Capitolo dieci (1 di 4)
Harun era stanco, sfinito, soprattutto dopo una giornata interminabile di impegni e di riunioni. Nel momento in cui gli fu possibile sgattaiolare via per una breve pausa, intraprese una strada laterale all'auditorium.
Con passo felpato superò un arco e giunse nella terrazza sulla sinistra, dove una stretta rampa di scale conduceva alla balconata più alta e celata del palazzo, quell'angolo che da bambino era divenuto il suo posto segreto, il luogo speciale dove poteva stare con se stesso e non nascondersi più.
Salendo gli scalini a due a due, infine si volse ad ammirare la suggestiva vista che gli si presentava a ogni passo attraverso le finestrelle.
Intanto la luna aveva intrapreso la sua conquista del cielo notturno, accompagnata da milioni e milioni di stelle, alcune invisibili a causa delle luci della città. Sulla destra, invece, c'era il sole, non disposto ancora a lasciare spazio alla notte, i raggi che cercavano di allungarsi ancora verso la volta celeste, le alture e le ultime testimonianze degli antichi Nabatei che avevano preso quel colore rosato, di pura bellezza e dolcezza, di calma e di un'eterna quanto spiazzante serenità.
Giunto alla balconata Harun appoggiò le mani sulla ringhiera in pietra e osservò la città ai suoi piedi, viva e così luminosa da sfidare l'astro d'argento e le sue brillanti stelle.
Il vento soffiava forte e gli scompigliò i capelli, dandogli un certo sollievo e la sensazione di potere respirare a pieni polmoni, finalmente libero.
Lontano, molto lontano, si intravedeva la linea del deserto, una cinta che alla luce del crepuscolo sembrava quasi un abbraccio...
Una stilla di malinconia si impossessò del suo cuore e lui esalò l'aria appena inalata, rendendosi conto che nemmeno quello spettacolo riusciva più a lenire le sue ferite come un tempo.
Fu allora che il suo sguardo si perse e finì per posarsi sul piccolo giardino in lontananza del vecchio harem, dove scorse la figura di Zara seduta al centro della piazzola, sul bordo della vasca: era intenta a scrivere qualcosa su un blocco di carta, poggiato sapientemente sulle gambe, alla luce di una lanterna di vetro posta vicino ai suoi piedi.
Muovendosi, Harun andò in direzione degli scalini a est, consapevole che lo avrebbero condotto sino all'entrata segreta dell'harem abbandonato. Infine avanzò verso il punto in cui lei era ferma, alle sue spalle, celato dalla vegetazione di quel punto del giardino, per nulla posto in maniera casuale.
Seppure la curiosità lo scuoteva dentro, si disse che non fosse opportuno fissarla in quel modo, da lontano, senza il suo permesso. Tuttavia era roso da sentimenti che non riusciva a comprendere...
Nel frattempo notò che lei aveva i capelli un po' più lunghi, ora le accarezzavano le spalle in una cascata di riccioli e, alle ultime luci del crepuscolo, la sua capigliatura aveva assunto il colore stesso del deserto in quell'istante.
Come aveva appreso da Margiana, si era rifiutata di vestirsi con gli abiti che le erano stati procurati: aveva optato per gli indumenti occidentali che aveva e in quel momento indossava una maglia rosa e un paio di jeans, di una tonalità turchese che le metteva in risalto le gambe e un paio di sandali in cuoio ai piedi.
Chiunque si sarebbe soffermato ad ammirare la sua bellezza, notando solo e soltanto quello, ma Harun no. Quella notte nel deserto, rammentando in ogni minuzioso dettaglio, lo aveva lasciato desideroso di scoprire di più, di vedere cosa c'era dietro quel volto e quegli occhi, quelle finestre che affacciavano in un mondo in cui la delicatezza non era sinonimo di fragilità. Persino quella fatidica sera quando si erano scontrati e lui l'aveva lasciata con quelle parole, quasi confessandole il segreto della nascita del suo rancore e delle sue difese, si era sentito di nuovo come nudo dinanzi a lei: Zara era così simile al se stesso di un tempo da averlo prima spiazzato e poi irritato. Proprio come avrebbe fatto lui prima che scoprisse del tradimento dell'ex moglie. Prima dell'inganno del fratello maggiore. Prima del veleno. Prima di perdere tutto...
Da allora aveva evitato di avere contatti con lei e l'ultima volta, quando se n'era andato dall'harem come una furia, si era pentito di averle rivolto quelle parole così dure e crude. Era diventato come suo padre, si era reso conto quando era rimasto solo, sconvolto nel profondo...
Così Harun aveva perso la testa per un attimo, la compostezza che aveva imparato a usare per muoversi nel mondo, la maschera sotto cui aveva nascosto il vero se stesso. E non poteva permetterselo più, non con il regno in quelle condizioni: il trono della Palestina Orientale necessitava della sua guida.
Harun abbassò lo sguardo e si fissò le mani, sporche di sangue dal giorno in cui aveva utilizzato la legge che non era stata più usata da quando suo nonno era salito al trono: la pena di morte.
Immaginandosi la scena del processo per punire i traditori svolgersi ancora dinanzi a sé, considerò che Zara si sarebbe sicuramente opposta a quella sua decisione, come avrebbe fatto il vecchio se stesso.
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