Capitolo quindici (3 di 7)
Poco dopo il terzetto tornò verso il sentiero e lei cercò di spostarsi per non farsi individuare.
Le ci volle un secondo per rendersi conto che si stessero dirigendo nella sua direzione. In men che non si dica, se li ritrovò davanti: il lieve tintinnio della bardatura, le narici dei cavalli che si allargavano e restringevano per annusarle i capelli, la loro ombra proiettata su di lei e Harun.
Pervasa dalla preoccupazione lei alzò lo sguardo.
Lui era intento a fissarla. Aveva le palpebre un po' strette per colpa del sole, ma Zara riuscì a vedere quanto quegli occhi fossero profondi, scuri, acuti.
Quasi inconsapevole del battito del suo cuore, arretrò di un passo. Non era intimorita per essere stata scoperta, no di certo, ma dal calore che provava quando Harun la guardava a quel modo: il ricordo di quell'ultimo abbraccio tra loro l'aveva lasciata disorientata.
«Salam wa aleïkoum, Zara» la salutò.
«Salam wa aleïkoum, Harun» ricambiò lei, per poi rimanere in silenzio.
«Come sei arrivata sino a qui?» chiese lui, e sembrava genuinamente sorpreso.
«Da quelle scale laggiù» e gliele indicò con un cenno della mano.
Notando che lui si fosse ammutolito, allora rincarò con: «Non mi era consentito, per caso?».
Harun scosse il capo e i suoi ricci si mossero ondeggiando.
«E sei ancora qui?» le fece notare con un mezzo sorriso obliquo. «Potevi trovare un'uscita sicura, invece di girovagare per il mio giardino, non ti pare?».
Lei sussultò.
«Mi stai prendendo in giro?» sbottò severa.
«No». Il mezzo sorriso di lui si ampliò. «Ricordi?» e si picchiettò l'indice sulla fronte coperta dai ricci. «Io non ho senso dell'humor».
Per un attimo Zara restò incantata dall'effetto che ebbe sul suo viso, quasi sempre ombroso e corrucciato. Era incredibile che un uomo potesse sembrare così... così odioso!
«Torno indietro, allora» annunciò, volgendosi di scatto. «Scusa se ti ho disturbato».
«Aspetta» disse lui. «Ti va di conoscere i miei cavalli?».
Indecisa, si fermò al terzo passo. Sarebbe stato scortese, forse, rifiutarsi. E poi gli animali le erano sempre piaciuti...
Decidendosi a voltarsi, trasse un respiro profondo e girò su se stessa. Si ritrovò i musi dei due cavalli praticamente davanti al volto, a pochissimi centimetri di distanza. In quel modo, talmente vicini com'erano, da sentire i loro fiati sulla pelle, le parvero enormi e impetuosi.
«Non devi avere paura» la rassicurò Harun. «Jibran e Tormenta hanno un buon carattere e non hanno mai morso nessuno, nemmeno la mano che li nutre e li vizia».
«E... sono una coppia?» domandò, facendosi più vicina.
Lui fece un sorriso storto.
«Sempre a guardare il lato romantico, Zara...».
Lei lo guardò con un sopracciglio inarcato.
«Non mi hai risposto».
Harun si riavviò i ricci con le dita.
«Sì, sono una coppia» replicò come imbarazzato.
Poi incitò i due cavalli e lei si ritrovò in mezzo ai due purosangue.
Il profumo speziato di lui la raggiunse, le stuzzicò le narici e Zara indietreggiò finendo per andare a sbattere contro lo stallone nero. D'istinto sollevò il capo e incrociò lo sguardo con quello del re, un oscuro abisso come le notti incontrastate di casa senza luna né stelle.
«Ti piacerebbe cavalcare insieme a me?» le domandò a un tratto.
«Io... preferisco ammirarli così, se non ti dispiace» mormorò tesa, rivolgendo la sua totale attenzione sulla cavalla Tormenta.
Poco dopo lo vide scendere da Jibran e le sfiorò le spalle.
«Sarà per la prossima volta, allora». Sfilò le redini dal cavallo, per poi porre due dita in bocca e fischiare. Il verso penetrante spinse i due animali al trotto e svanirono tra la vegetazione che li circondava.
Lei gli lanciò uno sguardo allarmato.
«I cavalli...» disse «dove stanno andando?».
«Non preoccuparti, sono da sempre liberi di correre indisturbati in questo luogo» la rassicurò con un sorriso, porgendole la mano. «Vieni» la invitò dopo. «Avrai bisogno di rinfrescarti».
Perplessa, Zara la afferrò e si lasciò guidare nella direzione del sentiero: era vero, ne aveva necessità, perché l'afa si era fatta ancora più forte di prima con il trascorrere del tempo.
Mentre incedevano verso nord, lo trovò spesso intento a fissarla senza lasciare trasparire alcuna emozione, ma con una luce nello sguardo che la condusse ad arrossire e stare sulle spine.
Dopo aver superato un piccolo cancello, un gazebo apparve davanti ai loro occhi, immerso nel verde, sotto il quale era disposto un lussuoso tappeto disseminato di morbidi cuscini.
Harun si liberò dei sandali e si accomodò tra quei guanciali di seta; con la schiena poggiata contro, l'espressione fiera e regale, le sembrò un sultano uscito nientemeno da una fiaba.
Non muovendosi lei esitò e lo fissò sottecchi.
Con un gesto rassicurante, allora, lui la invitò a prendere posto.
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