PROLOGO
La massima nobiltà si basa fin dall’antichità sull’aspilogia, meglio conosciuta dai meno eruditi come “studio delle armi o araldica”.
Essere in grado di cogliere dal graffito di uno stemma la vera essenza e identità di un insieme di persone unite fra loro da interessi e scopi comuni dà modo nel tempo di pensare a quanto un qualcosa di complesso come la vita possa essere descritta senza un’eterna ambiguità.
La blasonatura è un linguaggio comune compreso anche da coloro che fan sfoggio di scarsa alfabetizzazione. I vocaboli e la sintassi non sono altro che elementi grafici rigorosi, colorati e inseriti nel contesto con una precisione quasi maniacale.
Non a caso sempre più di frequente capita di incontrare sul proprio cammino un emblema araldico: in celebri imprese produttrici, in storici club sportivi, in ammirevoli istituti scolastici a carattere privato e persino negli Stati indipendenti e sovrani, grazie a bandiere svettanti giulive sui bastioni più vetusti del mondo.
I gonfaloni danno la possibilità di concedere una precisa individualità anche a encomiabili famiglie aristocratiche, il cui studio delle genealogie ha reso l’araldica ancor tuttora vigente. Uno di questi è la corona d’oro avvolta da un filo di perle con sei giri in banda, di cui solamente tre ben visibili. Essa è l’emblema dei Tinti Equinozi Orazi, il cui titolo nobiliare di baroni appesantì ancor di più l’importanza di tale casata. Quella a cui appartiene Gioele Luca Ubaldo.
Per gli amici Gioele Luca Ubaldo. Per l’anagrafe di Mendrisio Gioele Luca Ubaldo Tinti Equinozi Orazi. Per gli studenti dell’Istituto Le Rosey di Rolle il Baronetto Tinti Equinozi Orazi.
E se dicessi che qualcuno sostiene invece che la massima nobiltà stia in chi ogni giorno lavora la terra, la vanga, la cura con devozione, si occupa di ridare una seconda vita a un campo arido a causa delle piogge mancate o malato a fronte di insetti fastidiosi e nuovi, emigrati da paesi sconosciuti, scossi dal cambiamento climatico?
In fin dei conti, Lavinia Ferrari - per chiunque Lavi - aveva conosciuto soltanto un piccolo mondo agricolo, fatto di lavoro e fatica, di mani sudice e vestiti stropicciati, malridotti.
La massima nobiltà quindi non sta nella condizione sociale di ognuno, ma nei modi d’essere, nella generosità e nel sostegno volontario. Al di là delle diversità.
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