La Copia Omogenea

"Stupeficium!"

Il getto di luce rossa di Rose mancò per poco Rolf, che si buttò a terra e replicò all'istante. "Sectumsempra!"

"Protego Maxima!" Urlò Albus con le lacrime agli occhi: quello era l'incantesimo che gli aveva impedito di salvare Lily.

"Expelliarmus! Possumy! Crucio! Locomotor Mortis!" Urlò furioso Rolf sparando dappertutto gli incantesimi. Grosse buche si formarono sotto i piedi dei tre e il vento parve aumentare notevolmente.

"Feremort!" Lo scudo si spezzò ed Al lanciò la maledizione. Rose rimase per un attimo pietrificata, poi scosse la testa mentre Rolf deviava la Feremort.

E poi, in un secondo, accadde proprio quello che mai sarebbe dovuto accadere.

"Expelliarmus!" Urlò Rolf. La bacchetta scivolò dalle mani di Al attratta da una forza invisibile e fece un salto di tre metri. Volò attraverso la neve e finì nelle mani di Rolf, che sorrise senza allegria.

Non poteva permetterglielo... Ora la sua bacchetta era di Rolf... Dentro c'era la Pietra...

"Eh no. EXPELLIARMUS!" La bacchetta ritornò nelle mani di Al, che la prese come prendeva un Boccino d'Oro, e pure quella di Rolf, che ora era Disarmato e indifeso.

L'uomo si accasciò di colpo a terra, scosso da brividi. Poi prese a borbottare strane frasi in una lingua che Al non riconobbe. Rose gli puntò la bacchetta contro ansimando ad assumendo un'espressione di disgusto. Al e Malfoy respiravano profondamente e realizzarono solamente ora di aver appena abbattuto il marito di Luna Lovegood. E poi...

La pelle dell'uomo si colorò di un grigio spettrale, quasi bianco. Tremò violentemente per quelli che avrebbero potuto essere dieci secondi. I bei capelli neri si ritirarono nella cute, e diventarono grigi. All'improvviso, con un rumoroso crac, il viso mutò: si formarono un grande naso a punta e delle guance scheletriche, ricoperte da cicatrici. I suoi denti diventarono lunghi affilati come quelli di un Doxy. Nella parte inferiori del corpo sparirono le gambe, e si formò una grossa, liscia coda di serpente grigiastra: il corpo era sorretto solamente dalla grossa coda squamosa.

Albus lo guardò incredulo, cercando di non toccare la coda serpentesca che si stava dimenando. Che razza di creatura era quella? Assomigliava tanto a Medusa, un mostro che gli antichi maghi greci avevano temuto più di ogni altra cosa.

L'improvvisa verità lo attaccò ferocemente: quello non era il vero Rolf Scamandro, ma, suppose, un Metamorfomagus.

Urla e squittii echeggiarono nelle sue orecchie: la creatura che giaceva a terra si stava rialzando, e sputava del liquido biancastro e appiccicoso dalla bocca.

Rose e Malfoy indietreggiarono alzando lo sguardo sull'enorme petto del mostro. Aveva degli occhi iniettati di sangue, e il suo corpo, seppur enorme, era scheletrico.

"MA CHE COSA SEI?!" Ringhiò Malfoy levando la bacchetta di frassino e crine di Unicorno.

Indietreggiarono ancora di più, il cuore che batteva a mille. La testa di Al raggiunse l'apice del dolore e per un momento credé di vedere nella mente del ladro, ma se lo era solamente inventato.

La creatura strisciò verso i tre, il corpo scheletrico diritto e una risata malvagia che usciva dalla sua bocca.

"Credevate davvero di ingannare il nostro Signore? Credevate davvero che tre ragazzini come voi potessero uccidere la Copia Omogenea? Pff, sciocchi bambini!"

"Chi sei?!" Le parole gli uscirono prima che potesse rendersene conto.

"Vuoi sapere chi sono, eh? Sono Akator. Il servo più fedele al nostro Signore" Disse mentre strisciava lentamente verso i tre, che continuavano a indietreggiare. Ma poi Albus si bloccò di scatto, fissando bene il volto del mostro. Solamente ora si accorse chi era davvero...

"Ma tu sei Weddy Monsie... Ti hanno mandato ad Azkaban tre anni fa... Tu sei quello che ha aiutato il ladro ad entrare nella Corsa dello Zoppo!"

Akator scosse il capo, sorridendo. "Weddy Monsie non esiste più, ora c'è solamente Akator"

Albus era incredulo. Non poteva crederci. Weddy Monsie si era trasformato in una mostruosa creatura rettiliana ed era diventato il servo più fedele al ladro. Per colpa sua Elliot fu ucciso alla Corsa dello Zoppo. Con un misto di terrore e coraggio, disse ancora. "Pozione Polisucco?"

"Perspicace Potter, perspicace" E sputò ancora un po' di veleno, mentre continuava a strisciare minaccioso verso i tre.

"Come hai fatto a prendergli i capelli?!" Chiese ancora sperando di non infastidire troppo la creatura: avrebbe potuto essere alta due volte Hagrid.

"Quando è venuto ad Hogwarts l'ho Schiantato e gli ho preso i capelli, ma cosa importa, Potter? Ti consegnerò al nostro Signore, e non avrai scampo. Estrarrà la Pietra della Resurrezione dalla tua bacchetta e poi ti ucciderà"

"MAI! CRUCIO!" Urlò Scorpius rosso in volto: aveva la vena sul collo gonfia come un palloncino.

Akator non si mosse né mostrò segni di debolezza: fu come se la Maledizione Cruciatus non lo avesse colpito. Sorrise per un istante, poi prese a parlare. "Tu dovresti essere un Malfoy, o mi sbaglio? Quella roba non funziona su di me, ragazzino!" Ringhiò mostrando i denti affilati. Le sue corde vocali sembravano essere scorticate.

"Come hai fatto a trovarci?!" Chiese ancora Albus indietreggiando sul ghiaccio: rischiò di scivolare un paio di volte.

"Il nostro Signore sa già da un pezzo che state trovando la sua Copia Omogenea. Credevate davvero che non lo sapesse?! Lui ha sempre saputo i vostri movimenti"

"C-come... c-come ha fatto a saperlo?" Domandò con un fil di voce Al.

"Oh, lo scoprirai presto, Potter, molto presto" E sputò fiotti di veleno. Uno schizzo colpì la punta della scarpa nerastra di Al, che prese subito fuoco. Affondò il piede nel ghiaccio e il fuoco sparì. Ora Akator aveva un'espressione più malvagia che mai, e i suoi occhi rossi parvero lanciare maledizioni su quelli di Al, che sentiva un tremito preoccupante nel petto, come se il suo cuore volesse fuggire, uscirgli dal corpo.

"Sei tu che hai generato quel vortice, non è così? Ma perché portarci qui!?"

Akator arricciò ancora di più le labbra e ridusse gli occhi a due piccole fessure. Poi puntò gli occhi oltre le spalle di Al, facendo su e giù con la testa. Albus si chiese cosa stesse guardando, ma se si fosse girato forse il mostro lo avrebbe attaccato. Non ne valeva la pena, pensò col cuore in gola.

"Rose, controlla cosa sta guardando" Sussurrò cercando di non distogliere gli occhi da quelli di Akator. Ma nessuno rispose, e gli unici rumori erano i sibili del vento e i fiocchi di neve che cadevano a terra con tonfi morbidi. Il dolore alla testa diventò insopportabile: si inginocchiò e prese a sbattere la fronte contro il duro ghiaccio sotto di lui.

"R-Rose, c-controlla!" Disse ancora sospirando e gemendo. Ma non ricevette risposta. Doveva girarsi per forza...

Si voltò di scatto, aguzzando gli occhi nella fitta nebbia: corde nerastre tenevano sospesi in aria Rose e Scorpius, che cercavano di dimenarsi e di slegarsi, ma invano. Scorpius aveva la bocca tappata e Rose sanguinava dall'avambraccio. Poi guardò in alto. Le centinaia di corde si riunivano in un unico punto: la punta di una bacchetta nerastra. Guardò ancora più in alto, e scorse una figura incappucciata sospesa tra le nuvole, la testa piegata da un lato.

Albus parve svenire, ma il pensiero di dover salvare i suoi due amici gli iniettò una dose di coraggio al cuore: prese a respirare e si alzò, lentamente. Sfilò la bacchetta di ebano e, tremando, la puntò sulle nuvole.

"E così sapevi tutto, eh?" Urlò al ladro. Akator ora strisciava verso Rose e Scorpius, che lo guardarono terrorizzati.

"Io so sempre tutto, Potter. Dimentichi che abbiamo un legame mentale"

"Non l'ho mai dimenticato. Crucio!" Urlò con una rabbia che aveva provato solamente quando aveva combattuto all'Atrium del Ministero. Il ladro si spostò appena per deviare la Maledizione e si tuffò nella sua direzione, volando come fumo. Le corde nere che avvolgevano Rose e Scorpius si dissolsero nell'aria e Akator si diresse verso i due con la bocca spalancata.

"Niente Maledizioni Senza Perdono da te, Potter. Io sono la Copia Omogenea" Ringhiò con voce rauca l'incappucciato. Prese per il collo Albus e lo sbatté sul ghiaccio violentemente. Fiotti di sangue sgorgarono dal collo del ragazzo, che prese a urlare. Voleva farla finita... voleva uccidere quell'uomo... finalmente aveva davanti la copia, e doveva ucciderla... Perché Akator li aveva portati dall'altro lui?

"Feremort!" Urlò il ladro sovrastando gli ululati del vento.

"Protego Maxima!" La maledizione del ladro gli si riversò contro: barcollò all'indietro e cascò a terra, urlando. Un fiume di sangue uscì dalla veste nera e si unì a quello di Albus sul ghiaccio. Parve una scena stranamente all'incontrario: il liquido rossastro ritornò immediatamente dentro le ferite dei due, che erano a terra, come se risucchiata dalla pelle. Albus sentì il sangue entrargli nelle vene e scorrergli velocemente, mentre udiva le urla del ladro, che ora aveva perso la sua voce rauca e sinistra: giurò di aver già sentito quella voce, gli era così familiare... Ma prima che il ladro potesse rialzarsi o lanciare altre maledizioni, Albus sentì qualcosa dietro la schiena toccarlo delicatamente. Si voltò di scatto e quasi non lacrimò: una luce potentissima giaceva a pochi centimetri da lui. Mise a fuoco la fonte da cui proveniva il bagliore: era una figura. Poi, come se la lente di una macchina fotografica fosse finalmente riuscita a metterla a fuoco, la figura di luce divenne nitida: sembrava un cervo, forse quello del padre. Ma non aveva le corna, quindi, suppose Al ipnotizzato dalla luce, avrebbe dovuto essere un esemplare femminile. La cerva gli stava accarezzando un braccio con la punta del muso e lui provò una piacevole sensazione di felicità: non si sentiva così felice da mesi.

Si alzò premendosi il collo con una mano per cercare di fermare l'emorragia, e seguì la cerva d'argento, che ora stava camminando lontano dal ladro. Questa acquistò velocità, e saltò sopra il ghiaccio elegantemente. La mente di Al parve ragionare frettolosamente: doveva solamente seguire la cerva bianco argento, splendente come la luna e abbagliante, che avanzava verso chissà dove senza lasciare tracce di zoccoli nella fine neve fresca. La cautela gli sussurrava: può essere un trucco, un'esca, una trappola. Ma l'istinto, un istinto prepotente, gli disse che quella non era Magia Oscura. Aveva lasciato Rose e Scorpius indietro insieme al ladro, che forse si era ripreso, e ad Akator. Ma pensò che i suoi due amici si sarebbero difesi, visto che erano molto abili nei duelli. Corse più veloce che poté per raggiungere la cerva, che fece un ultimo salto verso un punto del deserto che non era coperto di neve: si posò adagio sopra il ghiaccio purissimo, trasparente e solido. Girò la bella testa verso Al, che si era fermato insieme a lei, con una domanda che gli bruciava dentro, ma quando aprì le labbra per formularla, lei svanì. Di chi era quel Patronus? La sagoma della cerva sbiadiva a ogni battito di ciglia e lui ascoltava i rumori del vento, gli echi lontani della lotta dei suoi due amici e morbidi fruscii di neve. Stava per essere aggredito? Era stato attirato in un'imboscata? Ma qualcosa dentro di lui gli suggeriva che era stata la scelta migliore seguire il Patrone d'argento, e che la scelta peggiore sarebbe stata quella di non seguirla e di rimanere a combattere contro la Copia Omogenea del ladro e l'uomo-serpente.

Per un attimo sembrava che il tempo si fosse fermato, ma poi Albus osservò incuriosito le piccole palle di neve che cadevano pesantemente dal cielo: il punto in cui si era dissolta la cerva respingeva la neve, come se qualcuno vi avesse scagliato un Incantesimo Scudo.

Si avvicinò verso il punto che gli aveva mostrato la cerva e, con un misto di curiosità, felicità, e terrore, allungò il collo per vedere in fondo al ghiaccio.

Si avvicinò ancora di più cauto e guardò in basso. Il ghiaccio rifletteva la sua ombra distorta, ma in fondo, sotto la trasparenza del ghiaccio, scintillava qualcosa che Al non riconobbe subito. Una grande croce d'argento...

Il cuore gli balzò in gola: cadde in ginocchio e puntò la bacchetta sopra il cerchio di ghiaccio completamente puro. "Finite Incantatem!"

La fissò, senza quasi respirare. Com'era possibile? Com'era finita sotto il ghiaccio, così vicino a dove era finito con Rose, Scorpius, e il falso Rolf? Era stata messa lì dopo il loro arrivo, proprio perché c'erano loro? In tal caso, dov'era la persona che aveva voluto consegnarla ad Albus? Tuttavia, quando tornò a concentrarsi sull'oggetto che riposava in fondo nel ghiaccio, la sua esaltazione era alimentata anche dalla paura.

La neve prese a coprire il cerchio di ghiaccio - Al aveva rotto l'Incantesimo Scudo -, ma prima che lo coprisse del tutto, Albus si alzò in piedi e puntò di nuovo la bacchetta contro il ghiaccio. "Bombarda Maxima!"

Un gran fracasso e quelli che avrebbero potuto essere migliaia di chili di ghiaccio schizzarono in aria: Albus si allontanò per deviare i grossi blocchi trasparenti. Una volta finita la pioggia abbastanza minacciosa di pezzi enormi di ghiaccio, Albus si avvicinò al punto che aveva appena fatto esplodere. Aveva ragione. Aveva visto bene. Non avrebbe mai potuto crederci se non l'avesse vista senza il ghiaccio sopra.

Allungò la mano per afferrare la spada di Godric Grifondoro, quando sentì un urlo proveniente dalla piccola battaglia a centinaia di metri da lui. Doveva fare in fretta. La prese e percepì un piacevole calore che si propagò per tutto il braccio destro, quello ferito dal Doxy tre anni prima.

Ma qualcosa turbò le sue fantasticherie. L'elsa non era incastonata di rubini rossi, ma da delle grosse sfere di vetro contenenti un liquido biancastro che schizzava frenetico all'interno. All'estremità dell'elsa c'erano due grossi smeraldi verdi, scintillanti anche senza luce. Sulla punta d'argento c'era un piccolo buco di un millimetro circa, e sotto, incise con una scrittura antica e fluida, due piccole S una sopra l'altra.

Albus fissò la spada per quelli che avrebbero potuto essere dieci secondi. Si soffermò sulle grosse sfere di vetro contenenti lo strano liquido che si muoveva freneticamente, come se fosse vivo.

Si mise la spada sulla spalla e, cercando di non pensare a chi appartenesse quella spada e di chi fosse quel Patrone, corse in direzione dei lampi di luce rossi e verdi.

L'improvvisa consapevolezza di aver capito cosa doveva fare lo colpì in pieno petto: c'era un motivo perché quella cerva gli aveva mostrato la spada. Qualcuno li stava aiutando, e forse si trovava nell'isola. Ma chi? Albus non conosceva affatto qualcuno con una cerva come Patronus. Ma chiunque fosse stato, chiunque avesse evocato la cerva, e chiunque avesse messo quella strana spada nel ghiaccio, voleva aiutare Albus. Era chiaro il messaggio: usa la spada per uccidere la Copia Omogenea.

Le sagome dell'altro ladro, di Akator e dei suoi due amici divennero più nitide, e si accorse solo ora che l'ex Weddy Monsie era sdraiato a terra, privo di sensi, mentre il ladro torturava Scorpius. Rose era stata paralizzata, e il rischio che il ladro potesse ucciderla con una semplice Maledizione Mortale fece gelare il sangue nelle vene ad Al. Avanzò in silenzio verso il ladro, la grossa e pesante spada sulla spalla destra. Rose mosse gli occhi nella sua direzione, ma non poteva né muoversi né gesticolare: muoveva solamente gli occhi.

Era a pochi metri dall'incappucciato, che sosteneva la forza della Maledizione Cruciatus su Scorpius. Doveva solamente infilzarlo dietro le spalle, e sarebbe tutto finito: la ricerca sarebbe finita.

Il cuore gli palpitava forte contro il petto, e sentì gli angoli degli occhi pizzicargli come se qualcuno vi avesse messo sopra del sale.

Alzò la spada, e luccicò così tanto che si meravigliò: non c'era nemmeno un raggio di sole, ma soltanto grossi nuvoloni neri. Fece per abbassarla verso l'uomo sotto il cappuccio, ma, improvvisamente, lui si scansò di lato: cadde a terra e si rialzò subito per placcare Albus. Questi perse la presa sulla spada verde-argento, che cadde sulla fina neve fresca.

Il ladro rimase per un attimo paralizzato alla vista dell'oggetto scintillante, ma poi prese a levare la bacchetta: non era quella di Sambuco. Il vero ladro non avrebbe mai potuto duplicare la Bacchetta di Sambuco, pensò Al. La bacchetta della Copia Omogenea sembrava di biancospino, ma Al cercò di non pensarci. Dalla sua di ebano sgorgò una cascata di luce rossa, che andò incontro a mezz'aria con un'altra cascata verde. Ora l'Incantesimo Petrificus si era sciolto, e Rose prese ad inginocchiarsi accanto a Scorpius, che stava ululando dal dolore.

Albus mise tutta la sua potenza per cercare di sovrastare la Maledizione Mortale della Copia Omogenea.

Il vento aumentò attorno ai due, e forti dolori alle tempie di Al lo fecero quasi arrendere. Ma il pensiero di dover finire la missione, di dover uccidere l'altro lui, e di dover usare la spada nel modo giusto, gli piantò nel cuore un seme di puro coraggio. La scia rossastra sovrastò del tutto quella verde, e, per un attimo, pensò di averlo ucciso. Il ladro cadde a terra e prese a vibrare violentemente; ma dopo quelli che avrebbero potuto essere venti secondi, si rialzò, la bacchetta stretta in pugno.

"Non c'è modo di uccidermi, Potter" Ringhiò. Il suo volto era coperto da una benda nera.

Albus spostò gli occhi alla sua sinistra, e scorse il bagliore dell'argento della spada. Un briciolo di speranza si tuffò nel liquido di debolezza che gli stava invadendo il corpo.

Voleva vedere di nuovo la cerva d'argento, perché prima si era sentito, in un certo senso, protetto. Con la cerva non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente.

"FEREMORT!" Urlò il ladro puntando la bacchetta contro Al.

Provò un dolore al di là di quanto avesse potuto sopportare: era perfino peggiore della Maledizione Cruciatus. Grossi, profondi squarci gli si aprirono sul collo e sulle braccia, poi sentì il petto sinistro spaccarsi: un fiume di sangue colò dal suo corpo, e colorò la neve bianca a terra. La ferita del Doxy gli si riaprì, e la parte tagliata dell'indice della mano sinistra prese a eruttare sangue. Non aveva mai perso così tanto sangue, e mai si sarebbe aspettato che quella maledizione facesse così male. Un senso di colpa lo attanagliò per un secondo mentre pensava al ragazzo di sua cugina, ma poi prese a urlare: la mano destra si stava piegando in due. Sembrava un piccolo foglio di carta rosa, che man mano si piegava, creando un angolo perfetto di novanta gradi.

Per un attimo vide il volto di sua sorella, e pensò che l'avesse raggiunta nel posto dove tutto è immenso, ma poi si rese conto di essere ancora vivo. Il dolore lo fece arrendere. Non poteva morire, non poteva. Anche se nei giorni seguenti lo aveva desiderato animatamente, ora voleva solamente aggrapparsi al filo della vita, perché lui aveva un compito: c'era un motivo perché Dumbledore gli aveva messo la Pietra dentro la bacchetta, e c'era un motivo perché il Patronus gli aveva mostrato la spada nel ghiaccio. Sentì l'urlo della madre mentre Lily era a terra, poi venne scosso da forti brividi e sentì litri di sangue lasciarlo via per sempre.

"Avada Kedavra!" Sentì la voce di Scorpius, stridula e rauca, echeggiargli nella mente; ma il ladro rimase immobile, e continuò a torturare Al.

Stava morendo. Si trattava di una morte lenta e dolorosa: non voleva morire così. Se mai avesse dovuto farlo, avrebbe voluto morire subito, come la sorella. Ma lui doveva rimanere vivo, doveva assolutamente! Aveva ancora grossi dubbi sparsi per la mente, e aveva mille domande da fare. Doveva salvare la comunità magica, perché solamente lui sapeva che fare con la spada. La spada... qualcuno doveva averla messa, proprio per aiutarlo. Non poteva morire, doveva continuare. Quelli dell'Ordine stavano solamente aspettando che lui, Rose e Scorpius cercassero la copia del ladro e la uccidessero. Quel momento gli si era mostrato davanti come la cerva d'argento, ma ora era lui quello che stava morendo.

Stava morendo...

"Ora ti uccido e mi prendo la tua bacchetta. Facile, no?" Gli disse il ladro.

Albus non ebbe la forza di replicare. Rose e Scorpius stavano lanciando fatture e maledizione contro l'incappucciato, ma sembrava che uno scudo invisibile lo proteggesse.

Le ferite sul corpo gli si allargarono ancora di più, e perse la vista, o quasi: vide tutto sfocato. Si sentì più debole di quando non lo fosse mai stato in vita sua. Il battito del cuore rallentò di colpo, e sentì per l'ultima volta le urla della sua cugina preferita e del suo migliore amico. Respirò a fondo, e provò un forte dolore ai polmoni: dovevano essere lacerati anche loro.

Poi le ferite cessarono di allargarsi e il ladro abbassò la bacchetta, ansimando. Al non aveva nemmeno la forza di muovere un dito. Era come se stesse aggrappato con una mano su un precipizio alto trenta metri: era praticamente impossibile sollevarsi e camminare, mentre era molto più facile lasciare la presa e cadere giù, verso le braccia aperte della morte.

Mise a fuoco per l'ultima volta in vita sua l'incappucciato che aveva ucciso tante di quelle persone, e chiuse gli occhi, pensando solamente alla sua famiglia: era certo che li avrebbe rivisti quando sarebbero tutti morti.

Ora, dopo una lunghissima sofferenza, scoprì la morte. Il dolore era terribile... strappato dal proprio corpo... ma se non aveva più un corpo, perché la testa gli faceva tanto male? Se era morto, come mai soffriva così? Il dolore non cessava con la morte, non andava via... Il sangue gli colava ancora dalle profondissime ferite sparse sul corpo. Ma lui era morto, lo sapeva. Era stato portato, trascinato, sollevato dalla morte in un luogo dove avrebbe rivisto Lily. Era finito... tutto finito... era morto.

«Lily, prendi Harry e corri! È lui! Vai! Scappa! Io lo trattengo...»

'Trattenermi? Senza una bacchetta in mano?' Pensò l'uomo avvolto in un lungo mantello nero... Rise prima di scagliare la maledizione...

«Avada Kedavra!»

La luce verde riempi l'angusto ingresso, illuminò la carrozzina contro la parete, fece scintillare le sbarre della balaustra come parafulmini. James Potter cadde come una marionetta a cui erano stati tagliati i fili...

La donna urlò dal piano di sopra, in trappola, ma se non faceva sciocchezze lei, almeno, non aveva nulla da temere, perché lui non l'avrebbe toccata... Scavalcò il corpo di James e salì le scale... nemmeno lei aveva la bacchetta... 'quanto sono stupidi, e fiduciosi a riporre la loro salvezza negli amici, ad abbandonare le armi anche solo per qualche istante' sussurrò l'uomo allungando un angolo della bocca in un sorriso malvagio.

Forzò la porta, gettò da un lato la sedia e le scatole frettolosamente accatastate con un pigro gesto della bacchetta... lei era in piedi, il bambino in braccio. Nel vederlo, Lily depose il piccolo nel lettino alle sue spalle e apri le braccia, come se potesse servire a qualcosa, come se nascondendolo sperasse di poter essere scelta al suo posto...

«No! Harry no, ti prego!»

«Spostati, stupida... spostati...»

«Harry no. Prendi me piuttosto, uccidi me, ma non Harry...»

«È il mio ultimo avvertimento...»

«Non Harry! Ti prego... Per favore... lui no! Harry no! Per favore... farò qualunque cosa...»

«Spostati... spostati, ragazza...»

Lui avrebbe potuto allontanarla dal lettino con la forza, ma pensò che fosse più prudente finirli tutti...

La luce verde lampeggiò nella stanza e lei cadde come il marito. In tutto questo tempo il bambino non aveva mai pianto: stava in piedi, aggrappato alle sbarre del lettino, e guardava l'intruso in faccia con una sorta di vivo interesse, come se pensasse che sotto il mantello fosse nascosto suo padre, pronto a fare altre lucine divertenti, e che sua madre sarebbe tornata su da un momento all'altro, ridendo...

Puntò la bacchetta attentamente contro il volto del bambino: voleva vederla bene, la distruzione di questo unico, inesplicabile pericolo. Il bambino scoppiò a piangere: si era accorto che non era James. Non gli piaceva che piangesse, non aveva mai sopportato i bambini che frignavano all'orfanotrofio...

"Avada Kedavra!"

E poi esplose: non era più nulla, null'altro che dolore e terrore, e doveva nascondersi, non lì tra le macerie della casa distrutta, dove il bambino era intrappolato e urlava, ma lontano... lontano...

E poi il buio...

«Harry Potter» mormorò Voldemort. La sua voce era così bassa che avrebbe potuto essere lo scoppiettio del fuoco. «Il Ragazzo Che È Sopravvissuto».

Nessuno dei Mangiamorte dietro di lui si mosse. Aspettavano: tutto aspettava. Hagrid si divincolava cercando di liberarsi dalle corde, una donna abbastanza alta con folti capelli neri ansimava e fissava il Signore Oscuro con fervore.

Voldemort alzò la Bacchetta. Aveva la testa piegata da un lato, come un bambino curioso che si chiede che cosa succederà. Harry guardò dentro quegli occhi rossi e sperò che accadesse subito, in fretta, quando ancora riusciva a stare in piedi, prima di perdere il controllo, prima di tradire la paura...

Vide la bocca muoversi e un lampo di luce verde, e tutto svanì.

Di nuovo buio...

"Lily Potter! Che bella esca. Tuo fratello verrà qui a salvarti, vero?!"

"NO! LASCIAMI STARE, NON FARGLI DEL MA..."

Le imprecazione della ragazza vennero sostituite da urla di dolore. Quando era stupida quella ragazzina. Doveva farla fuori, subito. Ma prima doveva attendere il ragazzo. Quello stupido di un Potter doveva vedere sua sorella in fin di vita.

"FEREMORT!"

Le urla della ragazza coi capelli rossi riempirono ogni angolo dell'enorme sala.

"N-no... ti imploro. AAAAAAAHHH"

Stupida bambina. Amava farle del male, vedere la sua pelle squarciarsi e il suo sangue colare a terra come acqua. Amava vederla soffrire. La Bacchetta di Sambuco gli funzionava benissimo, anche se non era il suo vero padrone. La potenza nelle sue mani cresceva col passare dei giorni.

"T-ti prego... non mi fare del male..." Sussurrò la ragazza sdraiata su una pozza di sangue. 'Sciocca lurida Sanguemarcio' Pensò. Poi rise. La sua risata era intrisa di piacere malvagio.

"Sai. Ti voglio raccontare una storia" Disse alla ragazza abbassando la bacchetta. Qualche secondo dopo avrebbe potuto lanciare la visione nella mente del ragazzo.

La ragazza lo guardò con gli occhi enormi, gonfi di lacrime.

"Una volta, CRUCIO, credevo di essere spacciato, quasi morto. CRUCIO. Credevo che non avrei mai avuto possibilità nel mio futuro, CRUCIO. Ma qualcosa dentro di me mi ha fatto capire davvero cosa avrei potuto fare con questa bacchetta, CRUCIO. E hai visto? Ho fatto grandi cose, CRUCIO, con questa bacchetta, vero?"

La ragazza immerse la testa nella pozza del suo sangue e versò lacrime di dolore. Non rispose.

"Ho detto, CRUCIO, vero?" Era una sensazione fantastica affliggerle del dolore. Voleva squarciarle ogni centimetro di pelle e portarla sulla stradina di Pytchley Road. Ma forse era il caso aspettare il ragazzo, e poi ucciderla davanti ai suoi occhi.

"Rispondi, sporca Sanguemarcio!" Sbraitò alla ragazza. Lei non si mosse.

"Pff, che perdita di tempo. Si vede proprio che sei una Potter. Deboli ma coraggiosi" Disse ancora. Quello era il momento per lanciare il segnale d'avvertimento al ragazzo: doveva fargli vedere che torturava sua sorella, era per questo che l'aveva catturata ad Hogwarts e portata a Londra.

"CRUCIO!" Urlò sorridendo.

La ragazza rimase a terra priva di sensi, e, dopo averle scagliato un altro paio di Maledizioni della Tortura, la legò ad un braccio dorato del centauro della Fontana dei Magici Fratelli.

Un'altra volta buio...

Stava volando verso il ragazzo, che non aveva assolutamente scampo: era troppo impegnato a respingere l'onda che lui, il Signore, aveva creato. Un solo gesto e quel ragazzo non avrebbe mai più visto i suoi genitori. Ma cosa gli importava a lui? Doveva farlo fuori, doveva prendergli la bacchetta ed estrarre la Pietra che quello stupido di Dumbledore gli aveva messo tre anni prima. Quelli dell'Ordine credevano che non sapesse niente, ma si sbagliavano di grosso: lui sapeva sempre tutto.

Volò più veloce che poté, ma rallentò di colpo: la ragazza che aveva torturato due quarti d'ora prima si era messa davanti il ragazzo. Che sciocca, pensò mentre la guardava. Levò la bacchetta e la puntò alle spalle della ragazza, cercando di mirare il fratello: era lui l'obiettivo, era lui che desiderava ardentemente, o, meglio, la sua bacchetta di ebano. Ma ci ripensò: se gli ammazzava la sorella non avrebbe fatto danno a nessuno. Un morto in più o un morto in meno non avrebbe fatto di sicuro la differenza. Lo schizzo di luce verde uscì dalla punta della sua Bacchetta di Sambuco, e colpì il seno della ragazza. L'aveva uccisa... finalmente. Si sentì soddisfatto, come se si fosse tolto un piccolo sassolino dalla scarpa, ma, all'improvviso, sentì il richiamo della sua Copia Omogenea. Aveva il ragazzo a pochi metri da lui che fissava la sorella con gli occhi gonfi di lacrime. Povero bambino... gli aveva ucciso una sorella inutile. 'Come possono le persone amare altre persone più di quanto non amino se stesse?' pensò il Signore. Doveva rimandare l'uccisione del ragazzo ad un altro giorno. La sua Copia stava chiedendo aiuto... La Copia prima di tutto. Si Smaterializzò poco prima di vedere il ragazzo lasciare la presa sulla bacchetta; poi comparve nell'isolotto di ghiaccio...

E ora la Copia Omogenea stava uccidendo il ragazzo. Gli avrebbe tolto la bacchetta di ebano e sarebbe diventato Padrone della Morte. Il ragazzo ai suoi piedi era ridotto così male che dubitava fortemente che si sarebbe ripreso. Guardò Albus Potter, sanguinante e livido. Doveva solamente pronunciare la formula... due parole... doveva farlo fuori, una volta per tutte. Il ragazzo sarebbe morto lentamente e dolorosamente...

"NO!" Un urlo di una voce femminile parve strattonargli la testa: aprì gli occhi appena per vedere un luccichio d'argento brillare attraverso i grandi fiocchi di neve. Uno schizzo di caldo sangue scuro gli bagnò il viso. Poi, dopo quelli che avrebbero potuto essere dieci secondi, udì un rumore alquanto strano: un rumore metallico misto a un rumore di carne tagliata. Aprì per bene gli occhi: Rose era dietro l'incappucciato, ansante e terrorizzata, mentre lasciava la spada incastrata nel corpo del ladro. Questi prese a cascare con un sordo tonfo sulla neve gelida, e lasciò la presa sulla bacchetta che apparentemente sembrava di biancospino.

Ce l'avevano fatta. Albus non era morto. Rose lo aveva salvato. Rose aveva ucciso la Copia Omogenea. La loro ricerca era finita.

Si alzò appena in piedi per vedere Akator strisciare verso di loro, la bocca spalancata unta di veleno. Avevano la possibilità di vedere chi si celava dietro il cappuccio, ma non potevano rimanere lì... bastava solamente un gesto e scoprire l'identità del ladro...

Akator stava fissando la figura senza vita accanto ad Al con gli occhi iniettati di sangue, mentre sbatteva la grossa coda squamosa sulla neve, lasciando profondi solchi.

"Rose, prendi la spada! Andiamocene!" Ritrovò la forza di parlare. Ebbe un tuffo al cuore: Rose estrasse la spada dalla schiena dell'uomo sotto il cappuccio, prese per mano Scorpius e lui, Al, afferrò le due mani: per quella che avrebbe potuto essere la cinquantesima volta in quel mese, venne inghiottito dall'oscurità, vorticando nel nulla.

Bạn đang đọc truyện trên: AzTruyen.Top