Capitolo tredici (1 di 4)
Il sole era alto nel cielo da molto tempo, ma Zara ne aveva abbastanza di stare sdraiata. Le era stato imposto di indossare una leggerissima tunica bianca e di alzarsi solo per i bisogni fisiologici per poi pranzare e cenare sempre a letto.
Nell'aria si diffondeva profumo di incenso, tuttavia cominciava a darle la nausea. Il soffitto e i tarsi a forma di loto, intagliati sulla superficie, erano l'unica cosa che l'avevano distratta in quei giorni di riposo forzato.
«Hai finito di contarli?».
Il suono della voce di Harun la strappò a quella muta conta.
Era accanto al letto con indosso abiti occidentali.
Il suo sguardo frustrato saettò all'espressione ironica che lui aveva stampata in volto.
«Sono novanta» rispose alla sua domanda.
Harun la osservò con quegli occhi intensi che la faceva sempre sentire sulle spine.
«Sbagliato».
Lei cercò di sedersi, ma riuscì appena a girarsi verso di lui, tanto le faceva ancora male la spalla.
«Sono stanca di stare in questo dannato letto» dichiarò poi. «Voglio uscire!».
Harun la aiutò nel suo nuovo tentativo di mettersi seduta e stavolta ci riuscì.
«Grazie» disse arrossendo.
Un sorriso saccente gli stiracchiò le labbra.
«Se fosse per me, staresti ancora distesa» mormorò. «Perché dopo tutto il sangue che hai perso, la debolezza sarebbe l'ultimo dei tuoi pensieri».
«Oh, sei davvero frustrante...» mormorò snervata. «Almeno posso avere carta e penna?».
«Devi riposare» insistette lui con un tono inequivocabile.
Lei sospirò e chiuse gli occhi per una frazione di due secondi.
«Perciò mi stai dicendo che preferisci rispondere alle domande che mi frullano in testa?» lo punzecchiò.
Alla sua risposta Harun si rabbuiò, intuendo di che natura fossero i suoi quesiti.
«Non voglio parlarne» stabilì dopo un bel po'. «Voglio dimenticare questa storia al più presto».
«Ci avrei scommesso». Un sospiro stanco le salì alle labbra di fronte al ritorno del despota. «Immagino che Margiana sia stata licenziata».
«L'essere licenziata è il minimo dopo quello che ha fatto» sibilò lui furioso.
«Ma...».
«Niente "ma"» la interruppe brusco Harun, scuotendo il capo, scandalizzato, il volto duro come il granito. «Non posso credere che tu la difenda ancora!».
Lei sospirò ancora.
«Non intendi perdonarla?».
«E come potrei?» ribatté gelido.
Un'espressione furente si dipinse sul viso di lui, tanto da farle temere che fosse in procinto di andarsene dalla stanza e lasciarla lì di sasso.
Poi notò il tormento nei suoi occhi e Zara comprese che non aveva ancora deciso quale decisione prendere riguardo alla giovane palestinese.
«La processeranno per terrorismo?» domandò.
Lo vide esitare, prendere tempo prima di concederle una risposta, e capì di aver posto un quesito che poteva comportare altro dolore, seppure di diverso tipo da quello fisico.
«La corte deve ancora decidere» fu la replica di Harun.
Un senso di sconforto la assalì.
«Capisco» e strinse la coperta, rabbuiandosi.
«Tuttavia» riprese lui «potrebbe scontare pochi anni, poiché Karim ha già testimoniato a suo favore e ha affermato che Margiana era inconsapevole dei veri piani di Ghaleb».
Zara gli lanciò uno sguardo attento.
«Grazie».
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