Capitolo dieci (4 di 4)

Passò del tempo, in cui i versi dei pappagallini erano il suono di sottofondo, oltre a quello dell'acqua che scorreva nella fontana.

Quando il vento afoso soffiò più forte e il profumo di genziana e gelsomino le avvolsero e colpirono forte i sensi, la principessa risollevò le palpebre e il suo sguardo si fece lontano, puntando preciso alla luna pallida sopra le loro teste.

«Il sultano di Shahiba si alleò con l'allora moglie di Harun e insieme pianificarono di ucciderlo» sussurrò, muovendo in modo impercettibile le labbra rosse. «Attuarono il loro piano lentamente e tutto grazie a un veleno».

Lei impallidì e lasciò andare la penna, che cadde al suolo con un tonfo.

«Lo... avvelenarono?» riuscì a farfugliare sconvolta.

«Oh, sì, con l'antimonio» avvalorò Nuria. «Purtroppo, innamorato com'era, Harun non riconobbe i segni e iniziò a credere che persino io fossi la responsabile del suo misterioso malessere: quella maledetta donna fece di tutto per spostare i suoi sospetti su di me e su Dunab e isolarlo da chi gli voleva davvero bene» e si sfilò il meraviglioso velo di broccato dal capo e mostrò gli stupendi capelli neri alla luce delle lanterne sparse nel giardino. «A un passo dalla morte Harun scoprì la verità, per poi rischiare l'arresto cardiaco» aggiunse. «I medici gli fornirono cure tempestive e, anche per volere di Allah, si salvò» e Nuria riportò lo sguardo lucido su Zara. «Quando riaprì gli occhi, però, non era più lo stesso».

Lei strinse il blocco tra le mani. Il cuore le fece male, come se qualcuno glielo stesse strappando via dal petto a mani nude. In un battito di ciglia e l'arco di un solo respiro, Zara si rammentò ancora del modo in cui Harun aveva riso mentre aveva corso per condurre entrambi in salvo, la furia della tempesta proprio dietro le loro spalle: ora tutto aveva un senso.

Chi mai avrebbe potuto temere la morte, se non chi vi era sfuggito a quel modo?

Margiana le aveva narrato di come Harun aveva studiato all'estero, in Inghilterra, contro il volere dei genitori, dove aveva ottenuto risultati incredibili e pubblicato ricerche di tutto rispetto a livello internazionale in campo medico legale, lasciando tutti senza parole: era sempre stato affamato, curioso, avventuroso, impavido, di veduta progressista e di buon cuore.

Più tardi, quando era giunto il suo dovere di servire il popolo, aveva affrontato le insidie della guerra iraniana e siriana al fianco dell'esercito, al confine del loro stesso regno, e curato i feriti e allestito campi per il soccorso dei profughi.

Zara spostò lo sguardo sull'anello che portava all'anulare e si incupì ancora di più. Chi era davvero Harun?, pensò. E quante maschere possedeva e indossava al giorno?

Dal canto suo, Zara comprendeva che nel profondo doveva essere stato spinto dalla necessità: il suo doveva essere un mero tentativo di proteggere la psiche, il suo vero io, da coloro che avevano cercato di annientarlo.

Ciò nonostante, Harun era consapevole delle debolezze e delle paure celate sotto quelle maschere, nel mero tentativo di proteggersi? Ed era consapevole dei mostri che aveva creato?

All'improvviso, al suono di uno scocco contro il palato, Zara tornò vigile al presente e guardò Nuria.

«Ho avuto un'idea» esordì la principessa, alzandosi in piedi. «E mio fratello non potrà metterci affatto bocca» e fece un breve applauso a se stessa, un po' soffocato a causa del velo che ancora stringeva tra le mani. «Sono un genio, non c'è altro da dire!».

Lei batté le palpebre, più spiazzata da quella reazione che altro.

«Quale idea?» domandò, iniziando a preoccuparsi.

Un sorrisetto diabolico apparve sulle labbra di Nuria.

Poi si protese in avanti e le sussurrò il suo piano all'orecchio.

Quando terminò e si scostò, un'espressione incredula si formò sul volto di Zara.

«Ascolta, Nuria, non voglio offenderti» incominciò a dire «ma non ti pare un po' banale, un po' già sentita una cosa così?».

Con un gesto elegante e sofisticato, la principessa indossò di nuovo il velo e il suo sorriso si fece ancora più luminoso.

«Tu scrivi, al resto penso io» e le indirizzò un occhiolino. 

* * 

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