1.
Midabd, Deserto di Zahaar, 19 maggio 1224
Dopo anni, passati come una fuorilegge, Nayla Selmed si era abituata a nutrirsi un giorno no e l'altro pure. Centinaia e centinaia dei suoi concittadini facevano la fame a causa delle squilibrate politiche sociali ed economiche che da una quindicina di anni a quella parte caratterizzavano la sua terra natia. I ricchi erano sempre più grassi, i poveri erano sempre più magri.
E Nayla era davvero troppo magra.
Aveva previsto che la sua vita sarebbe continuata nei bassifondi del rione in cui era nata quando perse la madre, Sela, all'età di 13 anni. Arrivata circa a 23 anni, ciò che non aveva previsto era quanto le sarebbe costato. Se volevi mangiare, se volevi sopravvivere, dovevi rubare. Dovevi renderti intelligente ed astuta, dovevi manipolare quando l'agilità delle mani non era abbastanza. Dovevi essere rapida, efficacie ed efficiente ed era stupefacente come fosse riuscita in completa autonomia ad insegnare al suo cervello come proteggersi dalla sua stessa morale.
Nayla ci era riuscita: era stata invisibile come un granello di sabbia in mezzo al deserto per una decade. Nessuno ricordava più chi fosse, pochi rammentavano di averla vista in viso e ancora meno sapevano qual era il suo vero nome. Aveva derubato almeno una volta ogni venditore ambulante che componeva il suo banchetto ai lati della larga strada coperta di sabbia dorata soffiata in città dal vicinissimo deserto di Zahaar. E almeno due volte ogni singolo avventore del suk. Come lo sapeva? Le persone che potevano permettersi di fare acquisti erano così poche che si potevano, metaforicamente, contare sulle dita di una mano, e lei non dimenticava mai un volto. Questi erano talmente distratti da non accorgersi quando si avvicinava alle loro tasche e le sue dita affusolate si insinuavano tra le pieghe dei tessuti riccamente decorati. Tuttavia, non importava che fosse denaro o una pagnotta ai cereali, l'importante era non morire di fame.
Quella necessità riverberava come un mantra in ogni singola cellula affamata del suo corpo, mentre costeggiava il piccolo cancello a sud-est delle mura esterne e si ravvivava i lunghi capelli d'ebano appiccicati alla nuca sotto la lunga treccia. Non era più solo un obiettivo, ma un vero e proprio stile di sopravvivenza. Aveva fatto una promessa e l'avrebbe mantenuta. Poche decine di metri e si sarebbe rimboccata le maniche.
Dopo il primo colpo andato a buon fine: il furto di una manciata di frutti del deserto, il senso di colpa si era lentamente incrinato come uno specchio colpito da un sasso. Aveva accantonato qualunque tipo di moralità per poter continuare a vivere con i limitati mezzi a sua disposizione.
O rubi, o verrai derubato: dopo averlo provato sulla sua pelle era una delle poche cose di cui fosse certa. Ne portava ancora un piccolo segno sul viso, una sottile cicatrice che le tagliava il sopracciglio destro, testimone del colpo alla tempia sferrato per farle perdere i sensi. Al suo risveglio si scoprì una persona diversa. Quella cicatrice era un monito: non abbassare la guardia, rimani nascosta, ma soprattutto, non fidarti di nessuno.
Da appena adolescente era stato molto più semplice nascondersi nei pertugi tra le varie abitazioni di Midabd, grazie alle sue dimensioni minute somigliava ad una gatto per la flessuosità del suo corpo. Ora, quel corpo adulto aveva tutt'altre dimensioni seppur mal nutrito. Più difficile da nascondere, ma più forte e ricco di esperienza.
Dall'angolino in penombra in cui si era rintanata alla fine della sua passeggiata apparentemente spensierata, esalò un respiro profondo e spolverò dell'inesistente sporcizia dai pantaloni alla turca marroni. Dopo aver aggiustato la camiciola dal taglio maschile, si alzò il tessuto lungo, che solitamente portava arrotolato al collo, sulla testa come un cappuccio e si incamminò tra la folla di acquirenti più o meno facoltosi che passeggiava tra le bancarelle riccamente addobbate, certa che da lì in avanti avrebbe fatto di tutto per non attirare nessun tipo di sguardo indesiderato su di sé.
Il suk e i suoi mercanti si posizionavano sempre da entrambi i lati della via principale di Midabd. Quasi tutte avevano delle grosse tende colorate adagiate su pali in legno al di sopra della merce. La strada spaccava in due metà quasi perfette la città. I colori dei tessuti colpiti dai raggi del sole ricordavano un caleidoscopio che si rinfrangeva a terra. Da quell'enorme arteria centrale si diramavano centinaia di vicoli stretti con case basse, in muratura bianca tutte con un terrazzo al posto del tetto. L'unico edificio che presentava un tetto differente era il palazzo imperiale. Con le sue appendici a forma di enorme goccia dorata, era stato strategicamente costruito a sud del mercato e quindi della via commerciale. Dalla parte opposta l'ingresso principale alla città, costantemente presidiato dalla Guardia Sultanesca.
Non era strano veder passeggiare persone con il capo coperto, che fossero lembi di tessuto morbidi, come quello che portava Nayla, o turbanti più complessi e decorativi, purché riparassero dal sole, qualsiasi tipo di copertura era sempre ben accolta.
La disposizione degli edifici creava angoli ciechi ottimi per nascondersi mentre si cercava il malcapitato da derubare e, nel peggiore dei casi, un intricato labirinto di vicoli dove nascondersi se si veniva beccati. Rubare era, ovviamente, un reato e la pena era il taglio della mano. Troppe persone erano state lasciate con disgustosi moncherini. Sempre che fossero sopravvissute al processo di guarigione.
Per Nayla, ad un certo punto, rubare, era diventato un gioco contro sé stessa per dimostrarsi quanto fosse capace. Il riuscire a mettere in atto elaborati stratagemmi aveva iniziato a dare un senso di giustizia per quello che avevano vissuto lei e la madre.
Camminò avanti e indietro per un numero indefinito di volte schivando le persone che vagavano naso in aria come se non fossero mai state in un luogo tanto ricco e bello. Dal punto di vista di Nayla l'opulenza osteggiata del suk non avrebbe dovuto meravigliare nessuno, bensì inorridire. Si ritrovò a disgustarsi per tutte quelle persone che, troppo prese da loro stesse, ignoravano volutamente coloro che avrebbero avuto bisogno d'aiuto. Sarebbe bastato percorrere pochi passi alla destra o alla sinistra dei banchi per rendersi conto di quanto tutto quel mostrare fosse semplicemente un'orrenda maschera. Donne, uomini, perfino bambini pativano il degrado, la fame, la sete. Per non parlare delle condizioni igieniche in cui versavano le latrine comuni. Pochi fortunati avevano un bagno privato in casa. Nayla non ne aveva una nel modo in cui intendeva solitamente la gente; quindi, non si dispiaceva molto per un vaso da notte privato.
Si dispiacque di più per quel bambino, a pochi passi da lei, con la sorellina al seguito che frugavano in cerca di cibo in un mucchio di spazzatura. Per un momento i suoi occhi e quelli del piccolo si incontrarono. Erano neri e profondi, troppo maturi per una creatura che avrà avuto sì e no sette anni. Lui li abbassò immediatamente, quasi intimorito, e prese per il polso la sorella trascinandola via di forza nel vicolo vicino.
Al momento non possedeva nulla, ma se fosse riuscita a mettere a segno il colpo, avrebbe preso qualcosa anche per quei bambini. Glielo avrebbe donato se fosse riuscita a ritrovarli.
Si riconcentrò su quello che doveva fare, rinvigorita da un nuovo sentimento a scaldarle il petto. La tacita promessa le si depositò nel petto rallentandole ancora di più il battito del cuore.
Nayla riportò l'attenzione al mercato davanti a lei attendendo l'occasione giusta per sgraffignare qualcosa che si sarebbe trasformato nel suo unico pasto della giornata. Aguzzò la vista e aprì le orecchie in cerca di qualche indizio utile su come muoversi. Lo stomaco le doleva per i crampi dovuti alla malnutrizione e iniziava ad avere la vista leggermente annebbiata a causa del caldo torrido di quel sole cocente. Non era ancora estate, ma le temperature, nella sua terra natale, raramente scendevano sotto il 30 gradi. Non avrebbe mai saputo cosa fosse l'inverno.
Vagò ancora e ancora tra folla spintonante, i due fratelli si erano dileguati, ma il momento giusto quel giorno proprio non voleva presentarsi. Probabilmente aveva sbagliato lei, era troppo presto. Si rese conto che il mercato non era gremito di avventori e non lo sarebbe stato ancora per un'ora. Ma non aveva tutto quel tempo. Doveva mettere qualcosa nello stomaco il prima possibile.
Avrebbe dovuto crearsela da sola l'apertura, il momento perfetto, prima che le forze la abbandonassero completamente. Aveva bisogno di creare un diversivo per avvicinarsi proprio a quel banchetto in fondo sulla destra che vendeva carne di cammello arrostita. Gli spiedini erano posti in bella mostra sul bordo anteriore della trave malferma che fungeva da tavolo di lavoro. Semplici da raggiungere, ma troppo in vista perché non si notasse la mancanza di qualche bastoncino infilzato. Notò il proprietario voltarsi verso una donna, una possibile acquirente, pulendosi le mani in un grembiule ricoperto di sudiciume sorridendole con finta affabilità. Nayla alzò gli occhi al cielo. Nessuno era affabile nel suk, tutti portavano una maschera, quell'uomo non faceva eccezione soprattutto perché portava una scimitarra al fianco come un animale domestico.
Un sorriso felino le raggiunse anche gli occhi. Si, quell'uomo sarebbe stato il suo benefattore inconsapevole. Una nuova sfida da vincere. Aveva già l'acquolina in bocca.
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