Capitolo dodici (1 di 7)
La sera del giorno dopo Margiana aiutò Zara a indossare un abito di seta acquamarina con decorazioni argentee e realizzate a mano. Ai piedi le fece calzare un paio di babbucce in pelle sintetica, decorate con piccoli pezzi di vetro e perline colorate, dello stesso colore del vestito.
Quando giunsero le otto e i rintocchi della pendola nella sala della lettura riecheggiarono per tutto l'harem, la porta principale si aprì e Harun apparse nel corridoio, accompagnato da due guardie e da Dunab.
Parevano usciti da una novella araba, pensò Zara mentre Margiana li salutava con calore. Era impossibile non guardarli senza rimanerne affascinati, dato che anche i loro abiti tradizionali di colore nero, con tanto di turbante abbinato, stava loro a pennello.
Da Margiana Zara aveva appreso che Dunab non fosse solo il braccio destro del re, ma anche il responsabile della sicurezza di Harun in persona, così come il padre prima di lui, discendenti di una tribù beduina che aveva abbandonato il deserto e aveva incominciato a vivere a palazzo servendo la famiglia reale. Innumerevoli erano le avventure che quei due aveva intrapreso nell'infanzia e inseparabili come fratelli. I due si erano separati solo durante i soggiorni di Harun in Inghilterra per i suoi studi, poi presso la madre in seguito al divorzio dei suoi genitori. Poi, nell'età adulta, avevano affrontato insieme guerre e crisi sino ad arrivare ai giorni nostri.
«Sei pronta?» chiese Harun avvicinandosi a Zara.
Deglutendo, lei annuì.
Infine lo raggiunse e cercò di dissipare la tensione, mordendosi le labbra.
Lui la fissò intensamente.
«Non indossi alcun gioiello di quelli messi a disposizione» disse, osservando con perplessità gli orecchini che le aveva regalato il professore Balzoni prima della tragedia.
Dopo lanciò un'occhiata interrogativa a Margiana, la quale rispose con delusione cocente nella voce: «Non ha voluto nessun prezioso, sua Maestà. Ho provato in tutti i modi, ma non ne ha voluto sapere!».
«Corrisponde al vero» avvalorò Zara, sentendo gli occhi pizzicare al ricordo del professore.
Harun la fissò per un momento.
«Perché?» domandò dopo un po'.
«Be', se dovessi perderli o rovinarli, non sarei mai in grado di ripagarteli» ribatté in uno slancio di sincerità estrema.
Lui rimase perplesso, ma questa volta la sorpresa fu ben evidente sul suo volto spesso inespressivo e ermetico.
Alla fine si riscosse e scosse il capo.
«Sei la donna più strana che abbia mai incontrata in vita mia» replicò.
«Lo so, ma nemmeno tu te la cavi male a riguardo» ribatté lei, abbozzando un sorriso.
Lui ricambiò.
«Come vuoi» mormorò poi, porgendole il braccio per farle strada in direzione della sala del ricevimento.
«È da un paio di giorni che Margiana non fa altro che parlare di questa cena» commentò Zara. «Era molto sulle spine».
Mentre percorrevano il grande corridoio a sinistra, da cui pendevano grandi lanterne in ferro battuto e pareti decorate da arazzi, lei osservò i ninnoli antichi di ogni sorta e i quadri con ambientazioni desertiche e altre rigogliose e verdeggianti.
«Posso sapere di cosa si tratta?» lo interrogò, poi, lanciandogli una breve occhiata.
«Si tratta di una cena con persone intime» rivelò, per poi guardarla con uno sguardo interrogativo. «Nuria non ti ha istruita a riguardo?» chiese.
«No».
«Strano» rispose Harun. «Di solito è una gran chiacchierona riguardo a questi eventi...».
Quella replica la riempì ancora più di curiosità, ma non disse nulla perché un brusio di voci li raggiunse.
Appena ebbero girato l'angolo, videro una dozzina di persone che affollavano la sala, chiacchierando e sorseggiando soft drink e alcolici per gli ospiti occidentali.
Non appena gli sguardi dei presenti si concentrarono su Harun, si zittirono tutti e poi esplosero in un grande applauso. Zara preferì mettersi da parte e unirsi agli altri invitati, alla ricerca della principessa, mentre il re avanzava verso gli invitati, sorridendo freddamente e con regale incedere.
Doveva ammettere che Harun aveva un modo bislacco di definire pochi intimi, pensò Zara. Lo fissò interagire con quelli che dovevano essere i ministri del governo, considerando gli abiti e le spille appuntate sulla giacca elegante, di fattura occidentale, all'altezza dei taschini, e mantenere viva la conversazione.
Quando la folla la spinse avanti, Zara si ritrovò accanto a un uomo: nell'istante in cui lo guardò in volto, sussultò e si rese conto di averlo già incontrato.
«Farik?» sussurrò con voce stupefatta.
L'anziano era agghindato di tutto punto, con un abito che lo faceva sembrare, ai suoi occhi spalancati, come uno di quegli arabi degli anni Venti, spesso ritratti in foto in bianco e in nero. La barba era sempre intrecciata, solo che questa volta era tenuta ferma da un grosso anello d'oro.
«Oh, eccoti qua, ragazza» la salutò. «Noto che il nostro volubile sovrano ti ha lasciato uscire finalmente...».
Lei batté le palpebre.
«Sì, ci sono rimasta sorpresa anche io, ammetto» ribatté sincera.
«Lo conosco sin da quando è nato, sai, sono il consigliere reale» proseguì Farik. «Ho visto che stai seguendo il mio consiglio...» e le indirizzò un occhiolino, comunicandole che sapesse di Sherazade.
«È stata la principessa Nuria a dirglielo?» domandò Zara all'uomo con stupore.
«Naturale» replicò soddisfatto. «Devi continuare per questa strada e fargli vedere che non sei minimamente intimidita dai suoi capricci» e batté il pugno chiuso sul palmo dell'altra mano. «Ecco cosa desidera un uomo!».
«Ossia?» controbatté divertita. «Come la guerra al telecomando per la tv?».
Con una tempestività grottesca e terrificante, sulla sala calò il silenzio e fu chiaro che tutti avessero sentito la conversazione.
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