Capitolo quattro (3 di 9)
Senza muoversi, lei li osservò svanire nel buio della notte e non poté fare a meno di domandarsi ancora chi fossero davvero quegli uomini. O meglio, chi fosse quell'individuo con il turbante nero e l'aria arrogante e, anche se era abbastanza chiaro fosse uno del luogo, possedeva una lieve inflessione italiana nella voce profonda che la incuriosiva parecchio.
Forse il suo subconscio aveva di nuovo preso il sopravvento, considerò tra sé e sé, mentre si sedeva ancora sul pavimento, facendole immaginare cose davvero surreali.
Fu in quel frangente che il vento diventò più prepotente e imperioso e, dopo un'altra manciata di minuti, udì il rumore inconfondibile di un elicottero che si allontanava.
Il suo salvatore dal turbante nero entrò nella casupola e si sedette di fronte a lei, con un'espressione incupita dipinta sul volto olivastro.
«È successo qualcosa?» domandò Zara, preoccupata.
«Ci sono delle complicazioni, signora Ascarelli».
Lei chiuse gli occhi per una frazione di secondo.
«Quali?» chiese, tornando a fissare l'uomo.
Incupito, lui trasse un profondo respiro.
«Come avrà compreso, io e Duban siamo venuti con un piccolo elicottero» ribatté. «È piccolo, troppo per starci tutti con il signor Zevi che occupa tutto lo spazio in lunghezza...».
Zara annuì. «Capisco».
«Mentre abbiamo caricato il signor Zevi sul velivolo, il tempo è peggiorato» la informò. «Duban se n'è andato e dovrebbe raggiungere l'ospedale centrale di Amonn senza problemi. Tuttavia, sarebbe un suicidio per lui o per chiunque altro tornare qui».
Cogliendo il significato di quella notizia al volo, lei strinse i pugni fino ad affondare le unghie rotte e sporche nei palmi. Era un brutto colpo, quello, dopo la gioia sublime di potere sopravvivere. Non le rimase che fingere mentre la nausea montava e ghermiva i suoi sensi come la furia del vento nel deserto.
Poi i suoi pensieri si diressero tutti a Stefano, al fatto che ora fosse al sicuro e se la sarebbe cavata. E così si sentì più sollevata. Almeno, si disse, era riuscita a salvarlo...
Pian piano, ricondusse lo sguardo sull'uomo di fronte a lei, il cui volto era divenuto una maschera impenetrabile: dalla posizione che aveva assunto, le fece percepire che fosse in attesa di una sua reazione, oltre che l'esistenza di qualcosa di taciuto.
«C'e dell'altro, vero?» lo spronò allora.
Nella sua immobilità, dopo un gran lasso di tempo, lui asserì alla domanda con fermezza.
«Quel che le sto per riferire potrebbe farle cambiare idea sul mio conto» incominciò con tono monocorde. «In seguito potrà reagire come vuole, ma non cambierà la natura degli eventi che potrebbero accaderle dinanzi ai suoi occhi e, di norma, giudicherà impossibili».
Zara aggrottò la fronte. «Mi scusi, ma non la seguo».
Il viso mascolino non fece una piega, come se fosse stato scolpito nel marmo. Poi il suo salvatore trasse un altro respiro profondo e l'aria si caricò di elettricità.
«Poco distante c'è una grotta naturale scavata nella roccia» rivelò, concentrando lo sguardo magnetico su di lei. «Ed io, signora Ascarelli, ho intenzione di raggiungerla a piedi per sfuggire alla tempesta».
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