Il ponte lucente
//sì, quello nella foto è Albus//
***
"No! Harry no, ti prego!"
"Spostati, stupida... spostati..."
"Harry no. Prendi me piuttosto, uccidi me, ma non Harry..."
"È il mio ultimo avvertimento..."
"Non Harry! Ti prego... Per favore... lui no!Harry no! Per favore... farò qualunque cosa..."
"Spostati... spostati, ragazza..."
Avrebbe potuto allontanarla dal lettino con la forza, ma pensò che fosse più prudente finirli tutti...
La luce verde lampeggiò nella stanza e lei cadde come il marito. In tutto questo tempo il bambino non aveva mai pianto: stava in piedi, aggrappato alle sbarre del lettino, e guardava l'intruso in faccia con una sorta di vivo interesse, come se pensasse che sotto il mantello fosse nascosto suo padre, pronto a fare altre lucine divertenti, e che sua madre sarebbe tornata su da un momento all'altro, ridendo...
Puntò la bacchetta attentamente contro il volto del bambino: voleva vederla bene, la distruzione di questo unico, inesplicabile pericolo. Il bambino scoppiò a piangere: si era accorto che non era James. Non gli piacevava che piangesse, non aveva mai sopportato i bambini che frignavano all'orfanotrofio...
"Avada Kedavra!"
E poi esplose: non era più nulla, null'altro che dolore e terrore, e doveva nascondersi, non lì tra le macerie della casa distrutta, dove il bambino era intrappolato e urlava, ma lontano... lontano...
Non sapeva dove stava andando. Non sapeva nulla. Sembrava volare, ma non come fumo, ma volare con due enormi ali.
Il petto di Voldemort si alzò e si abbassò in fretta, e Harry avvertì la maledizione in arrivo, la sentì crescere dentro la bacchetta puntata contro il suo viso.
"Il vero padrone della Bacchetta di Sambuco era Draco Malfoy"
Una vacua sorpresa comparve per un attimo sul viso di Voldemort, poi sparì.
"Ma che importanza ha?" mormorò il Signore Oscuro. "Anche se tu avessi ragione, Potter, non farebbe alcuna differenza per te e per me. Non hai più la bacchetta di fenice: il nostro sarà un duello di pura abilità... e dopo che avrò ucciso te, potrò occuparmi di Draco Malfoy..."
"È troppo tardi" osservò Harry. "Hai perso l'occasione. Sono arrivato prima io. Ho battuto Draco settimane fa. Gli ho portato via questa"
Harry agitò la bacchetta di biancospino e sentì gli sguardi di tutti i presenti su di essa.
"Quindi è tutto qui, capisci?" sussurrò. "La bacchetta che hai in mano sa che il suo ultimo proprietario è stato Disarmato? Perché se lo sa... sono io il vero padrone della Bacchetta di Sambuco"
Un bagliore d'oro rosso divampò all'improvviso nel soffitto incantato sopra di loro e uno spicchio di sole accecante apparve sul davanzale della finestra più vicina. La luce colpì i due volti nello stesso momento e quello di Voldemort divenne una macchia infuocata. Harry udì la voce acuta strillare e urlò anche lui la sua speranza estrema verso il cielo, puntando la bacchetta di Draco.
"Avada Kedavra!"
"Expelliarmus!"
Lo scoppio fu come un colpo di cannone e le fiamme dorate che eruppero tra loro, al centro esatto del cerchio che avevano disegnato, segnarono il punto in cui gli incantesimi si scontrarono. Harry vide il lampo verde di Voldemort urtare il proprio incantesimo, vide la Bacchetta di Sambuco volare in alto, scura contro l'alba, roteare come la testa di Nagini contro il soffitto incantato, verso il padrone che non avrebbe ucciso, che finalmente ne entrava in pieno possesso. E Harry, con l'infallibile abilità del Cercatore, la prese al volo con la mano libera mentre Voldemort cadeva all'indietro, le braccia spalancate, le pupille a fessura degli occhi scarlatti che si giravano verso l'alto. Tom Riddle crollò sul pavimento con banale solennità, il corpo fiacco e rattrappito, le mani bianche vuote, il volto da serpente inespressivo e ignaro. Voldemort era morto, ucciso dal rimbalzo della sua stessa maledizione, e Harry fissava, con due bacchette in mano, il guscio vuoto del suo nemico.
Un vibrante secondo di silenzio, lo stupore sospeso, poi il tumulto esplose attorno a Harry, le urla, l'esultanza e i ruggiti dei presenti lacerarono l'aria. L'ardente sole nuovo incendiò le finestre mentre tutti avanzavano verso di lui, e i primi a raggiungerlo furono Ron e Hermione, le loro braccia ad avvolgerlo, le loro urla incomprensibili ad assordarlo. Poi Ginny, Neville e Luna, e poi gli altri Weasley e Hagrid, e Kingsley e la McGranitt e Vitious e la Sprite; Harry non riusciva a capire una parola di quello che stavano urlando, né quali mani lo afferravano, lo tiravano, cercavano di abbracciarlo: erano in centinaia a premere contro di lui, tutti decisi a toccare il Ragazzo Che È Sopravvissuto, la ragione per cui era davvero finita...
Qualcosa dentro di lui sembrava battere, o forse era solo il rumore di qualcosa attorno a lui.
La Umbridge avanzò di qualche metro, poi levò la bacchetta a mezz'aria e prese la mira, un piccolo sorriso malvagio stampato in volto.
"Cosa vorresti fare, Dolores?" La McGonagall parve arrendersi. Smise di tentare di afferrare la bacchetta e guardò diritto negli occhi la sua collega. Sembrava accettare che dovesse morire quel giorno...
"Quello che avrei dovuto fare tempo fa... Avada Kedavra!"
"NO!" Improvvisamente Neville si tuffò in direzione del lampo di luce verde. La Maledizione Mortale lo colpì in pieno petto. Dopo alcuni secondi, i suoi occhi diventarono vuoti come due lunghi tunnel immersi nell'oscurità.
E continuava a volare, o forse era fermo, immobile, accovacciato da qualche parte nel nulla solido.
Lo sguardo di Al indugiò su un velo bianco, sotto doveva esserci una persona, pensò. Non poteva essere....
"Professoressa, c-cosa c'è lì sotto?" Domandò timidamente mentre un liquido bollente parve bruciargli tutti gli organi.
La preside non parve convinta di rispondergli, ma poco dopo, con le lacrime agli occhi, sibilò "Godys McDonald"
"È... è... m-morto?" Balbettò Albus mentre una sensazione mista tra incredulità e spavento lo divorava.
La McGonagall non parlò, e quel silenzio fece capire ad Albus che il suo compagno di stanza se n'era veramente andato, che aveva raggiunto il posto in cui tutto è meraviglioso.
Dopo alcuni minuti, ritrovò la forza di parlare, anche se ogni parola gli scorticava la gola, come se avesse delle piccole lame arrugginite appoggiate sulla lingua.
"Cos'era quell'urlo che ho sentito...?"
"Roxanne Weasley... è morta poco dopo l'arrivo dell'uomo"
Forse era sdraiato da qualche parte nello spazio tempo, ma lui non riusciva a calcolarlo, perché era tutto confuso...
Fece comparsa Elliot, che sembrava stordito. Aveva un ciondolo d'argento stretto in mano, e i suoi occhi non erano più grigiastri ed opachi: non era più sotto l'uso della Maledizione Imperius.
Con la sua Goldbolt 360, un manico d'oro velocissimo nuovo di zecca, avanzò verso Albus, mentre il buio cominciava a dominare sul giorno e la Manica spariva dietro i ragazzi.
"ELLIOT!" Albus e Dean continuarono lanciare incantesimi contro il ladro.
"ALBUS! Scusa... prima... me l'ha detto Dean, non potevo fare nien..." Improvvisamente cessò di parlare, mentre fissava con terrore uno zampillo di luce verdastra colpirgli la zona del cuore. Per un istante Elliot Flynn rimase assurdamente a braccia spalancate, come se avesse sbattuto contro una barriera invisibile. Poi, cadde, insieme alla scopa, gli occhi vuoti ed il ciondolo d'argento ancora stretto in mano.
Decise di tenere gli occhi chiusi. Non volle aprirli. Non volle vedere dove si trovava o cosa gli stava accadendo. Ancora non riusciva a scorgere niente dallo strato di pelle delle palpebre, sempre se ce le avesse ancora.
Il ladro lì sopra si mosse di scatto e volò verso di lui a velocità incredibile, la bacchetta tesa davanti a sé e il lungo mantello nero che gli svolazzava dietro come una bandiera enorme.
Ma qualcun altro si era appena posizionato tra Al, la bacchetta levata a sostenere il flusso invisibile protettivo, e il ladro, pronto a scagliare una Maledizione Senza Perdono.
"Lily! Cosa fai? VATTENE!" Urlò Albus in preda al panico. Non poteva permettere a sua sorella di proteggerlo dal Mago Oscuro più potente del decennio. La potenza del suo Incantesimo Scudo aveva creato una specie di vento che gli stava spostando i capelli dalla fronte bagnata.
L'uomo sotto il cappuccio era sempre più vicino... stava raggiungendo Al e Lily...
"LILY! VATTENE!"
"NO! Devo salvarti! Sei mio fratello..."
Ma cessò improvvisamente di parlare. I suoi capelli rossastri ondeggiarono all'indietro, come se sospinti da un vento forte. La mano della ragazza rimase per un istante levata verso il ladro, poi si abbassò a sfiorare la zona del cuore. I suoi occhi verdi diventarono vuoti e freddi come il ghiaccio, come se fossero stati pugnalati da qualcosa senza un briciolo di pietà. La luce della Maledizione Mortale che l'aveva colpita in pieno petto sembrava ancora illuminare il suo viso angelico, privo d'espressione.
Lily Luna Potter parve impiegare un'eternità a toccare terra: il suo corpo si piegò con grazia e cadde all'indietro, ai piedi tremanti del fratello.
L'urlo di terrore non uscì mai dalla bocca di Albus. Pensava che anche lui fosse stato colpito insieme alla sorella... pensava che anche lui fosse morto insieme a lei ed era convinto che si sarebbero incontrati al di là dell'immensa felicità...
Ma il suo cuore batteva ancora forte, all'impazzata, come non lo aveva mai fatto: era vivo. Ma lui non doveva essere vivo... non voleva vivere... se avesse dovuto vivere avrebbe voluto farlo con sua sorella... e ora niente aveva più un senso.
Voleva morire a tutti i costi... Voleva raggiungere Lily nel posto che tutti, escluso Harry Potter, temevano più di ogni altra cosa...
Ma ora era morto, e finalmente avrebbe raggiunto sua sorella. Sarebbe successo a momenti, ne era sicuro. Qualcosa dentro di lui però sembrava ancora battere forte. Continuò a tenere gli occhi chiusi.
Forse avrebbe potuto giurare di sentire un sussurro. Un soffio di vento. Un "bibby". Ma un vento leggero sembrava soffiare dentro la sua mente.
"NO!" Un urlo di una voce femminile parve strattonargli la testa: aprì gli occhi appena per vedere un luccichio d'argento brillare attraverso i grandi fiocchi di neve. Uno schizzo di caldo sangue scuro gli bagnò il viso. Poi, dopo quelli che avrebbero potuto essere dieci secondi, udì un rumore alquanto strano: un rumore metallico misto a un rumore di carne tagliata. Aprì per bene gli occhi: Rose era dietro l'incappucciato, ansante e terrorizzata, mentre lasciava la spada incastrata nel corpo del ladro. Questi prese a cascare con un sordo tonfo sulla neve gelida, e lasciò la presa sulla bacchetta che apparentemente sembrava di biancospino.
Ce l'avevano fatta. Albus non era morto. Rose lo aveva salvato. Rose aveva ucciso la Copia Omogenea. La loro ricerca era finita.
Sentiva qualcosa battere dentro di lui, forse piano, forse forte...
"Rose, sai dov'è Elly?" Urlò facendo esplodere una pietra gigantesca a pochi metri da lui.
"No... non l'ho vista" Rispose lei levando la bacchetta e sparando scintille giallastre. Un Fedele davanti a lei barcollò bruscamente all'indietro e inciampò su un corpo morto a terra. Albus mise a fuoco il cadavere. Pensò che fosse un'allucinazione, perché non ci volle credere: Margarit Alamon giaceva a terra, gli occhi grigi e la bocca spalancata.
"NO!" Urlò Rose chinandosi sulla ragazza, i capelli lunghi ancora pettinati perfettamente. Una spada di emozioni tristi trafisse il cuore di Albus. Non ci voleva credere... era impossibile...
"MARGARIT! SVEGLIATI! MARGARIT! MARGARIT!" Urlò piangendo la Weasley strattonando la Alamon. "NO... MARG... NO..."
"Albus"
Finalmente una voce reale parve echeggiargli nelle orecchie.
"Non ricordare le morti, non ricordare le cose brutte. Ricorda solo le cose belle e le cose che ti fanno andare avanti"
Albus decise di tenere gli occhi chiusi. Quella voce gli sembrava lontanamente familiare.
"Svegliati, Albus"
La voce gli penetrò di nuovo le orecchie. Poteva sentire. Ma lui non voleva aprire gli occhi, non voleva affatto. Rimase immobile, rannicchiato nel nulla, e non seppe se stesse volando o se fosse immobile. Era un po' tutto confuso, ma lui era lì, e iniziava a provare qualche emozione. Piacere. Goduria. Sollievo.
"Albus"
La voce sembrava avere delle lunghe mani. Afferrarono le palpebre di Al e gliele tirarono su, come una finestra.
Rimase per un attimo con gli occhi socchiusi, e scorse un bagliore luminosissimo che lo accecò. Rimase un paio di minuti fissando la luce, cercando di abituarsi. I suoi occhi lacrimarono, e decise di aprirli del tutto. Solamente ora si accorse che era sdraiato a terra, come se stesse dormendo. Le mani erano unite sotto la testa, come se fossero un cuscino e la superficie liscia sotto di lui sembrava un grosso foglio di carta, né caldo né freddo.
Dopo molto tempo, o forse nessun tempo, capì che doveva esistere, doveva essere più che pensiero disincarnato, perché era disteso. Quindi possedeva il senso del tatto, e anche la cosa sulla quale giaceva esisteva.
Dove mi trovo? Furono le sue prime parole in un bisbiglio. Poteva parlare. Poteva toccare. Respirava.
Il piacere che stava provando pochi minuti prima ancora lo stava cullando e provava anche una sensazione mista tra la felicità è la confusione.
"Alzati, Albus"
Non riusciva a scorgere nessuno, e la voce sembrava fuoriuscire dalla luce bianca, quasi come un Patronus. Rimase ancora disteso a terra, gli occhi aperti persi nel bagliore di quel posto senza niente. Non c'era nessuno che lo stava guardando. Non c'era nessuno che stava parlando. Non era del tutto sicuro di esserci nemmeno lui. Ma la voce continuava a chiamarlo.
Forse si trovava in un posto ben definito, solo che lui non poteva vedere gli oggetti perché non si era ancora abituato a tutta quella luce. Ma due minuti erano passati, e già doveva aver visto qualcosa. Ma niente. Era tutto una luce.
Un po' irritato dalla voce che lo chiamava, stiracchiò con le dita la pelle circostante agli occhi e si mise su a sedere. Il suo corpo sembrava intatto. Il suo corpo provava emozioni. Non doveva essere morto. Guardò la mano sinistra: c'erano tutt'e cinque le dita. Poi spostò lo sguardo sul braccio destro: non c'era più il taglio profondo del Doxy. Il Doxy...
Solamente ora si accorse di aver appena vissuto una vita. Ricordava.
Guardò tutto il suo corpo: indossava solamente un pantalone marrone. Era scalzo e a petto nudo. Non provava né caldo né freddo. Era semplicemente una sensazione fantastica.
Si guardò ancora una volta intorno, ed ora distingueva alcune cose: alla sua destra si ergeva una grande torre con un orologio in cima, mentre dietro di lui c'era un grande cerchio con tanti puntini disegnati sul suo perimetro. Alberi e palazzi si ergevano a centinaia di metri da lui. Si trovava in una città. Si trovava a Londra. Ma aveva un aspetto decisamente diverso, molto decisamente. Era tutto ovattato e immobile. Non udiva alcun rumore. Era sul luogo della battaglia - un altro ricordo della vita -, ma tutto sembrava tornato al proprio posto. Su, invece, dove avrebbe dovuto esserci il cielo, c'erano quelle che avrebbero potuto essere nuvole di luce pura. Niente persone senza vita, niente sangue, niente cose brutte.
"Ti sei svegliato, finalmente"
Si tirò su in piedi e fece un giro su sé stesso. Si fermò con gli occhi puntati sotto il Big Ben, che emanava un bagliore bianco, come una nebbiolina. In realtà, si accorse, tutte le cose che lo circondavano emanavo quella strana nebbiolina. Anche il marciapiedi del Westminster Bridge in cui si trovava. Ma nessuno sembrava esserci, in quel posto.
"Albus, sono qui"
Si voltò di scatto.
Neville Longbottom gli veniva in contro, svelto e dritto, con una camicia bianca sbottonata a rivelare un petto nudo e roseo.
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