Un trio di fuoco

//Circa un anno fa, nasceva Al Potter: non tutto finisce//

//Ammettetelo, il logo di Albus Potter è l'epicità della vita//

//Underground Army - Hans Zimmer per la parte iniziale, Voldemort's End - Alexandre Desplat, per la parte del trio, e per il finale Procession - Alexandre Desplat. Cordiali saluti to everybody and enjoy this nuovo chapter//

Albus credette per un istante che fosse un sogno, un allucinazione, e che la creatura fosse un piccolo animale trasfigurato. Sentì qualcosa di caldo espandersi per tutto il braccio: perdeva sangue e, con sua grande sorpresa, schizzi di vapore azzurrino.

Poteva perdere il fumo azzurro che usava per volare?

Un altro ruggito, altri sussulti e folate di vento. Il suo corpo venne scaraventato a circa dieci metri di distanza, e la sua testa andò a sbattere contro una parete della galleria, anche quella coperta di sangue. Solo ora si rese conto di quanto puzzasse quel posto, come se ci fossero stati trenta Troll e avessero giocato ad "acchiappa fazzoletto pieno di muco".

Scorse di nuovo il Basilisco, cercando di non guardarlo negli occhi. Il suo sguardo si posò sul corpo del mostro: era così lungo che la coda spariva nell'oscurità della fine della galleria. Era in posizione eretta, e questo lo faceva somigliare tanto ad un drago senza ali.

Fu colpito di nuovo. Albus chiuse gli occhi e, cercando di non aprirli assolutamente, dovette sopportare un'altra caduta. Sbatté bruscamente il braccio destro e la schiena, mentre la testa gli ricominciava a pulsare, fortissimo.

"ALBUS! ANDIAMOCENE!"

Sentì la voce di Connor. Seppur di fronte ad un Basilisco, il suo tono sembrava calmo. Ma stava urlando.

Albus non esitò. Alzò lo sguardo verso la direzione da cui aveva sentito la voce del lupo e aprì gli occhi: Connor stava già correndo verso l'altra parte della galleria, completamente persa nel buio. E Albus lo seguì, accompagnato dalla pietra che si infrangeva: il Basilisco stava riducendo a cumuli di polvere quel tratto di galleria.

"CORRI! CORRI E BASTA! NON VOLTARTI!" Urlò di nuovo Connor, la bacchetta stretta in pugno. La luce che proveniva dalla punta sembrava scomparire in quel buio da cielo senza stelle.

Corse. Più veloce di quanto non lo avesse mai fatto. Albus sentì il cuore battere fortissimo, così forte che dubitò che quando si sarebbe fermato avrebbe rallentato. Gli vennero in mente gli attimi di sette anni prima, nella Foresta Proibita. Chi avrebbe mai detto che sarebbe scappato con quel lupo da un mostro sette anni dopo?

Altri rumori. Sentì il Basilisco strisciare dietro di loro, ruggendo. Anche se grondante di sudore e ormai anche di sangue, Albus sentì la pelle ghiacciare. Non aveva mai udito un suono più spaventoso di quello. Così... inquietante.

Proseguirono per la galleria, più veloci della luce.

Sussulti nel buio. Ruggiti. Folate di vento. Cemento in frantumi.

"NON SMETTERE DI CORRERE! QUALUNQUE COSA SUCCEDA!" Le urla gelide di Connor sovrastarono per un istante i ruggiti del mostro.

Ma come diavolo faceva a restare calmo persino di fronte alla morte?

E nel momento in cui Al credette di aver corso abbastanza, si ritrovò la testa squamosa del serpente in mezzo alle gambe. Divorato dal panico e dalla sorpresa, venne sollevato in aria e sbattuto contro il soffitto. Sentì varie ossa fare rumori che non avrebbero mai dovuto fare e cascò a terra, stavolta reggendosi con le mani.

Scosse la testa, credendo di essere morto spiaccicato, ma poi si rialzò e, chiedendosi dove fosse finito il Basilisco, avanzò. Corse, corse più velocemente di quanto si ricordasse di aver mai fatto in vita sua. Sentiva l'odore di sudore. Respirava polvere e aria calda. Le sue mani erano umide e appiccicose per via del sangue.

Il buio completo. Corse e non si fermò.

E poi, sentì dei passi dietro di lui. Gli stessi che aveva sentito pochi minuti prima. Inferi, pensò di nuovo. Forse a dozzine. Ma non si voltò, non voleva e non doveva guardare.

Si passò una mano tra i capelli e tentò di allungare il più possibile le gambe, cercando di guadagnare terreno e...

Solamente ora si accorse che non c'era più Connor. Né la sua luce.

Ma ora non importava, doveva solo correre. Correre e basta. Trovare un'uscita.

Riluttante, si catapultò nell'oscurità più totale. Non vedeva nulla.

"Lumos!" Urlò alzando la mano monca. Niente. Nessuna sfera comparve nel palmo della sua mano.

Stava correndo senza vedere. Stava correndo nel nulla.

Altri ruggiti. Altri rumori di passi veloci e pesanti. Cosa c'era oltre al Basilisco?

Sentì la testa del mostro mancarlo di poco. Si spostò di pochi centimetri verso destra, allungando la mano verso la parete. La toccò. Ora aveva un punto di riferimento. Forse, in questo modo, ce l'avrebbe fatta.

Il sangue dalle pareti era scomparso, ma Albus fiutò ancora l'odore di sangue misto a sudore.

E poi, come un bambino, inciampò.

Sbatté violentemente la faccia contro il pavimento di pietra e sentì aprirsi un enorme squarcio sulla fronte.

Non può essere successo, pensò, ormai finito.

Cercò di rialzarsi, ma qualcosa lo aveva afferrato per la gamba. Una mano. Una mano forte, rigida.

Scalciò con tutta la forza che aveva in corpo e si mise a sedere, cercando di prendere a pugni la cosa che lo stava toccando. Aveva un fiatone assurdo e il cuore gli pompava litri di sangue al secondo.

Ma non riuscì a toccare nulla. La mano lo stava trascinando indietro, verso chissà dove. La sua schiena sfregò contro il pavimento, e sentì il giubbotto che indossava squarciarsi. La cicatrice sul petto ora gli pulsava come la testa. E poi sentì l'urlo che riconobbe subito. Un urlo di pazzia, misto a quello di una bambina che piange.

Possicriti.

Scalciò il più forte possibile, cercando di scappare.

"Lasciatemi stare, bestie, lasciatemi!"

Immaginò le creature che lo stavano trascinando nel buio: vestito di uno smoking, il viso completamente bianco e la bocca enorme a far passare un enorme serpente nero.

"Lasciatemi! LASCIATEMI! PORCA..."

Un urlo. Qualcosa che usciva da qualcosa. Albus sentì il collo restringersi di qualche centimetro: si ritrovò un serpente attorcigliato addosso. Un serpente che partiva dalla bocca di qualche Possicroto.

Cercò di urlare, ma il rettile lo stava soffocando, sempre più forte, e lo stringeva come se fosse una bambola di pezza pronta ad essere fatta a pezzi.

Altre urla. Altri passi. Altri...

"No... no..."

La pelle viscida e squamosa del serpente gli sfregava il collo, proprio come la sua schiena stava facendo con il pavimento.

Sentì i ruggiti. Si stava avvicinando al Basilisco. Di nuovo. E ora non avrebbe potuto fare niente.

Un'urla di un Possicroto lo fece sussultare. Era orrendo ascoltare quei suoni striduli.

Sentì il serpente che aveva avvolto al corpo sfiorargli le labbra. Voleva morire.

La mano che lo stringeva alla gamba ora sembrava essere diventata più grande e possente.

Non riusciva più a capire nulla. Anche se era tutto buio, credeva che stesse vedendo sfocato. E per qualche motivo a lui apparentemente sconosciuto, gli venne in mente suo padre.

"Io... no... lasciatemi..."

Ma le creature lo stavano trascinando nel nulla, verso la morte, proprio come avevano fatto gli Inferi ore prima sotto il Westminster Bridge.

E poi fiutò un odore acre. Un odore che mai avrebbe potuto immaginare di fiutare in vita sua.

Il Basilisco era più vicino di quanto si aspettasse. La bocca spalancata, gli occhi gialli pronti ad uccidere quelli verdi del ragazzo.

Non voleva morire guardando negli occhi di un mostro. Non voleva.

Ormai il suo viso era così vicino a quello del Basilisco che Albus credette di essere dentro il corpo del rettile.
E tutto quello era accompagnato dal serpente che lo stava soffocando e dai Possicriti che lo stavano trascinando. Ora ce n'erano circa una ventina.

E poi, come un Arcangelo, una luce argentea illuminò il posto. Con sua grande sorpresa, Albus realizzò di trovarsi ancora in una galleria della metro: sotto di lui vi scorrevano dei binari.

La luce aumento così tanto che la mano del Possicroto sulla gamba di Al lasciò la presa. Varie urla disumane scheggiarono l'aria calda e fatta di sangue.

Il serpente sul collo di Albus sparì, come se dissolto nel nulla.

Anche il Basilisco si era voltato, forse cercando di capire da dove provenisse quel luminosissimo bagliore argenteo.

Albus scosse la testa e mise a fuoco il punto di luce che si ingrandiva con il passare dei secondi. Ma non era un punto.

Era una figura. Un animale.

Di nuovo la cerva.

Al ebbe un sussulto. Un sussulto che, però, partì dal cuore. Un cuore fragile e troppo, troppo emotivo.

E come un toro, la cerva partì alla carica. Anche se senza corna, abbassò la testa, pronta a scacciare via i Possicriti. Il Basilisco era rimasto immobile.

Con sua grande sorpresa, Albus realizzò di trovarsi in piedi, da solo, nel nulla illuminato dal Patronus che lo aveva salvato già varie volte.

Voleva scappare, correre, salire in superficie, mettersi in salvo, forse trovare Connor, ma sembrava che le sue gambe fossero incollate ai binari. E di fronte a quello spettacolo, non riusciva a muovere nemmeno un muscolo. I Possicriti corsero dall'altra parte della galleria, facendosi spuntare delle enormi ali nerastre - molto simili a quelle di un Thestral - e spiccando il volo. Il cuore di Albus parve alleggerirsi, ma c'era ancora il Basilisco. Giù alle metropolitane ha piazzato anche qualche Basilisco. Ricordò le assurde parole di Oak, poco prima che lui, Rose e Scorpius andassero sotto l'effetto della Polisucco ad Azkaban per liberare Kingsley. Volle prendersi a schiaffi. Oak lo aveva avvertito. Glielo aveva detto. Aveva detto che c'erano Basilischi nelle metro. E lui, senza un buon motivo, se n'era scappato lì. Ma i suoi pensieri vennero interrotti dal bagliore argenteo che ormai sembrava un piccolo sole: la cerva puntò diritto verso Albus. Scalciò e partì, puntando il petto del ragazzo. Stava compiendo la stessa cosa che aveva compiuto poche ore prima: entrare dentro il suo corpo. Ricordava quel momento come se fosse passato un anno. E poi...

Provò uno strano miscuglio di emozioni. Emozioni fortissime. Panico. Gioia. Voglia di vivere, di correre, di spaccare tutto.

E poi, come se qualcuno fosse lì accanto a lui, una voce gli echeggiò nelle orecchie.

"Corri"

Si voltò. Non c'era nessuno. Oltre al...

Non era il momento di pensare alla voce - che gli risultò perfino lontanamente familiare -, ma di scappare.

Fece un balzò verso sinistra e corse più di quanto avesse fatto pochi minuti prima. La forza gli usciva dai pori. Dalla bocca. Dagli occhi. Dagli occhi verdi. Gli occhi di suo padre. Di sua nonna.

Corse, e inghiottì aria calda, mentre cominciava di nuovo a udire il serpente dietro di lui inseguirlo. Il collo eruttava sangue. E anche la sua fronte, così come le mani. Il suo corpo stava emanando un bagliore azzurrino - che illuminava fiocamente i tratti di gallerie - , ma ora non ci voleva pensare.

Udì solo il suo respiro più pesante che mai e la pelle viscida del Basilisco sfregare contro i binari. E ora poteva ascoltare il battito del suo cuore... così potente...

"Secondo te, ora sei morto, vero?" Chiese Neville interrompendolo.

"Be', io... tu hai detto di no..."

"E se non te lo avessi detto tu avresti continuato a pensare che..."

"Ovvio, sono stato colpito da un Avada Kedavra"

"E non ti sei mai chiesto cosa sarebbe successo se fossi stato colpito da un Avada Kedavra?"

"Dove vuoi arrivare? Non capisco..."

"Tua sorella, ti dice qualcosa?"

Si ricordò improvvisamente di sua sorella Lily. Doveva sopravvivere. Dopo tutto quello che lei aveva fatto per lui, non poteva morire in quel modo.

Mia sorella mi ha lasciato una Protezione. Sono risorto. Il ladro è Draco. Scorpius è morto.

Si ripeté a mente le parole, mentre, finalmente, imboccava un'altra ampia curva a sinistra. Ora fecero comparsa varie luci al neon, e il suo corpo continuava ad emanare il vapore azzurrino, come se avrebbe preso il volo da lì a qualche secondo.

Schivò un altro attacco del Basilisco, stavolta balzando a destra e continuando a seguire i binari. I ruggiti della creatura lo stavano stordendo, ma l'entrata della cerva d'argento nel suo cuore sembrava averlo fatto rinascere, di nuovo.

E, finalmente, una luce. La galleria buia era finita. Una stazione.

Corse il più veloce possibile, mentre vaghe immagini di sette anni prima con suo padre nella Foresta gli offuscavano la mente. Ricordò per un attimo la notte nell'aula di Pozioni. Aveva visto Connor trasformarsi.

Ma perché pensava a cose del genere mentre un Basilisco di venti metri gli strisciava dietro e continuava ad allungare il muso cercando di farlo cascare?

Diede l'ultima scarica d'adrenalina. Accelerò di così tanto la corsa che per un momento parve volare, ma poi, dopo quella che avrebbe potuto essere un'eternità, si ritrovò nella stazione.

Piccadilly Circus.

L'improvvisa esplosione di luci parve accecarlo.

Salì con un salto sul binario e, tentando l'impossibile, si voltò, socchiudendo gli occhi: il mostro era salito a sua volta sul binario, e sembrava non volesse arrendersi. Albus lo guardò, sempre nel dorso. Non voleva morire. E nemmeno essere pietrificato guardandolo in qualche riflesso.

Corse ancora, e ancora, e ancora, finché non arrivò alla fine del binario. Il cuore era ormai uscitogli dalla bocca.

Notò una sola cosa: non c'erano Babbani. La stazione era addobbata con delle piastrelle bianche, rosse e verdi. Su qualche parete erano appiccicati degli enormi cartelloni con belle donne in posa: Albus scorse un nome di una modella. Cara.

Come può la gente chiamarsi Cara? Pensò raggiungendo la fine del binario e salendo una rampa di scale, il volto lupesco della modella imprigionato nella sua mente.

Sì aiutò appoggiandosi su dei tubi metallici colorati e proseguì per quello che avrebbe potuto essere un centinaio di metri, cercando di non voltarsi mai, in un'altra galleria, stavolta piastrellata. Sentiva ancora i ruggiti e, di nuovo, dei passi. Forse i passi di altri Possicriti.

Dove andarsene da lì. Non aveva mai desiderato fare qualcosa così tanto.

Svoltò a destra e poi a sinistra, mentre decine di colori gli rimbalzavano davanti agli occhi. Cartelli. Poster. Schermi tecnologici, e, con sua grande sorpresa, pareti ghiacciate.

L'ultimo ostacolo erano le scale mobili babbane: le percorse tutto ad un fiato, lo sguardo fisso davanti a sé.

Scavalcò saltando i macchinari dei biglietti Babbani e si ritrovò in quella che avrebbe potuto essere una grande sala semicircolare. Sul perimetro della sala c'erano degli ingegni elettronici che servivano ai Babbani per comprare i biglietti, mentre, disposte a trenta metri di distanza una dall'altra, delle scale che portavano all'alba.

Finalmente.

Albus corse verso quella di fronte a lui, il cuore in gola e il petto che sembrava avere infilzati trenta pugnali. Sarebbe morto per lo sforzo.

Mancavano circa cinque metri alla rampa di scale quando Albus si bloccò, per l'ennesima volta in quella maledetta notte. La sua pelle, che era già ghiacciata e imperlata di sudore, parve stranamente raffreddarsi ancora di più, e provò qualcosa che aveva già provato, ma questa volta era forte, era qualcosa di davvero triste. La sua mente raccolse e raggruppò in fila i suoi peggiori ricordi per la seconda volta, e lui si pietrificò, lo sguardo perso.

Lui aveva generato dalla bacchetta un grande scudo, che, per il momento, stava respingendo un'onda anomala alta più di trenta metri. La battaglia dietro di lui si stava spegnendo, come una lampadina. Le mani continuavano ad uscire dall'enorme onda d'acqua. E poi arrivò il ladro, il lungo mantello nero che gli svolazzava come se fosse fumo nero. Albus avrebbe lasciato la presa, uccidendo tutti, ma qualcun altro si era messo davanti a lui, una ragazza, prima di essere colpita da uno zampillo di luce verde. Lei cadde ai suoi piedi, e lui non poté fare niente, perché non voleva fare niente, ma Rose lo stava facendo Smaterializzare...

Scosse la testa e guardò il posto intorno a lui. La temperatura si era abbassata notevolmente. Sentì il respiro mozzarsi nel petto. Il freddo penetrò fin sotto la pelle. Era dentro di lui, s'insinuava fino al cuore...

Non era il momento per pensare ai Dissennatori. Albus fece uno sforzo enorme per cercare di non cascare a terra e piangere, e si diresse verso la creatura, che bloccava l'uscita.

Dov'era la cerva? Lo aveva salvato anche a mezzanotte dai Dissennatori, e poi dai Possicriti. Ed ora dove era? Ne aveva bisogno più di chiunque altro.

Fissò la creatura negli occhi, e il verde parve incupirsi, come se qualcuno vi avesse fatto cascare una tempera grigia. Doveva cercare di superare la creatura e raggiungere il Westminster Bridge. Il Dissennatore avanzò verso di lui a sua volta, la mano tesa pronto ad afferrarlo per il collo. I suoi compagni, invece, erano appostati sulle altre uscite. Ma Albus ne aveva affrontati molti di più di uno. Ad Azkaban ne aveva fatti fuori insieme a suo fratello più di cento. James... Dov'era? Stava bene?

E poi sentì un altro ruggito. La pelle gli diventò completamente ruvida, come carta vetrata: il Basilisco lo aveva raggiunto, ed ora si trovava alle sue spalle, mentre buttava all'aria con la testa i macchinari grigiastri dei biglietti.

Albus corse, schivando il Dissennatore e raggiungendo le scale, che percorse quattro alla volta. Rischiò un paio di volte di inciampare, ma alla fine ci riuscì: il cielo ormai completamente azzurro gli si mostrò davanti agli occhi ed esplose in tutta la sua bellezza. Un vento gelido gli perforò la pelle, ma a lui piaceva: l'esperienza giù nell'Underground l'aveva letteralmente cambiato.

Non avrebbe più dormito con la luce spenta.

Si aggrappò ad una ringhiera e prese fiato, mentre guardava la piazza in cui si trovava con occhi anche loro esausti. Un grandissimo schermo illuminato mostrava pubblicità e avvisi, mentre alla sua sinistra vi scorreva una lunga via, costeggiata da alti palazzi biancastri: Regent Street. Alla destra dell'enorme schermo tecnologico c'erano altre strade e un grande palazzo bianco, e al centro della piazza, invece, c'era una grande statua-fontana del tutto nera: si ergeva per quelli che avrebbero potuto essere dieci metri. Sulla punta della costruzione c'era un bellissimo angelo eretto su un solo piede, e teneva in mano un piccolo arco. Varie scalinate circondavano la Statue of Eros, insieme a quattro lampioni anche loro neri. Alle spalle di Al, invece, c'era un grande negozio di articoli sportivi, chiuso da delle sbarre grigiastre ed arrugginite. Finì di vedere il paesaggio di Piccadilly Circus intorno a lui e prese a guardare le scale sotto di lui: i Dissennatori erano spariti, e pure il Basilisco.

Dov'erano finiti?

Si voltò. Lo fece di nuovo. Fece un giro su se stesso. Non c'era niente. Quel posto era desolato. Non c'erano nemmeno i Babbani.

E come un pugno, una frase sovrastò qualunque cosa nella sua mente.

Perché non mi sono Smaterializzato?

Volle prendersi a schiaffi, a testate sul muro, morire. Era stato così stupido. Avrebbe dovuto Smaterializzarsi giù nelle gallerie. Invece aveva corso.

Ma con Connor e il suo braccio sarebbe stato impossibile, pensò sulla difensiva, lui avrebbe perso il braccio. Però avrei potuto Smaterializzarmi dopo averlo perso.

Poteva essere così stupido?

E poi, improvvisamente, sopravvenne la scoraggiante consapevolezza di quello che sarebbe successo pochi minuti dopo: la pioggia di Avada Kedavra.

Erano passati venti minuti da quando Connor glielo aveva detto? Sembrava passata più di mezz'ora.

Scrutò l'azzurro del cielo: centinaia di puntolini neri erano sospesi come delle stelle nere. Erano i Fedeli. Sarebbe successo da lì a qualche minuto. O secondo.

Si allontanò dall'uscita della Tube e si guardò intorno, in cerca di qualche segnale di vita. Ma non c'era nessuno. Doveva tornare a Westminster e trovare aiuto.

Ma come diavolo avrebbe impedito a mille Fedeli di pronunciare la formula? Lui era solo.

Londra si colorerà tutta quanta di verde esattamente tra venti minuti, e tu, solo tu puoi fermare quei Fedeli lì sopra. Ricordò le parole del mezzo lupo mannaro. Solo Albus poteva fermare la fine. Ma come? Non aveva indizi, non aveva idee.

Ma Connor non poteva aver detto una cosa del genere senza aver prima ragionato. Se aveva detto che solo Albus poteva fermare tutti quei Fedeli, c'era una ragione, e doveva capacitarsene. Ma prima doveva esserne certo.

E poi, di colpo, come se la risposta gli fosse stata davanti per ore, urlò il nome.

"Kreacher!"

Il suo Elfo Domestico si Materializzò proprio di fronte a lui, gli occhi enormi iniettati di sangue e le orecchie marroni più lunghe di quanto avrebbero dovuto essere coperte di peli.

"Mi hai chiamato, padrone Albus?" Ruggì con voce cavernosa ma affettuosa l'elfo. Aveva un'aria pulita, anche se, ai tempi di Harry, questo era l'ultimo aggettivo che gli si poteva attribuire.

"Sì! Kreacher! Sentì, io... ma certo!" Saltellò sul posto, un po' eccitato.

L'elfo allungò il collo verso di lui, curioso.

"Kreacher, ma tu... dove sei stato? Voi elfi, dove siete?" Chiese improvvisamente.

"Noi abbiamo fatto fuori tutti gli Inferi, signore! Tutti! Li abbiamo portati sotto il Lambeth Bridge, lontano dalla battaglia. Kreacher si è occupato di ben ventitré Inferi, signore!" Disse l'elfo spalancando gli occhi. Sembrava avere un'aria stanca.

"Voi... va bene, non importa ora. Senti, potresti portarmi qui mia zia Hermione, mio zio Ron e mio padre?"

"Come vuo..."

"Di fretta, Kreacher, è questione di secondi!" Disse con voce decisa. L'elfo allungò un angolo della bocca prima di sparire nel nulla. Albus rimase in attesa, ogni tanto voltandosi e guardando verso l'entrata della metro. Gli metteva i brividi quel posto. Non avrebbe mai più messo piede lì dentro.

E dopo una dozzina di secondi, un sonoro crac echeggiò per centinaia di metri. Albus sobbalzò alla vista di suo padre e dei suoi zii. Hermione aveva ancora i capelli impastati di fango, mentre Harry e Ron perdevano sangue da mezzo corpo. Tenevano tutte e tre la bacchetta stretta in pugno. Alle loro spalle, Kreacher si dondolava sul posto, con aria curiosa e soddisfatta.

"Albus!" Urlò Harry correndogli contro e stringendolo in un abbraccio. Hermione fece lo stesso, baciandolo in bocca. Ron, invece, gli diede una forte pacca sulla spalla, sorridendo. Sembravano tutte e tre a posto: non avevano ferite mortali.

"Albus, come stai? Dove sei stato tutto questo tempo!? Ti ho visto entrare nella galleria dietro il porto e poi Draco dietro di te e poi Connor e..."

"Lascialo respirare, Hermione" La interruppe Harry. "Kreacher ha parlato di questione di secondi, Albus, credo che ci hai chiamato per..." Ma si bloccò. I suoi occhi verdi scivolarono sul petto del figlio, scoperto e macchiato dal sangue, ma, soprattutto, coperto da una cicatrice a forma di saetta. Rimase immobile per vari secondi, trattenendo il respiro. Sembrava aver perso tutt'e cinque i sensi.

"Hai visto, papà, ora sono un vero Potter" Rise Albus.

Harry non parlò. Rimase immobile, fissando la cicatrice con occhi che sembravano pensare. Anche Ron stava fissando la cicatrice con aria sorpresa; l'unica che non aveva mosso sopracciglio era Hermione, che già aveva visto.

"Miseriaccia, ma hai la cicatrice..." Sussurrò lo zio.

"No, ma davvero? Dove?" Disse Albus sfiorandosi la ferita. Provò una scarica elettrica in tutto il corpo.

E poi, Harry alzò la mano a sfiorare la cicatrice. Poi la abbassò e la baciò delicatamente. La allungò e la posò sul petto del figlio.

"La storia si è ripetuta" Mormorò.

Albus si limitò ad annuire.

"Albus Severus Potter, il Ragazzo-Che-È-Sopravvissuto, come il padre, il Prescelto" Aggiunse Ron arricciando le labbra. Aveva un grosso buco sul mento da cui perdeva grosse quantità di sangue.

Ma qualcosa colpì l'asfalto a qualche metro dai due. Un fulmine. Verde.

"Ma cosa..." Ruggì Hermione con aria scioccata. Alzò appena in tempo lo sguardo per scorgere un'altro lampo di luce verde sfiorarla.

"Questa è la ragione per cui vi ho chiamato. Sentite, Draco ha piazzato mille Fedeli su nel cielo, e proprio adesso hanno cominciato a lanciare Avada Kedavra su Londra. Come mi dicono sempre: le spiegazioni avranno tempo più tardi. Seguitemi" Urlò l'ultima parola correndo verso una vetrina di un supermercato chiamato Tesco.

"Qui dentro, forza!" Disse Albus spaccando col piede il vetro ed entrando con aria fin troppo decisa. Harry non aveva ancora parlato.

"Albus, ma cosa..."

"Dobbiamo trovare una soluzione per impedire a quei Fedeli di fare fuori Londra. Ora. Credo che voi mi possiate aiutare"

E con tutta la forza che aveva in corpo, Albus si sforzò nel pensare di sciogliersi. E sembrava funzionare, perché sentiva i soliti sbalzi di temperatura. Prima caldo, poi freddo. Rabbrividì un attimo prima di disintegrarsi. Il suo corpo divenne ancora una volta vapore azzurro.

"Sono mille Fedeli. Tutti lì su, e noi dobbiamo cercare di fermali. Ora o mai più. Siete voi il Golden Trio, no? Allora fate qualcosa, cavolo! Avete sconfitto Lord Voldemort!" Gridò Albus.

"Una pioggia di Avada Kedavra, hai detto?" Sussurrò Hermione. Il suo cervello sembrava ronzare. Harry aveva alzato lo sguardo su nel cielo, oltre la vetrina spaccata. Ron, invece, faceva finta di pensare, almeno questo era quello che Albus capì dalla sua espressione.

"Esatto. Ed hanno appena cominciato. Continueranno finché Londra non avrà nemmeno un abitante. Babbani e Maghi, ragazzi, Babbani e Maghi" Disse Albus sospeso a mezz'aria.

Hermione si passò una mano di fronte il viso e posò due dita sopra le palpebre, chiudendole per un istante. Poi le riaprì e batté le mani davanti il suo naso.

"Ma certo! Certo, certo!" Urlò ridendo. Albus adorava quella donna.

"Cosa?" Ron alzò lo sguardo verso di lei, mentre Harry vedeva vari fulmini verdastri colpire un palazzo dall'altra parte della strada.

"Sì! Certo! Albus, sai cos'è che ferma una pioggia?" Albus scosse la testa un po' confuso, galleggiando ad un metro d'altezza.

"Tanto, tanto sole!" Trillò la zia correndo verso l'uscita. Scavalcò con un piccolo salto le macerie di vetro e puntò la bacchetta di vite su nel cielo, gli occhi ridotti a due fessure. Uno sprizzo di luce aranciata fuoriuscì dalla sua bacchetta, e questo si ingrandì, come una bolla di sapone, e ancora di più, fino a diventare un enorme sfera rossastra. Albus nemmeno si era accorto che la zia si trovava in mezzo alla strada, attenta a schivare la pioggia verdastra che sarebbe peggiorata da lì a qualche minuto. La sfera di luce rossa si ingigantì così tanto che ora pareva un piccolo sole, ed emanava calore, tanto calore.

Ron sembrava aver capito le intenzioni della moglie e, producendo una mezza specie di grugnito, la raggiunse, puntando a sua volta la bacchetta di salice verso l'alba.

Albus rimase a bocca aperta di fronte a quella scena.

Harry non si era ancora mosso, e ogni tanto buttava furtivo lo sguardo sul petto del figlio, come se non potesse credere a quello che stava guardando. E in effetti era tutto incredibile.

Ron generò la stessa sfera di fuoco della moglie. Ora i due piccoli soli sembravano toccare i palazzi ai lati delle strade, ed emanavano così tanto calore che Albus rivisse per un momento le ore nella battaglia: calore, sangue e fuoco.

"Albus!" Urlò Hermione di colpo voltandosi verso di lui. "Scope! Ci servono delle scope! Tre!"

Albus la fissò per qualche secondo, poi si mise alla ricerca di Kreacher: era appollaiato nell'angolino a curva del supermercato.

"Kreacher! Trova tre scope! Di fretta" Ordinò sospeso nell'aria. Sopra la nuvola di fumo azzurro, c'erano il busto, le braccia e il viso.

L'elfo dei Potter non rispose nemmeno. Sparì con un piccolo pop e ritornò immediatamente, barcollando a destra e a sinistra, sotto il peso di tre Nimbus 2000.

"Nimbus 2000? Ma mi prendi in giro?" Esclamò Albus sfilandogliela di mano.

"Non fa niente. Si inizia e si finisce con quella scopa" Disse Harry rompendo il suo silenzio.

Albus aggrottò le sopracciglia mentre gliela lanciava. Poi uscì e si diresse dai suoi due zii. Gliele mise sotto le gambe, e in quel mentre giurò di provare una sensazione disumana: il calore che emanavano le sfere era più che caldo. Hermione era del tutto zuppa, e Ron faceva delle smorfie, ed Al non seppe se stesse scherzando.

Fece per ritornare dentro il supermercato dal padre, ma Hermione lo bloccò.

"Aspetta!" Sembrava stesse facendo uno sforzo enorme. Le vene sul collo, come corde tese, pulsavano. "Di a tuo padre di fare la stessa cosa, lui sa cosa. È un incantesimo che abbiamo inventato due anni dopo la Seconda Guerra. Albus, ti chiedo di seguirci e fare qualunque cosa ti diciamo, d'accordo?" Il piccolo sole sembrava aver raggiunto dimensioni troppo enormi.

Albus annuì e, passandosi la manica del giubbotto sulla fronte, riferì tutto al padre. Lui gli sorrise e sfrecciò con la Nimbus 2000 verso i sue due amici.

"Albus, al mio tre, decolla!" Gridò di nuovo la zia. Lui annuì e rimase accanto a Kreacher, mentre fissava le ora tre sfere ingigantirsi sempre di più.

E poi, il Golden Trio volò nel cielo, e con loro anche i piccoli soli, rilasciando calore sulla zona.

Albus udì appena il "Tre!" di sua zia, perché qualcosa lo aveva afferrato per la spalla. Una mano viscida, forte.

Si girò appena in tempo per vedere un lungo serpente nero fuoriuscire dalla bocca di un Possicroto.

Albus lo deviò così velocemente che il fumo azzurrino si disperse per gran parte del supermercato, e con lui anche le grida del mostro alato.

"Ma voi state dappertutto?" Urlò Albus levando le mani. Sentì di nuovo l'energia scaturirsi dal cuore e raggiungere le spalle, e poi le braccia, e poi i suoi palmi.

Il lampo di luce rossa colpì la creatura, che cadde a terra urlando. Albus odiava quel suono.

"Padron Albus, Kreacher consiglia di andartene e di andare con i tuoi parenti a fare fuori quei uomini di cattivo sangue" Sibilò Kreacher con voce rauca ma coraggiosa.

"Lo stavo per fare. Sparisci, nasconditi, controlla se è morto qualcun altro nella battaglia. Kreacher, qualunque cosa accadrà, volevo dirti che... sei un elfo strano. Ma sei un tipo a posto"

"Grazie, padrone Albus" Esclamò entusiasta l'elfo prima di dissolversi nell'aria.

Era arrivato il momento. Albus avanzò verso la vetrina spaccata, ma udì di colpo rumori strani. Si voltò ancora una volta. Il cuore gli salì in gola.

Appostati in ordine davanti degli scaffali del cibo, c'erano Inferi ed alcuni Dissennatori. Sembravano tutti avere un po' di fame. Giusto un po'.

Ma Albus li ignorò e sfrecciò fuori, dirigendosi verso la Statue of Eros per avere una visuale perfetta del cielo. Scorse con la punta dell'occhio gli Inferi, ingobbiti e sanguinanti, e i Dissennatori, grossi e grigiastri, immobili dentro il supermercato, come se stessero aspettando qualcosa.

Albus ebbe i brividi.

Un lampo di luce verde gli passò così vicino che ne sentì la forza scompigliargli i capelli. In quel momento, accaddero molte cose.

Si trovava in volo sopra la piazzetta di Piccadilly, quando si ritrovò l'enorme bocca di un Basilisco di fronte gli occhi. Parve una scena al rallentatore. Le sue pupille si dilatarono così tanto che sembravano due enormi bocche. Piombò giù e poi salì di nuovo, mentre vedeva il Basilisco che aveva tentato di acciuffarlo strisciare intorno alla statua nerastra. Per fortuna, non lo aveva visto negli occhi.

Ma prima che raggiungesse i suoi parenti, Al doveva fare una cosa. Lo desiderava tanto. Fissò il corpo del Basilisco e, alzando la mano monca, gli mostrò il dito medio.

"Pietrifica questo!" E detto ciò, Albus schizzò nel cielo, raggiungendo le tre sfere ormai gigantesche, divorato dall'adrenalina.

"Trattenuto da qualche creatura?" Chiese urlando Ron. Albus annuì.

Fissò la scena che gli si mostrò davanti: Harry, Ron ed Hermione, in sella a delle Nimbus 2000, stavano sostenendo con tutta la loro forza le sfere di fuoco, che aumentavano di dimensioni con il passare dei secondi...

E a poche centinaia di metri da loro, c'erano i Fedeli. Avevano tutti la bacchetta puntata verso il basso. Un centinaio di loro si era accorto delle tre sfere, ma continuava ancora a lanciare Maledizioni Mortali su Londra.

"Albus, ora ti chiederò un favore enorme" Gemette la zia, il viso zuppo.

"Qualunque cosa" Gridò in risposta. Da dove era lui, si vedeva il Westminster Bridge ormai crollato: alla fine del ponte c'erano ancora delle persone, e sembravano così poche...

"Stai bene ad ascoltare, tesoro. Ora noi tre lanceremo le tre sfera ancora più in alto, e la forza che le tiene alla nostre bacchette svanirà. Tu, con tutte le forze che hai in quelle mani, devi cercare di posizionare il sole al centro della città: i Fedeli inizieranno a morire dopo che noi..."

"E voi? Dico... tutte le persone a terra?"

"Non c'è da preoccuparsi di loro" Convenne Ron, impegnato nel tenere a bada la sfera. "Questa è magia che agisce sopra i trecento metri di altitudine. Solamente i Fedeli moriranno"

"Le bacchette non reggeranno tutta questa magia, tu, invece puoi. Ho visto che puoi fare cose strabilianti" Finì di dire Hermione. "Sono sicura che funzionerà"

"Albus" Ora era Harry a parlare. "Londra conta su di te, solamente su di te. Salva la nostra città, la città più bella al mondo"

Albus non parlò. Annuì e levò le mani in aria, più in alto che poté.

"Sono pronto" Disse, chiudendo per un lunghissimo istante gli occhi. In quel mentre i volti di Elly, Connor, Rose e Scorpius gli apparvero in mente. Stava accadendo tutto troppo in fretta.

"Ce la puoi fare" Lo incoraggiò Ron.

Sembrava tutto così assurdo. Tutto un sogno. L'improvviso piano del Golden Trio lo aveva un po' colto alla sprovvista, ma doveva solamente agire, e non pensare. E poi, aveva fatto bene a chiamare loro tre. Solamente loro potevano aiutarlo.

"Bene" Dissero all'unisono i tre. E poi, come se stessero usando un Wingardium Leviosa, levarono le bacchette delicatamente, unendo i tre soli. Albus venne scaraventato a cinquanta metri di distanza, mentre i tre si abbassavano e sfrecciavano verso il suolo: l'unione delle sfere aveva generato qualcosa simile ad una folata di vento potentissima.

Albus ce l'avrebbe fatta? Era in grado di farcela? Londra era nelle sue mani, nel vero senso della parola.

Non pensare, agisci, non pensare, agisci. La fretta è confusionale. Non devo pensare. Devo agire.

Allargò il petto e trasse un profondo sospiro, mentre cominciava a controllare l'enorme sole con le mani. Sentì come se avesse delle pietre alle mani.

"Ora indietreggia di un po'!" Sentì le urla di suo zio. Albus eseguì l'ordine: indietreggiò di qualche centinaio di metro e, mentre le vene sulle braccia pompavano litri e litri di sangue, urlò per lo sforzo. Sembrava una cosa impossibile, qualcosa che non si sarebbe mai aspettato.

Poteva farcela. Poteva e doveva. Come se la cerva d'argento gli fosse entrata di nuovo nel cuore, Albus sentì l'adrenalina invaderlo.

"Bene! Il Trasporto ha funzionato! Ora scendi!"

Albus non esitò. Lasciò la presa sull'enorme sole bollente e scese giù in picchiata, rilasciando come al solito il fumo azzurrino.

"Ottimo lavoro, le nostre bacchette non ce l'avrebbero mai fatta" Sospirò Harry gettando ancora lo sguardo sulla cicatrice a forma di saetta del figlio.

"E ora c'è l'Entrata" Disse Ron, come se stesse annunciando le previsioni meteorologiche. Albus percepì l'iniziale maiuscola ad Entrata.

Cos'era? Aveva sentito di un Trasporto, ed ora l'Entrata...

"Cosa è?" Chiese mentre seguiva Harry, Hermione e Ron esattamente sotto la sfera di fuoco. I Fedeli ora avevano iniziato a produrre più Maledizioni Mortali, e con loro anche le urla di gioia. Urla gioiose di uomini incappucciati. Erano contenti.

"Lo vedrai fra un istante" Gli rispose Hermione. Si trovavano a circa cento metri sotto l'enorme sfera, che avrebbe potuto essere grande cinquanta volte Hogwarts. Albus avvertì il gelo di prima mattina. Rispetto alla puzza e al caldo dell'Underground, il freddo era piacevolissimo, accompagnato stranamente dal calore che emanava il fuoco. Nemmeno credeva di essere sopravvissuto a tutto quello.

"Albus, sai produrre un Deprimo?" Domandò ancora Hermione alzando il capo verso la sfera. Si dovette perfino coprire gli occhi con la mano.

Albus la guardò un attimo confuso. In realtà, tutto era confuso. Ma ora non era affatto il momento di pensare, si ripeteva. Doveva agire e basta, nient'altro. Solamente agire.

"C-certo" Balbettò distrattamente. "Senza bacchetta non l'ho mai evocato, ma credo di sì"

"Bene così, devi produrlo sulla sfera. Dobbiamo. Insieme. Noi quattro. Hai capito?"

Al annuì.

"Questo creerà una forte pressione al centro della massa di fuoco, che comincerà a rilasciare particelle subatomiche così calde che uccideranno qualunque cosa si trovi sopra i trecento metri. In questo caso, i Fedeli" Finì di spiegare la donna. In quel momento, nella loro traiettoria non c'erano lampi di luce verde: il piccolo sole li copriva.

"Quindi la gente a terra non subirà alcun danno?" Chiese posizionandosi accanto al padre.

"No. Potranno un po' sudare, ma niente di che. Ti preoccupano che sudino?" Rise la zia. Albus la adorava.

"Oh, tantissimo" Rispose sarcastico.

"Ora, Hermione" Intervenne Harry levando la bacchetta in aria, proprio come aveva fatto pochi minuti prima, di fronte il supermercato.
Ron ed Hermione lo imitarono, totalmente sudati e sporchi. Albus, invece, non sudava. Una cosa che aveva imparato del volo, era che non si sudava. Ma questo contava ben poco. Levò entrambe le mani e sospirò, pensando a tutto quello che aveva passato quel 13 dicembre. E anche il 12.
Le urla dei suoi parenti furono accompagnate dalle sue. Albus sputò addirittura. Una scia grigio chiaro fuoriuscì da ciascuna mano. I due raggi si andarono a infrangere contro la sfera infuocata e questa prese a rimpicciolirsi, come se fosse una grossa spugna. Rimase con le mani alzate per quelli che avrebbero potuto essere dieci secondi, poi, con l'abilità di un giocatore di Quidditch, volò giù, lontano dalla sfera, e con lui anche Harry, Ron ed Hermione. Piombarono nel cuore di una Londra ormai infuocata e devastata dalla Magia Oscura, è illuminata da un ulteriore sole, mentre i capelli di Albus svolazzavano a destra e sinistra, esattamente come quelli del padre.

"Siamo sotto i cento metri, possiamo anche rallentare!" Gridò Hermione. Sembrava un soldato, proprio come lo era stata di fronte a Draco. E poi, almeno questo è quello che udì Albus, un rumore di una potentissima folata di vento, come se il cielo avesse deciso di scatenarsi su di lui. Poi, proprio alcuni secondi dopo, un rumore di un'esplosione. Albus dovette avanzare ancora di più verso il basso per cercare di girarsi e vedere cosa stesse succedendo: appena tentava di girare la testa, questa veniva spinta in avanti dal vento.

Nessuno dei quattro, parlò. Albus scorse il cielo sfumarsi di un colore aranciato mentre scendeva ancora di più, e poi... e poi sentì caldo. Tanto caldo. Così tanto che cominciò a sudare: quando volava non sudava mai, e questa la diceva tutta.

Finalmente, dopo a quella che a lui risultò un'eternità troppo strana per essere vissuta normalmente, si voltò. Uno spettacolo di distruzione e magia gli si presentò davanti agli occhi.

Dall'enorme sfera di fuoco fuoriusciva un gas trasparente, apparentemente vento, e sembrava che il piccolo sole avesse tanti anelli di gas intorno al suo perimetro, e questi avanzavano, veloci e assassini, come delle Maledizioni Mortali. Oltre agli anelli di gas che si muovevano e si generavano ogni secondo, c'erano anche migliaia di protuberanze, come se all'interno del fuoco vi fosse intrappolato un enorme mostro.

Ron, Hermione ed Harry sterzarono con la scopa e assistettero all'evento insieme ad Albus, a circa venti metri da un palazzo bianco.

Ma quello che meravigliò Albus più di qualunque altra cosa era il fatto che i Fedeli stessero sparendo, come se si stessero Smaterializzando. Ma non si stavano Smaterializzando: il gas che emanava il sole li stava facendo scomparire, o meglio, bruciare all'istante.

Che razza di magia era quella?

I lampi di luce verde cessarono di illuminare la Londra ormai mattutina, e con loro anche i loro generatori: sparivano, bruciati vivi, come piccoli pezzi di carta macchiati d'inchiostro nero.

Il sole continuò a bruciare gli uomini incappucciati per vari secondi. Era tutto così veloce, e confuso, ma tutto così sensazionalmente fantastico.

"Voi siete matti" Rise Albus inghiottendo aria pura, ma un po' calda. Sentì un singhiozzo della zia, mentre cercava di ridere, e con lei anche il marito, che stava cominciando a vantarsi sul fatto che il suo Deprimo fosse il più potente.

Ce l'avevano fatta.

Harry rimase muto come un pesce, guardando gli ultimi servitori di Draco essere disintegrati dal gas caldo.

"Quindi, lo avete inventato voi questo... questo, incantesimo?" Chiese Albus mentre guardava con occhi immobili il piccolo ma potente sole dissolversi e sparire, proprio come i Fedeli.
Era incredibile da credere, ma dopo tutto quello a cui aveva assistito, questo avrebbe potuto classificarsi come un evento "medio".

Più che una risposta, i tre grugnirono. Poi, un gesto inaspettato, almeno secondo Albus: si tennero per mano, sorridendo di fronte a tutto quello che avevano fatto. Avevano salvato Londra. Ovviamente con l'aiuto di Al.

"Non torneremo più ad Hogwarts, ma quello che è certo è che torneremo sempre a far visita ai nostri ricordi. Ricordi di una vita meravigliosa" Borbottò Hermione.

"Una vita esilarante" La corresse Ron, leccandosi le labbra macchiate di sangue.

"La più bella di tutte" Concluse Harry abbassandosi con la scopa.

La mente di Albus si riempì di pensieri, più che altro, di vittorie impossibili. Di tutto quello che aveva passato quel giorno, dall'Isola di Bouvet con Rolf all'Undergound con i Basilischi. Alla momentanea morte del padre, alla morte di Scorpius, e alla quasi-morte di Rose. La morte, improvvisa e definitiva, era con lui come una presenza.

E poi, assurdamente, gli vennero in mente le parole di un amico mancato. Presto o tardi coloro che vincono sono coloro che credono di poterlo fare. Erano le parole di Elliot Flynn, poco prima di decollare verso Parigi. Albus ricordava ancora il suo sorriso sempre stampato in volto, e gli occhi terrorizzati nel vedere la Maledizione Mortale colpirlo in pieno petto. La sua piccola amicizia gli sarebbe mancata più di quanto lui riuscisse a esprimere, ma la perdita di Elliot era quasi niente rispetto a quella di sua sorella e di Scorpius.

Una forte esplosione lo riportò dov'era: disorientato, alzò le mani. Si guardò intorno per l'ennesima volta in quel giorno tempestoso.

Draco Malfoy apparve davanti a lui, il familiare fumo nero a coprirgli la parte inferiore del corpo. Aveva disegnata sul volto un'espressione degna di un Infero, di pazzia, perfino. Grosse vene violacee gli circondavano gli occhi grigi sfumati di rosso.

Cercando aiuto, si voltò verso i suoi parenti: erano tutt'e tre intrappolati dentro un'enorme bolla trasparente, fatta di aria. Harry stava urlando e continuava a dare pugni sulla parete invisibile della bolla, e le vene sul collo, viola e gonfie, minacciavano di esplodere. Ron lo stava imitando, guardando Draco con tutto il disprezzo che aveva dentro. Hermione, invece, era rimasta immobile, pietrificata, gli occhi lucidi.

Possibile che Albus fosse stato distratto dai suoi pensieri e che Draco avesse fatto tutto così in fretta?

"Ti ho Confuso la mente, Albus, nel caso te lo stessi chiedendo. Ti ho fatto pensare a qualche morte, visto per tirarti giù di morale. E nel mentre, di fronte alla tua stupidità, ho rinchiuso queste tre carogne là dentro" Indicò con mano tremante la sfera invisibile.

"Avete ucciso una grande quantità di Fedeli, la più grande che io avessi. Una grande perdita, direi. Avete giocato col fuoco?" Allungò un angolo della bocca e sputò sangue. "E allora giochiamo col fuoco"

Levò la Bacchetta di Sambuco.

Le urla di Ron ed Harry ora erano come soffocate. Le onde sonore non riuscivano ad oltrepassare la bolla.

Albus levò ancora di più le mani, pronto a contrattaccare.

"Conosci il Fuoco Inseguitore, vero, Albus? Hai imparato a scuola cos'è, vero?" Chiese. La sua voce accompagnava perfettamente l'ira e la pazzia che aveva stampato in volto.

Albus frugò nei suoi ricordi. Il Fuoco Inseguitore. Ron aveva fatto una lezione sull'argomento, verso il quarto anno. Ed era un fuoco che...

"Se lo evoco, Albus, questo ti inseguirà e ti ucciderà. E sai cosa c'è di bello? Che scapperai volando. Ma non puoi scappare: il fuoco ti raggiungerà e ti ucciderà" Fece una pausa. Albus era pronto a scagliare la Maledizione Feremort. "Volare scappando da un fuoco blu prima di morire. Buffo, vero? Ma stiamo giocando, no? Direi che possiamo far cominciare la corsa. Ritorniamo ai vecchi tempi, Albus, ma stavolta vecchi tempi che ricorderai nell'aldilà"

"Stai zitto! FEREMORT!" Sentì l'energia prodursi dal cuore, ma dalle mani non uscì niente, nemmeno uno spruzzo di luce. Niente di niente. Cercando di far sembrare il tutto uno stupido errore, riprovò. Anche stavolta, niente.

Cosa mi sta succedendo?

Riprovò un'ultima volta invano, prima di udire l'urlo della morte.

"Albus Severus Potter, Mortem Adflictio!"

Il suo cuore accelerò mentre si voltava e scorgeva con la punta dell'occhio uno spruzzo di luce, che aumentò immediatamente, diventando una fiamma bluastra.

Albus volò, mente il volto di sua sorella gli appariva incomprensibilmente in mente. Corse, più veloce della luce, mentre udiva il fruscio di vento mortale alle sue spalle, velocissimo. Stava scappando da una morte certa, la stessa che aveva subito il nonno di Yvan.

Il fuoco lo avrebbe raggiunto, e stavolta non c'era nessuna soluzione.

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