12. SAMUEL ANDERSON

«A me sembrate due matti invasati. Mi spiegate che c'entra una stupida leggenda con i presunti attacchi che ci sono stati? Come potete pensare che sia una pista attendibile da seguire quella che porta a degli orsi mannari?» ci chiese Ben e il suo tono sbalordito ci fece sentire molto stupidi. «Ethan, mi stupisco di te!»

Io non l'avevo stupito, notai tra me e me mordendomi la lingua. Ipotizzai sconsolata che avesse davvero un'altissima considerazione di me.

«Orsi mannari!» continuò Ben passeggiando nervoso avanti e indietro per la strada, ignaro dei miei pensieri. «Fa ridere già a dirlo!»

«Ma poi al tramonto dove pensate di andare voi due?» rincarò la dose mia madre. «Mica è una cittadina di campagna questa».

Dopo essere rimasta in vergognoso e imbarazzante silenzio, rannicchiata su me stessa, ebbi un moto di orgoglio, estratto fuori da chissà quale remoto angolo di me stessa, e controbattei alle sue parole: «E cosa dovremmo fare? Rimanere qua ad attendere passivi qualcosa di peggio di due impronte di unghie o di invasioni nel capanno? Al limite potremmo farci una scorpacciata di storielle da rivenderci sotto Halloween. Non abbiamo nulla da perdere nel provarci».

Mia madre aprì la bocca, ma da essa non uscirono suoni. Ethan prese parola al suo posto e fissando suo padre con determinazione disse: «Lo so che sembra strano, papà, ma ci sono eventi, altrettanto bizzarri, che accadono qui e che non possiamo ignorare. Gli attacchi, le testimonianze degli abitanti... qualcosa di inquietante sta succedendo e dobbiamo capire la verità che sta dietro tutto questo caos».

Ben scosse la testa con un sorriso scettico. «Figlio mio, l'immaginazione può giocare brutti scherzi. Non puoi credere a ogni racconto che circola da queste parti. Lo sai che qua amano fare a gara su chi la spara più grossa. Dovremmo concentrarci su cose più realistiche, come proteggere la nostra comunità da eventuali pericoli reali».

Presi un profondo respiro e mi rivolsi a mia madre, ignorando di proposito gli altri due: «Mamma, io mi sono fidata di te quando siamo partite lasciando tutto. Prova a farlo tu con me. Ci sono storie e leggende che circolano da generazioni qui in Alaska e potrebbero contenere un briciolo di verità. Vale la pena, verificarle».

Mia madre alzò un sopracciglio, guardandomi con uno sguardo scettico. «Non mi hai seguita con calma serafica, non dimenticare che hai tentato una fuga durante la tormenta. Ma... stai sul serio credendo a queste storie? Non possiamo basare le nostre decisioni su mere leggende e superstizioni. Dobbiamo pensare alla nostra sicurezza e al nostro benessere».

Mi sentii frustrata e stanca di discutere, «Mamma, non puoi ignorare del tutto ciò che sta accadendo intorno a noi. Ci sono prove tangibili che qualcosa di strano sta succedendo. Dobbiamo investigare, cercare risposte».

«Vi siete fatti prendere troppo dalla sindrome di Sherlock Holmes e noi abbiamo sbagliato a darvi corda», intervenne Ben, «Basta indagini. Siete due adolescenti, fate gli adolescenti. Ethan, devi riprendere gli studi. Non puoi perdere l'anno correndo dietro alle leggende».

«Giusto», concordò mia madre, «Tra l'altro, ci sta già pensando lo sceriffo che è di sicuro più competente di voi due. Emma, dobbiamo pensare seriamente alla scuola anche noi. Dovremo vedere quella di zona...»

«Qua non ci sono scuole vicine», la interruppe serio Ben, «Per questo motivo, i ragazzi della comunità studiano a casa per conto loro. A volte in gruppetti».

«Ah, io andavo alla scuola di una cittadina... non ricordo come si chiama...» commentò mia madre sorpresa.

«Di sicuro quella di Copper Center. Però hanno chiuso le classi corrispondenti alla loro età per mancanza di alunni» spiegò Ben.

«Comunque, devi studiare Emma. Non perdere tempo in favolette mettendoti nei guai», disse mia madre risoluta.

Ethan si intromise cercando di riportare il discorso su ciò di cui ci premeva parlare: «Ascoltate, faremo tutto quello che volete, sul serio. Però, permetteteci di parlare con Samuel Anderson. Vi chiediamo solo questo».

Il padre di Ethan sospirò, guardando il figlio con una miscela di preoccupazione e comprensione. «Se è così importante per te, Ethan, allora andate a incontrare questo Samuel Anderson. Ma siate cauti e non lasciate che le leggende vi distraggano dalla realtà. La nostra sicurezza è la priorità».

Ethan aveva deciso di lasciar perdere gli appostamenti al porto e di andare diretti al capanno del vecchio pescatore seguendo le scarne indicazioni che ci aveva dato la negoziante.

Avanzando a fatica attraverso la fitta foresta, ci facemmo strada tra gli alberi nodosi e il terreno accidentato. Il sole stava calando rapidamente, gettando una luce debole inquietante tra i rami intrecciati. La tensione nell'aria si faceva sempre più palpabile, come se il bosco stesso tenesse il respiro. Sbagliammo più volte il sentiero. Dopo un lungo cammino, raggiungemmo la dimora di Samuel Anderson. La casa si stagliava davanti a noi come un'enigmatica figura, con il suo aspetto inquietante e dimesso. Era una baracca di legno decrepita, le assi scolorite e consumate dal tempo. I vetri delle finestre erano sporchi e incrostati, conferendo all'edificio un'aria di abbandono.

Mentre ci avvicinavamo con passo cauto, il silenzio si faceva ancora più opprimente. Non si udiva alcun rumore, né il canto degli uccelli né il fruscio delle foglie. Solo un vento sottile si insinuava tra gli alberi, portando con sé un senso di inquietudine. La casa sembrava custodire segreti oscuri, come se fosse consapevole della loro presenza e dei loro intenti.

Sentivo l'adrenalina scorrere nelle vene, il cuore battere furiosamente nel petto. Mi sforzai di controllare la mia ansia, ma ogni cigolio del legno marcio sembrava sussurrarmi un avvertimento. Mi chiesi se avessimo fatto la scelta giusta, se avventurarsi in quel luogo misterioso fosse stata la decisione corretta.

Ethan si voltò verso di me, il suo volto serio e deciso. Con uno sguardo carico di determinazione, cercò di rassicurarmi. «Andiamo avanti, Emma. Dobbiamo scoprire la verità. Samuel Anderson potrebbe essere l'anello mancante per risolvere questo mistero».

Con un respiro profondo, ci spingemmo oltre la soglia della dimora. L'interno era avvolto dall'oscurità, solo la flebile luce filtrava attraverso le finestre sporche. L'aria era densa di polvere e odore di vecchio, conferendo alla casa un'atmosfera ancora più sinistra. Ogni passo risuonava nel silenzio opprimente. Le ombre si muovevano sulle pareti, creando figure inquietanti e forme indistinte. Le nostre giovani menti erano pervase da un senso di apprensione, consapevoli di aver varcato la soglia di un mondo sconosciuto e potenzialmente pericoloso. Mentre avanzavamo nel buio, l'ansia si faceva sempre più insostenibile. Ogni singolo suono sembrava amplificarsi, quasi volesse annunciarne l'arrivo.

Carichi di tensione, perlustrammo meglio il malridotto portico della casa di Samuel Anderson. Il legno scricchiolava sotto i nostri passi incerti, mentre foglie secche e detriti si sollevavano al loro passaggio. Il portico era trascurato e coperto da uno strato di polvere, testimone dell'abbandono e del tempo trascorso senza manutenzione.

Mentre tornavamo verso la porta d'ingresso, un improvviso senso di inquietudine ci avvolse. Dei rumori sinistri sembravano provenire dall'interno della dimora, scricchiolii indistinti, sussurri sommessi che sembravano danzare nell'aria. Eppure ne eravamo appena usciti e sapevamo che all'interno non c'era anima viva. Ogni tanto, un leggero soffio di vento faceva sbattere una persiana semiaperta, creando un suono spettrale. Una sensazione di essere spiati si insinuò nella mia mente, un'ombra invisibile che sembrava osservarci da ogni angolo. Forse era suggestione, ma avrei voluto scappare via. Ci voltavamo dietro a ogni minimo rumore, per alcuna ragione logica. Le nostre ansie riempivano l'aria.

Decidemmo di tornare dentro con cautela, cercando di svelare i segreti di quella dimora. Ma proprio quando ci stavamo avvicinando alla porta, un suono rauco e inaspettato ci fece rabbrividire. Ci voltammo di scatto, ma non c'era nulla che potesse giustificare quel rumore torvo.

«Chi è là?» sentimmo all'improvviso una voce ruvida provenire dalle nostre spalle.

Ci girammo di scatto e davanti a noi si palesò l'imponente figura di Samuel Anderson. In piedi con fare scorbutico e un'arma ben salda in mano. Lo sguardo severo e i tratti segnati dal tempo, conferivano al vecchio pescatore un'aria di autorità e sospetto.

«Non voglio ragazzini ficcanaso nella mia proprietà. Andatevene!» disse Samuel con tono deciso, mantenendo il suo sguardo fisso su di noi.

«Non cerchiamo guai» cercò di tranquillizzarlo, Ethan. «Vogliamo solo parlare con te, vecchio. Ci hanno detto che sei appassionato di leggende dell'Alaska. Vogliamo informazioni sulla leggenda degli orsi mannari».

«Cercate le storielle della buonanotte a casa mia? Andatevene a nascondervi dietro le sottane delle vostre mamme. Via dalla mia proprietà!» tuonò l'uomo.

«No, nessuna storiella. Mi creda non vogliamo prenderci gioco di lei», intervenni, «Stanno succedendo cose strane. E stiamo cercando solo delle spiegazioni là dove la logica e la razionalità non stanno dando risposte».

Piano piano, Samuel sembrò attenuare la sua guardia. Soppesò con attenzione le nostre parole e, dopo un momento di riflessione, abbassò l'arma.

«Entrate» disse in tono meno brusco. Ci fece strada all'interno di casa sua e poi indicando due vecchie sedie di legno sul portico, aggiunse un perentorio: «Sedetevi».

Obbedimmo, ansiosi di ascoltare ciò che aveva da raccontarci. Spiegò che anche nella sua zona si erano verificati attacchi, il suo amato cane era stato sbranato in modo brutale. Era sicuro che non fossero stati i lupi né gli orsi, poiché le impronte dentali non corrispondevano alle specie presenti nella zona.

La tensione nell'aria era palpabile, mentre Samuel condivideva le sue informazioni. Era evidente che c'era qualcosa di sinistro che si muoveva nelle ombre della foresta, qualcosa che andava oltre la spiegazione razionale.

«Ci può raccontare la leggenda degli orsi mannari?» chiesi, sorseggiando con cautela il mio tè caldo.

Il vecchio Samuel Anderson, con un sorriso beffardo sul volto, rise sguaiatamente. Era una risata che portava con sé un'ombra di mistero e saggezza accumulata nel corso degli anni. Era chiaro che quella leggenda suscitava in lui una strana combinazione di timore e fascino.

«Ah, gli orsi mannari», disse Samuel, lasciando sfuggire un sorriso enigmatico e nostalgico, «I nonni narravano storie incredibili su questi animali leggendari. Ci riunivano tutti davanti al fuoco e loro raccontavano di creature uniche, nate dalla mescolanza tra un uomo e un orso. Durante il crepuscolo e la notte, questi ibridi si trasformano in esseri possenti, con la forza degli orsi, ma mantenendo intatto il loro animo umano. Non ci crederete ma gli esseri umani hanno un animo ben più crudele di qualsiasi animale esistente».

Mentre lo ascoltavo, la mia immaginazione cominciava a dipingere un quadro spaventoso di queste creature mitiche. Ero affascinata e al tempo stesso turbata dalla leggenda degli orsi mannari, desiderosa di scoprire se vi fosse un briciolo di verità dietro i racconti e se fosse collegata agli strani eventi che avevamo vissuto nella comunità in quei giorni.

«Si racconta che gli orsi mannari vaghino per le foreste selvagge dell'Alaska, guidati dalla rabbia umana e dalla sete di sangue», continuò Samuel, il suo sguardo perso in un ricordo lontano, «La loro forza possente e la ferocia con cui cacciano rendono difficile sfuggire al loro abbraccio mortale».

Ethan e io ci scambiammo uno sguardo, catturati dalla magia e dall'oscurità della leggenda. Era come se un velo di mistero avvolgesse il nostro viaggio, spingendoci a esplorare le profondità della notte e cercare risposte che potevano essere nascoste solo tra le ombre.

«Tuttavia» aggiunse Samuel, abbassando la voce «la verità sulla presenza di questi esseri è avvolta dal mistero. Potrebbero essere solo racconti fantastici o potrebbero celare un briciolo di realtà. Con molta probabilità sono solo vecchie favole di vecchie persone che le raccontavano ai nipoti in un'epoca in cui non c'era la televisione come intrattenimento. Ragazzi miei, se volete un consiglio secondo me dovreste lasciar perdere tutta questa favoletta. Concentratevi su cose reali. Quando si scioglierà la neve ci saranno i soliti orsi e lupi che vi terranno occupati. Per ora, annoiatevi».

«E il suo cane?» chiesi. «Chi l'ha ucciso?»

«Ah! L'uomo è più crudele degli animali. Non uccide solo per mangiare o per difendersi. Ricordalo, ragazzina».

La stanza cadde in un profondo silenzio, che sembrò prolungarsi per una frazione di minuti.

Ma all'improvviso, rompendo l'atmosfera, il vecchio esclamò: «Ah, basta così!» con tono deciso, colpendosi le gambe con entrambe le mani.

Il suono delle sue mani che si incontravano ruppe la quiete che si era creata. Sobbalzai sulla sedia, colta di sorpresa dalla sua improvvisa reazione. Lui si accorse della mia reazione e sorrise, «Ragazzi miei, è giunto il momento per me di riposare. Andatevene a fanculo city fuori da casa mia e lasciatemi in pace».

Le nostre proteste furono inutili di fronte alla sua determinazione. Era evidente che il vecchio pescatore aveva deciso di porre fine alla conversazione e di non concederci ulteriori informazioni. Ci rassegnammo al fatto che avremmo dovuto cercare altre risposte altrove.

Con un senso di delusione e curiosità ancora insoddisfatta, ci voltammo e ci incamminammo flemmatici verso l'uscita. Mentre ci allontanavamo, sentivo ancora l'eco delle nostre domande senza risposta che risuonavano nella mia mente.

Pensai che forse Samuel Anderson avesse segreti e che non fosse disposto a svelarli, almeno non a noi. Non poteva essere tutto qua. Solo favole della buonanotte per bambini.

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