Capitolo otto (4 di 4)
Nonostante avesse udito notizie simili in patria, il tono usato di Harun la lasciò più che sconvolta.
«È un lupo solitario?» azzardò nel chiedere.
«Sì» asserì Harun incupendosi. «Quel che è peggio, quel ragazzo era molto vicino a un mio parente: erano compagni di scuola e amici d'infanzia». Sollevò lo sguardo su di lei e le rivelò tutto il suo sgomento. «Ha cercato di ucciderlo, proprio un anno fa, nel corso di una vacanza» aggiunse roco. «A sangue freddo».
Zara annullò il distacco tra loro, raggiungendolo sulla poltrona di damasco.
«Mi dispiace» e fu tutto ciò che riuscì a dire. «Mi dispiace davvero molto».
L'ombra di un sorriso mesto sfiorò le labbra di Harun.
«Ecco perché non posso starmene nelle retrovie a guardare» dichiarò, il volto fattosi di nuovo duro, il tono di voce gelido e severo. «Fermerò tutto questo, anche se sarò costretto a macchiarmi le mani con il mio stesso sangue».
Zara gli lanciò un'occhiata veloce.
«Di cosa parli?» lo interrogò.
Lui puntò l'indice sul giornale.
«Non avresti dovuto vedere» disse sottovoce, ignorando le sue domande.
«Perché no?» lo interpellò con occhi di fuoco.
Una risata bassa e roca si propagò nell'etere, frapponendosi anche sullo suono vicino della fontana.
«Perché tu eri e sei il bersaglio adatto per scatenare il caos che Shahiba desidera da tanto tempo» rispose. «Una bomba ad orologeria, per essere più precisi».
Lei rizzò la schiena, sentendosi punta sul vivo.
«Quindi sarebbe colpa mia?» lo affrontò risentita. «O è il tuo modo per giustificare le tue recenti azioni?».
Harun le sorrise, tese il braccio e le prese una mano, quella in cui indossava l'anello della madre, finché il calore del suo corpo non la riscaldò. Zara rimase impietrita dinanzi a quel gesto, non sapendo cosa aspettarsi.
Con un gesto lento e misurato, poi, le ruotò il palmo verso l'alto e le carezzò il centro con il pollice, provocandole un crampo alla bocca dello stomaco.
«La tua pelle è così fredda, proprio come quando ti ho trovato in quella casupola» osservò Harun meditabondo, tornando a guardarla dritta negli occhi. «E l'anello, invece, è caldo come allora, a differenza della tua temperatura corporea» proseguì, sfiorandolo con l'indice. «Ti sei appellata al suo potere, di recente, non è vero?».
Lei si sentì scuotere nell'intimo da quella domanda.
«Non vorrai dirmi che credi a questa storiella dell'anello magico!» esclamò tremante.
Harun inspirò profondamente e la lasciò andare, infine compiendo un passo indietro.
«E se ti rispondessi di sì, cosa diresti?» la interrogò, lanciandole un'occhiata di sbieco. «Quale sarebbe la tua risposta?».
Zara deglutì.
«Io...» e spostò lo sguardo sul pavimento «non credo affatto a queste cose».
«E come pensi che siamo usciti vivi da quella tempesta?» continuò Harun con severità, ora avanzando e costringendola ad arretrare. «O le tue condizioni invidiabili al momento del mio arrivo e di Dunab? Come credi di essere sopravvissuta a tutto questo?».
Lei scosse il capo, rifiutandosi di ascoltarlo.
Harun strinse le palpebre.
«Mi spiace molto che tu non abbia fede» disse.
«Avere fede non significa credere nell'irrealtà» ribatté lei compunta.
Un sorriso pigro apparve su quella bocca sensuale.
«Questo è il tuo punto di vista, non il mio».
«Sarà, ma non ciò non oscura le tue azioni!» sbottò Zara, combattiva. «Non mi hai dato modo di dire la mia. Non mi hai fatto scegliere. Mi ha rinchiusa qui, come se fossi un oggetto e non un essere umano con un cuore e dei sentimenti».
All'inizio non vi fu alcuna reazione.
Poco dopo Harun scoppiò a ridere, e il suono di quella risata sembrò fermare il tempo. Infine tornò serio e di scatto posò le mani sui braccioli della poltrona, il volto immobile a pochi centimetri dal suo.
Zara fece per voltarsi, ma lui fece scivolare una mano tra i suoi capelli per impedirle di distogliere lo sguardo dal suo.
Costretta da quella presa, rimase a fissarlo, scrutando le profondità di quelle iridi nere e ardenti: si disse che avrebbe dovuto spingerlo via e fuggire, eppure non riusciva a muoversi.
«Tutto questo è assurdo» mormorò allora, la voce soffocata, tesa, roca. «Lasciami andare».
«Shahiba non si fermerà davanti a niente, pur di ucciderti, lo capisci?» sussurrò Harun al suo orecchio. «Credimi sulla parola, sei stata avvisata, Zara Ascarelli. Perché il sultano non ha avuto pietà per l'uomo con cui condivide il suo stesso sangue, figurati con una donna come te, figlia di un ebreo e di una palestinese».
Dopo rizzò la schiena e camminò fino alla porta. Infine la sbatté e la chiuse a chiave. A doppia mandata.
* *
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