La storia del lupo




"Cosa... dove sta andando?" Chiese stranamente Al rialzandosi da terra, il volto livido e lo stomaco contorto dal dolore.

Rose si voltò verso di lui, scoccandogli un'occhiata severa e un po' spaventata. Non parlò. Immerse il braccio dalla borsetta di perline e vi frugò dentro per qualche decina di secondi.

"Cosa... cosa mi devi far vedere? C-cosa devo capire? Perché..." Ma si bloccò di scatto. I suoi occhi si dilatarono nel vedere l'oggetto che teneva in mano Rose. Sembrava un piatto di pietra contenente una strana sostanza, né liquida né gassosa.

"Cosa... ma che..."

"Zitto e vieni qui" Ordinò Rose tirando su col naso. Scorpius la fissava con gli occhi ridotti a fessure, ancora rannicchiato a terra.

"ROSE! COSA DEVO VEDERE!?"

"Albus" E dai suoi occhi sgorgarono delle lacrime. "Ti prego, devi vedere. Dopo capirai tutto"

Infilò di nuovo la mano nella borsetta e stavolta vi frugò per un po'. Poi tirò fuori una piccola fialetta di vetro contenente quella che sembrava una piuma argentea.

E ora Albus capì.

"Di chi è? Di chi è il ricordo? Di Connor? Perché..."

Sentì il cuore accelerare. Come aveva fatto Rose a prendere il Pensatoio e a metterlo dentro la borsetta? Lo aveva preso in prestito dall'ufficio della McGonagall o lo aveva rubato? Perché non gli aveva mai detto niente?

Fece scorrere il ricordo dentro il bacile di pietra. La sostanza prese a vorticare velocissima, come un tornado, mandando Al nella confusione più totale.

"Im-immergi la testa, Albus. Non lo ripeterò un'altra volta" Disse asciutta asciugandosi le lacrime la Weasley.

Chiedendosi se valesse la pena di darle retta o meno, avvicinò la testa al bacile di pietra che ora fluttuava a mezz'aria a pochi centimetri da lui. Gli occhi gli bruciarono per un istante, e sentì lo stomaco urlare dal dolore: Connor lo aveva colpito per una ventina di volte sullo stesso punto appena pochi minuti prima.

Con un misto di confusione, rabbia, incredulità e dolore, immerse la testa.

Cadde lungo disteso nella luce del sole, su un suolo tiepido. Quando si mise in piedi, scoprì che si trovava in un parco giochi quasi deserto. Un'enorme ciminiera dominava l'orizzonte. Un bambino si dondolava su un'altalena, gli occhi fissi sul prato. Il suo volto sembrava un arcobaleno: era chiazzato di rosso e la fronte di un giallo chiaro. I suoi occhi blu mare sembravano due lunghi tunnel persi nel vuoto. I suoi capelli neri erano tagliati così male che Albus si chiese se fosse una parrucca o meno, ed era vestito di un giaccone tutto strappato e consunto che copriva metà del jeans che portava. Si avvicinò al bambino, che ora prese a rallentare, facendosi trasportare dal venticello che premeva sulle catene dell'altalena.

"Eyolf! Si è fatto tardi, andiamo. Tra poco ti colpirà!" Una graziosa, zuccherosa voce echeggiò per il parco. Il bambino mosse appena la testa, poi, molto lentamente, scese dall'altalena e trascinò i piedi secchi e storti verso una bellissima signora giovane. Era vestita di un gran cappotto di pelliccia grigia, e teneva in mano una borsa alquanto particolare, incastonata di pietre preziose. I suoi boccoli d'oro le cadevano graziosamente lungo la schiena, e la sua pelle era completamente liscia, a parte qualche graffietto e qualche ustione sul collo e sulle braccia.

"Su, bravo. Andiamo ora" Mormorò la signora avvolgendo con un braccio il ragazzino. Lui era vestito malissimo, mentre lei sembrava una di quelle ragazze babbane che si facevano fotografare per le riviste di moda. Avanzarono verso una stradina colma di automobili babbane, ed Albus li seguì, chiedendosi chi fosse quel ragazzino e quella signora tanto bella.

"Perché non posso prendere la pozione?" Chiese debolmente il bambino. Aveva una voce cavernosa e sembrava che qualcuno gli avesse scorticato le corde vocali.

La signora lo guardò e sospirò, alzando gli occhi al cielo.

"Quante volte te lo devo dire, Eyolf? Non abbiamo i soldi..."

"Ma tu ti compri sempre vestiti costosi e borse di pelle! Perché..."

"Ho detto di no, Eyolf. Non sono cose che ti riguardano, queste qua. Sono affari miei e di tuo padre" Ribatté scoccando al figlio un'occhiata alquanto confusa.

"Oh, certo. Scommetto che questi 'affari' sono più importanti di me" E abbassò lo sguardo. Albus si mise accanto a lui, fissandolo bene. Aveva un'aria trasandata e sembrava essere cresciuto più di quanto avrebbe dovuto.

"Non... non ho detto questo, Eyolf. Ti sto solo dicendo che sono cose che non ti riguardano, e ringrazia Dio che ti abbiamo tenuto! Potevamo mandarti benissimo in quella scuola di streghe..."

"Si chiama Hogwarts, e non è una semplice scuole di streghe e di maghi!" Controbatté il bambino deciso. Ora aveva assunto un'aria offesa. "E perché dovrei ringraziare Dio? Io ci volevo andare lì!"

"Eyolf, già ne abbiamo parlato" Gli rispose mentre si guardava intorno ansante.

"Era la mia opportunità..."

"Non avevamo soldi! E anche se quel Dumbledore aveva detto che c'erano fondi per studenti bisognosi, be'... non ci credo. Aveva detto anche che non sono ammessi bambini con le tue... abilità!"

"Non ha detto così, bugiarda! Lui voleva che io entrassi nella scuola, come Remus, ma tu mi hai trattenuto in questo paesino..."

"Non usare quel tono con me, ingrato!" E gli diede un colpo sulla nuca. "Ecco, vedi? Mi costringi ad alzarti le mani. Tu non vuoi questo, vero?"

"Tu mi hai rovinato l'infanzia!"

La scena si dissolse e in un attimo si riformò. Adesso Al si trovava seduto in tavolo abbastanza grande di legno. Si guardò intorno per alcuni secondi, e riconobbe il volto del bambino del parco giochi. Accanto a lui erano seduti la stessa signora che Al aveva visto pochi secondi prima, e un uomo grassottello, dall'aria assente. Questi era pelato, e indossava solamente una t-shirt biancastra unta di olio e di macchie di sugo. I suoi lineamenti, seppur tondi e unticci di sudore, erano duri.

"Filenide, mi hanno chiamato per un soggiorno gratis a Las Vegas. I posti sono due. Andiamo io e te" La voce pastosa e dura dell'uomo seduto accanto al bambino tuonò nelle orecchie di Al come una mosca gigante.

"Las... Las Vegas, dici? Non possiamo trovare di meglio?" Chiese accigliata.

"Non controbattere. Se andiamo in qualche altro posto dobbiamo pagare" Disse a mo' di spiegazione mentre si infilava in bocca una forchettata di pollo arrosto.

"E cosa cambia?" Il bambino parlò, posando rumorosamente la forchetta sul piatto. "Nei vostri 'affari' le vacanze all'estero non contano? Se hai comprato tutta quella roba a mamma perché non potete permettervi un altro posto che non sia Las Vegas? Che, per carità, fa schifo Las Vegas, sì sì"

L'uomo posò a sua volta la forchetta e gli puntò un dito grassottello contro.

"Non osare a parlare a vanvera dentro questa casa!"

"Non sto parlando a vanvera, papà. Sto solamente dicendo che avete un sacco di soldi, no? E vi lamentate di un soggiorno gratis a Las Vegas?"

"Non importa a te quanti soldi abbiamo, ragazzino. E ora è meglio se fili a letto, se non vuoi trovarti appeso per una caviglia giù nel seminterrato!" Ringhiò l'uomo leccandosi le labbra unte di olio.

"Cosa ve ne fate di vacanze gratis, eh? Con i soldi vi ci pulite il..." Ma cessò di parlare. Albus sgranò gli occhi: il bambino barcollò all'indietro, colpito da un piatto di coccio grande quanto un volante di un automobile babbana. La magliettina fina gli si tagliò in vari punti, e parecchio sangue fuoriuscì dai tagli formati dal coccio. Ma il bambino non pianse né si lamentò: rimase a fissare il padre, sempre se lo si poteva definire così.

"Voi siete falsi"

"Non parlare così! Non ci metto niente a buttarti fuori da questa casa..." Si alzò rumorosamente dalla tavola e si avvicinò al bambino con fare minaccioso.

"No, Mark, ti prego... non lo toccare" Cercò di fermarlo Filenide, rimanendo seduta.

"Sta' zitta, tu". Prese per il collo il ragazzino e lo scaraventò dall'altra parte della stanza. La parete di cartongesso crollò, e un quadro cascò diritto sulla nuca del bambino, il cui sguardo rimase indifferente.

"Ne ho abbastanza di te! Mostro!" Corse di nuovo verso il bambino, lo prese da un braccio e lo trascinò lungo il corridoio, portandolo davanti ad una porta di legno. La aprì.

"NO! MARK! C'È LA LUNA PIENA!" Urlò disperata Filenide, rimanendo sempre seduta. Sembrava aver paura della reazione del marito se lei avesse difeso il figlio. Ma Mark buttò fuori dalla porta Eyolf con un calcio che parve rompergli una costola.

E la scena si riformò. Albus si trovava in una foresta a lui sconosciuta, accanto ad Eyolf, che ora sembrava essere cresciuto di qualche anno. Aveva un'aria trasandata e malridotta, ma i suoi occhi blu mare parvero luccicare anche senza la luce del sole. A pochi metri da lui, c'era una ragazza alta, capelli neri ed occhi a sua volta blu mare. Delle lentiggini gli chiazzavano le guance e il naso, e le sue labbra sembravano due peperoni rossi.

"Quindi tu sei di Hogwarts, Lucinda?" Chiese Eyolf. Sembrava vestito di stracci.

"Sì... sono di Hogwarts. E posso aiutarti. Per quelli come te, be', sai... è difficile vivere in mezzo alle persone. Ma io, a differenza di altri, ho un cuore" La sua voce era graziosa come quella della madre del ragazzo.

"Mi potresti aiutare, veramente?" Sembrava felice, quasi stupefatto.

"Sì che posso. Ma non voglio che tu uccida più nessuno. I tuoi genitori erano cattivi, sì, ma uccidere è una cosa... brutta"

"Ma io non ho controllo..."

"Sì, lo so, Eyolf" Disse addolcita la ragazza camminando tra le foglie secche. Avrebbe dovuto essere autunno. "Ma conosco un incantesimo... potrebbe farti diventare cosciente mentre sei un lupo mannaro"

Eyolf la guardò inebetito.

"Sul serio? Q-quindi potrei controllarmi?"

"Sì, una mezza specie di mezzo lupo mannaro"

"Diventerei un mezzo lupo mannaro?"

"Certo, se l'incantesimo funzionerà bene"

"E se non dovrebbe?"

"Ritenteremo" Sorrise avanzando verso di lui.

"Parlami ancora di Hogwarts" Sussurrò lui, e la ragazza cominciò a parlare delle quattro case, dell'enormi sale e delle lunghissime scalinate.

E la scena ancora una volta svanì...

Albus si trovava in quella che avrebbe potuto essere una catapecchia di legno. L'interno era spoglio e privo di mobili. Eyolf e Lucinda erano cresciuti moltissimo, e sembravano avere una ventina d'anni.

"Dobbiamo scappare, Luce. Voldemort vincerà... dobbiamo... non possiamo..."

"Sì, sì... hai ragione. Andiamocene di qui" E si Smaterializzarono. Albus lo fece con loro: vennero risucchiati dall'oscurità e dopo qualche secondo atterrarono su una superficie rocciosa e calda.

"Dove siamo?" Sospirò Eyolf alzandosi da terra. Lucinda lo imitò.

"Lontano dalla Gran Bretagna. Ora..." Ma si fermò. Le sue labbra vennero inghiottite da quelle di Eyolf. Il bacio durò molto, ed Albus li guardò confusi, preso dalla confusione più totale.

La scena cambiò di nuovo, e stavolta Al si ritrovò in una stanza rettangolare abbastanza grande. Sulle pareti bianche erano attaccati dei bei quadri, raffiguranti donne, cavalieri e paesaggi. Un'ampia finestra emetteva luce su un letto disposto in mezzo a due scrivanie di legno.

"Signora... spinga... ancora... si sforzi..."

E il pianto di un neonato sovrastò quello della madre. Una signora vestita di bianco prese in braccio la creatura e la avvolse in un panno bianco, che si sporcò di sangue. Il neonato sembrava essere più grande di quanto avrebbe dovuto.

"È un maschio! È un maschietto!" Esclamò eccitata la signora, depositando subito il bambino nelle mani della madre, che lo guardò lacrimando. Eyolf era accanto a lei; le teneva la mano e fissava sbalordito il figlio.

"Eyolf... È un m-maschiet-tto" Sussurro lei fissando gli occhi blu mare del neonato.

"Tutti con gli occhi blu! E io ce li ho verdi... bah... non c'entro proprio niente!" Squittì sorridendo la signora vestita di bianco.

Eyolf la guardò per un istante, poi fece cadere gli occhi sul figlio.

"Lo chiameremo Connor, che significa 'amante dei lupi'. Vorrà dire che amerà te" E baciò il marito sulla guancia.

Albus notò che la signora che aveva fatto partorire Lucinda era rimasta indifferente nell'ascoltare "amante dei lupi" e "vorrà dire che amerà te". Forse la signora era la domestica di casa ed era a conoscenza del segreto di Eyolf.

"Che sia Connor. Connor Spartamus, figlio di Eyolf Felan Spartamus e Lucinda Karen" Disse sorridendo l'uomo e sfiorando con le dita la fronte del nuovo arrivato.

E diventò tutto buio. Un'altra stanza riapparve davanti ad Al, e si ritrovò seduto su una sedia. Davanti a lui c'erano Luce ed Eyolf, tutt'e due rossi in volto: sembravano stessero aspettando qualcosa, o qualcuno. Su un lettino accanto ai due c'era un bambino di quelle che avrebbero potuto essere due settimane. Al notò che Connor era cresciuto tantissimo: i muscoli dell'addome erano ben compatti, come quelli delle braccia e delle gambe. Luce stava misurando la stanza a grandi passi, scuotendo la testa. Eyolf era coperto di graffi e la sua pelle sembrava essere quasi morta.

"Signorina Karen? La madre di Connor?" Una profonda voce maschile echeggiò per la stanza. Albus si voltò: da una piccola porta a pochi metri da lui apparve un uomo alto, vestito di un camice biancastro. Teneva in una mano dei fogli raccolti in una cartella azzurrina.

"Il risultato... ehm... è positivo. Mi dispiace ma Connor prenderà le sembianze di un mezzo lupo mannaro a ogni plenilunio" Borbottò cercando di non guardare in faccia i due.

Lucinda prese a piangere, mentre Eyolf si avvicinò al dottore, una maschera di gelo dipinta sul volto grigiastro e coperto di graffi.

"Comunque se prenderà la Pozione Antilupo non si trasformerà, vero?" I capelli neri gli cadevano sulla fronte, coprendogli quasi del tutto gli occhi blu.

"Corretto, signor Spartamus. Inoltre..." Stavolta fissò un punto vicino ad Albus. Luce guardò il dottore del San Mungo con aria sconcertata. "La malattia diventerà ereditaria. Qualunque figlio avrà Connor, sarà..."

"Va bene, basta così" Lo interruppe Luce, le guance solcate dalle lacrime.

"Signorina Karen... Non c'è nulla che possiamo fare. Ormai il neonato è affetto dalla sindrome della licantropia"

Ma prima che i due potessero rispondergli, presero il figlio e uscirono dalla porticina, sconvolti e increduli...

La scena svanì...

Albus si ritrovò comodo su una poltrona morbida e calda. Era inverno: attraverso una finestra lì accanto poté vedere fiocchi di neve adagiarsi sul davanzale.

"Cosa credi che stia facendo? Non posso pagare tutte le spese io! Sai che il mio lavoro non è..."

"LO SO! Credi che non lo sappia?" Le voci di Luce ed Eyolf echeggiarono per quella che poteva essere una piccola cugina. Eyolf era in piedi, completamente chiazzato di sangue. Forse, pensò Al, era appena tornato umano.

"HAI SPESO TUTTI I SOLDI CHE HAI PRESO DAI TUOI GENITORI!" Sbraitò Lucinda sbattendo un piede a terra. Eyolf diventò furibondo.

"COSA?! FORSE VORRAI DIRE 'ABBIAMO SPESO'! SE NON TE NE FOSSI RESA CONTO, HO SPESO I SOLDI PER TE E PER CONNOR, NON PER ME!"

Connor si trovava dall'altra parte della cucina, rannicchiato sotto il tavolo, le braccia a coprire le orecchie. Sembrava spaventato. Albus notò che era cresciuto a dismisura: avrebbe potuto avere cinque anni.

"NON È VERO! TI HO VISTO L'ALTRA SERA, MENTRE TI UBRIACAVI INSIEME A QUELLA FECCIA DI FLETCHER! ORA COMINCI A BERE, EH?"

Eyolf non replicò. Parve dire qualcosa, ma richiuse subito la bocca.

"LA SAI UNA COSA, IO UN MARITO BUGIARDO E UBRIACONE NON LO VOGLIO!"

E la scena cambiò nuovamente...

Connor stava uscendo dalla sua camera, un orsacchiotto in mano e una coppa di carne tritata nell'altra. Avanzò saltellando nel soggiorno, guardandosi allegro intorno.

"Quanto vuoi che duri questa storia? Non puoi andare avanti così" La voce di Luce tuonò nelle orecchie di Albus, che stavolta si tenne a distanza dai due, che erano seduti su un divanetto, come se attendesse che litigassero.

"Lo pago domani, a Craig. Non ripetermelo"

"E intanto ti compri cinquanta bottiglioni di Whisky Incendiario, eh?" Sussurrò cercando di non farsi sentire dal figlio, che li stava guardando incuriosito da dietro il divanetto.

"Lucinda..."

"Stai peggiorando. Hai un figlio da crescere" Disse lei calma. Solamente ora Al notò che l'occhio di lei era contornato da una sfumatura violacea.

"Luce..."

"Ma cosa diavolo ti prende? Mica vorrai prendere esempio da quell'ubriacone Babbano di tuo padre, no?"

"Certo che no" Rispose lui in un sibilo.

"E allora? Cavolo! Non abbiamo la Pozione Antilupo! Fra un'ora diventerà buio e ci sarà il plenilunio! Voi due diventerete... cosa vuoi che facciamo? Sarà la sua prima..."

"Non lo so... veramente..."

Il salotto sparì, e la scena impiegò un po' più di tempo per ridefinirsi: Albus volò tra forme e colori mutevoli finché i dintorni si solidificarono di nuovo, e si ritrovò su una stradina battuta in terra. Si voltò verso destra: quella che avrebbe potuto essere la dimora di Eyolf e Luce si ergeva sopra una collinetta. Ma prima che potesse metterla bene a fuoco, un urlo gli echeggiò nelle sue orecchie.

"Mamma... cosa mi sta succedendo... AAAAAAAHHH"

"Oh, Connor! CONNOR!"

"Mamma mi sta facendo male! Dirgli di smetterla!" Piagnucolò il bambino.

"Non posso... non posso... capisci? È una cosa naturale, io non posso fare nulla... piccolo..."

"Mamma, fa tanto male" Una folta pelliccia grigiastra spuntò dalla sua pelle. I muscoli già grossi si gonfiarono ancora di più, e la schiena gli si allungò di una ventina di centimetri. Gli occhi blu mare si chiazzarono di rosso e dei lunghi, affilati denti sporsero dalle labbra ormai nere di Connor. Il muso gli si allungò, così come le gambe.

"Oh, no, il mio piccolo Connor... il Connor che amo..." Queste furono le sue ultime parole. Connor la assalì e cominciò a sbranarla. Albus cadde in ginocchio, gli occhi lucidi e un senso di terrore che lo stava uccidendo.

Il lupo mannaro dentro Connor stava sbranando viva la madre... lui non sapeva che era la madre... quello era un caso in cui non era cosciente... avrebbe accettato tutto quello dopo esser tornato umano? Era solamente un bambino...

"LUCINDA!" L'urlo di Eyolf dalla casetta sovrastò ogni cosa, dai rumori della carne strappata al vento che premeva sulla collina. Un raggio della luna piena colpì Eyolf e si trasformò, ululando e scuotendo la testa. Avanzò rapido giù in discesa, correndo a quattro zampe. Il figlio stava ancora finendo di sbranare la madre...

"COSA FAI, CONNOR! È TUA MADRE! LASCIALA!" Urlò con una voce alquanto diversa da quella che aveva da umano. Lui era cosciente.

"Cosa? Cosa dici, vieni qui! Vieni a squartare insieme a me...!" La voce del lupo minore era inquietante: debole, stridula, cavernosa, ma da bambino.

Se Albus non lo avesse visto, non ci avrebbe mai creduto. Gli occhi blu mare di Eyolf si riempirono di lacrime, e si dispersero nella peluria grigiastra che svolazzava delicatamente.

Colpì il figlio con un pugno, atterrandolo a terra lontano dal cadavere di Lucina Karen, gli occhi blu mare ancora scintillanti.

"L'HAI UCCISA! TU! NO... NON PUÒ ESSERE VERO..." Albus vide qualcosa che forse non avrebbe mai più visto in vita sua. Eyolf prese il figlio per una mano e cominciò a sbatterlo a terra ripetutamente, squarciandogli gran parte del corpo. Gli schizzi di sangue atterrarono sull'erba umida come pioggia. Il lupo minore sembrava non capire. Sembrava confuso. Lui non sapeva che quella che aveva appena ucciso era sua madre...

"Ma cosa stai facendo? Ho preso una preda!" Urlò Connor. Lui non poteva capire... era incosciente... avrebbe capito solamente quando sarebbe tornato umano...

"QUELLA ERA TUA MADRE! MIA MOGLIE!" Le mani di Eyolf si posarono su quelle del figlio e gliele spezzò completamente. Lo scricchiolio echeggiò come una tortura nelle orecchie di Albus.

Non voleva più vedere... ne aveva abbastanza... non poteva continuare a vedere cose del genere. E, improvvisamente, il suo desiderio venne esaudito. Il prato e la collina con la casetta in cima sparirono dissolvendosi nell'aria, e guardò passargli davanti colori mutevoli e infiniti. Poi apparve il piccolo salotto della casa Spartamus.

"Papà! Ti p-prego, cosa stai facendo? Lo dirò alla mamma!" Gridò il bambino piagnucolando e cercando di scappare, ma Eyolf lo teneva imprigionato sotto le sue gambe sul divano.

"NON C'È LEI! È MORTA! MENTRE ERI UN LUPO MANNARO L'HAI UCCISA!" E lo colpì forte sul volto.

"LASCIAMI STARE!" Connor si dimenò con tutta la sua forza: il padre barcollò all'indietro e sbatté contro una parete. "Spiegami! Non capisco, cosa vorrebbe dire che l'ho uccisa?!" Vedere Connor in quelle condizioni faceva star male Albus... ma non poteva fare niente... erano ricordi.

Eyolf si asciugò del sangue dalla bocca con la manica e scrutò il figlio: gli occhi blu mare parvero scurirsi. Trasse un profondo sospiro.

La scena cambiò, ma si riformò immediatamente.

"... stata la tua prima trasformazione. Non eri cosciente, e l'hai uccisa" Mormorò Eyolf. Al non si sentiva più il corpo. Era terribile...

Se Albus era sconvolto, non era niente in confronto a Connor. Il suo voltò si chiazzò non di rosso, ma di nero. Cadde in ginocchio con un tonfo pesante, e i suoi occhi sgorgarono lacrime che si infransero sul pavimento di legno sottostante. Non parlò. Non si mosse più. Parve non respirare. Improvvisamente accadde qualcosa di davvero strano: i suoi occhi blu mare si colorarono di rosso sangue, come se qualcuno vi avesse sparpagliato sopra della porpora. Al poté udire il battito del cuore di Connor battere all'impazzata...

E la scena cambiò di nuovo...

Albus era in una cameretta abbastanza piccola, le pareti ricoperte dalla muffa e gli armadietti consunti e graffiati. In un angolo della camera c'era Connor seduto su una scrivania. Era cresciuto: avrebbe dovuto avere dieci o undici anni. Il suo corpo, seppur muscoloso e imponente, era coperto come al solito di graffi e cicatrici. Aveva un busto più grande di quanto avrebbe dovuto essere.

Albus si avvicinò meglio al ragazzo: stava finendo di scrivere qualcosa su un foglio bianco.

Sono passati ormai sei anni dalla mia entrata all'inferno: sono rinchiuso qui, in una casa di campagna. Non posso uscire, non posso passeggiare, non posso frequentare delle persone, non posso avere amici, non posso andare a scuola, non posso respirare aria pura, non posso conoscere bambini come me, non posso giocare. Mio padre è una bestia. Non mi fa fare nessuna di queste cose. Quanto vorrei avere degli amici. Posso solamente uscire quando mi trasformo. Vorrei conoscere nuovi bambini e giocarci insieme, come fanno tutti, no? Credo che là fuori la gente si diverta. Credo che tutti abbiano una vera famiglia e credo che di lupi mannari ce ne siano pochi in giro. Io sono uno di quelli. Ho solamente undici anni. Non ho ricordi della mia infanzia. Non ho foto. Non ho fatto nulla. Non sono mai uscito dopo la morte di mia madre oltre la foresta qui accanto. Mio padre me lo proibisce, per quello che sono. Ma anche lui è come me, ma lui esce sempre e torna tardi la sera. Se non vince a poker si sfoga su di me, e io non posso reagire, anche se sarei in grado di farlo. Una volta l'ho scaraventato dall'altra parte della casa. Ma è colpa sua se mamma è morta. Lui ha speso i soldi della Pozione Antilupo per l'alcol. Non doveva comprarsi da bere. Se avessi preso la Pozione Antilupo io non mi sarei trasformato. Ora non me la vuole comprare più. Dice che mi devo trasformare e soffrire. Non conosco il mondo là fuori, dalla mia camera si vede solamente erba. Cosa c'è dietro l'erba? Ricordo a malapena quando uscivo con mia madre e mio padre prima che lei morisse. Spero di uscire un giorni di qui. Ora mio padre è di là, come al solito con la sua bottiglia magica. Dice che esiste la magia. È possibile? Davvero esiste la magia? Mamma non me ne ha mai parlato. Quella che ho io non è una magia, è una malattia. Vorrei conoscere la magia. Deve essere bella, vero? Ma forse mio padre mi prendeva in giro, visto che è sempre ubriaco. La porta della mia camera è praticamente sfasciata. Mio padre ci lancia sempre la sua ascia quando è il momento di trasformarsi. Quando lo fa, io esco, mi trasformo e vado nella foresta, e a volte viene anche lui, ma poi mi lascia solo. A volte sono cosciente, altre volte no. Sto cercando di controllare la trasformazione: quest'anno mi sta facendo meno male. Ieri ho imparato a disegnare. Ho disegnato una bella casa con tre persone. Un papà, una mamma e un figlio. Poi l'ho tutto colorato. Ora è appeso sopra di me. È bellissimo. Mi piace molto. Oh, ho appena sentito mio padre urlare. Lo fa spesso, sai? Urla e spacca le bottiglie di Uischi Incendio a terra. A volte è così violento. Non volevo vivere così, veramente. L'unica cosa che sono riuscito a fare in questi sei anni, oltre a trasformarmi, è stato scrivere. Scrivo bene, vero? Ho qui un libro di grammatica, l'ho trovato nella camera di mio padre. Ho scritto anche una piccola storia di tre amici del cuore che scoprono alla fine di essere fratelli. Bene. Credo di aver scritto abbastanza. Ora chiudo questo foglio e lo lascio qui. Forse qualcuno lo leggerà, no? Be', ciao.

Albus finì di leggere con le lacrime agli occhi. Sentiva la gola bruciare e pulsare come il cuore. Voleva urlare, spaccare tutto. Non poteva credere che quelle parole fossero state scritte dal suo rivale. Non poteva credere che Connor avesse passato certe cose...

La scena cambiò per l'ennesima volta.

"... e tu ci vuoi andare?"

"Sì, papà" Rispose Connor strappandogli dalle mani una lettera giallastra.

"Non ho soldi" Disse con un'aria decisamente confusa il padre.

"Non ti preoccupare! Vedi, qui c'è scritto che hanno un piccolo fondo..."

"Sei un lupo mannaro, però" Rispose gelido Eyolf. Albus voleva tirargli qualcosa contro. Non era stato proprio lui a dire alla madre, Filenide, che i lupi mannari potevano essere ammessi ad Hogwarts?

"Be', io ci voglio andare. Mi posso fare degli amici, no?"

"Tu non puoi avere amici. Tu mi hai rovinato la vita. Hai ucciso la donna che amavo. L'unica che mi è stata accanto. L'unica che mi ha sollevato dal bagno di solitudine..."

"Papà! Non cominciare! Sai benissimo che è stata colpa tua..."

Eyolf alzò la mano e la fece cadere in un pugno sul capo del bambino, che rimase in silenzio. Albus si meravigliò di quanto fosse forte dentro Connor. Pensò anche che Eyolf si stesse comportando esattamente come suo padre morto, Mark.

"Sta' zitto. Senti, se lì accettano tipi come te allora è OK" Albus capì che stava mentendo: sapeva benissimo che ad Hogwarts potevano essere ammessi lupi mannari.

"Davvero?" Connor allungò le labbra in un sorriso più che poté.

"Sì. Useremo la macchina per andare a King's Cross, e non farti più vedere fino a quel giorno!" Ringhiò prima che si dissolvesse nell'aria come fumo. La scena cambiò ed ora Albus si trovava nel dormitorio di Serpeverde, a scuola. Connor sembrava essere cresciuto un sacco, e i suoi occhi blu mare sembravano diventati profondi e scuri come quelli del padre. Accanto a lui c'era un ragazzino pallido, alto, secco e dei capelli neri perfettamente pettinati all'indietro.

"Ciao, sono Luxurum, Luxurum Bigassy!" Il ragazzo dal volto pallido strinse calorosamente la mano di Connor, che rimase per un attimo stupefatto.

"Piacere, io sono Connor Spartamus"

"Sei felice? Insomma... Serpeverde è un gran casa"

"Oh sì, lo è" Rispose distrattamente Connor. Albus capì che stava mentendo: Spartamus non sapeva niente sulle casate di Hogwarts, né della loro storia né dei maghi famosi che ne avevano fatto parte.

"Penso che sia la migliore. Mio padre è stato Serpeverde, ed ora è un Auror!" Esclamò eccitato Bigassy.

"Un... che?" Chiese confuso Connor. Era ovvio che non sapeva nulla del mondo della magia.

"Un Auror! I membri del Ministero della Magia che combattono le Arti Oscure!"

"Esiste un Ministero della Magia, sul serio?" Chiese di nuovo sconcertato.

"Oh, amico, si vede proprio che sei un Babbano. Be', allora..."

E il dormitorio sparì. La scena si riformò all'istante in un corridoio poco illuminato che Al non riconobbe. Si trovava accanto ai due stessi ragazzi della scena precedente. Luxurum sembrava spaventato, quasi terrorizzato. Il suo volto non era pallido, bensì sfumato di rosso.

"... Connor, non posso... la sorveglianza è ottima qui..."

"Te lo chiedo per favore, Lux"

"Ma perché non ci vai tu? Sono affari che riguardano te e la tua malattia!"

"Non so come funziona qui..."

"E cosa c'entra? Devi solamente andare nell'aula di Pozioni e prendere le scorte! Non se ne accorgerà mai nessuno..."

"Lux. Fallo per me"

"No! Vacci tu!" Ringhiò Bigassy guardandosi intorno ansante. Ma quando si voltò, Connor lo stava sollevando da terra. La sua mano era ben stretta intorno al suo collo.

"Ho bisogno del tuo aiuto, amico" Disse guardando gli occhi marroni del ragazzo che teneva in aria.

"No! Per me è troppo pericoloso"

E Connor fece quello che forse aveva visto fare di più dal padre per circa cinque anni. Diede un ceffone a Luxurum, un po' confuso e un po' spaventato. Non era sicuro di quello che stava facendo.

"Vedi? È una cosa di famiglia... mio padre mi ha solamente alzato le mani, nient'altro, non una carezza, dopo quella notte. Non mi ha mai dato un cinque o fatto un occhiolino. È sempre stato cattivo con me, ed è come se... se... ora io riuscissi a sfogarmi"

"Connor! Mettimi giù! Lo dirò al professor Lumacorno!"

"Credevo che gli amici aiutassero i bisognosi"

"Ma... Connor! Ci devi andare tu! Non posso andare a rubare per le aule!"

E Connor gli diede un altro ceffone. Chiuse gli occhi per un attimo, trasse un profondo sospiro e poi li riaprì.

Il corridoio si dissolse e se ne riformò un altro, stavolta illuminato dalla luce del giorno. Connor era accerchiato da una decina di alunni.

"Ehi, Spartamus, cosa fai? Hai paura?"

Connor non rispose. Rimase in silenzio.

"Spartamus, non scappi? Oh, è vero. Hai paura di cascare e di farti male..."

"Dai, ragazzi, lasciatelo in pace" La voce proveniva da qualche metro dai ragazzi. Era Lux.

"Cosa c'è, Bigassy? Hai paura di Spartamus?" Chiese un ragazzo dal petto largo, i capelli spazzolati da un lato e folte sopracciglia nere, con una voce di colpo più profonda. "Non ti farebbe mai niente. È un tutto muscoli, un senza cervello, e un senza niente"

Albus riconobbe subito il ragazzo come Ashley Mason. Luxurum guardò lui e Connor, ansante.

"Dai, Ash, lascia stare Bigassy, è questa feccia che a noi importa" Un ragazzino indicò col mento Connor.

"Sì. Bene, Spartamus. Cos'è che cerchi girovagando per il castello la notte? Qualcuno ci ha detto che devi prendere delle... pozioni"

"Non è vero" Ribatté immediatamente Connor, il viso rosso e le vene sulle mani pulsanti.

"Non mentire. Cosa cerchi? Una pozione per non fare la cacca mentre sei a lezione?" Un boato di risate si levò dalla decina di studenti attorno a lui.

"Dai, Ash, andiamocene" Insisté nervoso Luxurum.

"Aspetta, Bigassy" Disse penetrando negli occhi Connor, che era più alto di lui. "Qui dobbiamo sistemare una faccenda, vero, Spartamus? Noi non vogliamo che vengano tolti punti alla nostra casa solo perché un povero non ha i soldi per comprare delle pozio..." Si bloccò. Connor lo aveva afferrato per la testa e lo stava facendo girare come una trottola, colpendo gli altri ragazzi. Lo atterrò a terra e gli sferrò calci e pugni, immerso da un profondo odio. Una volta assicurato che Ashley fosse svenuto, avanzò verso un altro ragazzo, basso e grassottello. A lui bastò dargli un calcio nello stomaco, mentre a un altro diede gomitate e ginocchiate violente su tutto il corpo.

"Cavolo! Ash, andiamocene! Corri!" Gridò Arsenio Harvey, un ragazzino con la faccia tonda, dall'altra parte del corridoio, un po' spaventato. Ma Connor corse da lui e lo sollevò tirandogli le mutande, prima di scaraventarlo addosso a un'armatura di ferro.

"Che brutte che sono le persone. Mi aspettavo il meglio. Ma mi sbagliavo..." Sussurrò Connor.

Il corridoio e i ragazzi sparirono, ed Al venne catapultato in un mare di colori. Dopo quelli che avrebbero potuto essere dieci secondi, la Sala Grande si Materializzò davanti i suoi occhi. Era seduto nel tavolo verde-argento accanto a Connor, che aveva di fronte Luxurum, un occhio contornato di una sfumatura violacea. Lo sbattere delle posate dei piatti echeggiò rumorosamente per la sala.

"Sai... il ragazzo che hai cercato di salutare l'altro giorno... Albus Potter. Be'... ha una specie di... mappa, in cui si possono vedere tutti i movimenti delle persone qui nel castello" Sussurrò così piano che Albus dovette avvicinarsi. Si ricordava benissimo il giorno in questione: Connor e Luxurum avevano bloccato il passaggio a lui e a Scorpius, nel primo anno.

"Una mappa del castello?" Ripeté freddo. Albus notò che non era più felice e gioioso di essere nel castello. I suoi occhi erano diventati più profondi, ma il blu rispecchiava il luccichio delle candele sospese a mezz'aria come uno specchio.

"Esatto. E lui può vedere quello che fa la Preside, quello che fanno i Tassorosso, quello che fanno i Corvonero... insomma, tutto!"

"E quindi?" Disse ancora Connor guardando l'Albus-ricordo dall'altra parte del tavolo. I suoi occhi indugiarono poi per un po' su Rose.

"E quindi? Non ci arrivi...?"

"Non usare quel tono con me, o ti faccio viola anche l'occhio sano" Ringhiò in un sussurro. Albus capì: il suo comportamento era totalmente cambiato dopo aver conosciuto gente che forse avrebbe creduto migliore. Connor si stava trasformando nel Connor che aveva conosciuto Al: gelido, oscuro, sinistro, arrogante, riservato. Quei ragazzi Serpeverde e il rifiuto d'aiuto di Luxurum lo stavano cambiando dentro... Voleva avere degli amici e tutto quello che aveva ricevuto non erano altro che delusioni.

"Va bene, scusa" Aggiunse frettolosamente. "Se può vedere tutto, può venire a conoscenza dei tuoi furti nell'aula di Pozioni!"

"Non sospetterà mai che sono un lupo mannaro"

"Sì, lo so. Ma conosci i Potter, tu? Be'... no... certo che no. Va be'. I Potter sono curiosi"

"Curiosi?" Ripeté Connor scansando il piatto colmo di bistecche al sangue.

"Sì. E ti ho detto tutto. Tu non vuoi che lui venga a sapere della tua malattia, vero?"

Connor annuì gelido. "E tu come fai a sapere che ha questa mappa?" Chiese distogliendo lo sguardo dal tavolo Grifondoro e puntandolo sugli occhi marroni del ragazzo pallido.

"Li ho sentiti parlare. Quel Malfoy - che è anche capitato in Grifondoro, mah - stava parlando riguardo la mappa con Al mentre eravamo a lezione di Difesa contro le Arti Oscure stamattina! Si sono messi poi a confabulare su..."

"Ho capito" Lo interruppe con un mormorio. Spostò gli occhi a destra e a sinistra, assicurandosi che nessuno li stesse ascoltando. "Quindi credi sia prudente attaccarlo e sottrargli la mappa?"

"Io... be'... non ho detto questo ma... sì, potrebbe andare"

"Bene. Conosco il modo giusto per attaccare una persona. Domani c'è la luna piena. Provvederò"

"Ma... Connor. Non puoi trasformarti nel castello! Devi andare nella foresta!"

"Non ti preoccupare" Sorrise.

La scena cambiò. Albus si chiese quante volte avrebbe dovuto vedere una scena cambiare.

Si ritrovò praticamente appiccicato a Connor e ad un altro ragazzo. Si trovava in una piccola e umida stanza colma di scope da volo e scatoloni chiusi.

"Potresti farlo? Potresti Confondere Harry Potter e farlo venire col figlio nella Foresta Proibita?" Chiese lui. Il ragazzo che aveva di fronte era più alto di Connor e aveva inciso sul mantello il simbolo di Serpeverde.

"Sì... Ma mi vuoi spiegare il perché?" La sua voce parve stridula.

"No. Non fare domande, intesi? O ti ritroverai un occhio nero come i tuoi stupidi amici!"

Albus non fece in tempo a meravigliarsi che venne inghiottito nuovamente da altri colori, e stavolta passarono molti secondi. Suppose che stesse viaggiando per mesi, forse per anni. Per un attimo gli parve di vedere l'inseguimento sul ponte con Connor al primo anno, ma i colori si fecero più intensi e si ritrovò seduto sotto un albero, precisamente nel parco accanto al lago nero. Connor era disteso sull'erba con Rose.

"...non ho mai amato. Non ho mai voluto bene. Non ho mai avuto un vero amico. Sono stato un ragazzo così solo..."

Rose aveva le lacrime agli occhi. Lui era cresciuto notevolmente rispetto alla scena precedente: era il quarto anno.

"A volte mi pento di quello che ho fatto. Non dovevo attaccare tuo cugino sul ponte quando mi ha visto rubare le pozioni. Se solo potessi tornare indietro..."

"Non è c-colpa tua, Connor" Gemette Rose. "Sono stati gli altri a cambiarti. Tu non hai colpe. La tua malattia ti è stata trasmessa perché tuo padre ce l'aveva. Il tuo comportamento sia triste e sia sognante dell'infanzia si è trasformato in gelido e arrogante perché la gente ti ha trattato male. Ma tu non hai colpe..."

"Però ho ucciso l'unica persona che mi è stata vicina qui a Hogwarts..." Connor portava una camicia bianca sbottonata e il suo petto era coperto di graffi.

"Luxurum è morto per un tragico incidente, Connor. Quella notte non eri cosciente"

"Ma io l'ho ucciso! L'ho ucciso come ho fatto con mia madre!"

"Non è stata colpa tua se tua madre è morta. Tuo padre doveva prenderti la Pozione Antilupo. Non eri cosciente..."

"Sì, lo so. Ma fisicamente sono stato io! Non puoi capire..."

"Ti capisco, Connor" Sussurrò la Weasley asciugandosi le lacrime. Sembrava sconcertata, ma sembrava anche che stesse cercando di sollevare l'umore del Serpeverde.

"Io non volevo... Ho perso una madre... Ho perso un amico... Ho perso la compagnia... Ho perso la mia infanzia, e forse sto per perdere la mia adolescenza. L'unica cosa bella che mi è capitata è stata la Corsa dello Zoppo"

"Non dire così! La vita è un dono bellissimo, non bisogna arrendersi così giovani. Sei solo un ragazzo, Connor, hai tutta la vita davanti"

"Io non volevo... mi manca mia madre... è l'unica persona a cui ho dimostrato di poter essere felice"

Rose rimase in silenzio, gli occhi sommersi dalle lacrime. Le sue guance erano più rosse del solito.

"Sono così fragile di cuore..."

"Ma non lo dimostri" Disse assumendo un tono serio Rose. "Dimostri l'esatto contrario"

"Lo so... Una parte di me mi spinge a stringere amicizie, mentre un'altra parte di me - che odio - mi spinge via, lontano da tutto e da tutti"

"Vorresti fare amicizia con della gente?" Chiese balbettando la Weasley. Il vento intorno ai due cominciò ad aumentare mentre il sole si nascondeva dietro un nuvolone nero.

Connor guardò la ragazza davanti a lui per un secondo, poi i suoi occhi si colmarono di lacrime.

"Lo vorrei tanto" Confessò. "Ma... è difficile da spiegare. Insomma... è come se il mio cuore si fosse gelato... come se non fosse più capace di voler bene"

"Allora scioglilo, il cuore"

"Ormai sono abituato a vivere dentro il mostro che sono diventato"

"Puoi cambiare"

"Non ci riuscirò mai. Le notti... io le trascorro insonne. Quest'estate, verso luglio, mio padre si è trasformato in casa ubriaco e mi ha quasi ucciso. Piango sotto il cuscino e... penso a quello che ho fatto nella mia vita: uccidere due persone, oziare dentro una cameretta, e dar fastidio alla gente. Ma io... non voglio questo"

"E cosa vuoi?" Chiese borbottando Rose. Le lacrime ormai le bagnavano il collo.

"Te" Avvicinò il suo viso a quello della Weasley prima di sfiorarle le labbra con la mano. Sembrava che il vento lo spingesse: unì le sue labbra rosse ricoperte da piccoli graffi con quelle di Rose, e tutto svanì.

Albus era seduto su una sedia. Di fronte a lui c'erano sempre loro due.

"... grazie di aver salvato Scorpius. Ti devo tutto"

Connor non rispose.

"Ti ho sentito prima, mentre parlavi con Al. Gli hai detto che questo non cambia le cose fra voi due e che l'hai fatto solo per me" Proseguì Rose. Era distesa su un piccolo materasso con il ragazzo. Intorno a loro padroneggiavano migliaia di oggetti. Albus riconobbe all'istante la Stanza delle Necessità. Avrebbe dovuto essere notte fonda.

"Gli ho detto quello che pensavo veramente. È così. Non posso farci niente se..."

"Che ne pensi di lui?" Chiese debolmente la Weasley accarezzandogli il petto nudo.

"A volte lo vorrei uccidere. Ma provo questo desiderio solamente perché sono io. Se avessi passato un'infanzia serena forse avrei voluto bene e avrei avuto più amici"

"Ti dispiace aver attaccato Albus quella notte sul ponte...?" Sembrava una professoressa mentre interroga un alunno.

"Un po'..." Albus quasi non ci credé. Non se lo sarebbe mai aspettato. "Ma non potrò mai essere un suo amico. Non sono capace di esserlo"

"Però nel frattempo sei capace di essere un ragazzo fantastico!"

Connor la guardò intensamente, poi prese a guardare la sua mano che gli stava accarezzando il petto nudo.

"Tu sei l'unica cosa bella che mi sia capitata nella vita. Lo giuro"

Ad Albus parve di osservare i due ragazzi dall'estremità di un lungo tunnel: erano lontanissimi e le loro voci echeggiavano in modo bizzarro nelle sue orecchie.

"Ti voglio bene" Sussurrò Connor. Rose chiuse gli occhi e sospirò, come se quelle parole dovessero entrargli nel cuore, sommergendola in un vortice bellissimo.

Scomparvero per un attimo, lasciando da solo Albus. Ma dopo qualche secondo riapparvero. Erano cresciuti d'un paio d'anni: avrebbe dovuto essere l'inizio del settimo anno. Si trovavano sempre sul materasso ai piedi della montagna d'oggetti, nella Stanza delle Necessità.

"Cosa ti prende? Potevi fargli male!" Esclamò con un cipiglio severo Rose. Connor rispose infantilmente. "Ha incominciato lui! 'Non aspetti la luna piena per attaccare i nemici? In fondo è così che funziona tra voi bestie, no?'. Ma lo hai sentito? Come osa rivolgermi..."

"Connor! Oggi lui si è comportato in un modo strano sul treno, lo so. Ma ti prego, ora, qualunque cosa faccia, non fargli del male. È mio cugino! È una delle persone che amo di più! E ora che i Fedeli hanno attaccato casa sua mi sembra molto teso. Per favore, Connor"

"Se mi stuzzicherà, non vedo perché non dovrei reagire" Disse gelido. Fissò intensamente una scatola davanti a lui, poi prese a piangere. I suoi occhi blu mare si innacquarono e le sue guance si bagnarono così tanto che sembrava che qualcuno gli stesse spruzzando dell'acqua addosso.

"Ieri notte mio padre mi ha detto che posso anche non tornare più in quella casa. Ha detto che gli ho rovinato la vita. Lo ripete da anni. Da quella notte in cui ho ucciso mia madre. Erano così felici quando ero nato... me l'aveva detto mia madre. Ma dopo quella notte tutto è cambiato..."

"Non voglio ascoltare di nuovo questa storia, amore. Ogni volta che me la dici mi distruggi" Borbottò lei afferrando con la lingua una lacrima sul labbro inferiore.

"Ho bisogno di sfogarmi... Rose... solamente tu sai che sono un ragazzo solo..."

"Ti prego, Connor, no..."

"Non posso vivere così. Mi sento solo..."

"Hai me!" Esclamò in un sussurro Rose, gli occhi che straripavano lacrime come un fiume in piena.

"Sono solo. Non ho niente" Proseguì il Serpeverde. "Sono talmente solo che a volte mi chiedo come faccio a rimanere in piedi. La solitudine è la cosa più brutta che esiste su questo pianeta. È come partecipare ad una super festa e tu ti sei costretto a rimanere chiuso in bagno. La solitudine è una malattia... è una brutta bestia... non è così?"

Rose ormai stava facendo cadere le lacrime sul materasso. Albus non poteva vederla così...

"Hai me, non ti p-preoccupare. Hai me. Ti ricordi, al quarto anno? Eh? Ti dissi che qualunque cosa sarebbe accaduta, io sarei stata al tuo fianco, sempre"

"Sì. Sei stata l'unica in tutti questi anni..."

Sparì tutto. Albus assisté ai tre giorni che seguirono allo scontro in biblioteca: Connor camminava per la foresta, solo e ferito. In mano teneva l'antidoto, mentre in un'altra teneva una mela. Il suo corpo era pieno di lividi e di squarci profondi: erano le ferite che gli aveva procurato Albus con la Maledizione Feremort... E improvvisamente si ritrovò nel bel mezzo della battaglia contro i Fedeli ad Hogwarts. Centinaia di lampi di luce verde sgorgavano dalle bacchette degli incappucciati come dell'acqua. Albus vide Connor girare su se stesso per Smaterializzarsi; qualcosa dentro di lui lo spinse ad afferrare la mano del Serpeverde.

"No, Rose... piccola... ti ho lasciata sola..." Sussurrò appena Materializzatosi in un bosco ai piedi di una montagna. Era madido di sudore ed Al poté udire il battito del suo cuore galoppare come un cavallo. Le lacrime gli stavano invadendo il viso coperto dai graffi. "Non dovevo... no... Rose... dove sei... non posso rimanere solo un'altra volta... non posso rimanere solo per sempre!"

Gli parve di venire risucchiato da un enorme vortice d'aria. Albus volò all'indietro per alcuni istanti, poi uscì dal Pensatoio. Cadde a terra sull'asfalto umido e duro, e per la prima volta in vita sua desiderò di abbracciare Connor Spartamus, il ragazzo più forte che avesse mai conosciuto.

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