco al giaciglio, un comodino, con una lampada ad olio per rischiarare l'ambiente. Dal lato opposto un armadio che le sembrò impossibile da colmare. Le sarebbero serviti anni di furti per saziarlo di indumenti.
«Vi lascio ambientare alla nuova sistemazione».
La guardava insistente, mentre Nayla si spostava confusa da una parte all'altra della piccola camera. Tastando e annusando tutto ciò che le capitava fra le mani come se non avesse mai conosciuto quegli oggetti.
Si rese conto del suo atteggiamento infantile, ritornando algida e composta come si mostrava di solito.
Si drizzò al centro della stanza osservando le spalle larghe dell'uomo che si allontanava.
Non indossava la divisa della Guardia. La tunica blu corta che portava gli ricadeva morbida sui fianchi e gli fasciava le braccia come una seconda pelle. Un motivo geometrico di soli argentati si ripeteva per tutto il tessuto.
Aveva un'aria meno austera senza l'abbigliamento militare, ma risultava comunque dominante.
I pantaloni chiari frusciavano ad ogni passo. Aveva qualcosa che risvegliava la sua curiosità. Forse non la risvegliava, piuttosto la implementava. Fin dal loro primo incontro aveva avuto il presentimento che ci fosse qualcosa che andasse scoperchiato.
Mentre attraversava la porta, poggiò un braccio allo stipite. «Abbiamo un accordo, dunque?».
Le cuciture delle maniche si tesero.
Nayla sospettava non le avrebbe rivelato tutto il suo piano prima di ricevere una risposta affermativa da parte sua. Doveva rifletterci. Valutare meticolosamente quali vantaggi potesse portarle un accordo simile, ma soprattutto in quale guaio avrebbe dovuto cacciarsi per rispettare la sua parte di accordo.
«Vedremo...». L'avrebbe studiato ancora per un po'. Lui sospirò rumorosamente.
Anche se avesse rifiutato si sarebbe goduta qualche giorno in un luogo che non erano le fogne. Le sarebbe sembrata una profumata vacanza.
Un'unica cosa si sentì di concedergli, poco prima che la maniglia si agganciasse.
«Nayla». Lui si fermò. «Mi chiamo Nayla Selmed».
Annuì e la lasciò che il silenzio della stanza la cullasse.
La stanza aveva, anche, un bagno contiguo, separato solo da un drappo di tessuto spesso color malva. Non avrebbe dovuto condividerlo con nessuno.
Ispezionò ogni angolo della stanza da bagno con genuina curiosità. Non ne aveva mai vista una di quel tipo.
Completamente perlacea presentava, al centro, un enorme vasca da bagno interrata. Tutt'intorno erano sparsi prodotti per lavarsi, per profumare l'acqua o ammorbidire la pelle.
L'enorme specchio appoggiato alla parete poteva contenere almeno il rifesso di tre persone adulte. La cornice dorata spiccava come un topazio alla luce delle lampade.
Quando vide il suo riflesso rimase inorridita.
I capelli, un groviglio di nodi indisciplinati, le ricadevano spenti sulle spalle. La pelle olivastra più che abbronzata aveva una sfumatura verdognola.
Gli occhi verdi scavati erano contornati da profonde occhiaie scure.
Fu però la sua magrezza a turbarla di più. Il corpo che faticava a tenere in salute era un'ombra di quello che avrebbe dovuto essere. Ogni singolo osso sporgeva da sotto la pelle rendendola spigolosa.
Non passò molto tempo, da quando il capitano se ne era andato, prima che qualcun'altro bussasse delicatamente alla porta.
Sobbalzò mentre ancora si analizzava, passandosi le dite su costole, clavicole e persino gli zigomi.
Aperta la porta, chi avrebbe trovato al di là dell'uscio? Il cuore le saltò in gola.
I palmi si inumidirono rendendo difficoltosa la presa sulla maniglia. Socchiuse leggermente il battente. Sbirciando nella fessura vide una donna molto più adulta di lei. Attendeva paziente reggendo un vassoio ricco di cibo, il viso gentile e gli occhi accessi di quella che le sembrò gioia.
Aprì esitante. Voleva rimanere sola ancora per un po'.
«Oh, ciao cara!». Le sorrise fino a quasi contagiarla.
Si intufolò all'interno poggiando, poi, il portavivande sul tavolino.
Anche Nayla le sorrise titubante. A parte le guardie, Belloccio Kay e Amira, non aveva una conversazione ordinaria da anni.
Portava una tunica lilla lunga fino alle caviglie. I bordi viola più intensi si abbinavano alla carnagione scura. I capelli erano legati in alto in un intreccio perfetto.
«Su, su, serviti! Sei così sciupata» Aggiunse la donna. «Nel frattempo ti faccio preparare un bagno caldo».
Nayla osservò il cibo indecisa.
Sotto l'occhio gentile della donna si avvicinò e iniziò a giocherellale con i datteri spostandoli con la punta del dito. C'erano anche frutti da importazione.
Prese una mela e la studiò come se tenesse in mano il gioiello più bello che avesse mai visto. Era rossa, lucida e sorprendentemente pesante. Sembrava il frutto più succulento di tutti. Più la guardava più esitava. Ma il suo profumo zuccherino era un invito al peccato, così l'addentò.
Il succo le scivolò sulla lingua come acqua fresca. Piacevole e croccante, non ne mangiava una da così tanto da non ricordarne più il sapore.
Nel tempo che altri domestici prepararono il bagno, Nayla aveva terminato tutto ciò che fosse commestibile sul vassoio. Lasciò solo i noccioli.
Era sazia e piacevolmente rilassata quando si immerse nell'acqua tiepida accompagnata dalla signora gentile di prima.
«Ti aiuto?» chiese la signora, rispettosa.
Annuì stranita. Farsi aiutare, anche per qualcosa di piccolo come un bagno, la metteva a disagio.
Con estrema cura, l'aiuto a liberarsi della fascia sul petto, gettandola in un angolo, dove presto, anche ciò che restava dei pantaloni sarebbe stato gettato.
Prima un piede e poi l'altro, entrò nella vasca, facendosi sorreggere dalla donna, senza preoccuparsi di cosa avrebbe indossato dopo. Quel bagno, al momento, era la sola priorità. Ed era esausta per fare da sola. Una svista e sarebbe potuta cadere battendo la testa.
La signora la aiutava a lavare i lunghi capelli districandoli delicatamente prima con le dita e poi con un pettine. La cute le doleva per gli strattoni necessari a sciogliere quel groviglio.
«Potete chiamarmi Laali e spero che qui vi sentiate al sicuro» si presentò goffa dopo che il silenzio diventò imbarazzante. Qualcuno doveva averle riferito cosa sarebbe potuto accadere nelle prigioni.
Nayla capì immediatamente che non sapeva come comportarsi nei suoi confronti. Si sentì a disagio per non aver aperto bocca nemmeno per ringraziarla delle premure che aveva nei suoi confronti.
«Nayla». Sussurrò poco convinta, quasi non ricordasse quale fosse il suo nome.
Scoprì, stupendosene, che la compagnia di quella donna le permetteva di non pensare alla situazione in cui era stata incastrata. La sua compagnia non era così pessima da metterla in imbarazzo.
Sembrava rispettare il suo silenzio.
Per qualche ragione sentiva di volersi fidare. L'attenzione che aveva posto in ogni gesto, e il tono rassicurante che usava per parlarle le aveva ricordato vagamente sua madre quando la consolava dopo essersi sbucciata un ginocchio. Confortante e sicuro.
Non faticò a spogliarsi dell'anonimato tanto quanto le fu difficile con il capitano. Con lui era stata la sua personale maniera di ringraziarlo per averla portata via dalla prigione e, soprattutto, da Hakan. Se non fosse arrivato... non voleva nemmeno pensarci.
Annientata, però, era la parola che più si avvicinava a ciò che avrebbe potuto descriverla.
Un brivido le percorse la schiena, seppur l'acqua in cui era immersa avesse una temperatura perfetta.
Iniziò a strofinarsi la pelle con veemenza. La saponetta verde scuro, a base di olio di timo e alloro, si consumava a vista d'occhio lasciandole la pelle arrossata finché anche le unghie non lasciarono lunghi segni porpora sulla pelle.
Vedeva macchie di sporcizia ovunque, anche dove erano già state lavate. Non si era mai sentita così sporca come in quell'istante. Poteva ancora sentire la sua mano callosa sulle labbra e il sapore rancido del suo sangue sulla lingua. Era marcio dentro. Un ombra nera si addensò tutt'intorno.
Non era resa conto che Laali si fosse spostata di fronte a lei. Le prese delicatamente le mani fra le sue e le strinse delicatamente.
Non sei sola. Sei al sicuro. Sembrava volesse dirle. «Va tutto bene».
La voce della donna la riportò al presente, allontanandola dall'asfissia che la mano del mostro le stava ancora procurando. Seppur sentisse ancora le sue mani addosso si concentrò sugli occhi calmi della donna.
«Vieni» continuò allungandole un enorme asciugamano in cui avvolgersi «dovrebbero aver portato i tuoi nuovi indumenti».
Nella stanza, una guardia dal viso conosciuto sostava poco più avanti dell'uscio. Nelle mani una pila di indumenti di diversi colori tutti per lei.
Quando uscì da dietro la tenda, avvolta nel tessuto umido, Ricciolino, scattò la testa di lato come avrebbe fatto un gufo. Sentì la maschera invisibile calarle sul viso. Non si sarebbe fatta vedere debole di fronte a un uomo. I lunghi capelli gocciolavano sul pavimento. Proteggendo la pelle delle spalle dalla vista altrui. Si sentiva addosso un'armatura.
«È la seconda volta che vi incontro con i miei vestiti in mano...» gli disse allusiva. «Karim, giusto?».
Lui annuì senza voltarsi, ma strabuzzò gli occhi nel sentire che conosceva il suo nome.
«Avrò l'onore di sentire la vostra voce o intendete trattenere il respiro finché gli occhi non vi usciranno dalle orbite?».
«Preferisco gli occhi fuori dalle orbite» disse senza usare l'aria che aveva in corpo. «Non picchiatemi, per favore».
«Sono troppo stanca per mordere, Karim».
Nayla osservandolo si ritrovò a trattenere un sorriso. «Ma vi sarei grata se lasciaste i vestiti sul letto».
Lui girò solo le orbite per vedere il materasso, fece un passo evitando di guardarla in viso e inciampò nei suoi stessi piedi.
«Karim per favore, non è una bestia assetata di sangue» si intromise la domestica spazientita, emergendo anche lei dal bagno.
«Tu non hai preso un suo pugno, Laali» si giustificò lagnoso.
Poggiò i vestiti sul fondo del giaciglio, fece un piccolo inchino e si dileguò sbattendo la porta alle sue spalle.
Entrambe le donne fissarono attonite il pezzo di legno che ancora tremava per la brusca chiusura.
Nayla dopo qualche secondo si diresse verso i nuovi abiti per esaminarli. Intuì che fra Laali e Karim ci fosse una qualche sorta di rapporto confidenziale.
Soppesò varie tuniche con lunghe sottane. Alcuni corpetti che non avrebbero contenuto nulla. Troppo colorate, troppo ingombranti, troppo femminili. Le sarebbero stati d'intralcio se avesse dovuto scappare o difendersi.
Sul fondo della pila trovò quello che cercava. Un paio di braghe, non troppo attillate sul cavallo, ma stretti dagli stinchi alle caviglie, neri e un corpetto senza maniche, ma con il collo alto. Le avrebbe lasciato la pancia scoperta, ma era rigido, avrebbe evitato che il seno si muovesse troppo.
Prese una fusciacca bordeaux che avrebbe dovuto legare all'altezza dei fianchi. Sarebbe stata ottima da muovere per distrarre potenziali aggressori di suoi attacchi. Semplice, senza troppi fronzoli, non l'avrebbero fatta sentire un saltimbanco.
Ripose quel completo in cima alla pila. L'avrebbe indossato l'indomani per conformarsi.
Per la notte, invece, opto per l'unica camicia da notte che era presente nella pila: una corta veste rosa cipria con le spalline sottili. Le avrebbe coperto a malapena le cosce, ma avrebbe dormito da sola in quella enorme stanza, non sarebbe stata inopportuna.
Se la fece scivolare addosso, dopo aver indossato della biancheria.
Il tessuto di seta la avvolse con tale freschezza che le suscitò un tenue brivido di piacere. Non aveva mai posseduto niente di tanto raffinato.
Dopo che si fu coperta, sempre sotto l'occhio premuroso di Laali, la donna si offrì di acconciarle i capelli in due lunghe trecce ai lati del capo.
«Devi scusare i modi di Karim» le disse mentre intrecciava le grosse ciocche nere che aveva precedentemente diviso. «Solitamente non si comporta in quel modo maleducato».
Sedute a terra, la guardò attraverso lo specchio che avevano davanti.
«Non capisco proprio cosa gli sia preso». Finì di intrecciare la prima parte di chioma.
Nayla non poté fare a meno di sogghignare imbarazzata.
«Credo sia tutta colpa mia». Si coprì le labbra con la mano. «La prima, anzi no, la seconda volta che ci siamo incontrarti l'ho colpito dritto allo zigomo».
Non approfondì che l'aveva tramortito e di come l'avesse preso in contropiede per avere un vantaggio. Sperava di evitare che la donna si facesse un idea sbagliata di lei.
La signora strabuzzò gli occhi.
«Le signorine non dovrebbero fare a scazzottate» la rimproverò velatamente, come avrebbe fatto un'insegnate.
Un lungo solco si creò fra le sue sopracciglia.
In quella parte di Midabd forse le donne non facevano a pugni. Nella parte di Nayla tutti, prima o dopo, dovevano passarci. Sarebbe stato poetico se non fosse stato un rito di passaggio per non morire.
Tanti pensieri velenosi le affollarono la mente. Essere giudicata come una cattiva donna perché sapeva difendersi, riaccese una brace che fino a quel momento era rimasta assopito sul fondo della pancia.
La sua visuale si tinse di rosso. Se fosse stato possibile a Nayla avrebbero fumato le orecchie da tanto che si offese per quel commento.
«Voi, mia cara signora, non siete mai stata nei bassifondi. Non potete capire». E con quell'ultima frase, Nayla diede un taglio alla conversazione. Il silenzio le accompagnò fino alla fine dell'acconciatura.
Dopo che Laali la lasciò sola, mortificata, si distese, sul tappeto, adombrata di pensieri.
Non era facile vivere nei bassifondi, a maggior ragione se si è donna. Pochi avrebbero potuto comprenderlo allo stesso modo in cui lo aveva dovuto comprendere lei. Ma, non avrebbe dovuto risponderle in quel modo, dopo esserle stata vicina in un momento di estrema fragilità.
Era indecisa se condannarla per la sua ignoranza o se compatirla. Ma si sarebbe scusata il prima possibile.
Giratasi supina osservò il soffitto, lasciandosi cullare dal profumo di lavanda che i suoi capelli emanavano.
Rimuginava su quanto fosse successo, com'era possibile che una vita di perfetta invisibilità potesse frantumarsi in pochi giorni?
Distese le gambe e le braccia piegandosi. Allungò tutti i muscoli intorpiditi.
Annoiata, si buttò poi sul letto.
Voleva spegnere il cervello.
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